MAURO MAGINI:

Dal ``Bollettino Consorzio Interuniversitario Nazionale per la Chimica dei Materiali``, N^7, pp. 28-39 (1996)

RICERCA E TECNOLOGIA

Mauro Magini *

I. La ricerca e gli Enti Pubblici di Ricerca

II. La Ricerca al ``Servizio'' del Paese

1. Il ritardo tecnologico e le sue cause
2. Questioni semantiche e non solo
3. Osservazioni sullo schema proposto
4. Necessità di una programmazione economica-tecnico-scientifica
5. Un cammino difficile

III. Il caso ENEA

1. Breve retrospettiva
2. La nuova riforma e la situazione attuale
3. E' giustificabile un ente per la ``innovazione tecnologica'' ?

(*) Ricercatore presso i laboratori ENEA-Casaccia

I. LA RICERCA E GLI ENTI PUBBLICI DI RICERCA

La questione ricerca è complessa e può essere analizzata da una pluralità di versanti. Senza trascurare alcuni aspetti di carattere generale, in questa sede interessa rispondere al quesito che riguarda l'utilità della ricerca ai fini di un innalzamento del livello tecnologico del Paese. Quesito che si può dettagliare meglio nei seguenti termini: ``ammesso che esista un distacco tra mondo della ricerca e mondo della produzione, in particolare dell'industria ad alta tecnologia, quale è il compito del mondo della ricerca per contribuire a colmare tale distacco?'' Premesso che ogni operatore di ricerca può essere in qualche modo coinvolto in tale compito, non c'è dubbio che, per fini di istituto, Enti Pubblici di Ricerca (EPR), in particolare ENEA e CNR, siano primariamente chiamati a rispondere al quesito di cui sopra [1]. Da questo versante, quindi, verrà delineata una risposta al problema posto. Un accento particolare verrà infine posto sul caso ENEA.

II. LA RICERCA AL ``SERVIZIO'' DEL PAESE

Qualsiasi contributo di cultura in qualsiasi campo (filosofico, letterario, scientifico, artistico) è un contributo al servizio del Paese (o, meglio ancora, dell'umanità) e fa parte della sua storia. Anche la ricerca più speculativa, unicamente orientata all'acquisizione di nuove conoscenze, fa parte della cultura di un Paese. La ricerca di cui si vuole trattare è più circoscritta - e non per questo più facile o più difficile - e riguarda i suoi possibili effetti sul mondo produttivo.

Il presupposto di partenza è che, nel nostro Paese, il travaso di cultura dal mondo della ricerca a quello dell'Industria è, di fatto, pressochè inesistente o quantomeno largamente insufficiente perchè il sistema Italia possa mantenere, negli anni a venire, la sua competitività commerciale nel panorama internazionale.

Il presupposto appena enunciato è generalmente percepito come vero dalla pluralità degli addetti alla ricerca e non. Tuttavia nel passare da una affermazione generica e condivisa ad una puntualizzazione sullo stato della ricerca in Italia nella direzione indicata, si nota che il materiale a disposizione è relativamente modesto. Esso permette comunque di analizzare aspetti importanti del quesito di fondo.

1. Il ritardo tecnologico e le sue cause

Per quanto a nostra conoscenza, l'analisi più approfondita oggi esistente circa la situazione strutturale in campo tecnologico del sistema Italia è contenuta nel lavoro ``L'Italia nella competizione tecnologica internazionale``[2]. Nella referenza citata, data la complessità di una valutazione della competitività nelle alte tecnologie, è stato adottato un approccio multiparametrico che utilizza tre ambiti analitici per la valutazione in oggetto. Vale a dire è stata analizzata la brevettualità (da cui si deduce l'innovazione tecnologica); il commercio estero (da cui si deduce la competitività tecnologica) e la multinazionalizzazione (misurabile dagli investimenti diretti esteri, in entrata e in uscita, e correlabile allo sviluppo tecnologico). I tre ambiti analitici sono stati applicati a 12 comparti ( Farmaceutica; Plastiche elastomeri e fibre; Chimica fine ``specialty''; Nuovi materiali; Automazione industriale; Macchine per ufficio; Elettronica di consumo e telecomunicazioni; Apparecchi elettromedicali; Componenti elettronici; Aerospazio; Strumenti di precisione ed apparecchi di misura e controllo; Strumenti, apparecchi e materiale ottico), 53 settori e 354 prodotti.

La conclusione generale del vasto lavoro è che esiste una "...dimensione strutturale del ritardo tecnologico e competitivo dell'industria italiana ad alta tecnologia''. Le ragioni di tale ritardo vengono individuate essenzialmente nei seguenti fattori:

Per quanto riguarda l'ultimo punto, e cioè gli investimenti pubblici e privati in RS, sono interessanti le osservazioni svolte da Fabbri [3] che ha paragonato tali investimenti con quelli dei paesi OCSE. L'analisi evidenzia la difficoltà nel fare confronti tra Paesi che hanno forti investimenti militari (USA e Francia) con quelli che ne hanno scarsi (Germania, Giappone, Italia) in considerazione del fatto che tali investimenti coprono spesso una parte rilevante di spese in RS e lo scorporo non è facile. Tuttavia, "...se si evidenziano le spese delle amministrazioni pubbliche in settori non militari, si nota che quelle italiane, pari allo 0.62addirittura superiori a quelle degli USA, Giappone e Regno Unito. Siamo allo stesso livello della Francia e superati solo dalla Germania (0.82Il divario con gli altri paesi è originato quindi, in modo preponderante, dalla scarsezza dei fondi che le imprese dedicano alle attività di ricerca''. Affermazioni non dissimili sono contenute in [2] quando, a conclusione dell'analisi brevettuale, si evidenzia la necessità di una ".... crescita degli investimenti in ricerca dell'alta tecnologia...ed una più articolata presenza da parte delle grandi imprese italiane....''. Se si aggiunge, inoltre, che molto spesso le industrie indicano alla voce RS investimenti che in realtà attengono ad altri cespiti, si potrebbe convenire che il vero grande assente della Ricerca italiana e l'industria Nazionale [3]. E' ben vero, peraltro, che l'analisi fredda di alcuni dati, extrapolati dal quadro complessivo, può portare a conclusioni fuorvianti non rispondenti alla vera natura del problema. Se riprendiamo, per esempio, il confronto con la Germania, paese a bassi investimenti militari come l'Italia, il dato più significativo non è la differenza tra le percentuali di PIL investite in RS, largamente dovute all'assenza dell'industria italiana, ma alla struttura tecnologica del sistema industriale diversa nei due paesi [4]. In altri termini, il sistema industriale italiano, per come è strutturato attualmente con una fortissima componente di piccola e media industria, non potrebbe investire di più in RS.

Non è questa le sede per approfondire il problema e cercare di capire i perchè di questa situazione strutturale in cui fattori storici e culturali si intrecciano. Anche assumendo il dato grezzo dei bassi investimenti in RS del sistema industriale italiano, che è comunque un dato obiettivo, questo fatto non può essere assunto quale alibi dal mondo della ricerca per scaricare sull'industria le sue proprie carenze e responsabilità. Quel che maggiormente interessa in questa sede è capire se e come il danaro pubblico possa tradursi in una una politica lungimirante della ricerca che sappia contemporaneamente indirizzare al meglio le risorse pubbliche e stimolare l'industria Nazionale a fare la sua parte.

2. Questioni semantiche e non solo

Nel parlare di ricerca le definizioni si sprecano: ricerca di base, applicata, finalizzata, orientata, precompetitiva, industriale etc. etc. A volte con nomi diversi si intende la stessa cosa e due interlocutori in buona fede sintonizzano subito la loro semantica. Spesso invece la confusione di dizioni è voluta e strumentale. E' necessario quindi dare alcune definizioni per attribuire un significato non ambiguo ad ogni termine adottato. Per ridurre al minimo l'ambiguità, è opportuno mutuare le definizioni da quelle stabilite in sede internazionale dall'OCSE [5] che è, peraltro, l'organismo che valuta, in base alle sue definizioni, gli investimenti dei paesi membri nei vari tipi di ricerca. Lo schema che segue riassume i cosiddetti tre segmenti della ricerca:

      A			       B		   C
  R. di base	  	   R. applicata	       R. industriale
_______________________*___________________*__________________
	A1		       A2
        R. pura  	  R. orientata

A: Ricerca di base (Basic research). Il fine ultimo è il mantenimento, l'ampliamento e la trasmissione delle conoscenze. Il termine ricerca di base copre in realtà uno spettro ampio e differenziato di tipi di ricerca e pertanto l'OCSE specifica meglio al suo interno due ulteriori segmenti:

A1: Ricerca pura (Pure basic research). Non c'è nessun fine applicativo. Sinonimi usati: ricerca fondamentale (spesso con riferimento alla fisica delle particelle, all'astrofisica...); ricerca didattica; ricerca universitaria. Luoghi istituzionali sono le Università e, tra gli EPR, l'INFN. Strumenti usati per la diffusione: la produzione scientifica (misurata da libri e articoli su riviste scientifiche) e la didattica. Gli stessi strumenti servono per la valutazione e la progressione delle carriere.

A2: Ricerca orientata (Oriented basic research). Non differisce molto dalla ricerca di base e, didattica a parte, utilizza gli stessi strumenti di quella. L'unica differenza consiste nel fatto che gli oggetti studiati sono potenzialmente utili. Tuttavia il problema tecnologico da risolvere non è pienamente focalizzato ma rimane piuttosto sullo sfondo. Luoghi istituzionali gli EPR, esempio tipico il CNR.

B: Ricerca applicata (Applied research). Il fine ultimo, indirettamente o direttamente, è l'applicazione di principi noti alla soluzione di problemi tecnologici e il cui risultato può essere una innovazione di processo o di prodotto. Usa ancora gli strumenti concettuali della ricerca di base e di quella orientata. In questo caso, però, il problema tecnologico da risolvere, almeno sulla carta, è ben focalizzato e il risultato che si vuole raggiungere definito. Acquista importanza la brevettualità e la gestione di grandi infrastrutture. I finanziamenti necessari, essendo prevista la realizzazione di prototipi e impianti, possono essere di un ordine di grandezza superiori a quelli del segmento A2. Sinonimi usati: ricerca finalizzata, ricerca tecnologica, ricerca precompetitiva (a volte con riferimento anche ad A2). I luoghi istituzionali dovrebbero essere gli EPR. In realtà, oltre alcune strutture di natura privatistica (del tipo CSM, CISE, RTM), solo ENEA e, forse almeno in parte, il CNR potrebbero validamente occupare il segmento.

C: Ricerca industriale (Experimental development). Le finalità, spesso di breve-medio periodo, sono dettate direttamente da esigenze produttive. Si opera in regime di segretezza. Le pubblicazioni scientifiche sono scarse e non rivelano la sostanza dei risultati. La brevettualità è importante ma, al limite, anche essa evitata sulle ricerche più avanzate. L'intervento pubblico, coi suoi vincoli, può anche essere non gradito. Luoghi istituzionali sono i laboratori industriali privati. Sinonimi usati: ricerca competitiva. La misura dei risultati, e delle carriere, è stabilita dal successo economico dell'impresa.

Le definizioni sopra riportate sono necessariamente schematiche e ovviamente possono esistere ampie zone di sovrapposizione tra le varie tipologie di ricerca individuate. Tuttavia, perchè tali definizioni non sembrino pure esercitazioni retoriche, è opportuno fare delle esemplificazioni con alcuni dei più importanti piani nazionali e internazionali di ricerca esistenti e inquadrarli nello schema proposto.

I cosiddetti ``Progetti Finalizzati'' del CNR quali i PFE (per l'energia), il PF-MSTA-I (Materiali Speciali per Tecnologie Avanzate I), già conclusi, o il PF- MSTA-II, in fase di decollo, sono tipici esempi di ricerca orientata. Il termine ``finalizzato'' , in questo caso, è fuorviante. Infatti la lettura del consuntivo del MSTA-I [6] per le attività del periodo 1989-93 indica i seguenti ``prodotti'':

Considerato che una industria leader in un settore di produzione (p.es. la Metal Allied nel campo dei lamierini amorfi) possiede centinaia di brevetti che ruotano attorno al ``core business``, i 23 brevetti e le 10 ``potenziali'' (cioè non esistenti) applicazioni di cinque anni di attività di ricerca non indicano certo una ricerca finalizzata quanto una ricerca orientata. E le 1437 note scientifiche ne sono un ottimo riscontro. L'ambiguità semantica, in questo caso, è probabilmente voluta per una maggiore appetibilità dei progetti in sede politica. Ma l'ambiguità non giova come sarà ulteriormente puntualizzato. Qui occorre dire con molta chiarezza che i PF vanno difesi per quello che sono e cioè un necessario ed indispensabile strumento per orientare una massa di operatori di ricerca (delle università, delle industrie e degli EPR tra cui per primo il CNR stesso) su oggetti potenzialmente utili, per mantenere attive su tali oggetti le svariate competenze sviluppate in ambiti diversi e per permettere l'incontro di culture diverse ponendo così le premesse culturali e scientifiche di una futura migliore interazione tra ricerca e industria. Sarebbe comunque impensabile, senza quella cultura di base, procedere a livelli applicativi più avanzati.

Non solo in relazione ai menzionati PF, ma più in generale, non è probabilmente lontana dal vero l'affermazione che il CNR opera prevalentemente nel segmento A2 dello schema proposto.

I Piani Nazionali del MURST (p.es. sui materiali e sulla chimica) e i Piani comunitari (del tipo BRITE-EURAM, EUREKA etc.), individuano il leader project in una industria e sono, a livello di dichiarazione, dei tipici esempi di ricerca applicata. Non si tratta ancora di ricerca industriale anche se il leader è una industria. Nè a livello nazionale nè a livello comunitario una industria sarebbe realmente disposta a sottostare a vincoli di condivisione dei risultati e di pubblicità implicitamente collegati in un progetto che coinvolge partners diversi e diversamente orientati. L'inciso ``a livello di dichiarazione``, va approfondito. Infatti anche se il project leader è individuato in un'industria, molto spesso il vero management del progetto è curato non da un operatore industriale ma da un ricercatore. In altre parole, nella realtà, spesso chi opera in tali progetti opera con la stessa mentalità e gli stessi strumenti di chi opera nel segmento A2 (tipicamente il CNR). Così l'ENEA, per quella parte che fa ancora ricerca, non opera in tali progetti in modo sostanzialmente diverso dal CNR anche se si può riconoscere ad ENEA una maggiore capacità di intervento progettuale-sistemico mutuata dalla sua esperienza nucleare. Di fatto quello che emerge è che il sistema Italia è fortemente carente nel segmento B. Mancano cioè laboratori nazionali tecnologici pubblici di esperienza consolidata e chiara fama quali possono essere ad esempio il MIT, ANL, CALTECH, OakRidge negli USA, il CEA-CEREM in Francia, il Fraunhofer Institute in Germania.

Valgono pertanto per questi progetti, e a maggior ragione, le osservazioni fatte a proposito dei PF. Essi possono e devono essere il brodo di cultura per la creazione di laboratori dedicati, di ``facilities``, ``expertises'' tecnologiche, grandi infrastrutture che rendano il terreno fertile ed appetibile per dare risposte a domande industriali creando così le premesse per una reciproca fertilizzazione necessaria per ulteriori avanzamenti.

3. Osservazioni sullo schema proposto

Ai fini del quesito iniziale e con riferimento allo schema indicato, si tratta di capire come si possa facilitare il travaso di conoscenze da A e soprattutto da B verso C. Lo schema individuato non comporta necessariamente una sequenzialità logica (che pure esiste) nè temporale (che dovrebbe conseguire da quella logica) per cui occorre percorrere tutto il tragitto per approdare alla ricerca industriale vera e propria direttamente collegata alle esigenze del mondo produttivo.

Il travaso può avvenire in modo ``spot'' da uno qualunque dei segmenti. Un laboratorio universitario d'avanguardia, che fa ricerca pura e il cui mandato istituzionale primario è didattico-formativo, può benissimo contribuire ad aprire nuovi orizzonti tecnologici in presa diretta con un partner industriale. E questa non è una realtà solo ipotetica ma un fenomeno abbastanza diffuso nelle università dell'Italia del nord più inserite in un contesto industriale. In questi casi il processo è pilotato direttamente dall'industria che ha trovato in quei laboratori le potenzialità necessarie per affrontare un certo problema.

Processi ``spot'' a parte, che rivestono comunque aspetti complessivi marginali e non possono costituire un sistema di riferimento, esiste un modo più incisivo e programmatico per favorire il travaso dai segmenti A2 e B al segmento C ? Negli anni 80, L'ENEA era istituzionalmente dedicato alla promozione industriale. Questione nucleare a parte, che necessita di un discorso a sè, la promozione era intesa a largo spettro e riguardava in particolare le fonti rinnovabili di energia. Si è tentato di realizzare, allora, quello che si potrebbe chiamare il facile ``cortocircuito'' ricerca-industria. Semplificando al massimo, coi rischi e vantaggi delle semplificazioni, si è promossa la figura del ``manager-progettista'' che individuava il problema (compito non difficile leggiucchiando i trends della letteratura internazionale), approntava uno schema e contattava operatori industriali per ``promuovere``, con finanziamenti pubblici ``a perdere``, l'innovazione tecnologica. Lo schema è sostanzialmente fallito e non poteva che fallire. Il facile cortocircuito non poteva e non può sostituire la costruzione di un ``ente tecnologico'' (o, forse meglio, di una pluralità di ``istituti tecnologici'') con tutto quello che ciò comporta, e cioè, vale la pena di ripeterlo, creazione di laboratori nazionali di alto livello, creazione di ``facilities'' ad hoc (laboratori dedicati), creazione di team scientifici e ``expertises'' di gruppo in grado di intervenire ed incidere in tempi reali su problemi tecnologici emergenti.

Non solo nell'esempio citato del facile cortocircuito, in cui in definitiva non si trattava di tentativi di travaso di ricerca, ma anche con un retroterra di laboratori tentare di promuovere l'industria a partire dalla ricerca è velleitario nel migliore dei casi. Se l'industria non è forza attiva del processo, i risultati delle attività di ricerca hanno una scarsa probabilità di tradursi in innovazione tecnologica.

Abbiamo d'altronde affermato che l'industria lavora in regime di sostanziale riservatezza e che il segmento B è molto fragile nel sistema Italia e quindi scarsamente attrattivo per il sistema industriale. Il problema che si pone quindi, per la parte che compete l'investimento di pubblico denaro, è quello di rafforzare il segmento B per costituire un terreno fertile per una risposta alle problematiche industriali e quindi per l'afflusso di capitale privato. In altre parole occorre promuovere in modo alto e programmato un orientamento ``spontaneo'' (che preservi quindi la ``libertà'' di ricerca) di tutto il mondo della ricerca, e degli EPR in particolare, su alcune direttrici chiaramente individuate come prioritarie dal Paese nel suo complesso. Il che comporta l'esistenza di un luogo istituzionale in grado di orientare e prendere decisioni sul piano programmatico, scientifico e tecnologico.

4. Necessità di una programmazione economica-tecnico-scientifica

In un recente documento di Confindustria [7], è stata sottolineata la necessità di innalzare il livello tecnologico del Paese per poter mantenere competitività negli anni futuri. La via obbligata perchè questo avvenga è un forte contributo della ricerca al processo di innovazione necessario al sistema industriale. Ne consegue la necessità di una istituzione ``alta'' del Paese che definisca una ``griglia di priorità tecnologiche'' [7] sulle quali investire pubblico denaro e pilotare quindi il mondo della ricerca. Confindustria vede in un MURST modificato l'istituzione che dovrebbe definire le priorità tecnologiche e guidare il processo di orientamento. Lo stesso documento propone, per supplire alla attuale inadeguatezza del MURST, la creazione di un Dipartimento ``Scienza e Innovazione``, con la presenza di una qualificata componente industriale, affiancato da un ``Comitato Strategico'' demandato della definizione della ``griglia delle priorità'' sulla base dei "....trends scientifico-tecnologici, delle capacità reali del sistema industriale italiano, delle tendenze evolutive del mercato interno ed internazionale, delle scelte effettuate dai nostri partners comunitari, nonchè dei fenomeni in atto nelle grandi aree competitive''.

Il documento ha certamente il pregio di mettere in chiara evidenza che senza RS non c'è prospettiva per una capacità competitiva internazionale e fa inoltre proposte concrete (da discutere nel merito) per la modifica non solo del MURST ma anche degli EPR con particolare attenzione al CNR e all'ENEA.

Si può obiettare, piuttosto, se il luogo più idoneo per stabilire delle strategie circa le priorità tecnologico-industriali siano le aree culturali del MURST. Si corre di nuovo il rischio, già indicato, di partire da un'ottica di ricerca per risolvere problemi di natura industriale. A tal fine il MICA potrebbe essere un interlocutore più attento. La soluzione migliore, probabilmente, potrebbe consistere nella creazione di un organismo sintesi delle varie ottiche. Non è questa la sede per approfondire tematiche di natura istituzionale. Quello che è certo è che il Paese ha bisogno di uno strumento adeguato che permetta di superare le attuali lentezze ministeriali, che sappia finanziare in tempo reale gli obiettivi strategici individuati e che sappia dotarsi di capacità di controllo non formale dei risultati.

5. Un cammino difficile

Spesso non è difficile fare una diagnosi. Difficile è indicare una via da percorrere. O meglio, nel caso in questione, difficile e faticoso è percorrere una via che è obbligata se veramente si vuole innalzare il livello tecnologico del Paese. E l'unica via è quella che funzioni tutto il mondo della ricerca da quella di base a quella industriale ciascuno nel rispetto del proprio ruolo. A questo proposito occorre fare estrema chiarezza. Emerge oggi in modo evidente, in tutti gli operatori di ricerca, la tendenza ad orientarsi verso ``l'applicato'' apparentemente per il nobile motivo di rispondere al richiamo di una utilità sociale, in realtà perchè si pensa che questo sia il modo migliore per inserirsi nei flussi finanziari pubblici e continuare a fare il proprio mestiere considerata l'inesistenza di controlli a valle dei risultati raggiunti. Questo fenomeno porta inevitabilmente ad un impoverimento della cultura scientifica del Paese e al non riconoscere una dignità propria ai vari tipi di ricerca. Non si vuole certo dire che si possano erigere confini precisi all'interno dei vari segmenti di ricerca che devono piuttosto essere veramente aperti a flussi reciproci di esperienze e personale. Si vuole solo riaffermare, senza mistificazioni, che il mandato primario di ogni operatore deve essere chiaro e la sua efficacia e utilità misurata su quel mandato. Se le Università non sono in grado di formare buoni ricercatori facendo bene una qualsiasi ricerca, chi altri potrà sostituirle? Se l'industria non sarà forza trainante, chi altri potrà essere portatore di una domanda qualificata al mondo della ricerca? Se gli EPR, CNR ed ENEA in primis, non sostanzieranno stabilmente i segmenti A2 e B quali altre risorse esistono nel Paese da utilizzare allo scopo?

E dunque, in primo luogo, è assolutamente prioritaria la definizione di quell'organismo istituzionale in grado di programmare e pilotare il processo di innalzamento del livello tecnologico del Paese. Tale organismo è gia parzialmente delineato nel documento di Confindustria e nel citato lavoro [2] sono enucleati strumenti idonei per attrezzare un valido ``osservatorio``, circa le ``priorità tecnologiche''. Il problema è se il Paese ha in sè tali risorse. E' ben noto, infatti, che gli attuali meccanismi di preparazione (studi di fattibilità) e selezione di progetti di ricerca sono largamente di tipo autoreferente. Per capirci con un esempio, è il CNR che prepara i Piani Finalizzati (e cioè la sommatoria delle varie di istanze di base) e cerca l'approvazione dei Ministeri. E sono le stesse persone che preparano i piani che spesso devono controllare i risultati in modo per lo più formale. E in mancanza di meglio il CNR (o altri operatori di ricerca) fa bene a fare quello che fa. E' necessario però un salto di qualità. E' necessario che il Paese mobiliti il meglio delle sue forze e dimostri di essere in grado di individuare delle priorità tecnologiche sulla base dei trends internazionali, dei vincoli economici, dello stato del sistema industriale, del grado di sviluppo del sistema ricerca.

In secondo luogo, circa le politiche da perseguire si può convenire [2] sull'utilità di affiancare una politica selettiva a favore dell'industria ad un politica orizzontale rivolta al rafforzamento dell'ambiente scientifico e tecnologico nel suo complesso. Sul versante della politica selettiva sarà probabilmente utile distinguere tra supporti diretti ad alcune selezionate industrie ad alta tecnologia perfettamente in grado di fare ricerca industriale da sole e supporti indiretti a industrie a tecnologia medio-bassa (p.es. settore tessile, agro-alimentare) che necessitano di un operatore di ricerca per introdurre nei loro cicli produttivi elementi di innovazione. I supporti indiretti rientrano pienamente nella politica orizzontale. E su questo fronte la via obbligata resta quella dei programmi nazionali e comunitari, di tipo orientato e applicato, partendo dagli attuali limiti, già indicati, e con una possibile forte tensione al loro superamento a valle di una programmazione pluriennale stabilita nel luogo istituzionale individuato.

In questo quadro, infine, e tornando all'impostazione del quesito iniziale, i candidati più idonei per il rafforzamento dei segmenti ricerca orientata ed applicata sono senz'altro il CNR e l'ENEA ed è ragionevole ipotizzare che, in linea di massima, il baricentro per il CNR sia il segmento A2 e per ENEA il segmento B.

In questa ottica, pur nel rispetto delle diverse storie, il finanziamento, l'inquadramento giuridico-normativo del personale, la progressione nelle carriere e il controllo dei risultati, dovrebbero essere simili per tutti gli EPR e non necessariamente uguali nè a quelli attualmente esistenti per gli EPR nè tantomeno a quelli ``anomali'' dell'ENEA. Quest'ultimo, infatti, assomma situazioni di particolare privilegio (come il contratto della classe dirigente) a situazioni di particolare sfavore (solo un finanziamento di base per il suo funzionamento) rispetto agli altri EPR.

III. IL CASO ENEA

1. Breve Retrospettiva

Non è questa la sede per un esame della storia del CNEN poi ENEA che pure sarebbe necessaria per capire l'attuale stato di degrado dell'ente. Non sarà tuttavia inutile ricordare che nei primi anni 60 l'Italia era al primo posto in Europa nello sviluppo del nucleare civile e che con la crisi di Ippolito tale sviluppo fu sostanzialmente bloccato. Nella seconda metà degli anni 60 e negli anni 70 furono certamente sviluppate competenze in campo nucleare ma in quadro che aveva già precluso lo sbocco finale del nucleare civile che avrebbe dato un senso a tutto lo sforzo di ricerca che fu, essenzialmente, uno sforzo di tipo ingegneristico. Quindi i grandi progetti nucleari portati avanti dall'ente (PEC, Cirene) sono stati, in ultima analisi, delle costose esercitazioni deprivate dell'obiettivo finale. Questa tara d'origine ha certamente condizionato la vita successiva dell'ente.

All'inizio degli anni 80, con la nuova legge dell' 82, il CNEN diventa ENEA e i suoi compiti estesi alle fonti alternative. Si è allora sperimentato l'illusorio e facile cortorcuito ricerca-industria già descritto. Invece di attrezzare nuovi laboratori dedicati, che avrebbero potuto costituire un nucleo importante del segmento B, nel solo centro della Casaccia migliaia di metri quadrati di laboratori sono stati trasformati in uffici e si è privilegiata la figura del manager-progettista che andava in giro per l'Italia a distribuire soldi (la famosa ``valigetta'') a fondo perduto nell'illusorio tentativo di promuovere alcunchè.

Parallelamente, e non diversamente da quanto succedeva in altri enti pubblici, si è assistito ad una cogestione sindacale che ha pesantemente condizionato al peggio la gestione dell'ente ed ha largamente contribuito alla selezione di una classe dirigente prevalentemente basata su criteri di appartenenza partitica e sindacale [8].

2. La nuova riforma e la situazione attuale

Nel 1991 una nuova legge di riforma individua per l'ENEA tre Aree di intervento nell'Energia, nell'Ambiente e nelle Nuove Tecnologie. Conseguentemente vengono istituiti tre dipartimenti dedicati alle tre Aree di intervento (ERG, AMB, INN). I dipartimenti acquistano potere, ma il decentramento dall'alto ai tre dipartimenti e alla periferia avviene con lentezza e in situazione di conflittualità tra i dipartimenti e la Direzione Generale. Quest'ultima, in definitiva, rimane il fulcro del potere decisionale e l'impalcatura burocratica, forse giustificabile in un ente pensato per un progetto nucleare, rimane sostanzialmente inalterata e insopportabilmente pletorica. Assumendo l'Unita ``Divisione'' come l'unità amministrativa di base, esistono tre strutture amministrative: quella di Divisione, quella di Dipartimento e quella Centrale. Di queste tre almeno una è totalmente ridondante. Parallelamente l'ordinamento delle strutture (livelli) gerarchico-funzionali è assolutamente sproporzionato rispetto agli ordinamenti del sistema universitario o di quelli del CNR. Un normale ricercatore (inclusi un buon numero di appartenenti al livello 9.2, e cioè ricercatori a fondo carriera) ha sopra di sè quattro livelli gerarchico-funzionali tutti e quattro influenti sul lavoro di tutti i giorni: il Capo Sezione (in realtà si tratta spesso di laboratori chiamati stranamente ``sezioni''), il Capo Divisione, il Capo Dipartimento e la Direzione Generale. In questo caso almeno due di questi livelli sono totalmente non giustificati da esigenze di lavoro.

Sul piano della conduzione delle attività non emerge alcuna sostanziale novità. La grossa novità si registra invece sul piano dei finanziamenti. Mentre CNR e INFN possono continuare a contare, all'incirca, su un finanziamento che copre sia le spese di personale che di ricerca, per ENEA la nuova legge prevede solo un finanziamento di base (spese di personale e funzionamento dei centri). Gli investimenti per RS dovrebbero venire da Accordi di Programma coi Ministeri Vigilanti (MICA, MURST, MAMB) per le competenze di settore e dal ``mercato'' della ricerca.

Da questo punto di vista occorre dire con molta franchezza che la legge di riforma è rimasta sostanzialmente inapplicata. Gli Accordi di Programma, a parte quello stipulato col MICA dal dpto Energia, registrano ritardi tali da far perdere senso a qualsiasi minima programmazione degna di questo nome. Emblematici i ritardi dell'accordo col MURST. Dato che ENEA è il destinatario delle risorse, si suppone che abbia fatto tutto il possibile per ricevere i finanziamenti; ciononostante i ritardi sono dell'ordine di tre anni. Con il Ministero dell'Ambiente, infine, la creazione dell'ANPA ha reso problematica, per ovvie sovrapposizioni di competenze, qualsiasi ipotesi di accordo di programma.

La situazione di stallo dell'ente (con una presidenza scientificamente prestigiosa ma managerialmente inefficace; con un CdA privo di mandato politico nominato ai tempi del CAF - si noti, ``mandato politico'' e non ``copertura'' di vecchio stampo - e dedito più alla gestione che all'indirizzo-controllo; con una direzione generale inossidabile e buona per tutte le stagioni; con una classe dirigente selezionata, in linea di massima, coi criteri detti; con un personale, infine, non certo duro e puro ma, nel migliore dei casi, dedito a qualche attività di ricerca o di altro tipo e, nel peggiore, comodamente adagiato in una nicchia protetta), la situazione, dicevamo, lascia prevedere una morte per consunzione in mancanza di un autorevole intervento in sede politica che sappia recuperare al meglio le svariate competenze che pur tra mille difficoltà sono ancora presenti e che sono un patrimonio del Paese.

E a questo punto, in vista di un auspicabile riforma del sistema ricerca nel suo complesso e, in particolare, di ENEA e CNR, sorge la questione di quale debba essere una corretta collocazione di un ente quale l'ENEA.

3. E' giustificabile un ente per l' ``Innovazione tecnologica'' ?

La cosiddetta natura ``strumentale'' dell'ente aveva una precisa ragione d'essere ai tempi del nucleare. E' pensabile oggi una ``specificità'' dell'ente che ne giustifichi uno status particolare rispetto gli altri EPR?

Si è già data una risposta al punto II.5 ma non sarà male tornarci sopra. E' oggettivamente molto difficile sostenere oggi una specificità dell'ENEA come continua a pensare la direzione dell'ente. Se esaminiamo i tre dipartimenti, osserviamo che il dpto Energia (che è l'erede del nucleare e che resta il più importante) da tempo opera secondo i criteri di una Agenzia (e ripropone, a volte, con meno soldi e fraintendendo il ruolo di una vera agenzia, il facile cortocircuito di cui si diceva). Se è questo che si intende con ``specificità``, che si crei davvero una seria Agenzia. Sul versante ambiente va registrata la creazione dell'ANPA che nella migliore delle ipotesi declassa il livello di intervento dell' ENEA da un intervento in presa diretta col ministero dell'Ambiente ad un intervento mediato da ANPA. Rimane il dpto Innovazione che, con parti di ERG ed AMB, potrebbe costituire l'ossatura di un ente per le tecnologie. Ma può questa eventualità giustificare una ``specificità``? Si è già ampiamente detto che, nel rispetto del proprio ruolo, tutti devono essere portatori di una propria specificità all'interno di un quadro normativo-giuridico omogeneo per tutti che solo può garantire un auspicabile e continuo flusso di esperienze nelle varie direzioni. Se ENEA è il candidato più idoneo ad occupare il segmento B, con tutto quello che comporta, perchè pensare che questo debba necessariamente richiedere una specificità giuridico-normativa? Esclusa dunque una specificità, occorre piuttosto riconoscere che allo stato attuale convivono nell'ente ottiche profondamente diverse da quella di pura agenzia (prevalentemente nel dpto ERG) a quella di ente di ricerca. La pluralità di ruoli, che potrebbe essere una ricchezza in un ente funzionante, è in realtà diventata solo confusione di ruoli e mancanza di indentità in un ente fortemente demotivato e privo di respiro strategico. La confusione giova solo a chi pesca nel torbido, non giova a chi vuole chiarezza vuoi per fare una Agenzia seria (con capacità di indirizzo e controllo: cosa rara nel sistemo pubblico Italia) vuoi per recuperare l'ente quale ente di ricerca a tutti gli effetti.

L'ENEA sembra dunque arrivato ad un punto di non riformabilità mantenendo la sua unità. Interessi e anime troppo divergenti ne hanno minato la funzionalità interna e la credibilità esterna. Non serve al Paese un ente tuttofare. Serve piuttosto il recupero delle varie funzioni coesistenti al suo interno privilegiando sul serio le svariate capacità professionale esistenti e non i criteri di appartenenza.

Quali che siano le scelte politiche sul miglior utilizzo dell'ente, sembra probabile che esso si avvii a una profonda DESTRUTTURAZIONE. Infatti, se in sede politica dovesse prevalere l'idea di Agenzia, allora perchè non far confluire in ANPA tutte quelle parti delle dpto AMB utili per farne qualcosa di serio (inclusi eventualmente laboratori per normative di riferimento per gli altri operatori del settore ambientale) e perchè non fare decollare veramente una Agenzia regionale per il risparmio energetico? (il Consorzio delle Regioni previsto dalla legge di riforma del 1991, sulla cui utilità non si può non convenire, è rimasto lettera morta). Parimenti perchè impedire ai laboratori di ricerca di orientarsi fortemente sul segmento B (per lo più i laboratori del dpto INN ma anche parti di AMB o di ERG) ? Ad una conclusione simile si arriverebbe se in sede politica prevalesse l'idea di recuperare a tutti gli effetti l'ente quale ente di ricerca. Si affermerebbe la piena legittimità dell'ente ad operare nel segmento B, ma perchè non stralciare quelle parti che per vocazione e competenze sono più utili nell'ottica di una Agenzia?

Se ipotizziamo dunque, per la parte ricerca, un ente rinnovato, c'è spazio, nel concerto degli EPR, per un ente dedicato allo sviluppo di nuove tecnologie per sostanziare il più possibile il segmento B? La risposta è ambivalente ma non ambigua. Assolutamente no se questo dovesse avvenire all'ombra di una presunta ``specificità'' che confonderebbe di nuovo le acque e rischierebbe di riproporre meccanismi di separazione dal resto del mondo della ricerca improponibili quando tutto questo mondo, nelle sue varie componenti, è chiamato ad adeguarsi, ciascuno nel rispetto della propria specificità, per meglio rispondere alla sfida tecnologica. Certamente sì se, all'interno di quelle priorità tecnologiche individuate nella sede appropriata, si trattasse di contribuire, come già ampiamente detto, a rinnovare laboratori e orientarli su un orizzonte tecnologico.

Note e Referenze

[1] Nel seguito EPR indicherà primariamente CNR ed ENEA. Infatti gli altri maggiori EPR, e cioè l' Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e l'Istituto Superiore di Sanità, pur non scevri di problematiche, hanno mandati molto precisi nei rispettivi settori di intervento e sono meno chiamati a rispondere al quesito di cui si vuol trattare.

[2] G. Amendola e A. Perrucci, ``L'Italia nella competizione tecnologica internazionale''. Ricerca ENEA-CESPRI-Politecnico di Milano (1995).

[3] F.L. Fabbri, ``L'Industria Italiana e i fantasmi della ricerca``, Analysis, n^ 1, 5 (1996).

[4] S. Ferrari, ``Ricerca e Sviluppo industriale``, Notiziario ENEA , in corso di stampa (1996).

[5] ``The measurements of Scientific and technological activities``, Frascati Manual, edito da OCSE (1993).

[6] Progetto Finalizzato: ``Materiali speciali per Tecnologie Avanzate II. Studio di fattibilità``, edito dal CNR (1994).

[7] ``Tecnologie per il futuro: Una politica per ricerca e innovazione''. Alcune proposte di Confindustria. Roma, Settembre 1995.

[8] M. Magini, ``La classe dirigente``, la Repubblica, 21/6/1996.