SUONO n. 291, Ottobre 1997, rubrica ABARTHIZZAZIONI
IL VADEMECUM DELL’ABARTHIZZATORE - Le Alimentazioni (seconda e ultima parte)
di Fabio Federici

Ci eravamo lasciati nella prima parte parlando di come sia facile per alcune componenti spurie provenienti dalla rete avanzare inesorabilmente fin oltre il trasformatore di alimentazione, e propagarsi, seppure in maniera attenuata, fin dentro i circuiti attivi dei nostri apparecchi.
Abbiamo detto di come spesso si possano notare, purtroppo, l’assenza di filtri d’ingresso di rete e l’assenza della presa di schermo nel trasformatore di alimentazione, e di che ruolo queste assenze giochino nel trasferimento dei segnali spuri di rete.
Faccio a questo punto un breve inciso per chiarire alcuni concetti che potrebbero sembrare a prima vista oscuri, e cioè quelli che ho chiamato nella prima parte "tensione di riferimento del segnale", insieme a quello di "massa" e di "terra".

MASSE E TERRA

Vorrei chiarire bene questi concetti perché mi è capitato qualche volta di leggere articoli dove alcune cose sono date del tutto per scontate, e che qualche volta possono ingenerare qualche confusione.
Che cos’è la tensione di riferimento di segnale?
Semplicemente una superficie equipotenziale a impedenza nulla (facendo quasi sempre riferimento al comportamento in continua), cioè un punto o un tratto di circuito posto ad una tensione alla quale tutte le tensioni presenti all’interno di un circuito fanno riferimento, che indicheremo per brevità d’ora in poi come la "tensione zero"; quando vedete in uno schema elettrico un punto del circuito con vicino segnato un numero, per esempio +100 Volt, significa che quel punto del circuito presenta (in condizioni di corretto funzionamento) una tensione di 100 Volt positivi.
Ma 100 Volt positivi rispetto a che?
Se non specificato diversamente, appunto alla tensione di riferimento, a quella che abbiamo chiamato la "tensione zero", quell’ideale "pavimento di tensione" che spesso viene idealizzato con un tratto continuo alla base del disegno del circuito; ovviamente le tensioni in un circuito possono assumere sia valori positivi che valori negativi rispetto alla "tensione zero", e questo è il caso, per esempio, delle alimentazioni duali, quando si deve alimentare un operazionale che ha bisogno di una coppia di tensioni positiva-negativa, per esempio, di +/- 15 Volt.
Anche in questo caso, ovviamente, i più o meno 15 Volt vanno sempre misurati rispetto alla "tensione zero".
Spesso, per praticità, come "tensione zero" viene assunta la tensione al capo negativo del condensatore di livellamento (o di uno dei condensatori di livellamento, quando ne sia presente più di uno) del circuito di alimentazione.
E allora la massa che cos’è?
I due termini vengono spesso usati per indicare la stessa cosa ma  in teoria sono cose diverse.
Per massa si intende la massa metallica dell’apparecchio (da cui deriva probabilmente il termine nella accezione italiana), cioè tutte quelle parti conduttrici che costituiscono lo châssis, i coperchi superiore ed inferiore, le basi e tutto quello che vi viene in mente; tutte queste parti (ho detto metalliche, quindi conduttrici) vengono utilizzate in un apparecchio come una gabbia di Faraday, cioè uno schermo elettrico, anch’esso per definizione equipotenziale, che isola l’interno dell’apparecchio stesso dall’esterno quando questo possibilmente è chiuso e quando queste parti metalliche (le "masse" appunto) vengono collegate al punto di "tensione zero" del circuito che abbiamo poco fa definito.
Quindi abbiamo visto come in teoria la "massa metallica" sia una cosa diversa dalla "tensione zero", e che diventano in pratica la stessa cosa quando vengono collegate insieme; in quest’ultimo caso tutte le superfici connesse elettricamente al contenitore, compreso ovviamente il tratto di circuito a potenziale zero,  sono isolate elettricamente dall’esterno e non risentono delle fluttuazioni assolute di tensione del contenitore stesso rispetto all’ambiente circostante.
Avrete sicuramente letto in qualche articolo di autocostruzione frasi del tipo: "... dopo aver collegato insieme tutte le masse del circuito (con connessioni del tipo a bus, o a stella o a base ramata dello stampato), collegate quindi con un unico cavo di consistente sezione un punto di questa massa al negativo del primo condensatore elettrolitico di alimentazione, dopodiché collegate quest’ultimo punto con un unico conduttore al telaio dell’apparecchio ...".
Questo è un esempio di come spesso ci si possa confondere nei termini, sembra che ci siano troppe masse; meglio e più chiaro sarebbe stato, per esempio, leggere: "... collegati tra loro tutti i punti del circuito a tensione di riferimento (o a "tensione zero"), collegate uno di questi punti, e solo uno, con il negativo del condensatore di alimentazione, dopodiché collegate quest’ultimo con un altro conduttore alle masse metalliche dell’apparecchio ...".
Il punto di giunzione tra la "tensione zero" del circuito e le "masse metalliche dell’apparecchio" costituisce quella che spesso per brevità viene definita la massa dell’apparecchio o massa di segnale o semplicemente la massa, che in inglese viene spesso citata come "analog ground".
Ora che è più chiaro che cosa si intende per massa ci rimane solo di chiarire che cos’è allora la "terra".
La "terra", o in inglese spesso "earth" o "earth ground" o anche solo "ground" (in inglese, in gergo elettrotecnico, to ground vuol dire mettere a terra), è il potenziale di terra, cioè il potenziale teorico della terra, del suolo, che viene supposto costante ma che costante purtroppo proprio non è, perché varia da punto a punto sulla superficie terrestre; spesso viene per definizione indicato come il "potenziale di terra" quando si parla di impianti di rete condominiali, o di impianti di sicurezza, ed è, per brevità il potenziale a cui si viene a trovare il sistema di paletti (quasi sempre di rame) che si pianta  più o meno in profondità, rispettando alcune opportune regole, nel terreno quando si voglia "mettere a terra" un impianto elettrico.
Qualcuno, arrivati a questo punto, dirà giustamente: ma queste tre cose coincidono nella realtà, ossia, preso un qualsiasi apparecchio che noi tutti abbiamo in casa siamo in grado di distinguere se queste tre tensioni, per definizione diverse, nella realtà coincidono perché da qualche parte un conduttore le unisce tutte?
Dipende, a volte si, a volte no.
Mi spiego meglio. Quasi sicuramente lo zero di riferimento e la massa metallica sono unite elettricamente fra loro a formare quella che quasi universalmente viene riconosciuta come la "massa" e che d’ora in poi chiameremo giustamente e semplicemente la massa.
Tanto per confondere le acque, a questo punto già sicuramente tormentate, vi ricordo che il prototipo del pre linea a batterie che l’amico Sarath Dissanayake e io vi presentammo qualche numero fa (per i più precisi ricordo che erano i numeri 257 e 258 di SUONO, di novembre e dicembre 1994) aveva sì un potenziale di riferimento ma non aveva masse metalliche in quanto il telaio era costituito da un piano di legno (il primo prototipo era sistemato su una basetta di condensato e la presenza di châssis metallici era considerata soltanto un "lussuoso" optional) e non aveva neanche alcun collegamento a terra proprio per il fatto che era alimentato a batterie e quindi volutamente e completamente isolato da terra; non solo, ma per utilizzare la resistenza anodica come potenziometro di uscita lo zero di segnale corrispondeva con il potenziale positivo anodico di batteria (stranezze dell’elettronica!).
Spesso anche la massa e la terra sono unite tra loro, ma non sempre.
Se torniamo indietro di qualche anno ricorderemo tutti che la quasi totalità degli apparecchi aveva allora le spine di alimentazione con soli due poli e quindi in quei casi la terra che noi avevamo collegata sulla presa a muro non poteva ovviamente arrivare all’interno di quegli apparecchi.
Un caso viceversa abbastanza noto a tutti in cui invece queste tre tensioni sono in realtà la stessa cosa è nel caso dell’impianto elettrico delle automobili.
La tensione di riferimento coincide con il morsetto negativo della batteria, il quale a sua volta è collegato con un cavo nero di sezione abbastanza grossa al telaio della macchina, la massa come abbiamo visto, la quale rappresenta per il veicolo in movimento anche la terra (anche se in maniera impropria).
Per vostra comodità e chiarezza ho riportato in Fig. 4 i simboli comunemente utilizzati negli schemi elettrici per quanto riguarda il riferimento di tensione e/o massa di segnale, e la terra; qualche volta negli schemi viene indicato esplicitamente un punto preciso del circuito collegato con un tratto di conduttore alla scritta "châssis".
Arrivo quindi al punto importante, dopo tutta questa disquisizione apparentemente senza senso, che è proprio l’utilità o meno del collegamento tra massa e terra.
Se partiamo dal presupposto, apparentemente corretto, che l’intera nostra catena amplificatrice, partendo dalla sorgente e finendo al finale (o ai finali) di potenza debba avere tutte le masse collegate a terra, abbiamo un impianto che è il massimo della sicurezza ma che forse (dico forse, quindi non sempre) rischiamo di non poter ascoltare per via degli effetti deleteri degli hum dovuti agli anelli di massa.
Spero vivamente che l’argomento degli anelli di massa sia chiaro perché sufficientemente affrontato in passato da questa come da altre riviste, e quindi, ormai sufficientemente digerito da tutti, e quindi passo velocemente alle conclusioni.
Il fatto ormai assodato è che il collegamento tra la massa e la terra è bene (direi in tantissimi casi indispensabile) che sia effettuato esclusivamente in uno degli apparecchi che compongono la catena audio e solo uno, ad esempio (ma è solo un esempio, per il resto ognuno si regoli come vuole) sul preamplificatore.
Sul preamplificatore quindi dovrebbe essere corretto collegare quello che abbiamo individuato come punto di massa dell’apparecchio (insieme allo schermo del trasformatore di alimentazione, quando presente), alla terra tramite il cordone di alimentazione, secondo le modalità che abbiamo già analizzato nella prima parte.
E per gli altri apparecchi come ci regoliamo?
Due alternative, brevemente.
Su tutti gli altri apparecchi si potrebbe eliminare il collegamento tra la massa e la terra agendo all’interno dell’apparecchio stesso, controllando che l’eventuale terzo conduttore proveniente dalla spina "muoia" senza collegarsi alla massa, oppure, senza aprire gli apparecchi, semplicemente troncando tutti i conduttori di terra superflui sulla ciabatta o sulle prese di rete; si parla in questi casi di masse completamente flottanti, in quanto senza alcun riferimento di tensione rispetto alla terra.
Un’altra alternativa consiste nell’avere la massa collegata alla terra ma solo in alternata, si parla allora di massa parzialmente flottante; questo tipo di collegamento si attua inserendo un condensatore del valore di qualche decimo di micro Farad tra la massa e la terra.
Vorrei a questo punto proporvi una soluzione che salva capra e cavoli, indicando, a quelli di voi che se la sentono di operare sui propri apparecchi, di trovare un punto dove fare un piccolo foro per inserirvi un piccolo deviatore con posizione centrale  (vedi I2 sullo schema di Fig. 7 ) con il quale vi sarà possibile utilizzare tre posizioni:
- la prima, quella centrale, per avere la massa completamente flottante;
- la seconda e la terza, le altre due cioè, per riferire completamente la massa a terra o solamente in alternata.
Per comodità questo deviatore dovrebbe essere inserito in tutti gli apparecchi collegati alla rete, di modo che ognuno possa scegliere quella che secondo lui dovrebbe essere la soluzione ottimale per il proprio impianto.
Armatevi di un po’ di pazienza e fate qualche prova preliminare prima ancora di fare buchi a pannelli o cose simili.
Procedete per piccoli tentativi facendo prima delle connessioni volanti con i cosiddetti mammut (connessioni a vite tipo da elettricista) su un apparecchio per volta; in particolare, quelli che hanno in casa problemi di ronzii o hum di massa, anche se di lieve entità, troveranno sicuramente per una delle combinazioni possibili per il commutatore I2 di Fig. 7 , una probabile eliminazione di tutti i disturbi.

QUALCHE SUGGERIMENTO

Vediamo ora altri piccoli accorgimenti che potreste utilizzare al fine di ottimizzare il rendimento delle vostre alimentazioni.
Uno consiste nell’utilizzare, se non è già presente, un buon interruttore bipolare di accensione (il perché è meglio utilizzare un bipolare piuttosto che un semplice interruttore spero sia a tutti chiaro) con in parallelo (vedi sempre schema di Fig. 7 ) due piccole reti RC serie; queste piccole reti servono a limitare la corrente in entrata dalla presa nel transitorio di accensione, con  particolare riguardo nei confronti dell’arco elettrico all’interno degli interruttori stessi, ma ancor più durante la fase di spegnimento, quando l’interruttore viene aperto e la corrente circolante nel primario del trasformatore cerca, almeno per brevi istanti, di continuare a circolare per via dell’alto valore dell’induttanza caratteristica del primario.
Eviterete che gli interruttori subiscano stress inutili che ne abbreviano la vita utile ed eviterete di disturbare il regolare funzionamento degli altri apparecchi.
A molti di voi sarà capitato di spegnere qualche apparecchio, magari soltanto uno in particolare, e proprio in quel momento di avvertire un forte "bump" sui diffusori; ebbene, questi bump sono fastidiosi per le orecchie, ma a volte anche dannosi, in quanto contengono impulsi molto pronunciati con un contenuto armonico molto esteso in frequenza.
Eviterete con questo piccolo ma utile accorgimento non solo fastidi ma anche inutili sovraccarichi, specialmente agli altoparlanti.
In Fig. 7 sono visibili, in parallelo ai diodi di raddrizzamento, dei piccoli condensatori; la loro funzione è quella di limitare la corrente circolante proprio nei diodi.
Dalle esperienze derivanti dalla realizzazione di alimentazioni di tipo switching, oggi sono facilmente disponibili sul mercato dei diodi del tipo a ripristino rapido (fast recovery), cioè in grado di riportare molto velocemente la corrente a zero nel passare dalla fase di conduzione alla fase di interdizione.
Questa caratteristica se da un lato ottimizza la funzionalità dei diodi, rendendoli sempre più simili a dei componenti "perfetti" e veloci, dall’altro sembra che la velocità di "chiusura" del diodo generi dei piccoli ma molto ripidi transitori di corrente; per cui questi condensatori servono proprio a scaricare queste correnti e per far questo devono essere saldati il più vicino possibile ai diodi stessi, possibilmente proprio sopra di loro.
Oltre a questo c’è da dire che il fatto che oggi a volte  vengano utilizzati spesso diodi di tipo fast recovery anche nelle alimentazioni lineari (o dissipative) fa si che le loro sempre più ottime caratteristiche di trasferimento di corrente impongono che le correnti di ricarica dei condensatori di livellamento siano sempre più simili a dei veri e propri "lampi" di corrente quando a valle del circuito di raddrizzamento non sia presente alcun dispositivo in grado di limitarne l’escursione; e questo è, guarda caso, proprio il caso del classico alimentatore di Fig. 1 (vedi prima parte) dove il condensatore C1 gioca la parte principale nell’assorbire la suddetta corrente.
Questi transitori di corrente sono via via più pronunciati quanto più è elevata la capacità di livellamento e quanto più sono basse le resistenze dei componenti che stanno a monte del condensatore stesso, a parità di corrente assorbita dal circuito.
Il fatto che nei circuiti tipo quelli della Fig. 1 sia presente un solo condensatore impone oltretutto che questo abbia una capacità relativamente alta.
Questa corrente (ripeto ancora di tipo transitorio o impulsivo, e quindi, se analizzata in frequenza, ricchissima di componenti ad alta frequenza) circola nell’anello composto dal secondario del trasformatore, almeno una coppia di diodi in conduzione e il condensatore di filtro, la qual corrente produce almeno due effetti di cui vale la pena tener conto.
Il primo è quello di produrre una corrente indotta, sempre di tipo impulsivo seppur attenuata, nel primario dello stesso trasformatore e quindi direttamente iniettata sul circuito di rete, quando tra il trasformatore e la presa di rete non ci sia un efficace "filtro di rete in uscita" (e purtroppo questo è ancora una volta il caso della Fig. 1 ), in grado quindi di propagarsi attraverso la rete fino agli altri apparecchi adiacenti per via condotta; oltretutto questi impulsi di corrente così pronunciati  pongono seri problemi di progettazione per il trasformatore per evitare che saturi.
Il secondo effetto di cui dobbiamo tener conto è che questa corrente, periodica ed impulsiva, scorre continuamente nel condensatore di livellamento C1, rifornendolo delle cariche che lo stesso condensatore perde per rifornire il carico, cioè il nostro circuito; ma in circuiti con questa topologia, cioè con un condensatore direttamente in parallelo al carico per quanto riguarda la tensione ma in serie per quanto riguarda invece la corrente, anche la corrente che scorre nel carico (modulata anch’essa) attraversa nel suo percorso di ritorno lo stesso condensatore C1.
Quindi abbiamo, almeno dal punto di vista teorico, due correnti che scorrono in C1: una è la corrente di ricarica dello stesso condensatore, l’altra è la corrente di segnale.
Il minimo che si possa pensare è che queste due correnti debbano  interagire tra di loro, anche per il fatto che C1 è di norma un grosso condensatore elettrolitico, quindi tutt’altro che un componente perfetto, molto lontano dal quel funzionamento teorico che di solito ci si aspetta da un condensatore; questo condensatore svolge in un circuito di alimentazione come quello della Fig. 1 la duplice funzione di livellatore e di accumulatore di energia per il circuito attivo.
Quindi, a meno di riprogettare un nuovo alimentatore, quello che di solito si può fare è sdoppiare queste due funzioni, come è indicato in Fig. 7
Il grosso condensatore C1 della Fig. 1 è diventato ora C7 in Fig. 7 , e, in questa circostanza, è lui a occuparsi del compito di livellare la tensione proveniente dai diodi che lo precedono, come di scaricare quasi tutte le componenti ad alta frequenza provenienti da tutto quello che gli sta a monte.
Il circuito di filtraggio e di immagazzinamento di energia vengono svolti dall’induttanza L1 e dal secondo condensatore C8.
Mentre nel caso della Fig. 1 , C1 doveva essere per forza di capacità molto alta, ora nel caso della Fig. 7 , C7 non è strettamente necessario che sia troppo grande, l’importante è che sia abbastanza veloce.
Non sono d’accordo quando leggo che in circuiti di filtraggio a pi greco (è questo il nome che viene dato alla triade C7-L1-C8) la qualità del primo condensatore (C7) non è necessario che sia troppo elevata e che conviene investire invece qualche lira solo sulla qualità del secondo condensatore (C8) che è il responsabile del passaggio della corrente di segnale; è vero che in questo caso la corrente di segnale passa quasi tutta in C8, ma è vero altresì che tutte le correnti impulsive dovrebbero passare attraverso C7, e questo può avvenire solo se il condensatore C7 è non solo buono ma di estrema qualità; in particolare la sua induttanza residua deve essere la più bassa possibile.
Queste due caratteristiche si ottengono utilizzando dei condensatori elettrolitici di qualità elevata, o con un parallelo di condensatori di più bassa capacità.
L’induttanza L1, se viene inserita sic et simpliciter in un circuito di alimentazione preesistente, non può essere di valore troppo elevato (alta induttanza uguale alta resistenza ohmica) altrimenti la tensione positiva uscente risentirebbe troppo della caduta di tensione, con l’effetto di avere forse una tensione continua più pulita al carico ma di valore sensibilmente più basso, e questo effetto se fosse troppo marcato non potremmo assolutamente permettercelo.
Nelle Fig. 5 e Fig. 6 ho riportato dei diagrammi temporali simulati di quello che succede alle tensioni e alle correnti dei circuiti di Fig. 1 e di Fig. 7 . I valori dei componenti sono: tensione alternata d’ingresso=100 V picco-picco, C1=1000uF, C7=500uF, C8=2000uF, L1=10mH + 1Ohm per un assorbimento medio del circuito di circa 500mA.

CONCLUSIONI FINALI

Chi ha voglia di fare qualche sperimentazione vuole ora necessariamente qualche suggerimento pratico; arrivo!
La mia personalissima ricetta in questo caso è questa.
Utilizzate per C7 un valore di capacità simile a quello originale di C1, come minimo la metà.
Analogamente prendete il valore di C1 e ora moltiplicatelo per un numero che può andare da due a cinque, in questo intervallo potrete scegliere il valore che darete a C8.
Per L1 regolatevi nel modo seguente: se l’apparecchio è a transistor e quindi probabilmente a bassa tensione e discreta corrente scegliete L1 con un valore pari a non più di dieci mH con una resistenza ohmica intorno all'Ohm o poco più, se l’apparecchio fosse a valvole allora la corrente sicuramente sarà di qualche ordine di grandezza inferiore e quindi L1 potrà essere di qualche centinaio di mH o al massimo di qualche Henry per una resistenza serie di qualche Ohm.
Se il circuito di raddrizzamento fosse realizzato con un diodo termoionico invece che con dei diodi a semiconduttore è molto probabile che il circuito di livellamento già sia configurato in modo simile a quello della Fig. 7 , e quindi in questo caso non molto altro da fare; il condensatore C7 in questo caso dovrà essere per forza di valore non troppo elevato per non sovraccaricare troppo la valvola diodo, per cui verificate soltanto la qualità di questo componente tenendo a mente i suggerimenti di cui sopra.
Detto dei valori passiamo al tipo.
Il condensatore C7 dovrà essere il più veloce possibile, quindi un tipo al polipropilene potrebbe essere l’ideale; nel caso non fosse possibile realizzare una capacità equivalente non troppo ingombrante utilizzate un solo elettrolitico di altissima qualità parallelato da un polipropilene o carta e olio del valore di qualche micro Farad.
Il condensatore C8 sarà ora probabilmente di grande capacità e quindi presumo che necessariamente dovrà essere del tipo elettrolitico; anche qui non lesinate con la qualità, parallelate come prima con qualche condensatore di qualità estrema del valore di qualche micro Farad, e, importantissimo, contenete al massimo la lunghezza così come la superficie utilizzata per i cablaggi.
L’induttanza L1 potrà essere del tipo avvolto in aria se il suo valore si aggirasse intorno a dieci mH, per valori maggiori di induttanza e/o per valori molto bassi della resistenza serie e/o per contenerne l’ingombro dovrete ricorrete per forza a induttanze avvolte su nuclei magnetici.
Otterrete così una capacità di livellamento nettamente superiore a quella del caso ipotetico di Fig. 1 e un discreto isolamento della corrente di segnale da quelle di pertinenza del circuito ricarica.
Mi sembra di aver detto abbastanza, ci sarebbe molto altro da dire ovviamente, ma la mia intenzione era darvi sostanzialmente qualche suggerimento pratico; spero vivamente di aver raggiunto questo minimo obbiettivo. Alla prossima.

(FINE)

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