Intervento del Segretario Generale ANPRI-EPR

Vincenza Celluprica

alla Tavola rotonda su

Il riordino degli enti di ricerca e la valorizzazione dei ricercatori:
problemi e prospettive in vista dei decreti delegati

(Roma 13 maggio 1997)

1. Il ruolo della ricerca pubblica in Italia

Il sistema della ricerca in Italia è strutturato, come nel resto d'Europa, su tre reti: Università, Enti di ricerca, Industria.

L'investimento in ricerca in Italia è inferiore alla media europea e ciò è dovuto alla scarsità di investimento pubblico e soprattutto alla quasi assenza di quello privato. La grande industria italiana tende a investire sempre di meno (il numero dei ricercatori operanti nell'industria è sceso considerevolmente e c'è il rischio che con le privatizzazioni di grosse industrie, quali ENI, ENEL ecc., si perdano importanti strutture di ricerca); la piccola e media industria ha difficoltà strutturali ad investire in ricerca. D'altra parte la competitività industriale di un paese sviluppato, e quindi con un alto costo del lavoro, è sempre più legata all'innovazione tecnologica e questa alla ricerca scientifica.

C'è il rischio che questa situazione di squilibrio induca a pensare ad una soluzione apparentemente ``facile``, ma del tutto sbagliata: spostare il ruolo e le finalità della ricerca industriale sulla ricerca pubblica degli EPR. Ci sono indizi molto preoccupanti in questo senso: il Sottosegretario Tognon parla (intervista a Il Mondo del 22 marzo c.a.) di un non precisato livello intermedio degli EPR tra università e aziende; il DDL Treu prevede, nell'ambito di attività per il trasferimento tecnologico, di assegnare in distacco temporaneo ricercatori e tecnici presso piccole e medie imprese; nel CNR, da qualche tempo, emergono posizioni che parlano dell'Ente come ``cerniera'' tra Università ed imprese, di vendita porta a porta di ricerca, di compiti di trasferimento e sportello tecnologico.

I risultati fallimentari di un simile ruolo imposto ad un Ente di ricerca si sono già visti all'ENEA. La ricerca pubblica ha un ruolo suo proprio che non può essere confuso con quello della ricerca industriale. Quest'ultima risponde necessariamente alle leggi del mercato, alla redditività in tempi brevi della ricerca in termini di competitività. La ricerca pubblica ha finalità diverse, quali lo sviluppo culturale del Paese e il miglioramento della qualità della vita, alle quali va aggiunto anche lo sviluppo economico del Paese, ma in una prospettiva diversa da quella del privato.

Il mantenimento delle competenze, l'accrescimento delle conoscenze, la programmazione a medio e lungo termine della ricerca orientata su obiettivi di importanza strategica sono caratteristiche della ricerca pubblica che hanno ricadute durature e profonde anche sul sistema produttivo.

E' un fatto che nei paesi in cui c'è investimento in ricerca, non solo in quella competitiva o applicata, c'è anche sviluppo economico. E' significativo il cambio di politica del Giappone, dove, dopo aver constatato il fallimento di grossi investimenti nello sviluppo tecnologico non adeguatamente sorretto dalla ricerca non finalizzata, si sta puntando ad un raddoppio dell'investimento pubblico per rafforzare la ricerca di base. In poche parole, la ricerca la cui applicazione è prevedibile, è piccola cosa rispetto a quella applicabile a posteriori.

C'è da dire inoltre che nell'ambito della ricerca pubblica non vi è una distinzione tra Università ed EPR rispetto al tipo di ricerca, per esempio di base e applicata, peraltro solo schematicamente distinguibili, ma nella missione principale, che si riflette sul tipo di organizzazione. Mentre l'Università ha come scopo primario la didattica, gli EPR sono totalmente dedicati alla ricerca, non hanno i vincoli dovuti alla divisione per discipline e all'articolazione per cattedre, possono e solitamente fanno ricerca in settori interdisciplinari e di frontiera, gestiscono grosse infrastrutture, possono concentrare risorse per attività di ricerca sia di base sia applicata e finalizzata nell'ambito di grandi progetti nazionali e internazionali.

L' Università e gli EPR costituiscono un sistema, che deve essere sempre più integrato, non solo attraverso forme di collaborazione più o meno strutturate, ma soprattutto attraverso la mobilità bidirezionale di docenti e ricercatori, per ottenere il massimo di resa in termini di risultati. La mobilità dei ricercatori pubblici verso l'industria, come mezzo per stabilire un collegamento tra le tre reti, può avvenire solo con determinate garanzie ( di cui parleremo). Il trasferimento tecnologico è un'attività specifica, che come in tutti i paesi avanzati va affidato ad apposite agenzie; non può dipendere, se non in modo molto marginale ed occasionale dalla mobilità di ricercatori pubblici verso le imprese.

Tornando alle tre reti, la riforma del settore della ricerca dovrà rispettare il ruolo e le finalità di ciascuna di esse, rafforzando le due che sono più deboli e pongono il Paese in condizione di inferiorità rispetto ai paesi avanzati.

Occorre per un verso individuare gli strumenti per promuovere lo sviluppo della ricerca industriale, agendo sul sistema industriale (incentivando ad es. la creazione di imprese orientate su mercati ad alta tecnologia), per l'altro potenziare la seconda rete di ricerca adeguandola alle dimensioni europee, sia in termini di investimenti sia di addetti, per poter essere competitivi nell'ambito della stessa comunità europea, che costituisce il nostro più diretto riferimento. Non si può continuare a lamentare il fatto che il contributo italiano alla comunità per la ricerca è molto superiore al ritorno, quando la rete di ricerca italiana è debole. Il confronto tra il CNR e il CNRS è significativo: il CNRS ha più di 25.500 addetti di cui 11.500 ricercatori, contro i circa 3.000 del CNR. Occorre inoltre rendere più efficiente la seconda rete di ricerca con interventi di riforma profondi.

2. La riforma degli Enti con particolare riferimento al CNR e all'ENEA

Gli Enti, le loro finalità, il loro finanziamento, la loro organizzazione, il loro governo, il ruolo dei ricercatori nella riforma e nel governo, sono tutti punti da rivedere. Ma mentre le riforme strutturali richiedono esame attento e riflessione sulle soluzioni, alcuni problemi prioritari non possono attendere la conclusione di questo processo, primo tra tutti quello del personale.

La mancanza in Italia di una politica della ricerca di lungo respiro, ha fatto sı che gli Enti, con pochissime eccezioni, abbiano di fatto deciso di fronteggiare le restrizioni di bilancio e le altre difficoltà connesse alle leggi finanziarie, comprimendo l'organico reale e gli sbocchi di carriera.

Questa miope politica di gestione di risorse, oltre al noto generale sottodimensionamento degli EPR, ha portato, e rischia di portare ulteriormente e irreversibilmente, un altro gravissimo danno alla ricerca italiana: la fuga, l'invecchiamento e pensionamento di ricercatori esperti, senza un adeguato trasferimento delle loro competenze sulle nuove generazioni di ricercatori. Parallelamente, si ha la dispersione delle competenze dei giovani ricercatori che si sono formati negli Enti con il lavoro precario e che non trovano sbocco nella ricerca italiana. Il rischio di irreversibile perdita in termini di capitale umano impone su questi punti interventi urgenti, che non possono attendere le necessarie e auspicabili riforme di lungo respiro. Negli Enti vi sono competenze scientifiche che sono da salvare quanto i panda in pericolo di estinzione. Sarebbe gravissimo che proprio in Italia si dovesse scoprire solo domani che i ricercatori non sono una merce acquistabile sul mercato senza una loro formazione in ambiente di ricerca.

Un forte potenziamento degli organici, con un trasparente e meritocratico reclutamento, non solo allontanerebbe il rischio di estinzione di competenze, ma darebbe anche un chiaro segnale di inversione di tendenza a quanti operano nella ricerca e a tutti i giovani di alte capacità che sono dubbiosi di fronte all'investimento nella loro formazione scientifica.

Un altro problema urgente è quello della burocratizzazione dell'amministrazione degli Enti, che ormai non è assolutamente più finalizzata alle esigenze della ricerca, e anzi la condiziona: sui meccanismi di gestione dei finanziamenti si è arrivati al rovesciamento del principio per cui è lecito tutto ciò che non è proibito, in favore del principio che tutto è vietato se non è stato preventivamente autorizzato.

Bisogna dire chiaramente che l'attuale sovradimensionamento burocratico non è soltanto inutile e costoso, ma che attiva pericolosi meccanismi di autoalimentazione e di sconfinamento di competenze. In diversi Enti l'amministrazione non si pone in funzione della ricerca, ma pretende di gestirla, o di creare improprie figure manageriali che la gestiscano. Un problema analogo è quello delle aree di ricerca del CNR e dei loro direttori che tendono a porsi come gestori della ricerca invece che come organismi di supporto tecnico.

Ma veniamo alla riforma degli Enti, che solo nel comparto sono oltre 50, diversi per dimensione, struttura, finalità e qualità della ricerca. La necessità di una razionalizzazione è evidente. Vogliamo segnalare a questo proposito due problemi. Uno è quello degli Enti che non sono interamente dedicati alla ricerca, come l'ISPESL, l'ISFOL, l'ISPE, l'ISCO e tanti altri. Ciò può essere giusto o sbagliato a seconda delle finalità, ma, in un Ente di ricerca, la ricerca non può essere una attività secondaria, talvolta di pura facciata o anche meno, soltanto per giustificare la gestione del denaro pubblico senza i vincoli che comporterebbe una diversa e più appropriata definizione dell'Ente.

Si impongono quindi delle scelte: o la funzione di ricerca merita di essere valorizzata e di diventare prioritaria nell'Ente, o la funzione diversa giustifica l'esistenza di un nucleo di ricerca in un Ente non di ricerca, oppure conviene operare una separazione delle funzioni in Enti, ciascuno più appropriato per quelle funzioni. Se le parti di ricerca separate non avessero poi la necessaria massa critica, è il caso di valutare un loro inserimento nella rete come Istituti del CNR.

La riforma degli EPR deve affrontare coraggiosamente questi problemi, perseguendo la razionalizzazione della ricerca a scapito di tutte le rendite di posizione e di tutte le resistenze: prima fra tutte le prevedibili resistenze dei Ministeri vigilanti, contrari ad ogni riduzione del loro potere di controllo e di gestione in bilancio.

Un altro problema è quello della distinzione tra Enti strumentali e non strumentali come prevista dalla legge 168/89. E' certamente giusto che alcuni Enti siano finalizzati nella loro attività ordinaria ad obiettivi istituzionali, ma la loro conduzione deve rispettare la libertà della comunità scientifica interna di determinare tutte le scelte scientifiche necessarie per raggiungere questi obiettivi, mentre la valutazione dei meriti e di progressione in carriera del personale deve essere gestita dalla comunità scientifica (anche esterna) e non da direzioni o presidenze politicamente imposte.

In termini generali, la riforma degli Enti di ricerca deve avvenire nel rispetto dei principi di: programmazione ( il livello più alto di programmazione è quello governativo, che riguarda le grandi scelte, la suddivisione degli investimenti pubblici tra ricerca libera e di base, ricerca applicata e finalizzata per grandi settori quali l'ambiente e la salute), l'autonomia degli Enti e dei ricercatori, la valutazione dei progetti e dei risultati a livello di Ente, di strutture e di ricercatori.

Occorre infine parlare del CNR e dell'ENEA, poichè è soprattutto su questi Enti che si misurerà la volontà governativa di una reale riforma del settore della ricerca. Cosa che non esclude la necessità di intervenire anche su altri Enti, anche per aspetti particolari. L'INFN, ad es. presenta una strana anomalia statutaria per cui il Direttivo, a partire da quello iniziale dell'Ente, si rinnova per cooptazione.

Il CNR, in realtà, avrebbe potuto avviare il processo di autoriforma e di ristrutturazione della rete in regime di autonomia fin dal 1989. Ma non lo ha fatto. Auspichiamo che, nel momento in cui ormai la legge lo prescrive, il CNR non aspetti che la riforma cali dall'alto, ma promuova una partecipazione attiva della propria comunità scientifica, che faccia nascere proposte dall'interno dell'Ente.

In questa sede non si può che segnalare alcuni problemi e indicare dei punti che si ritiene debbano essere considerati punti fermi della riforma. Il problema principale è connesso alla trasformazione del CNR dovuta alla creazione della rete e al cambiamento delle natura delle funzioni a seguito della costituzione del MURST. I Comitati nazionali nati come organi di consulenza e composti in maggioranza da membri esterni, oltre a coordinare e finanziare le ricerche extra-CNR, gestiscono di fatto la rete di ricerca dell'Ente, in una situazione di conflitto, essendo portatori degli interessi dei propri elettori, per la maggioranza accademici. Un altro problema è dovuto alla mancanza di sistemi di verifica e alla rinnovabilità senza limite dei mandati, che hanno favorito l'instaurarsi di sistemi clientelari e il blocco di iniziative di revisione degli organi e di ristrutturazione della rete.

Tra i punti fermi vanno segnalati:

E veniamo all'ENEA.

La legge istitutiva dell'ENEA e quella successiva di riforma hanno trasformato un Ente di ricerca, quale era il CNEN, in un'Agenzia di finanziamento e successivamente in un Ente di servizi tecnologici e di consulenza. Allo stato attuale l'ENEA fa tutto e nulla, non avendo una missione precisa, è organizzato secondo una struttura aziendalistica, pur non essendo un'azienda e usa il denaro pubblico come fosse un'azienda, ma senza rispondere alle leggi del mercato.

Nel panorama degli Enti pubblici l'ENEA rappresenta un enorme spreco di risorse, in termini di patrimonio di conoscenze e di competenze, di infrastrutture, di apparecchiature, uno spreco che il Paese non può permettersi. Occorre porvi fine. Ci sono ancora all'ENEA, nonostante tutto, centri di ricerca di elevato livello capaci di competere sul piano internazionale nella gara per l'accesso ai finanziamenti. E' urgente riportare l'Ente al suo ruolo storico di Ente di ricerca, ridefinendone i compiti ed estendendo ad esso e al personale la normativa degli EPR.

3. Lo status dei ricercatori e tecnologi degli EPR

La legge Bassanini stabilisce come principio per l'attuazione della delega ``l' adozione di misure che valorizzino la professionalità e l'autonomia dei ricercatori e ne favoriscano la mobilità interna ed esterna tra Enti di ricerca, università, scuola ed imprese''. Il Governo, contraddicendo se stesso, ha emendato il testo che aveva approvato in Commissione, sostituendo alle norme di stato giuridico, previste dal testo, generiche e indeterminate ``misure''. Altrettanto contraddittorio è l'atteggiamento del Governo nei confronti del contratto dei ricercatori e tecnologi degli Enti: progetta la mobilità dei ricercatori verso l'università e intanto consente che venga distrutto dall'ARAN il parallelismo di trattamento tra ricercatori e tecnologi da una parte e docenti universitari dall'altra.

In realtà il problema dello stato giuridico dei ricercatori e tecnologi degli EPR non è più eludibile, se si vuole veramente riformare il settore della ricerca e mettere l'Italia al passo con i paesi europei.

In effetti, per mantenere alta la qualità della ricerca è necessario che vi siano norme specifiche di reclutamento dei ricercatori e tecnologi. Non si può continuare a tollerare che gli Enti applichino normative riguardanti il reclutamento degli impiegati pubblici, scegliendo a piacimento quali applicare, o adottino propri regolamenti, con l'effetto di frantumare l'identità della figura professionale del ricercatore e del tecnologo degli EPR.

La mobilità bidirezionale tra EPR ed Università, interscambio di competenze vitale per il sistema, presuppone uno stato giuridico paritetico. La mobilità da e per l'industria, problematica per la diversità strutturale del sistema pubblico della ricerca e di quello industriale, non si potrà, in ogni caso attuare, se non garantendo al ricercatore che va nell'industria il mantenimento del suo status.

La mancanza di uno stato giuridico non solo discrimina i ricercatori italiani rispetto ai colleghi degli altri paesi dell'Europa e costituisce un ostacolo all'integrazione europea, ma restringe l'ambito di applicazione degli accordi internazionali a danno dei ricercatori e della ricerca degli EPR. I ricercatori degli altri paesi, infatti, a differenza di quelli italiani, rientrano negli accordi che prevedono scambi di professori, poichè sono equiparati ai professori universitari.

La normativa di stato giuridico dovrà riguardare le norme concorsuali e ordinamentali dei ricercatori e dei tecnologi. Per i ricercatori è necessario inoltre creare un sistema di aree scientifico-disciplinari, trasversali agli Enti, in base al quale bandire i concorsi e stabilire i criteri di mobilità con l'Università.

Oggetto di tale normativa dovrà essere anche l'autonomia del ricercatore nello svolgimento della ricerca, la titolarità delle ricerche e la responsabilità dei relativi finanziamenti, elementi essenziali per favorire il pieno coinvolgimento dei ricercatori e l'elevato livello della ricerca pubblica.

La valorizzazione dei ricercatori passa inoltre attraverso la loro partecipazione al governo degli Enti. Attualmente gli EPR sono essenzialmente eterodiretti. Occorre prevedere che il personale scientifico possa partecipare al governo dell'Ente in condizioni perlomeno paritetiche con le altre componenti della comunità scientifica.