COMUNICATO

La delega al Governo per il riordino degli enti di ricerca approvata alla Camera

Lo scorso 30 gennaio la Camera ha approvato il DDL 2699 (Bassanini), già approvato dal Senato. Poichè la Camera ha introdotto diverse modifiche, il provvedimento deve essere nuovamente sottoposto all'esame del Senato.

Come è noto, il DDL Bassanini prevede diverse deleghe al Governo in materia di pubblica amministrazione, alcune delle quali riguardano il settore della ricerca.

Rinviamo l'analisi completa di queste deleghe ad un momento successivo, sulla base del testo definitivo; quello che qui vogliamo ancora stigmatizzare è il comportamento incoerente del Governo, già manifestatosi in diverse occasioni con la divaricazione tra le affermazioni di principio e i comportamenti pratici: situazione contrattuale dei ricercatori e tecnologi del comparto, contratto ENEA, contratto ANPA. Questa volta l'incoerenza del Governo ha raggiunto il suo culmine con un emendamento presentato in Aula a modifica del testo approvato in Commissione e sul quale il Governo stesso in tale sede si era allora dichiarato d'accordo.

Ci riferiamo ad un norma relativa allo stato giuridico, che nel testo approvato dalla Commissione Affari Costituzionali su parere della Commissione Cultura suonava come segue:

``[Il Governo è delegato a prevedere una] normativa sull'impiego e sullo stato giuridico dei ricercatori, che ne valorizzi la professionalità e l'autonomia e ne favorisca la mobilità interna ed esterna tra enti di ricerca, università, scuola e imprese.''

Pur nella fumosità del riferimento alla mobilità, veniva quindi affermata la necessità di una normativa specifica per i ricercatori, come l'ANPRI va sostenendo da sempre.

Ma evidentemente lo stato giuridico dei ricercatori è uno di quegli argomenti di cui è bene non parlare, forse non è ``politically correct``, forse porta sfortuna, forse è già stato svenduto a qualche faccendiere della ricerca, chissà. Fatto sta che in Aula il Governo propone la propria autocensura, ed ovviamente ne ottiene l'approvazione, sostituendo la norma precedente con qualcosa di più blando, evidentemente più accettabile a qualcuno a cui tale norma aveva dato fastidio - non certo i ricercatori - :

``[Il Governo è delegato a prevedere] misure che valorizzino la professionalità e l'autonomia dei ricercatori e ne favoriscano la mobilità interna ed esterna tra enti di ricerca, università, scuola e imprese.''

Ad un deputato (De Murtas) che si dichiara non convinto della scelta di sopprimere la disposizione relativa allo stato giuridico dei ricercatori, si premura di rispondere il Ministro Bassanini, spiegandogli come l'intendimento del Governo sia unicamente quello di non interferire nell'ambito riservato alla contrattazione tra le parti sociali e dimenticandosi quindi, cosa incredibile per un Ministro per la funzione pubblica, che la legge ha voluto invece proprio riservare alla definizione per via legislativa, sottraendole alla contrattazione sindacale, norme fondamentali di stato giuridico, quale ad esempio il reclutamento e la progressione in carriera! Prevedere una normativa sullo stato giuridico dei ricercatori consentirebbe quindi di sanare l'attuale vuoto legislativo in materia.

Anche il Ministro Berlinguer si premura di rassicurare il deputato, facendogli notare che il Governo auspica la conclusione del contratto dei ricercatori e osservando che l'articolo 18, anche nel testo modificato dagli emendamenti approvati, non viene meno all'esigenza di una valorizzazione di tale categoria. Senza rilevare, cosa che male si addice ad un uomo di cultura come lui, la evidente incongruenza: se anche il secondo testo raggiungesse lo scopo del primo, non ci sarebbe motivo per sostituire questo con uno più vago.

Ma le incongruenze politiche sono ben più sostanziose: il Ministro Berlinguer ha più volte dichiarato la sua adesione ad un modello università-ricerca di accresciuta funzionalità basata anche sulla mobilità delle persone fra i due settori di utilizzo. La mobilità, per essere accettabile, ha come necessari presupposti l'equiparazione economica e l'equiparazione in termini di autogoverno ed autonomia; per realizzare il suo obiettivo il Ministro avrebbe quindi dovuto cogliere l'occasione per garantire il riempimento della riserva di legge con contenuti normativi che definiscano lo stato giuridico dei ricercatori e tecnologi.

L'altra incongruenza politica è ancora più evidente: come fà il Governo ad auspicare ``la conclusione del contratto dei ricercatori'' quando proprio su questo punto il Governo non ha dato nessun segnale tangibile di essere interessato ad un contratto per ricercatori e non per burocrati del pubblico impiego?

E' mai possibile che il Governo non si sia neanche accorto che proprio su questo obiettivo i sindacati della ricerca (ANPRI compresa) hanno indetto uno sciopero per il prossimo 14 febbraio?

E' mai possibile che il Governo non si renda conto che il paese si aspetta una politica della ricerca efficace e coerente?

E' mai possibile che il Governo, e in particolare i Ministri della Funzione Pubblica e dell'Università e Ricerca non si rendano conto che le soluzioni ai problemi di contratto e di stato giuridico dei ricercatori sono i necessari pilastri di una politica della ricerca?

O dobbiamo aspettarci di sentire anche da loro il ritornello per cui i problemi della ricerca si riducono al problema di aumento degli investimenti che, mancando i fondi, è desiderabile ma irrealizzabile?

E' ora che i ricercatori e tutti coloro che hanno a cuore il presente e il futuro della ricerca e dello sviluppo italiano pongano con forza queste domande al Governo, al Parlamento e a tutte le forze politiche.

La Segreteria Nazionale

Roma, 5 febbraio 1997