UNIRI (ANPRI-EPR, CIDA-Ricerca)
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ANPRI-EPR
Associazione Nazionale Professionale Ricercatori Enti Pubblici di Ricerca

LETTERA APERTA AL GOVERNO
SULLA SITUAZIONE DELLA RICERCA SCIENTIFICA ITALIANA


I ricercatori e tecnologi degli Enti di ricerca che si riconoscono in
questa Associazione hanno in diverse occasioni rilevato che finora
l'attuale Governo non ha dato alcuna concreta prova di considerare la
ricerca scientifica una priorita' per il Paese. Siamo infatti ancora in
attesa di interventi governativi che invertano la tendenza in atto alla
"svalorizzazione dei ricercatori" in materia di ruolo negli Enti di
ricerca, di contratto di lavoro, di stato giuridico del personale
scientifico e tecnologico che opera nel sistema della ricerca pubblica.

Da ultimo, in occasione della discussione parlamentare della legge
finanziaria 2002, abbiamo riscontrato che il testo approvato dal Consiglio
dei Ministri prevede tagli di spesa e altre norme che destano
preoccupazione per lo sviluppo scientifico e tecnologico del nostro Paese,
quali il blocco delle assunzioni da parte degli Enti di ricerca e la
possibilita' che gli Enti stessi siano trasformati in "societa' per azioni o
in fondazioni di diritto privato".

Successive precisazioni da parte di esponenti del Governo hanno in parte
attenuato le preoccupazioni emerse, tuttavia l'articolo dell'On. Pacini su
La Stampa di sabato 20 ottobre, che individua la soluzione dei problemi
della ricerca italiana nella chiusura del CNR e nella sua frammentazione in
fondazioni private, e gli interventi che ne sono seguiti, riportano in
primo piano la questione di quali siano i reali nodi della ricerca nel
nostro Paese e quali siano gli interventi piu' adatti a scioglierli.
Paradossalmente, la drastica opinione espressa dall'On. Pacini ha avuto il
merito di accendere un ampio dibattito, come e' opportuno avvenga intorno a
temi che rappresentano fattori decisivi di crescita e di progresso.

Noi vogliamo contribuire al dibattito con queste considerazioni per meglio
mettere a fuoco il problema della ricerca scientifica nel nostro Paese,
nelle sue cause e nelle possibili soluzioni.
Innanzitutto consideriamo sbagliato ridurre i problemi della ricerca
italiana al problema CNR che da tempo infatti, pur rimanendo il maggiore
ente di ricerca, non e' piu' il perno del sistema della ricerca nazionale.
Attualmente gli interventi pubblici sono esercitati da una pluralita' di
soggetti, come il MIUR e altri Ministeri, che gestiscono direttamente
finanziamenti in ricerca ben superiori a quelli del CNR, il cui
finanziamento ordinario da parte dello Stato ammonta ormai a circa 1/13 del
totale dell'intervento pubblico. Stando ai dati ufficiali, il CNR non
risulterebbe affatto "da buttare" in quanto a produttivita' interna e
valore scientifico rapportati all'investimento, mentre riteniamo sia il
caso di riconsiderarne l'efficienza gestionale e l'efficacia complessiva;
comunque, fra gli Enti di ricerca non e' certo solo il CNR a far problema,
basti pensare all'ASI, che ha un bilancio confrontabile con quello del CNR
e la cui gestione e' stata piu' volte contestata anche da soggetti
istituzionali, e all'ENEA attualmente commissariato. Non si puo' inoltre
dimenticare che la piu' grossa anomalia del nostro sistema ricerca sta
nell'esiguita' dell'investimento privato, che e' ben piu' al di sotto della
media europea di quanto gia' lo sia l'investimento pubblico.

Sarebbe quindi piu' corretto considerare tutto il sistema della ricerca in
Italia, che comprende, oltre agli Enti di ricerca, le universita', le
pubbliche amministrazioni, le imprese. Il processo di riordino che ha
investito il sistema nella passata legislatura ha investito solo alcuni
settori del sistema stesso, non incidendo significativamente ne' sul
coordinamento degli interventi pubblici, che resta tuttora saldamente
ripartito per "competenze ministeriali", ne' sull'incentivazione della
ricerca privata. Per dare incisivita' alle poche risorse disponibili per la
ricerca in Italia occorre quindi innanzitutto che si affrontino e si
sciolgano in via definitiva questi nodi.

Ben venga quindi una attenta riflessione sul ruolo e sulle dimensioni
dell'intervento pubblico che consideri il contesto del Paese e il piu'
ampio contesto europeo in cui il nostro Paese si colloca. In particolare,
occorre ponderare con estrema attenzione quali potrebbero essere i vantaggi
di una "privatizzazione" della ricerca attualmente pubblica: viste le certo
non esaltanti prove date finora dalla ricerca privata che, oltre a non
essere paragonabile a quella dei nostri partners internazionali, presenta
un trend negativo d'investimento dovuto da un lato alla privatizzazione
delle grandi imprese di Stato e dall'altro alla progressiva acquisizione di
aziende italiane da parte di multinazionali, se ne deve concludere che
almeno nel medio periodo l'intervento pubblico debba essere mantenuto e
potenziato e che i vantaggi della privatizzazione siano tutti da
dimostrare. Se poi le privatizzazioni dovessero ridursi, come sempre, a
gestioni privatistiche di soldi pubblici, diversi esempi stanno gia' ad
indicare che su questa strada e' meglio neppure avventurarsi: vedi i gia'
richiamati casi dell'ASI e dell'ENEA.

Sarebbe comunque riduttivo e insufficiente incentrare tutta la riflessione
sulla convenienza o meno di operazioni di ingegneria istituzionale. La
questione ineludibile e' infatti quella della valorizzazione e
incentivazione dei ricercatori. I ricercatori italiani sentono piu' di ogni
altro il disagio della ricerca in Italia: sono pochi, sottopagati rispetto
ai loro colleghi operanti all'estero, con scarse possibilita' di carriera,
assillati dalla burocrazia, e, last but not least, all'interno di un
sistema ricerca nel cui ambito steccati ed ostacoli impediscono una vera
mobilita' tra istituzioni scientifiche, elemento vitale per lo sviluppo
della scienza. In queste condizioni, pensare ad un rientro di cervelli
emigrati all'estero o addirittura ad attirare cervelli stranieri risulta
del tutto ingenuo. Quand'anche un ricercatore operante all'estero fosse
attirato da maggiori finanziamenti per la propria ricerca, nel momento in
cui si vedesse proposto il recente contratto di lavoro dei ricercatori del
comparto degli Enti di ricerca o, peggio ancora, quello dei ricercatori
dell'ENEA risulterebbe del tutto improbabile che scelga davvero di
stabilirsi nel nostro Paese!

La complessita' dei problemi deve mettere in guardia contro ogni pretesa di
avere soluzioni pronte e immediate. Troppe riforme studiate a tavolino
senza confronto approfondito con la realta', spesso rimaste sulla carta,
sono li' a dimostrare la inconsistenza di simili pretese. Riteniamo quindi
necessario ed urgente che il Governo apra un confronto serio e approfondito
con la comunita' scientifica italiana che e' senz'altro in grado di dare
indicazioni preziose per la predisposizione degli interventi che al Governo
competono, sempre che quest'ultimo superi la tradizionale mancanza di
consapevolezza sul ruolo strategico della ricerca scientifica che e' stata
finora propria della classe politica italiana, quale che fosse lo
schieramento di appartenenza. Come contribuito all'avvio di tale confronto,
al quale i ricercatori degli Enti di ricerca non mancheranno di assicurare
fattivi contributi, riproponiamo le nostre linee guida di intervento nei
confronti del sistema degli Enti pubblici di ricerca e dei relativi
ricercatori, linee gia' esposte in maggior dettaglio nel nostro documento
del marzo scorso "La riforma del sistema ricerca ex legge 59/97: un'analisi
critica".

A nostro avviso occorre innanzitutto valorizzare e potenziare il sistema
degli Enti pubblici di ricerca, consentendo loro di realizzare
significative concentrazioni di risorse su programmi pluriennali propri o
proposti da soggetti esterni. Oggi il sistema e' gia' troppo frammentato
per proporre ulteriori frammentazioni. L'esperienza ha dimostrato come il
proliferare degli organismi, anche se motivata dal nobile intento di creare
strutture agili che meglio si interfaccino da un lato con il potere
politico e dall'altro con i possibili fruitori della ricerca, ha poi fatto
prevalere interessi clientelari e lobbies di varia natura sulle esigenze
scientifiche sostenute dai ricercatori. Riteniamo percio' che oggi sia
opportuno invertire tale tendenza e valutare invece quali accorpamenti si
potrebbero realizzare aumentando l'efficienza complessiva senza snaturare
l'esistente: esistono Enti di ricerca con le dimensioni di un medio
Istituto del CNR, che potrebbero quindi essere ricompresi all'interno di
questo.

Riteniamo inoltre che la connotazione del CNR come Ente mutidisciplinare
sia un valore aggiunto che non vada disperso. La riforma avviata presenta
vistose carenze da noi gia' a suo tempo denunciate e ora da molti
riconosciute, quali la mancanza di un raccordo tra le strutture
scientifiche e il vertice dell'Ente tramite organismi scientifici intermedi
con funzioni di supporto alla programmazione delle attivita', e la mancanza
di una presenza istituzionale dei ricercatori negli Organi direttivi.
Correttivi in tal senso sono quindi necessari ed urgenti. Il modello del
CNRS francese, Ente analogo al CNR in un Paese non a caso ben piu' avanzato
del nostro nella ricerca, puo' essere l'utile riferimento.

Le forme di partecipazione della comunita' scientifica alla proposta dei
temi di ricerca e alla gestione della ricerca stessa vanno comunque
riconsiderate per tutti gli Enti di ricerca, laddove la riforma ha sempre
privilegiato il criterio della nomina politica rispetto a quello della
designazione da parte della comunita' scientifica. Si rifletta sul fatto
che proprio l'Ente spesso citato come modello, l'INFN, e' l'unico che ha
Organi di governo eletti dalla comunita' scientifica interna, che indica
anche il Presidente; la stessa comunita' partecipa pienamente alla proposta
dei temi di ricerca e alla gestione della ricerca stessa.

L'autonomia degli Enti di ricerca e' un valore costituzionale da difendere
contro ogni attacco, tuttavia l'autonomia e' un valore vero soltanto se
congiunta all'autogoverno dei ricercatori, la cui indipendenza deve essere
garantita da uno status pubblico (necessario in un paese in cui e'
totalmente assente il "mercato della ricerca" che limiterebbe il pericolo
di avere dei ricercatori asserviti a interessi politici od economici).
Operativamente, va garantita negli organi di governo e di programmazione
scientifica degli Enti di ricerca la presenza della comunita' scientifica
interna, contrastando cosi' la tendenza a ricorrere a "esperti" esterni
superpagati o a improbabili "manager" della ricerca.

Tornando alla mobilita', che come gia' ricordato costituisce un elemento
vitale per i sistemi scientifici, occorre prendere atte del fatto che da un
lato la mobilita' da e per il sistema delle imprese restera' praticamente
inesistente finche' il mercato privato non riflettera' le tendenze e le
dimensioni europee e nordamericane, dall'altro la mobilita' in ambito
pubblico e' realizzabile solo in presenza di status e di trattamento
retributivo comparabili. In concreto, occorre quindi intervenire per
omogeneizzare status e trattamento economico dei ricercatori degli Enti di
ricerca con quelli universitari come questa Associazione va chiedendo da
tempo.

Siamo fermamente convinti che la valorizzazione del capitale umano
costituito dai ricercatori sia, in definitiva, il presupposto per la buona
riuscita di qualsiasi azione di riforma del sistema ricerca. E' con questa
convinzione che confidiamo che l'acquiescenza del Governo alle azioni di
"svalorizzazione" che ancora hanno colpito i ricercatori negli ultimi tempi
e l'assenza di interventi positivi nonostante le ripetute sollecitazioni
siano imputabili al periodo di "rodaggio" del Governo e della maggioranza
che lo sostiene, e che presto i ricercatori possano ricevere segni concreti
di una volonta' politica nuova nei loro confronti.

Il Segretario Generale ANPRI-EPR
Bruno Betro'