ANPRI-EPR
Associazione Nazionale Professionale
Ricercatori - Enti Pubblici di Ricerca
La
Riforma del Sistema Ricerca ex Legge 59/97:
un'analisi critica
Marzo 2001
Nel corso della legislatura giunta ormai a conclusione, il Sistema
ricerca del nostro Paese è stato oggetto di un ampio e articolato processo
riformatore che ha interessato diverse delle parti che lo compongono - governo
del Sistema, risorse finanziarie, capitale umano, enti di ricerca - con l'obiettivo
di assicurare al Sistema stesso una maggiore efficienza ed efficacia e fare
crescere di conseguenza la competitività scientifica italiana nello scenario
internazionale.
L'ANPRI-EPR, associazione delle alte professionalità
caratteristiche degli enti di ricerca, i ricercatori e i tecnologi, ritiene che
non sia prematuro un bilancio dell'impatto che la riforma ha avuto in fase di
attuazione, pur nella consapevolezza che un esame completo dei suoi effetti
sarà possibile solo su un arco di tempo maggiore di quello finora intercorso.
A questo scopo viene qui presentata una analisi dei provvedimenti
adottati, sia per quanto riguarda le questioni di carattere generale - il
"cervello" del Sistema, il Piano Nazionale di Ricerca, la questione
dei ricercatori - sia per quanto riguarda i diversi enti
"riordinati", delle loro
implicazioni attuali e delle prospettive di medio-breve periodo.
Il punto di vista sotto il quale ci si è posti, quello di chi vede
e vive la riforma dall'interno del sistema, ha ovviamente dei limiti: tuttavia
riteniamo che sia, se non il più importante, certamente uno di quelli che
occorre tenere nella massima considerazione. Una riforma non partecipata dai
suoi principali attori, o addirittura realizzata
contro di essi, non può che riuscire una cattiva riforma: non ci può essere
sviluppo scientifico e tecnologico laddove non si investe, e non solo in
termini economici, sui ricercatori e
sui tecnologi.
Ci auguriamo che questo documento possa riuscire utile a chi, come
noi, ha a cuore le sorti della ricerca nel nostro Paese, come fattore
imprescindibile del suo progresso generale.
BRUNO BETRÒ
Segretario Generale ANPRI-EPR
ANPRI-EPR
La
Riforma del Sistema Ricerca ex Legge 59/97:
un'analisi critica
Di
riordino degli Enti Pubblici di Ricerca (EPR) e, più in generale, di riordino
del Sistema Ricerca Pubblica (SRP) si è iniziato a parlare da tempo, almeno fin
dall'istituzione del Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e
Tecnologica (MURST), Legge n. 168/89.
Il
dibattito è stato ampio e talvolta acceso, ma sostanzialmente privo di
conseguenze legislative, prima che con la Legge delega n. 59/97 fossero
indicate le modalità, i criteri generali ed i riferimenti per procedere a
"riordinare e razionalizzare gli interventi diretti a promuovere e
sostenere il settore della ricerca scientifica e tecnologica nonché gli
organismi operanti nel settore".
Come primo
atto delegato, il Governo, in base agli art. 11 e 18 della legge 59, presentò
nel luglio del 1997 alle Camere una relazione programmatica sulle "Linee
per il riordino del Sistema Nazionale della Ricerca". In essa, la politica
della ricerca veniva riconosciuta come "esigenza strategica per il Paese"
e si delineavano gli interventi ritenuti necessari per ricondurre "a
sistema" il mondo della ricerca, costruendo una nuova "architettura
del sistema" nella quale fossero armonizzati il momento della decisione
politica sulle "grandi scelte", quello del supporto alla decisione,
quello della partecipazione della comunità scientifica.
In tale
quadro si sarebbe definito il riordino del sistema degli enti di Ricerca, con
la revisione di "composizione" e "missioni" e
"convergenza a sistema" delle specificità degli enti, rivisti in un
quadro di efficace cooperazione.
Si
sarebbero inoltre introdotti strumenti "diretti e indiretti" di
sostegno della ricerca di interesse per le imprese.
Veniva
infine individuata la necessità di "valorizzare e sostenere la qualità
scientifica del lavoro svolto dai ricercatori" e di investire "sui
giovani, sul ricambio e sulla mobilità del personale".
Perno del sistema sarebbe stato un rinnovato MURST, snodo tra la
concertazione interministeriale a livello di Governo e gli specifici interventi
sul sistema ricerca nazionale.
Il
progetto apparve da subito piuttosto ambizioso, considerando che avrebbe dovuto
superare barriere, particolarismi, burocrazie e scarsità di risorse, mali
tipici della ricerca italiana. Progetto peraltro che da subito suscitò perplessità,
per la sua impostazione basata, da un lato, sul criterio della nomina politica
per i nuovi organismi di governo sia di tipo generale sia degli enti riformati;
dall'altro lato, sul criterio dei piccoli numeri per gli organismi di
consulenza, i soli peraltro per i quali veniva prevista la rappresentanza della
comunità scientifica. Molto fumosi inoltre risultavano i riferimenti alle
misure di valorizzazione dei ricercatori, espressamente previste dalla legge
delega; nessun riferimento veniva fatto in particolare all'ovvia necessità che,
volendo ricondurre la ricerca italiana "a sistema", si affrontasse
finalmente il nodo della sperequazione esistente all'interno della comunità
scientifica nazionale, dove sono presenti sostanzialmente due componenti: quella
universitaria, numericamente maggioritaria, con proprio stato giuridico e
trattamento economico sancito per legge, nonché autogovernata, e quella dei
ricercatori degli enti pubblici di ricerca, numericamente esigua in rapporto
alla prima, soggetta alle regole del "pubblico impiego" quanto a
stato giuridico e trattamento economico, nonché esclusa da una effettiva
partecipazione al governo dei rispettivi enti. La terza componente, quella
privata, è quasi assente e quindi lo è anche il relativo mercato del lavoro;
ciò rappresenta notoriamente una pesante anomalia italiana.
Le
perplessità suscitate dalle "Linee" sono state confermate, e per
diversi aspetti, come quelli relativi alla valorizzazione dei ricercatori,
aggravate dai successivi decreti attuativi, tanto che al termine del processo
di riforma, sicuramente si può affermare che in buona parte l'obiettivo di dare
un "ordine migliore o più funzionale" al Sistema Ricerca Pubblica non
è stato realizzato.
Quale è la
ragione di questo risultato? Probabilmente sono più di una le ragioni, ma fra
queste c’è sicuramente l’aver volutamente trascurato l’elemento umano, l’aver
voluto cioè trattare il problema come una più o meno complessa operazione di
ingegneria istituzionale da realizzare al di sopra e senza un reale
coinvolgimento di coloro che, noi crediamo, costituiscono il motore del SRP: i
ricercatori.
Il primo
decreto attuativo emanato è stato il Decreto Legislativo n. 204/98, il
cosiddetto decreto sul "cervello del sistema", che ha definito le
norme di carattere generale per la programmazione, il coordinamento e la
valutazione della ricerca scientifica e tecnologica.
La
programmazione è decisa a livello di Governo che, nel Documento di
Programmazione Economica e Finanziaria (DPEF), "determina gli indirizzi e
le priorità strategiche per gli interventi a favore della ricerca scientifica e
tecnologica, definendo il quadro delle risorse finanziarie da attivare e
assicurando il coordinamento con le altre politiche nazionali". In questo
ambito, essenziale è il ruolo del CIPE, Comitato Interministeriale per la
Programmazione Economica, che, in particolare, "approva il Piano Nazionale
per la Ricerca (PNR) e gli aggiornamenti annuali, delibera in ordine all'utilizzo
del Fondo speciale e valuta periodicamente l'attuazione del PNR".
Il
meccanismo di programmazione è coerente con la prerogativa della parte politica
di scegliere, tenuto conto del quadro più ampio determinato dalle esigenze e
dalle aspettative del Paese, quante risorse destinare al sistema ricerca
nazionale e come prioritariamente indirizzare tali risorse.
Il potere
decisionale a livello governativo, supportato da esperti nominati, in linea di
principio dovrebbe essere equilibrato dai Consigli Scientifici Nazionali (CSN),
sede di rappresentanza della comunità scientifica universitaria e degli enti di
ricerca. I compiti dei Consigli, esclusivamente di natura consultiva, restano
tuttavia nella vaghezza; su questioni di carattere generale, il ruolo consultivo
è poi affidato all'Assemblea della Scienza e della Tecnologia (AST), dove ai
membri dei CSN si uniscono un quasi pari numero di membri (il regolamento fissa
in 42 il numero dei membri dei CSN, su un totale di 81 membri dell'AST)
designati da amministrazioni dello Stato (12 membri), dalla Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome (3
membri), dal mondo della produzione, dei servizi e delle forze sociali (24
membri). Sussistono quindi seri dubbi
sul ruolo effettivo che potrebbero i CSN, e quindi le rappresentanze della
comunità scientifica. Non minori dubbi sorgono per quanto riguarda la
funzionalità e la competenza dell'AST, alla quale pure è riservato il delicato
compito di designare componenti degli organi di governo degli enti ricerca (nel
caso del CNR, la metà del Consiglio direttivo). Occorre infine sottolineare
che, nel nuovo sistema, le singole pubbliche amministrazioni (cioè i Ministeri)
continuano ad intervenire in materia di ricerca secondo le rispettive
competenze, sia pure "in coerenza con le finalità del Piano Nazionale
della Ricerca". Viene così sancito il perpetuarsi della logica delle
"competenze ministeriali", che ha trovato un'immediata applicazione,
come vedremo, nella successiva fase di emanazione degli specifici decreti di
riordino degli enti.
Il decreto
sul cervello contempla ancora la costituzione del Comitato di Esperti per la
Politica della Ricerca (CEPR) che assolve per il Governo i "compiti di
consulenza e di studio" riguardo alla politica e lo stato della ricerca,
nazionale ed internazionale e, su richiesta delle altre Amministrazioni dello
Stato, esprime pareri su programmi ed attività di ricerca di loro competenza. I
nove membri del CEPR, scelti tra personalità di alta qualificazione del mondo
scientifico, tecnologico, culturale, produttivo e delle parti sociali sono
stati già nominati dal Governo.
Le
modalità di formazione del CEPR sono coerenti con lo spirito del decreto.
Questo Comitato, infatti, è un supporto di alta qualificazione di cui il
Governo si dota per operare le sue scelte di programmazione del sistema della
ricerca nazionale.
Ancora
sostanzialmente coerenti con quelle che sono le necessità di indirizzo e
valutazione del sistema nazionale della ricerca sono i compiti e le modalità di
formazione del Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca (CIVR).
Il CIVR, composto da sette membri di nomina governativa, opera per il sostegno
alla qualità e alla migliore utilizzazione della ricerca scientifica, con il
compito anche di indicare i criteri generali per le attività di valutazione,
promuovere la sperimentazione, applicazione e diffusione di metodologie,
tecniche e pratiche di valutazione.
Anche per
il CIVR il Governo ha già proceduto alla nomina dei membri.
Nulla di
fatto invece per l'elezione dei CSN che, come detto, dovrebbero costituire la
sede di rappresentanza della comunità scientifica nazionale. Sulla mancata
elezione ha verosimilmente influito, oltre che un regolamento in alcuni punti
di difficile interpretazione, anche la vaghezza dei compiti dei CSN sopra
ricordata, che li ha resi poco interessanti per la comunità scientifica. Sta di
fatto che in questo modo il governo del sistema rimane esclusivamente affidato
ad organismi di nomina politica, con gli ovvi conseguenti pericoli di
verticismo, di dirigismo e di controllo sulla ricerca scientifica da parte
della politica, come pure quello del consolidarsi delle burocrazie della
ricerca che nelle intenzioni si volevano sconfiggere.
Gli esiti
attuali evidenziano quindi che gli elementi potenzialmente positivi che,
volendo essere ottimisti, si intravedevano nel “decreto sul cervello” per
quanto riguarda l'autonomia e l'autogoverno della comunità scientifica, non
sono poi emersi nella fase attuativa; in sostanza non è emerso con la
necessaria incisività il ruolo della comunità scientifica nazionale. In
particolare, come vedremo in seguito, non si è lasciato alcuno spazio al ruolo
della comunità scientifica interna agli enti pubblici di ricerca.
Va anche rilevato che il mancato superamento della logica
delle "competenze
ministeriali" ha aperto la strada all’istituzione di Agenzie Nazionali di
supporto tecnico ai Ministeri che certamente diminuiranno le possibilità di un
reale coordinamento degli interventi.
Nel maggio
2000 il CIPE ha approvato le linee guida del Programma Nazionale di Ricerca
predisposte dal MURST, avviando così la procedura di definizione del PNR stesso
secondo le indicazioni del D.Lgs. 204/88.
Le linee
guida hanno opportunamente evidenziato, partendo da un'impietosa analisi della
situazione attuale, l'esigenza primaria di fare crescere l'investimento in
ricerca, individuando anche un percorso di crescita che realisticamente punta ad
un aumento significativo sia dell'impegno pubblico sia dell'impegno
privato. Merito non secondario è anche
quello di avere chiaramente individuato come azione necessaria per la crescita
complessiva del sistema ricerca il rafforzamento della ricerca di base. Vi è infine una del tutto opportuna
affermazione della necessità di diffondere su larga scala la cultura
scientifica nella Società civile.
Le linee
hanno dimostrato tuttavia diversi limiti, solo in parte dovuti al loro
carattere generale e preliminare. Molte
delle proposte formulate sono piuttosto vaghe e pertanto non permettono di
valutarne la reale efficacia. Tra le
questioni che necessitano approfondimento sono: il coordinamento delle numerose
politiche che concorrono a determinare la politica scientifica; il ruolo delle
Università e degli enti di ricerca (per i quali manca un'analisi dell'efficacia
delle riforme recentemente introdotte); le azioni specifiche per il rilancio
della ricerca privata, alla luce delle peculiarità del sistema produttivo
nazionale e del ruolo significativo in esso delle PMI; le azioni per
l'incremento della domanda di ricerca applicata da parte della Pubblica
Amministrazione; i criteri di selezione, monitoraggio e valutazione delle
attività e della spesa, tali che ne consegua il massimo beneficio possibile
evitando sprechi di risorse.
Questione
fondamentale ma sostanzialmente elusa dalle linee guida, se non in una qualche
misura a livello di analisi, è quella dei ricercatori. Si afferma correttamente che il lavoro di ricerca
non è più attraente per i giovani, ma non ci si sofferma sulle cause di questa
perdita di attrazione e sui rimedi da porvi, per poter realisticamente pensare
di selezionare e immettere nel sistema ricerca i 25-30mila nuovi ricercatori
preventivati per il triennio 2001-2003.
I limiti
delle linee guida non sono stati superati dal PNR definitivamente approvato dal
CIPE lo scorso dicembre. Non solo, ma lo stesso PNR deve registrare con una
certa amarezza le prospettive di un forte scostamento negativo per gli anni
2002-2003 delle disponibilità rispetto alle risorse che le linee guida hanno
ritenute necessarie per fare risalire il rapporto italiano spese in ricerca/PIL
dall'attuale 1,03% all'1,9% della media
europea. Per il 2001, le risorse aggiuntive saranno sì prevedibilmente pari a
3200 miliardi circa contro i 4000 preventivati, ma questo in massima parte
(2070 miliardi) grazie ai proventi "una tantum" dell'asta UMTS. Così
che il PNR deve riaffermare l’opportunità che la previsione di spesa pubblica in
ricerca per il 2001 non venga ulteriormente ridotta e che per gli anni
2002-2003 si rintraccino altre forme di recupero di risorse per la ricerca che
rendano credibile la volontà politica di rilanciare il sistema della ricerca
del Paese.
Quanto
alla ipotizzata immissione nel sistema ricerca di 25-30 mila nuovi ricercatori,
il PNR ne ridimensiona drasticamente il
numero, prevedendo soltanto 2.500 giovani ricercatori assunti con contratto a termine triennale.
Sorge inevitabilmente il sospetto che, in definitiva, il PNR corrisponda
ad una volontà politica di considerare, tra le priorità del Paese, la questione
della ricerca solo come priorità “virtuale”, se non addirittura come una non
priorità.
L'esame
dei vari provvedimenti delegati che sono derivati dalla Legge 59/97 porta a risultati piuttosto negativi per
quanto riguarda l'adozione di
"misure che valorizzino la professionalità e l'autonomia dei
ricercatori e ne favoriscano la mobilità interna ed esterna tra enti di
ricerca, Università, Scuola e Imprese", come disposto dall'art. 18, comma 1, lettera g, della legge 59/97.
Infatti le
misure di "valorizzazione dei ricercatori", che il nuovo contesto
istituzionale e normativo avrebbe dovuto introdurre, si sono in realtà tradotte
in misure o prive di impatto concreto o addirittura penalizzanti per i
ricercatori degli enti di ricerca, cioè dell'ambito che è stato maggiormente
interessato dalle azioni di riforma del sistema ricerca.
In
particolare:
-
Contro tutte le aspettative non è stata prevista
alcuna forma di partecipazione dei ricercatori al governo scientifico degli
enti riformati.
-
Le misure sulla mobilità verso le Università che sono state introdotte per il CNR e altri
enti (v. art. 12 D.Lgs. 19/99) si riducono sostanzialmente ad una
riproposizione della normativa vigente in materia di conferimento di contratti
di insegnamento;
-
I "Principi per l'attività di ricerca",
introdotti dal D.Lgs. 381/99, risultano
del tutto privi di impatto reale sull'autonomia e la professionalità dei
ricercatori - non vi si afferma neppure la titolarità della ricerca - e
peraltro si applicano solo ad alcuni enti di ricerca, quelli vigilati dal
MURST.
-
Non è stato esplicitamente previsto l'inserimento
dell'ENEA nel comparto degli enti di ricerca, lasciando aperta la possibilità
di rinnovo contrattuale secondo il fallimentare modello del "contratto
ENEA" e sollevando il legittimo sospetto che questo possa diventare
addirittura il modello di riferimento per altre Istituzioni di Ricerca.
-
Si è previsto che la maggioranza dei membri delle
commissioni di concorso al CNR e in altri enti debba essere esterna non
soltanto all’Istituto interessato, ma anche a tutto il CNR, mortificando quindi
le competenze e la professionalità dei ricercatori dell'ente.
-
sul piano contrattuale, i ricercatori sono stati
declassati dall'area di contrattazione del personale dirigenziale a quella
subdirigenziale del personale amministrativo e tecnico, tramite un'ambigua
riformulazione dell'art. 45 del D.Lgs. 29/93, nonostante le precise indicazioni
della Commissione parlamentare bicamerale per la riforma amministrativa, ed un
accordo tra ARAN e OO.SS. avallato dal Governo.
-
Si è altresì consentito alla contrattazione di
comprimere la crescita delle retribuzioni dei ricercatori degli enti di
ricerca, arrivando di conseguenza ad una sostanziosa sperequazione rispetto
alle figure parallele dell'università.
-
Si trascina ora, per di più, da quasi due anni il
rinnovo del contratto 1998-2001, con scarse prospettive di significativa rivalutazione
delle retribuzioni e con la chiara volontà di non riconoscere per i ricercatori
neppure la "distinta disciplina" prevista dal D.Lgs. 29/93;
In
sostanza, si è attuata e tuttora si attua, una vera a propria
"svalorizzazione" dei ricercatori e non quella
"valorizzazione" prevista dalla delega, che avrebbe comportato
interventi quali:
-
la definizione legislativa dello stato giuridico dei
ricercatori, sganciandoli dalla mera ed avvilente contrattualizzazione del
ruolo.
-
Un'adeguata retribuzione - allineata con gli standard
di riferimento in campo nazionale ed internazionale - a riconoscimento della
elevata professionalità;
-
L'equiparazione dei ricercatori operanti nel settore
pubblico, unico mezzo per realizzare quella reale mobilità tra università ed
enti di ricerca, di cui da tempo si riconosce l'esigenza - anche il PNR lo fa -
ma che non ha ancora avuto alcuna attuazione concreta.
-
La definizione, nel riordino degli enti, di organismi
di partecipazione e autogoverno scientifico dei ricercatori dell’ente.
-
Criteri per la nomina di presidenti e di membri di
organi di governo degli enti, che tengano conto anche della sensibilità dei
candidati per la crescita delle professionalità scientifiche presenti negli
enti stessi e per l'offerta di prospettive interne di carriera ai ricercatori
maturi che ne contrastino le sistematiche "fughe".
L'assenza
di uno stato giuridico definito per legge rende problematica non solo la
mobilità verso l'università, ma anche il raccordo tra enti di ricerca ed
imprese, pure da tutti - PNR compreso - auspicato.
Infatti la
“missione” dei ricercatori pubblici da un lato, ed imprenditori dall’altro, è
diversa, anche se ovviamente possono esserci intersezioni e mobilità da un
campo all’altro: infatti il principale obiettivo dei primi è realizzare
avanzamenti scientifici e tecnologici, mentre il principale obiettivo dei
secondi è realizzare un profitto.
La
confusione di questi ruoli potrebbe comportare due pericoli: obbligare i
ricercatori pubblici a seguire logiche di impresa che normalmente sono diverse,
se non contrapposte, alle logiche di ricerca; favorire la ricerca di breve
termine (orientata al profitto immediato) a scapito di quella di medio e lungo
termine (di più incerte conseguenze e redditività), con grave pregiudizio per
il ruolo e l’autonomia delle istituzioni pubbliche di ricerca.
Chiaramente i pericoli delineati, ma concreti, sarebbero
sostanzialmente inesistenti nel caso che i ricercatori pubblici fossero
adeguatamente "coperti" nella loro autonomia da un adeguato stato
giuridico che ne fissi diritti e doveri, norme per l'accesso in ruolo e la
progressione di carriera, compatibilità.
Uno
degli elementi di maggiore impatto del D.Lgs. 19/99 di riordino del CNR è
rappresentato dalla sostituzione del precedente sistema basato sui Comitati
Nazionali di Consulenza, e quindi sulla rappresentanza dal basso, con un nuovo
sistema verticistico, nel quale l'organo di governo, il Consiglio Direttivo
(CD) ha una forte componente politica - metà dei membri più il Presidente, è di
nomina ministeriale o governativa; l'altra componente, come si è visto, è
designata dall'AST.
Ai
ricercatori dell'ente il decreto di riordino riserva un ruolo meramente
consultivo nel Comitato di Consulenza Scientifica (CCS), il cui unico parere
obbligatorio è quello sul piano triennale.
Né
il decreto né i regolamenti di ente prevedono alcuna forma di autogoverno dei
ricercatori, neppure negli Istituti della riorganizzata rete scientifica
dell'ente, dove il Comitato di Istituto è solo un organismo di supporto
consultivo al Direttore; negli organi dell'ente non sono contemplati meccanismi
di rappresentanza equilibrata dei vari settori scientifici né sono indicate
procedure trasparenti di supporto alle decisioni scientifiche che richiedono
competenze specifiche, con rischi di svuotamento nella sostanza del carattere
"generalista" del CNR, pur ribadito nel decreto di riordino.
Il
Governo ha, tra l’altro, ritenuto di dovere ignorare, nell'emanazione
definitiva del decreto, importanti indicazioni della Commissione Bicamerale, ad
esempio sulla opportunità di estendere in senso propositivo i compiti del
Comitato di Consulenza Scientifica e di applicare i principi della normativa
sui concorsi universitari anche ai concorsi a ricercatore del CNR.
Riguardo
a questi ultimi, il decreto ha, opportunamente, previsto una regolamentazione
per settori scientifici (e analogamente, per i tecnologi, per settori
tecnologici) ma si è al contempo premurato di precisare che la maggioranza dei
membri delle commissioni deve essere esterna al CNR.
Quanto
alla mobilità, come già evidenziato, l'articolo 12 del D.Lgs. 19/99 non
aggiunge niente di sostanziale alla normativa esistente in materia di
conferimento di contratti di insegnamento ai ricercatori CNR e alla possibilità
per professori e ricercatori universitari di svolgere attività di ricerca
presso il CNR. In ogni caso viene eluso il problema vero della mobilità tra
enti di ricerca e università che presuppone inevitabilmente, come sopra
rilevato, la comparabilità di status.
Il D.Lgs.
19/99 ha anche escluso un ruolo attivo per la comunità scientifica interna
nell'importante fase di approvazione dei nuovi regolamenti, ed i regolamenti a
loro volta hanno fatto altrettanto per la fase di riordino della rete
scientifica; il mancato coinvolgimento dei ricercatori nella riforma del loro
ente non favorisce certo la realizzazione efficace ed equilibrata di un CNR
rinnovato.
Va
anche rilevato che, a due anni dall'avvio del riordino, sia il CD sia il CCS
sono ancora nella loro composizione transitoria per la mancata elezione dei
Consigli Scientifici Nazionali, secondo la migliore tradizione di
stabilizzazione delle situazioni provvisorie. I 4 membri del CD transitoriamente eletti dall'assemblea dei
disciolti Comitati potrebbero quindi rimanere indefinitamente in carica,
considerato che dovrebbero essere sostituiti con membri designati dall'AST.
Paradossalmente, considerata la composizione dell'AST, il mantenere sine die in
carica i 4 membri suddetti potrebbe risultare la soluzione migliore.
La conseguenza dell'impostazione data dal
decreto di riordino, e confermata dai regolamenti, di escludere per i
ricercatori ogni forma sostanziale di partecipazione al governo dell'ente, è
che da un sistema basato sui Comitati che, pur con tutti i limiti, prevedeva
dei canali di comunicazione tra i vertici dell’ente ed i ricercatori, si è
passati ad un sistema in cui tra il vertice e la base c'è il vuoto. Perfino il
CCS è stato sostanzialmente esautorato. Anche il suo unico compito esplicitamente
previsto dal decreto, quello di parere sul Piano Triennale, si è trasformato
nella espressione di osservazioni su bozze provvisorie di paternità incerta.
Di fatto lo stesso Piano triennale,
importante strumento di programmazione introdotto dal decreto di riordino, è
stato trasformato in un documento generale e generico, con una richiesta
complessiva di finanziamento e una richiesta complessiva di nuovi concorsi
(senza distinguere né fra settori scientifico-disciplinari o fra raggruppamenti
di essi, né tra livelli, né tra profili).
Lo "scollamento'' tra i ricercatori e
in generale tra le strutture scientifiche e gli organi di Governo, oltre a
rappresentare una grossa incognita per la funzionalità generale del CNR
riordinato, può anche rappresentare in prospettiva, con il venire meno del
senso di appartenenza all'ente, un fattore di disgregazione dell'ente,
soprattutto qualora per i nuovi Istituti, ridotti di numero e di maggiori
dimensioni rispetto agli attuali, si realizzasse
effettivamente l'ampia autonomia
scientifica, amministrativa e contabile prevista dal D.Lgs. 19/99 e dai
regolamenti.
Anche per la "valorizzazione"
dei ricercatori del CNR, per quanto di competenza dell'ente, il bilancio è
tutt'altro che soddisfacente. Oltre alla già citata esclusione dalle
"stanze dei bottoni" perfezionata dai regolamenti, occorre rilevare
l'individuazione di settori scientifico-disciplinari coincidenti con quelli
universitari (nonostante la ricognizione fatta per individuare settori più
corrispondenti a quelli di attività del CNR) e lo svuotamento del significato
degli stessi nei bandi di concorso tramite la indicazione "della tipologia
delle competenze richieste", come pure lo scarso spazio dato ai posti da
primo ricercatore e da dirigente di ricerca nei concorsi banditi nel periodo
transitorio 1999-2000. Va peraltro riconosciuto il significativo sforzo fatto
per sanare la diffusa situazione di precariato pluriennale.
A distanza
di pochi anni da una precedente riforma, datata 1991, con il D.Lgs. 36/99 si è
proceduto all’ennesimo riordino dell’ENEA.
Contro
l'impostazione originaria del decreto, voluta dal Ministro dell'Industria in
osservanza al confermato principio delle "competenze ministeriali",
che prevedeva che l'ente diventasse un'agenzia, la formulazione finale, su
sollecitazione della Commissione Bicamerale per la riforma amministrativa, ha
avuto il merito di "salvare" l'ENEA come ente di ricerca.
La
conseguenza ovvia della chiara definizione dell'ENEA come ente di ricerca,
avrebbe dovuto essere una altrettanto chiara collocazione dell'ENEA nel
comparto della ricerca ai fini del rapporto di lavoro del suo personale. Ciò
che è ovvio non è mai chiaro, ed infatti l’ENEA non è stato esplicitamente
ricompreso nel comparto della ricerca e quello che si è stabilito è che il
rapporto di lavoro sarebbe stato regolato "ai sensi del decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e
integrazioni", lasciando così spazio alle forze da sempre contrarie
all'inserimento del personale ENEA nel comparto ricerca.
Nella
sostanza l’ENEA può decidere di rimanere al di fuori del sistema dei comparti
di contrattazione pubblica ed in particolare avere un CCNL diverso da quello
degli altri enti pubblici di ricerca.
L’ENEA
continua dunque ad essere il laboratorio in cui si effettuano le peggiori
sperimentazioni di privatizzazioni del pubblico impiego: i ricercatori e
tecnologi non hanno nessuna autonomia e le loro carriere ed il loro lavoro sono
controllati, attraverso il sistema delle “dinamiche” (valutazioni arbitrarie
per via gerarchica) da sindacalisti e dirigenti “industriali”, del tutto
estranei al sistema della ricerca pubblica.
Una svolta
sostanziale di questo processo di irreversibile decadimento può essere data
solo dall’introduzione per legge di regole certe e chiare che, tra l’altro,
garantiscano meccanismi di progressione della carriera per ricercatori e
tecnologi coerenti con quelli utilizzati nella comunità scientifica nazionale
ed internazionale.
Quanto
alla organizzazione dell'ENEA, il decreto di riordino non ha comportato
modifiche significative dell'assetto preesistente. Il governo dell'ente è
affidato ancora al Presidente e ad un Consiglio di Amministrazione di quattro
membri, interamente di nomina politica. Il Comitato Tecnico Scientifico,
previsto dal decreto con compiti di consulenza per il CdA, è stata anch'esso
costituito per nomina. La sua partecipazione alla programmazione delle attività
tecniche e scientifiche è stata finora piuttosto limitata.
Notevole
potere è conferito al Direttore Generale, che ha anche il compito di
predisporre i programmi annuali e pluriennali.
La
prevista riorganizzazione interna è tuttora in corso a due anni dall'entrata in
vigore delle norme di riordino.
Sono stati
definiti alcuni grandi progetti "di immagine", che hanno consentito
all'ENEA di ricevere significativi finanziamenti specifici; tali progetti hanno
tuttavia generalmente caratteristiche di promozione industriale e in essi
quindi il coinvolgimento dei ricercatori ENEA è piuttosto limitato.
L’ASI
fu istituita con la L. 186/88 con il compito di promuovere e governare le
attività spaziali in Italia attraverso la predisposizione di programmi
scientifici, tecnologici e applicativi.
Il
D.Lgs. 27/99 nel riformare l’ASI ne ha confermato la struttura di agenzia e per
la collocazione contrattuale del personale, evitando anche in questo caso la
dovuta chiarezza, ha adottato una formulazione analoga a quella dell'ENEA.
Il
decreto, che ha mantenuto in carica il Presidente fino alla scadenza del suo
mandato (autunno 2001), ha previsto un Consiglio di Amministrazione composto da
quattro membri.
Nonostante il riordino e gli ingenti finanziamenti pubblici, la
situazione dell'ASI manifesta carenze rilevanti nella formulazione di programmi
a lungo termine, nella gestione amministrativa e organizzativa, nel governo del
personale, tali da compromettere seriamente ciò che di buono era stato
precedentemente fatto.
L’ASI
sembra avere perso le sue capacità di proposizione autonoma, mentre continua a
perseguire una politica di sostegno alla grande industria, con un “piccolo
cabotaggio” che sta ponendo l’Italia in condizioni di sempre maggiore
subordinazione rispetto agli altri Paesi europei e non.
Fatte
salve alcune lodevoli eccezioni, spesso osteggiate dalla stessa ASI, le
migliaia di progetti finanziati per centinaia di miliardi in dodici anni non
hanno portato allo sviluppo di alcuna linea scientifica importante, né hanno
dato vita ad un serio programma scientifico di sperimentazione nello spazio.
Quanto
alla politica del personale, l'ente procede con ampia discrezionalità,
ignorando in molte situazioni la normativa pubblica in materia, in particolare
per quanto riguarda il reclutamento del personale a tempo indeterminato.
L’ASI, pur
non facendo formalmente parte del Comparto degli enti di ricerca, ne recepisce
e ne dovrebbe applicare i contratti. In realtà tali contratti sono per la quasi
totalità disattesi dall’ASI, che ne applica, in modo parziale e con propria
interpretazione delle norme, solo la parte economica.
Con il D.Lgs. 381/99 è stato istituito l'Istituto Nazionale di Geofisica
e Vulcanologia, nel quale sono stati accorpati l'Istituto Nazionale di
Geofisica, l'Osservatorio Vesuviano e tre Istituti del CNR. La sottrazione per
legge di Istituti al CNR, sia pure per comprensibili ragioni di affinità
scientifica, ha costituito una patente violazione dell'autonomia del CNR
solennemente riaffermata dal D.Lgs. 19/99.
Come per il CNR, sono previsti, oltre al Presidente, un Consiglio
Direttivo - di sei membri di cui 4 di nomina politica e due designati dal
competente CSN - e un Comitato di Consulenza Scientifica per metà eletto dal
personale di ricerca dell'Istituto. Rispetto al CCS del CNR, quello dell'INGV
ha maggiori poteri consultivi e può formulare proprie proposte sui programmi
annuali e triennali.
La struttura organizzativa appare piuttosto complessa, essendo
articolata in sezioni istituzionali, centri nazionali, sezioni universitarie,
gruppi nazionali, oltre all'amministrazione centrale.
La lunga fase di predisposizione dello statuto ha fatto sì che l'INGV
sia diventato realtà solo agli inizi del 2001. Al momento non è quindi al
momento possibile valutare i risultati dell’operazione, che hanno coinvolto
soggetti estremamente qualificati dal punto di vista scientifico, i cui esiti
dipenderanno anche dal grado di coinvolgimento del personale scientifico: come
già rilevato per il CNR, le operazioni di “ingegneria istituzionale” hanno
scarsa efficacia quando non si tiene in debito conto la componente umana.
Nel
D.Lgs. 300/99 sono state introdotte "a sorpresa", senza essere state
presenti nel testo preliminare o richieste dalla Commissione Bicamerale, norme
di riordino di ISPESL e ISS sotto l'egida del Ministero della Sanità. Tali
norme sono state abrogate, a distanza di solo due mesi, dal D.Lgs. 419/99
"Riordinamento del sistema degli enti pubblici nazionali".
In
particolare l’art. 9 del D.Lgs. 419/99 recita: “1. L'Istituto Superiore di
Sanità (ISS) e l'Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del
Lavoro (ISPESL) esercitano, nelle materie di competenza del Ministero della
sanità, funzioni e compiti tecnico-scientifici e di coordinamento tecnico. In
particolare, l'ISS svolge funzioni di ricerca, di sperimentazione, di controllo
e di formazione per quanto concerne la salute pubblica; l'ISPESL è centro di
riferimento nazionale di informazione, documentazione, ricerca,
sperimentazione, controllo e formazione in materia di tutela della salute e
della sicurezza e benessere nei luoghi di lavoro. 2. L'ISS e l'ISPESL hanno
autonomia scientifica, organizzativa, amministrativa e contabile e sono
sottoposti alla vigilanza del Ministro della sanità. Essi costituiscono organi
tecnico-scientifici del Servizio sanitario nazionale, dei quali il Ministero,
le regioni e, tramite queste, le aziende sanitarie locali e le aziende
ospedaliere si avvalgono nell'esercizio delle attribuzioni conferite loro dalla
normativa vigente. 3. Sono organi dei due Istituti il
Presidente, il Consiglio di Amministrazione, il direttore generale, il comitato
scientifico e il collegio dei revisori. Alla organizzazione degli Istituti si
provvede con i regolamenti di cui all'articolo 13, che recano anche disposizioni
di raccordo con la disciplina prevista dal decreto legislativo 5 giugno 1998,
n. 204, e dalle altre disposizioni vigenti per gli enti di ricerca.”
Quanto
stabilito nell’articolo riportato è stato quasi completamente attuato per quel
che riguarda l’ISS, con l’emanazione del nuovo regolamento e la nomina del
Presidente.
La trasformazione dell’ISS
in ente autonomo di ricerca rappresenta indubbiamente un fatto del tutto
positivo, visti i problemi che la precedente connotazione di amministrazione
dello Stato, con le relative rigidità,
aveva creato.
Tuttavia l'impostazione che
è stata data al nuovo statuto ancora una volta relega in un ruolo marginale i
ricercatori, esclusi anche in questo caso dalle "stanze dei bottoni".
Infatti, oltre al Presidente, è interamente di nomina il Consiglio di
Amministrazione, senza peraltro alcun vincolo per i suoi membri di competenza
gestionale riferibile alla ricerca. Il CdA è inoltre la vera "mente
gestionale" dell'ISS, essendo
previsti per lo stesso Presidente compiti
di natura "notarile".
A ciò si aggiunga che
non solo i ricercatori dell'Istituto sono esclusi dal CdA, ma anche il Comitato
scientifico non vede alcuna rappresentanza interna, togliendo così al personale scientifico la possibilità di avere voce in capitolo, oltre che
dal punto di vista
gestionale, anche da quello progettuale.
Ciò a fronte di una struttura amministrativa "pesante"
ereditata dal passato, con la prospettiva inevitabile che tale struttura
continui a condizionare negativamente, non bilanciata adeguatamente da istanze scientifiche autorevoli e partecipate
dagli "addetti ai lavori", l'attività di ricerca dell'Istituto.
Per
quanto riguarda l'ISPESL, nulla si è
finora mosso, né il Ministero della Sanità si è preoccupato di produrre documenti
o schemi circa gli indirizzi e le modalità di attuazione del disposto del
D.Lgs. 419/99.
Tale
situazione, specie se rapportata alla solerzia con la quale si è invece
provveduto per l’ISS, appare del tutto inspiegabile con motivazioni di merito,
ed è motivo di grave preoccupazione nel personale, per l’ipotesi di
commissariamento dell’ente, prevista dallo stesso D.Lgs. 419/99, che
deriverebbe dal perdurare della attuale situazione.
I decreti delegati non hanno toccato,
nelle loro azioni di riordino, l'ISTAT. Nell’agosto 2000 la Presidenza del
Consiglio dei ministri ha però approvato il nuovo regolamento di organizzazione
dell'ISTAT che, in adeguamento alle disposizioni del D.Lgs. 29/93, definisce e
distingue le competenze di indirizzo (proprie degli organi di governo) da
quelle di gestione (affidate alle strutture organizzative dell'Istituto). Vengono istituiti 76 uffici dirigenziali, di
cui 22 sono uffici dirigenziali generali (direzione generale, dipartimenti e
direzioni centrali). A questi ultimi sono preposti, per una durata variabile da
due a sette anni, dirigenti generali , ai quali viene attribuito il relativo
trattamento economico della dirigenza di prima fascia. Viene così introdotta
una separazione tra l’attività di produzione e, in misura sempre più ridotta,
di ricerca (assegnata ai ricercatori e tecnologi) e una funzione manageriale,
di livello superiore, che coordina e, di fatto, controlla l’attività di
ricercatori e tecnologi.
Il fatto che questi dirigenti generali
siano scelti tra i dirigenti di ricerca
e tecnologi dell'ISTAT (solo per la scelta del direttore generale o i capi
dipartimento si può far ricorso ad esterni nel numero massimo di tre)
costituisce una vera e propria novità che, sia pure per incarichi a tempo determinato, apre a ricercatori e
tecnologi l’accesso alla carriera dirigenziale tecnico-scientifica.
Tra gli aspetti più critici di questo
nuovo assetto organizzativo si segnala l’accresciuto ruolo del Consiglio
dell’ISTAT al quale vengono affidate funzioni di indirizzo ancor più
vincolanti, per le strutture dell’Istituto, di quanto non avvenisse in
precedenza.
Il ruolo del Direttore Generale, inoltre,
risulta fortemente ridimensionato, limitandosi ora a svolgere funzioni di “coordinamento amministrativo”. Viene così
a mancare, a fronte di un’accresciuta autonomia dei Dipartimenti, il
coordinamento tecnico-scientifico necessario ad assicurare collaborazione e
integrazione tra i vari settori dell’Istituto.
In assenza di una struttura di rappresentanza
della comunità scientifica interna, il
potere reale è, quindi, tutto nelle mani degli organi di governo (Presidente e
Consiglio) che sono entrambi di nomina governativa: in questo modo si è
ulteriormente evidenziato il carattere
di ente “eterodiretto” che ha sempre caratterizzato l’ISTAT.
Nel complesso, il nuovo regolamento
ripropone e accentua il carattere verticistico e piramidale dell’organizzazione
del lavoro dell’ISTAT e rafforza il carattere di ente vincolato alla
produzione: per le posizioni dirigenziali, infatti, è prevista una
valutazione che consiste
nell’accertamento della congruenza tra gli obbiettivi produttivi fissati per le
varie strutture (dipartimenti, direzioni centrali, ecc.) e i risultati. Questo
vincolo, inevitabilmente, si propagherà a cascata per tutta la “catena di
comando”, limitando ulteriormente gli spazi di autonomia di ricercatori e tecnologi.
L'accentuazione dell'eterodirezione
dell'ente e la limitazione dell'autonomia di ricercatori e tecnologi pone seri
interrogativi sul ruolo che l'ISTAT potrà svolgere in futuro riguardo ai suoi
compiti istituzionali: la presenza di una forte, autorevole e riconosciuta
comunità scientifica interna rappresenta infatti la migliore garanzia
dell'autonomia, indipendenza e imparzialità, che sono richieste all'ISTAT come
ad ogni altro organismo deputato alla "statistica ufficiale".
Forse la verifica, prevista entro ottobre
2001, delle linee fondamentali di organizzazione da parte del Consiglio
potrebbe rappresentare un momento di riflessione e di “correzione del tiro” per
dare all’ISTAT un’organizzazione idonea anche ai sui compiti di ricerca.
La ricerca
nel settore agricolo in Italia vede la presenza di un numero notevole di
Facoltà di agraria, di numerosi Istituti CNR, strutture regionali, fondazioni
private ed un insieme di enti facenti capo a quello che era chiamato fino a
qualche tempo fa Ministero
dell’Agricoltura e che poi, immutato nella sostanza, ha cambiato diverse volte
denominazione, per sfuggire alle conseguenze di un referedum abrogativo.
La rete di
enti ministeriali detta degli Istituti per la Ricerca e la Sperimentazione in
Agricoltura (IRSA) era stata creata nel 1967 e integrata nel 1973, a partire da
un certo numero di Stazioni Sperimentali preesistenti, con l'obiettivo di
introdurre una prima omogenizzazione in enti separati e diversi, in attesa di
una prossima più compiuta riforma che avrebbe dovuto riorganizzare l’intera
rete su basi moderne.
A distanza di quasi 30 anni, nell'ambito del riordino del sistema
ricerca ex Legge 59/97, è stato istituito con il D.Lgs. 454/99 un unico ente,
il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRSA), che
accorpa i 23 IRSA ed altri 5 enti simili (Ufficio centrale di economia agraria,
Laboratorio centrale di idrobiologia, ecc.) in un’unica struttura. A tale
struttura, che in termini dimensionali comprende poco più di mille addetti ed è
sottoposta alla vigilanza del MIPAF, è conferita autonomia scientifica ed
organizzativa simile per molti aspetti a quella del CNR.
Nel
Decreto, che riprende varie disposizioni particolari previste per il riordino
del CNR, è definito uno schema generale dell’ente (gli indirizzi, le finalità,
gli organi e le entrate finanziarie) demandando allo statuto tutti i dettagli
della struttura e dei vari regolamenti. Ne consegue che, allo stato, restano
tutti da definire operativamente i problemi dei rapporti del CRSA con le altre
strutture di ricerca, gli organi di governo del territorio, a livello nazionale
e locale, oltre che con il mondo produttivo.
Su questi
argomenti le problematiche sono comuni a quelle di altri settori disciplinari
con l’aggiunta della peculiarità del settore agricolo data da rilevante e
predominante intervento pubblico, giustificato, oltre che dall’importanza del
settore come attività produttiva, dal ruolo che potrebbe svolgere come fattore
di conservazione del territorio.
Solo a
ridosso della fine della legislatura, ad un anno e mezzo circa dall’emanazione
del D.Lgs. 454/99, il Governo ha ritenuto di procedere alla nomina di
Presidente e Consiglio di Amministrazione, adempimento necessario per l'avvio
della fase di predisposizione dello statuto del CRSA.
Le
osservazioni fatte sul riordino degli altri enti rimarcano la necessità di un
deciso coinvolgimento dei ricercatori del CRSA
nelle prossime fasi di emanazione dello statuto e dei regolamenti. Le
competenze scientifiche e le esperienze della comunità scientifica dell’ente
sono essenziali per dare reale efficacia al riordino delle attività di ricerca
nel settore agricolo avviato con l’istituzione del CRSA.
Per l’Istituto Nazionale della Nutrizione
(INN) il riordino, disposto dal sopra citato D.Lgs. 454/99, ha comportato prima di tutto il cambio
della denominazione che è diventata Istituto Nazionale di Ricerca per gli
Alimenti e la Nutrizione (INRAN).
I compiti dell’ente sono stati ampliati:
educazione alimentare, formulazione di raccomandazioni nutrizionali, sicurezza
alimentare in collaborazione con l'ISS. C’è da rilevare che gli ulteriori
compiti previsti venivano di fatto già svolti dall'INN.
Il riordino è tuttora in itinere.
Nell'agosto 2000 è stato nominato, in sostituzione di un primo commissario, un
nuovo commissario a tutt’oggi ancora in carica; di conseguenza, non sono ancora
stati nominati gli organi istituzionali previsti dalla riforma: Presidente e
Consiglio di Amministrazione. Consiglio
scientifico. L'insediamento del nuovo Presidente appare comunque ormai
imminente.
Va positivamente rilevato che le risorse
dell’ente sono sostanzialmente cresciute ed è imminente una tornata di concorsi
che dovrebbe sia ridimensionare il numero dei precari, considerevolmente salito
negli ultimi tempi, sia offrire delle opportunità di progressione in carriera
ai ricercatori già di ruolo.
L'ENSE è in fase di riorganizzazione ai
sensi del citato D.Lgs. 454/99. Attualmente non è stato costituito ancora
il Consiglio di Amministrazione, ma
nominato un commissario straordinario.
Il Decreto prevede un Consiglio di
Amministrazione composto da 7 membri, quindi una struttura più snella di quella
precedente. Sembra che anche la nomina di questo organismo e del Presidente
possa avvenire in tempi relativamente brevi.
L'art. 16 del decreto prevede, entro 6
mesi dall'insediamento del CdA, la deliberazione dello Statuto, del regolamento
di amministrazione e contabilità, del regolamento di organizzazione e
funzionamento, la ridefinizione della
dotazione organica del personale.
Rispetto ai compiti che l’art. 12 del D.Lgs.
454/99 attribuisce all’ENSE, ed in particolare per quanto concerne i punti b, c
e d dell’art. 12, andrebbero prioritariamente enfatizzate le attività di
ricerca che riguardano: le analisi ed i controlli qualitativi delle piantine di
ortaggi e dei relativi materiali di certificazione; gli esami tecnici per il
riconoscimento varietale e brevettuale delle novità vegetali; la messa a punto
di nuove metodologie per la valutazione tecnologica e varietale delle sementi.
L'Istituto di Studi e
Analisi Economica è stato istituito nel 1999, nell'ambito del processo di
riorganizzazione e unificazione dei Ministeri del Tesoro e del Bilancio e della
Programmazione Economica, operate dalla Legge n. 94/1997. Esso è nato, con
D.P.R. 28 settembre 1998, n. 374, dalla fusione di altri due enti di ricerca
pubblici, l'Istituto Nazionale per lo Studio della Congiuntura (ISCO) e
l'Istituto di Studi per la Programmazione Economica (ISPE), che fino al 1998,
avevano fornito supporto tecnico al Ministero del Bilancio, per le analisi di
breve e di medio-lungo periodo.
L'Istituto è retto da un
Presidente e da un Comitato Amministrativo. Un Consiglio scientifico di nomina
ministeriale è deputato a formulare pareri e proposte per la predisposizione
del programma di ricerca.
Lo statuto dell'ISAE ha
introdotto la figura del Segretario Generale, con compiti di collaborazione con
il Presidente. L'esecuzione delle delibere del Comitato Amministrativo è
affidata al Direttore Generale.
La fusione
ha lasciato sostanzialmente immutati i problemi che già caratterizzavano
l’organizzazione della ricerca all’ISPE. In particolare assume rilievo
particolare che non vi sia di fatto un programma complessivo di ricerca e che
le attività portanti dell’ISAE siano costituite quasi unicamente da Rapporti
trimestrali.
Tali
Rapporti sono elaborati con un approccio accentrato e gerarchico che non lascia reali spazi di autonomia ai ricercatori
e tecnologi, neppure a quelli che rientrano nella cosiddetta “sfera del
coordinamento”.
Quanto
evidenziato si traduce nel fatto i documenti e gli altri prodotti dell’ISAE non
fanno alcun riferimento alle attività che i ricercatori e i tecnologi svolgono.
Più in generale non vi è attribuzione di titolarità per tutte le varie sezioni
dei rapporti e dei bollettini.
Non viene
data pubblicità alle ricerche in corso, alle linee di raccordo tra esse ed al
programma complessivo di attività nel cui ambito le attività di ricerca si
dovrebbero collocare.
Non
vengono ovviamente favorite iniziative di ricerca, impedendo qualsiasi tipo di
“contatto esterno”: non vengono
autorizzate le rarissime richieste di missione e sono ostacolati gli incarichi
esterni conferiti a ricercatori e tecnologi.
Il quadro
è ancora integrato, in negativo, dall’assoluta mancanza di iniziative per la
formazione.
La
politica delle risorse umane, anche con riguardo ai criteri di reclutamento del
personale precario ed ultraprecario, è assolutamente inadeguata. La gestione
dei concorsi all’ISAE ha raggiunto livelli tali da snaturare ad un tempo
l’istituto del concorso pubblico e la figura professionale di ricercatore e
tecnologo.
Nei bandi
sino ad ora predisposti sono state richieste competenze settoriali e/o
requisiti per l’ammissione così restrittivi da impedire, di fatto, ogni utile
partecipazione di ricercatori e tecnologi che, pur avendo prestato (e
prestando) regolarmente la propria attività nell’Istituto, non rientrano in
tali “fotografie”.
Il D.Lgs. 300/99 ha confermato la presenza dell'ISFOL
nel comparto degli enti pubblici di ricerca, mentre con il successivo D.Lgs.
419/99, si è provveduto al suo riordino, a norma degli articoli 11 e 14 della
l. 59/97.
In particolare, l'art. 10, comma 1, stabilendo che
"l'Istituto per lo sviluppo e la formazione dei lavoratori (ISFOL) è ente
di ricerca, dotato di indipendenza di giudizio e di autonomia scientifica,
metodologica, organizzativa, amministrativa e contabile, ed è sottoposto alla
vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale" amplia rispetto
al passato l'autonomia dell'Istituto, estendendola agli aspetti amministrativi
e contabili.
Il Consiglio di
Amministrazione, con una sua recente delibera del febbraio 2001, ha approvato
il nuovo statuto dell'ISFOL che è attualmente all'esame degli organi
competenti. Precedentemente il CdA, nel dicembre 2000, aveva provveduto a
nominare il nuovo Direttore Generale, mentre è in corso di registrazione presso
la Corte dei Conti la nomina del nuovo Presidente dell'ISFOL.
L’ANPA,
pur essendo stata inserita nel comparto degli enti pubblici di ricerca, tramite
accordo ARAN-OO.SS. sin dal gennaio1998, è stata da sempre organizzata in modo
formale e burocratico, con una articolazione in molteplici livelli di
responsabilità, che ne hanno evidenziato il carattere di ente di servizio a
discapito delle attività di studio e ricerca e della autorevolezza
tecnico-scientifica in campo nazionale e internazionale, pure prevista dalla
legge istitutiva dell’agenzia come sua caratteristica fondamentale.
Da questo
punto di vista l’attuale gestione dell’ANPA ha mancato totalmente gli obiettivi
previsti dalla legge istitutiva.
I
ricercatori/tecnologi sono completamente esclusi dal governo dell’agenzia, pur
essendo in qualche modo sentita la necessità di sottoporre la gestione delle
attività all’indirizzo ed al controllo della comunità scientifica, raggiunto
attualmente con l’istituzione di una Consulta tecnico-scientifica di circa 70
membri, della quale però fanno parte per lo più professori universitari esterni
e non un solo ricercatore dell’ANPA.
Per di
più, l’attuale dirigenza è talmente convinta che le attività di ricerca esulino
totalmente dalle attività dell’agenzia, da non aver previsto nemmeno un
ricercatore in pianta organica.
All’azzeramento delle attività di ricerca interne, almeno dal punto di
vista della rilevanza, fa riscontro una intensa attività di promozione della
ricerca attraverso l’affidamento di contratti esterni che ha comportato spese
per l’agenzia dell’ordine della metà del bilancio dell’anno 2000, e che è
previsto di livello analogo nel bilancio di previsione per il 2001: nel
contempo l’agenzia svolge una prevalente attività di tipo relazionale, pur
avendo ereditato dalle attività sul nucleare un notevole ed articolato gruppo
di capacità professionali tuttora sottoutilizzate.
Il quadro
attuale è quindi desolante ed analogo a quello che ha visto nel passato
trasformare l’ENEA da ente di ricerca ad ente di promozione della ricerca, e la
distruzione delle professionalità presenti nell’ente con la conseguente crisi
attuale di organizzazione e di attività.
L’ANPA si
avvia quindi a diventare un ente per la gestione dei rilevanti fondi che
vengono assegnati per fronteggiare le notevoli emergenze ambientali, anziché
costituire, congiuntamente alle altre Istituzioni che operano nel settore, un
riferimento per il coordinamento ed il raccordo delle ricerche nel campo
ambientale.
Le
modifiche istituzionali introdotte dal D.Lgs. 300/99 ad appena 7 anni dalla sua
istituzione (1994) non fanno che accentuare la connotazione di ente a carattere
burocratico-amministrativo, che la presente gestione ha strumentalmente
perseguito: ciò avverrà attraverso l’assimilazione della nuova “Agenzia per
l’ambiente ed i servizi tecnici” ad una direzione del ministero dell’ambiente,
con il risultato di porre le attività e la gestione economica sotto il
controllo assoluto del Ministero dell’Ambiente.
Il decreto
prefigura anche l’uscita dell’ANPA dal comparto degli enti di ricerca tramite
l’assegnazione di un comitato di settore (Presidenza del Consiglio dei
Ministri) che è quello delle amministrazioni ed aziende autonome dello Stato:
presumibilmente l’idea dell’attuale Governo, quasi certamente condivisa dai
sindacati confederali che fino all’ultimo hanno impedito l’applicazione del
contratto degli EPR al personale dell’ANPA, è quella di istituire un
fantomatico comparto delle agenzie, nel quale far confluire tutte le agenzie
che nasceranno da strutture ex-ministeriali.
L’autonomia
scientifica dell’agenzia riceverà un colpo mortale e lo Stato resterà privo di
una autorità di coordinamento cui ricorrere nelle emergenze ambientali,
lasciando le competenze nell’attuale disintegrazione fra i vari enti che fanno
ricerca in campo ambientale, ivi inclusi soggetti non statali e di parte, quali
ad esempio, le associazioni ambientaliste, abdicando così ai suoi compiti di
garante nei confronti del cittadino, almeno per quanto riguarda la protezione
ambientale.
Non è molto difficile fare un bilancio
dell'impatto della riforma del sistema ricerca sull’assetto dell’INFN: infatti
tutto è rimasto praticamente immutato. Nulla è cambiato negli organi di governo
dell'ente ed in buona sostanza nulla è cambiato nel Regolamento Generale che ha
avuto soltanto aggiustamenti minimali e marginali di adeguamento alle
disposizioni del D.Lgs. 381/99, che ha esteso all'INFN alcune norme introdotte
per il CNR dal D.Lgs. 19/99.
Per quello che riguarda il governo
dell'ente, va rilevato che l'attuale assetto, comprendente un Consiglio Direttivo,
di cui fanno parte i Direttori delle Unità Operative e dei Laboratori
Nazionali, ed una Giunta Esecutiva (GE), composta dal Presidente e da quattro
membri nominati dal CD, appare
funzionale e migliore, dal punto di vista della presenza nel governo dell'ente
della comunità scientifica, di quello degli altri enti di ricerca. Sebbene
molto spesso il CD si limiti a ratificare decisioni prese dalla GE, di fatto
costituisce un organo di controllo sull'operato della GE e consente di far
sentire la voce delle strutture di ricerca.
L’ipotetica modifica dell'attuale assetto
con un CD più ristretto e di nomina governativa è stata ampiamente discussa, ma
è stata non a torto vista come potenzialmente pericolosa per l'indipendenza e
l'autonomia scientifica dell'ente.
Un'occasione importante è invece
sicuramente stata persa con la revisione del Regolamento Generale. In questo
caso non è stato assolutamente colto uno degli aspetti importanti della
riforma, quello cioè di valorizzare l'attività di ricercatori e tecnologi
attraverso una ragionevole progressione di carriera garantita dalla cadenza dei
concorsi, sancita dal Regolamento Generale, e modulata dalla necessità di
fabbisogno del personale regolata dal piano triennale.
Altra questione che avrebbe meritato
maggiore attenzione è quella della rappresentanza dei tecnologi nel CD, rimasta
unificata a quella del personale tecnico ed amministrativo. Tale situazione
risulta difficilmente comprensibile e certamente inconciliabile con la
pressante richiesta di trasferimento tecnologico che anima in molti aspetti la
recente riforma degli enti di ricerca.
E' auspicabile che questi temi vengano
ripresi in una prossima revisione del "Regolamento del personale",
non più toccato dal 1986 e quindi assolutamente urgente.
Con il D.Lgs. 540/99 sono state riordinate le Stazioni Sperimentali per
l'Industria. Si trattato in questo caso di un riordino sui generis in quanto le Stazioni sono state trasformate da enti
pubblici di ricerca in enti economici. La ratio
del provvedimento nel quadro complessivo della riforma è abbastanza
misteriosa, ma può certamente ascriversi al rafforzato concetto delle
"competenze ministeriali''.
Varie
norme in materia di ricerca, sparse in precedenti provvedimenti legislativi,
sono state rivisitate nel D.Lgs. 297/99 "Riordino della disciplina e
snellimento delle procedure per il sostegno della ricerca scientifica e
tecnologica, per la diffusione delle tecnologie, per la mobilità dei
ricercatori". In particolare il decreto riprende norme del cosiddetto
pacchetto Treu: i ricercatori possono essere temporaneamente distaccati presso
soggetti industriali ed altre iniziative, su richiesta degli stessi soggetti e
previo assenso dell’interessato, per un periodo non superiore a quattro anni,
rinnovabile una volta, presso soggetti
industriali e assimilati ad iniziative economiche. A quanto risulta tali norme
sono risultate finora prive di una significativa efficacia, ma in qualche caso
hanno rappresentato per gli enti di ricerca una perdita di competenze senza
contropartita.
In
conclusione, il bilancio della stagione delle riforme del sistema ricerca
presenta alcuni punti positivi ma anche molti punti negativi: sono stati
certamente introdotti diversi elementi di razionalizzazione, ma non si è certo
ottenuta quella "riconduzione a sistema" che il Governo aveva
dichiarato di volere realizzare. Dopo il decreto quadro 204/98, gli interventi
si sono frazionati al di fuori di una impostazione coerente ed unitaria, con
una progressiva accentuazione della decretazione nell'approssimarsi della
scadenza della delega. Il ruolo della comunità scientifica nella fase di
determinazione delle scelte di politica scientifica e di programmazione della
ricerca, sia a livello nazionale sia a livello di ente, è uscito sminuito dai
decreti, a favore di quello di consiglieri ed esperti di nomina ministeriale.
Del tutto deludente e per diversi aspetti negativo è il quadro che
riguarda i ricercatori degli enti, come è stato più volte richiamato. Unici
elementi positivi che possono essere riscontrati sono il riconoscimento
dell'esigenza di regolamentare i concorsi a ricercatore o tecnologo per settori
scientifici o tecnologici, e l'affermazione del principio che lo status
del ricercatore deve essere in una
qualche misura definito per legge. Tale principio, tuttavia, non ha ricevuto
nei decreti alcuna sostanziale applicazione.
Proprio la mancata valorizzazione degli "addetti ai lavori",
cioè della comunità scientifica in generale e, per quanto riguarda gli enti
riordinati, della comunità scientifica interna, risulta come l'errore
fondamentale che è stato commesso nella impostazione e nell'attuazione del
processo riformatore. L'esperienza dell'INFN, ente spesso citato come modello,
tanto da non essere stato oggetto di un riordino specifico, e nel quale vige a
tutti i livelli il principio dell'autogoverno della comunità scientifica (lo
stesso Presidente è indicato dall'interno), avrebbe dovuto costituire il
paradigma del riordino degli altri enti, invece che l'eccezione rispetto a uno
schema generale di impronta verticistica.
Sarebbe certamente irresponsabile ora la pretesa di azzerare la riforma,
in quanto ciò provocherebbe la sicura paralisi del sistema. Risulta tuttavia
doveroso ed urgente che si predispongano i correttivi opportuni per rimettere
sulla strada giusta il processo avviato.
Occorre innanzitutto affermare in modo chiara e netto la centralità dei
ricercatori e di conseguenza realizzare atti concreti e programmati in questa
direzione.
Si tratta in particolare:
-
nell'immediato,
di adottare da parte del Governo un'iniziativa "ponte" che, prendendo
atto del ritardo e delle difficoltà del rinnovo contrattuale 1998-2001, realizzi
il riallineamento delle retribuzioni di ricercatori e tecnologi degli enti di
ricerca a quelle dei ricercatori e professori delle università, che
costituiscono le naturali figure di riferimento.
-
Di definire per
via legislativa, all'avvio della nuova legislatura, uno stato giuridico dei
ricercatori degli enti di ricerca omogeneo con quello dei ricercatori e
professori universitari ed esteso, per quanto applicabile, ai tecnologi, che
sottragga alla contrattazione almeno le materie che più ne caratterizzano le
professionalità: reclutamento, progressione in carriera, mobilità, diritti e
doveri.
-
Nel caso di
mantenimento di elementi di contrattualizzazione del rapporto di lavoro di
ricercatori e tecnologi relativi a
materie diverse da quelle da riservare alla legge, di prevedere comunque che la contrattazione avvenga in apposita e
separata area con la partecipazione delle OO.SS. rappresentative di ricercatori
e tecnologi.
-
Di rafforzare
finanziariamente, con interventi strutturali, il Piano nazionale di ricerca,
prevedendo in particolare forti investimenti sul capitale umano, per quanto
riguarda sia l'immissione nel sistema di giovani ricercatori sia
l'incentivazione e la progressione in carriera dei ricercatori già in servizio.
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Di individuare,
nell'ambito della riforma dei ministeri o al di fuori di essa, un organismo di
reale coordinamento della politica scientifica e tecnologica, che da un lato
superi l'attuale logica delle "competenze ministeriali" e dall'altro
eserciti compiti di indirizzo coordinato
e di vigilanza per gli enti di ricerca, in particolare per quanto
riguarda la approvazione dei piani triennali, le materie concorsuali, le
politiche del personale di ricerca.
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Di rivalutare,
nell'ambito del cervello del sistema, il ruolo dei Consigli Scientifici
Nazionali, rendendoli efficaci organismi di partecipazione delle rappresentanze
elettive della comunità scientifica alla programmazione della ricerca
nazionale.
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Di rivedere i
decreti di riordino degli enti prevedendo la partecipazione dei ricercatori al
governo ed alla programmazione della ricerca dei rispettivi enti.