GIORGIO MAZZONE:

IL CONTRIBUTO DELLA RICERCA ALL' INNOVAZIONE TECNOLOGICA

E' stato spesso affermato da autorevoli fonti nazionali che l'Italia occupa una posizione preminente tra le nazioni maggiormente industrializzate del mondo occidentale. In realtà è evidente per chiunque operi nel campo della ricerca che la nostra competitività nel settore delle tecnologie avanzate è estremamente limitata. Possiamo anche rilevare che agli esperti stranieri che conoscono il nostro paese appare perfettamente chiaro che le tre reti di ricerca di cui il paese dispone (Università, Enti Pubblici di Ricerca, Centri di Ricerca Industriali) forniscono un contributo estremamente modesto allo sviluppo di tutti quei tipi di ricerca che sono di uso pratico per l'industria.

Così come per molti altri aspetti della nostra società, questa situazione può essere fatta risalire, per quel che riguarda le responsabilità del settore pubblico, sia al corporativismo degli operatori della ricerca (che si riflette nella mancanza di una vera struttura di selezione delle proposte di ricerca e di valutazione dei risultati) che ad una generale ignoranza dei principi dell'economia di mercato che ha portato ad una separazione pressochè totale tra mondo della ricerca e mondo della produzione. D'altra parte, per quel che riguarda il sistema industriale va detto chiaramente che questo ha sempre dato pochissimo peso allo sviluppo di tecnologie avanzate. La tecnologia italiana si concentra nei beni di consumo a basso valore aggiunto legati al tessile e all'abbigliamento, ad alcuni settori della meccanica ed alla chimica di base. Del tutto deficitario è il settore ``high-tech'': elettronica, informatica, chimica fine e materiali, biotecnologie. A questa situazione si aggiunge il fatto che negli ultimi venti anni l'industria ha affrontato le congiunture difficili attraverso parziali ristrutturazioni e soprattutto riducendo gli investimenti di lungo periodo, primi fra tutti quelli per ricerca ed innovazione.

Almeno in parte questo atteggiamento dipende dalla struttura stessa del nostro sistema industriale. Copiare o sviluppare innovazione di processo in settori maturi non richiede grandi tradizioni e grandi investimenti in rischiosi progetti di ricerca. Il successo mondiale della nostra piccola e media industria costituisce un esempio concreto di questa tendenza. Scoprire o progettare nuove tecnologie o nuovi prodotti fortemente innovativi richiede invece i tempi lunghi tipici delle grandi infrastrutture tecnico-scientifiche di cui la grande industria nazionale, che avrebbe dovuto essere l'elemento trainante in questa direzione, non si è quasi mai dotata, preferendo accontentarsi di ricevere dallo Stato fondi per la ricerca del cui utilizzo, a somiglianza di quanto avviene negli Enti di ricerca, non deve rendere praticamente alcun conto al di là di un controllo essenzialmente formale.

In definitiva la cultura industriale a vocazione prevalentemente imitatrice e/o assemblatrice del nostro paese ha sostanzialmente ignorato il ruolo trainante dello sviluppo di tecnologie e prodotti fortemente innovativi giudicato troppo impegnativo e troppo rischioso da un sistema produttivo privo di tradizione consolidata nel campo dell'innovazione tecnologica.

Va inoltre evidenziato che in Italia esiste una notevole confusione, spesso voluta, tra ricerca applicata e sviluppo di tecnologie e prodotti avanzati, una non chiara distinzione di ruoli tra chi deve fare l'una e chi deve fare l'altra cosa, su come devono essere ripartiti i costi di queste attività e, infine, sulla differenza tra diffusione dei risultati della ricerca applicata e trasferimento di tecnologia. Questa mancanza di chiarezza sembra arrivare ai livelli più alti se, nel piano triennale della ricerca 1994-1996 del MURST si afferma che ``i programmi di ricerca applicata sono formulati in modo da soddisfare la domanda di innovazione esplicita o latente che emerge dal paese'' evadendo quindi il problema fondamentale del rapporto tra due entità ben diverse quali sono la ricerca applicata da una parte e lo sviluppo e l'introduzione di tecnologie e prodotti innovativi dall'altro. A questa critica va però aggiunto che il piano sopracitato muove da una analisi essenzialmente realistica del sistema produttivo nazionale, esplicitandone chiaramente il ritardo tecnologico rispetto agli altri paesi industrializzati dell'occidente.

Questo breve documento non può ovviamente proporsi di delineare i dettagli di una strategia per aumentare l'efficacia degli investimenti nella ricerca in genere, e in quella applicata in particolare. E' però possibile fare presenti alcuni punti dai quali sembra non potersi prescindere specie se si è convinti che la situazione attuale è largamente insoddisfacente. Il primo punto concerne la consapevolezza che il concetto di ``catena dell'innovazione'' che muove dalla ricerca di base fino alla produzione, attraverso la fase di sviluppo ed ingegnerizzazione, non aiuta ad interpretare correttamente il processo innovativo. E' necessario ribadire che la diffusa convinzione che l' attività di ricerca applicata possa e debba essere valutata principalmente sulla base del suo diretto utilizzo al fine dello sviluppo di tecnologie innovative ( in altre parole, l'enfasi posta sul marketing della ricerca) è un indice dell'arretratezza anche culturale del nostro paese.

Come controaltare a questa convinzione è frequente imbattersi nella richiesta, talvolta avallata da qualche ricercatore di grande prestigio, di aumentare in misura notevole lo stanziamento dedicato alla ricerca, senza che a questa richiesta si accompagni la richiesta di introdurre modelli di selezione delle proposte e valutazione dei risultati, analoghi a quelli utilizzati negli altri paesi avanzati.

Non c' è dubbio che in una prospettiva a medio termine i fondi da destinare alla ricerca di base vadano aumentati ma allo stesso tempo occorre ridistribuire questi fondi verso temi e discipline di potenziale interese applicativo. Questa scelta consente di concentrare la capacità di ricerca su quei settori che statisticamente sono maggiormente in grado di produrre conoscenze utili al fine dello sviluppo di tecnologie. Questo significa che ai ricercatori non deve essere chiesto di impegnarsi in ricerche applicative di breve termine in quanto il processo dell'innovazione ha bisogno dei risultati del lavoro di buoni ricercatori e non di tecnologi dilettanti. Allo stesso tempo i ricercatori devono avere chiaro che i fondi destinati alla ricerca ( anche quella di base ) non verranno più distribuiti a pioggia ma che saranno concentrati su quegli obiettivi scientifici maggiormente suscettibili, su base statistica e non deterministica, di essere utilizzati nel processo di sviluppo tecnologico. Questo processo dovrà essere guidato dai centri di ricerca industriale che su esso dovranno impegnarsi anche finanziariamente. Va pertanto assolutamente evitato di concedere fondi a pioggia ai laboratori di ricerca pubblica per finanziare attività di ricerca spesso effettuata congiuntamente ad operatori industriali per poterla meglio presentare come attività di sviluppo e trasferimento tecnologico.

D'altra parte è ben noto che la ricerca industriale in Italia è caratterizzata da forti insufficienze qualitative e quantitative. Il piano triennale della ricerca fa rilevare che la percentuale di spesa di ricerca eseguita dalle imprese è meno elevata sia di quella dei maggiori paesi sviluppati sia delle medie OCSE e comunitarie. Questa arretratezza rispetto ai principali paesi con cui l'Italia deve confrontarsi, è tanto più grave se si considera la minore incidenza, in Italia, delle spese complessive di ricerca e sviluppo sia in assoluto sia rapportate al PIL. La scarsa attenzione alla tecnologia si riflette sulla struttura della bilancia dei pagamenti tecnologici: nel 1990 il deficit è stato di 623 miliardi di lire, come risultato di un contributo attivo per 845 miliardi e di un contributo negativo per 1468 miliardi. Il dato negativo non èrappresentato tanto dall'entità del deficit che è dello stesso ordine di grandezza di quelli di Francia e Germania, ma dalla esiguità del valore assoluto degli scambi: per confronto la Germania ha entrate sette volte superiori e uscite cinque volte superiori.

Per porre rimedio a questa situazione occorre operare sul punto di forza del sistema produttivo nazionale costituito dalla presenza di un tessuto di centinaia di piccole e medie imprese la maggior parte delle quali operanti in settori tradizionali dell' industria. Mentre è chiaro che queste imprese hanno bisogno di una massiccia iniezione di conoscenze scientifiche e tecnologiche per mantenere nel tempo la loro competitività e accentuare la presenza sul mercato globale, non è sempre facile, senza adeguati meccanismi di supporto, identificare la domanda di ricerca che queste imprese talvolta non riescono a definire in modo chiaro, perchè le tecnologie e le conoscenze di cui hanno bisogno possono essere estranee alla cultura specifica dei settori in cui operano, e perchè le loro stesse piccole dimensioni costituiscono una barriera all' acquisizione diretta di queste tecnologie e competenze. E' essenziale strumento di politica tecnologica riconoscere questi bisogni e definire un insieme di azioni per soddisfarli. Diventa quindi cruciale l'identificazione, il finanziamento e lo sviluppo di un insieme di tecnologie critiche per il sistema industriale, per ciascuna delle quali occorre disporre di un' adeguata capacità di ricerca da effettuare in sedi e con strumenti diversi. In sintesi il ruolo fondamentale del potere politico deve essere quello di indirizzo del sistema di ricerca pubblica, di promozione della capacità di produrre innovazione da parte delle imprese e di coordinamento di queste due attività, distinte ma convergenti.

E' chiaro allora che il punto di arrivo di questo processo consiste nel mettere in grado le industrie di fare innovazione al loro interno invece di ricorrere all' estero per l' acquisto di tecnologia. Solo in questo modo è possibile utilizzare i risultati della ricerca svolta in ambito pubblico realizzando così ove possibile la finalizzazione dei risultati della ricerca allo sviluppo di tecnologie innovative.

A fronte di questa necessità non sembra esistere nè nel settore della ricerca pubblica nè nel settore della ricerca industriale alcuna esplicita strategia volta ad attivare efficacemente questo processo. Pur essendo evidente che nel piano della ricerca è presente una piena consapevolezza del ruolo essenziale dell' innovazione tecnologica, il piano manca di una chiara indicazione di obiettivi concreti e degli strumenti operativi per realizzarli, confermando la generale tendenza a rivolgere generici inviti alla collaborazione tra Università, Enti di ricerca ed Industria ed a sollecitare una maggiore attenzione verso i finanziamenti comunitari alla ricerca ed all' innovazione.

Va quindi ribadito ancora una volta che poichè gli Enti di ricerca per loro natura sono in grado di sviluppare una tecnologia al loro interno solo in casi sporadici, quello che viene comunemente chiamato trasferimento di tecnologia è in realtà diffusione dei risultati di ricerche applicate.

Per fare un esempio reale di sviluppo di una tecnologia innovativa, possiamo immaginare la realizzazione di una stazione automatizzata per il collegamento di fibre ottiche e componenti optoelettronici da sostituire alla lenta e costosa lavorazione manuale corrente. Come si vede da questo esempio, un Ente di ricerca assai raramente inserirà un tema del genere all' interno dei propri programmi mentre è assai probabile che possa contribuire ad alcune parti di esso, di tipo progettuale o sperimentale, se coinvolto nel processo di sviluppo della tecnologia in un quadro chiaro di ruoli e responsabilità distinto da quello istituzionale relativo allo svolgimento di attività di ricerca.

In conclusione va detto che l'innalzamento del livello tecnologico della nostra industria è un processo lungo e costoso che non può prescindere da una azione parallela nel mondo della ricerca. Questa azione dovrà orientare le linee di sviluppo delle attività di ricerca applicata mediante una politica rigorosa di selezione delle proposte da finanziare e di valutazione dei risultati, anche mediante l'utilizzo di esperti non provenienti dalla comunità scientifica nazionale.

Contemporaneamente andrà incentivata l'aggregazione anche temporanea di gruppi interdisciplinari quanto più possibile ``completi'' favorendo la mobilità del personale di ricerca mediante un trattamento normativo e retributivo del tutto omogeneo tra i vari Enti di ricerca. Allo stesso tempo dovrà essere prevista una politica di incentivi alla mobilità su base temporanea legata alla durata di uno specifico programma di attività.

Questo significa essenzialmente dotarsi di una politica della ricerca che sia coordinata con una politica economica e industriale. I soggetti che dovrebbero agire in sintonia sono il MURST, il MICA, le Regioni ed il sistema delle imprese coordinati da un organismo centrale che potrebbe essere un Dipartimento apposito della Presidenza del Consiglio. In questo ambito si dovrebbero compiere le scelte strategiche di intervento, privilegiando quei settori in cui l'Italia è deficitaria e verso i quali è opportuno indirizzare il massimo degli sforzi, sia in termini di ricerca che di sviluppo industriale. I fondi distribuiti a pioggia dovrebbero diventare un ricordo del passato, le occasioni di collaborazione tra ricerca e industria andrebbero ampliate e pertanto ben vengano, se ben calibrati nella realtà locale in cui si inseriscono, i Poli tecnologici, le collaborazioni consortili ecc. Alle industrie, specie se piccole o medie, vanno assicurati finanziamenti meno costosi e la possibilità di defiscalizzare i fondi o i margini di profitto reinvestiti nell'azienda o nella ricerca. Infine, vanno snellite le procedure di accesso ai finanziamenti per la ricerca applicata, per assicurare tempi più brevi e minori vincoli burocratici.

Giorgio Mazzone - ricercatore ENEA