SUONO n. 415, Aprile 2008, rubrica L’AMATEUR PROFESSIONNEL
Il trasformatore di step-up per fonorivelatori MC - Quello che (forse) non sapete sul trasformatore MC
di Fabio Federici

UN OGGETTO APPARENTEMENTE MISTERIOSO?

Affrontiamo in questa occasione un discorso abbastanza pratico, più vicino alle necessità di un comune utilizzatore, in particolare dell'analogicista, figura che tra gli audiofili non è assolutamente scomparsa, tutt'altro!
L'analogicista è quell'appassionato di hi-fi che ha qualche (o molti) dischi in vinile, sostanzialmente LP, e un classico sistema di lettura analogico (giradischi, braccio e fonorivelatore moving coil), corredato da un preamplificatore con un altrettanto classico ingresso MM (o uno stadio phono dedicato), più ovviamente il resto dell'impianto che, solo per i nostri scopi odierni, diamo per scontato.

L'uso di un trasformatore per fonorivelatori moving coil (che chiameremo per brevità testine MC o semplicemente MC) deriva dalla necessità di inserire tra l'uscita della stessa MC, dotata di una uscita di solito molto più bassa del millivolt, e l'ingresso phono del preampli un trasformatore e adattatore di step-up.
Fin qui non sto dicendo nulla di nuovo sotto il sole, o sbaglio? Il problema è che all'utilizzatore analogico medio cominciano a venire subito i primi dubbi; mi metto nei suoi panni, e comincio a formulare e a immaginare ad alta voce qualche sua perplessità.
Senza riferirmi ad un marchio o all'altro, i discorsi sono più o meno quelli che seguono:
Ma se ho una MC dall'uscita abbastanza bassa, probabilmente meno di 0,2mV, mi è stato consigliato un trasformatore step-up da non più di 20 Ohm di impedenza, io ne posseggo uno da 40 Ohm ma che non spinge abbastanza il phono MM. E se acquisto un altro step-up, che però è da 5 Ohm…?
Converrete sul fatto che i dubbi sono sempre gli stessi: quanto "spinge" una certa testina MC, quanto è sensibile l'ingresso phono, qual è la giusta impedenza di accoppiamento. Da questi interrogativi non si scappa! Permettetemi allora di dare qualche notizia che ci servirà più avanti per i nostri discorsi; per molti saranno cose note e sarà allora un piccolo "ripasso", per altri saranno dei suggerimenti magari utili da tenere a mente in qualche altra occasione.

LO STADIO PHONO

Lo stadio phono, per chi come me ha conosciuto il digitale solo molto dopo aver conosciuto, utilizzato ed apprezzato l'analogico, ricorderà certamente come fosse uno stadio sempre presente in qualsiasi preamplificatore e/o amplificatore integrato. Uno stadio equalizzato RIAA, cioè non lineare in frequenza, e dalle caratteristiche in passato abbastanza standard.
Per caratteristiche "standard" intendo: un'impedenza di ingresso di 47 kOhm, una sensibilità media ad 1kHz all'ingresso variabile tra i 3 e i 5mV(1) , progettato per accoppiarsi perfettamente alla maggior parte delle MM esistenti.
Da lì non ci si muoveva. Punto.
Esisteva però un mondo di testine, fascinoso quanto per altri versi inarrivabile, che viveva secondo parametri completamente diversi, ed era l'affascinante mondo delle testine a bobina mobile: tensioni di uscita che variavano da un massimo di 1mV o poco più per le più vigorose, ad un minimo di 0,1mV ed anche meno per quelle con il minor numero di bobine, rigorosamente avvolte in aria ed a mano, impedenze di accoppiamento consigliate dai costruttori che variavano da 1 kOhm per quelle ad alta uscita, ad un minimo di pochi Ohm per quelle a bassissima uscita.
Valori questi che era chiaramente impossibile interfacciare correttamente alla moltitudine di stadi MM, concepiti come abbiamo già detto in modo quasi standard e per tutt'altri valori di accoppiamento.
Non è un caso che i maggiori costruttori di prestigiose MC proponessero in commercio dei trasformatori, assolutamente dedicati e personalizzati, che permettevano di interfacciare nel modo più corretto, per sensibilità ed impedenza, i loro preziosi gioielli con la moltitudine degli ingressi phono in commercio.
Ma l'uomo, si sa, è per tanti versi incontentabile: allora, chi aveva la Ortofon cominciò ad interfacciarla con un trasformatore Supex, chi aveva la Kiseki preferiva i trasformatori Koetsu e/o viceversa, quelli che avevano un trasformatore con avvolgimenti in rame lo preferivano in argento, e così via!
E in molti alla fine hanno cominciato a non capirci più niente.
La domanda di fondo che ogni audiofilo si poneva era sempre la stessa:
ho una testina MC che non voglio cambiare, ho un preampli phono che non voglio cambiare… dovrei però utilizzare un trasformatore… quale posso utilizzare per operare il corretto interfacciamento, ma sostanzialmente quale non devo usare, e perché?!?
Cercherò allora di fare un po' di luce, se possibile, intorno a questa, a volte oscura e a volte ingarbugliata, situazione.

IL TRASFORMATORE IDEALE

Nel modellizzare il funzionamento di un trasformatore MC (così come di qualsiasi altro tipo di trasformatore) dobbiamo necessariamente partire facendo riferimento ad un oggetto ideale, drammaticamente distante a volte dall'oggetto reale, ma allo stesso tempo concettualmente e sostanzialmente insostituibile: il trasformatore ideale(2), che richiamerò nel seguito con l'abbreviazione t.i., che è rappresentato graficamente in Fig. 1.
Il t.i. è schematizzato come un doppio bipolo, con quattro porte di collegamento col mondo esterno: la 1 e la 2 sono i collegamenti col primario ai capi del quale è presente una tensione alternata(3) v1 e nel quale scorre una corrente i1, mentre 3 e 4 sono i capi del secondario ai capi del quale è presente una tensione alternata v2 e nel quale scorre una corrente i2.
N è invece quel numero che esprime il rapporto di trasformazione tra le grandezze presenti al secondario e quelle presenti al primario.
Facendo allora riferimento alla Fig. 1, valgono le due seguenti equazioni:
(1a)
(1b)
che ci dicono sostanzialmente che:
Detto in parole povere, un trasformatore ideale può essere completamente modellizzato partendo dalla semplice ed essenziale conoscenza del semplice rapporto di trasformazione N.
Se N è maggiore di 1, sul secondario avremo una tensione MAGGIORE e una corrente MINORE rispetto al primario; ci troviamo in presenza di un trasformatore elevatore.
Se invece N è minore di 1, sul secondario avremo una tensione MINORE e una corrente MAGGIORE rispetto al primario; ci troviamo quindi in presenza di un trasformatore abbassatore.
Non so se avete notato, ma fin qui non abbiamo ancora parlato, ma neanche è venuto fuori qualche riferimento nelle formule, di impedenza!
Vi chiederete, come mai? E questo per un semplice motivo: un trasformatore ideale (così come delineato in Fig. 1) è contraddistinto solo ed unicamente dal numero N che permette di risalire correttamente all'opera di trasformazione tensione-corrente compiuta dal componente!
Domanda spontanea: come e quando si parla dell'impedenza propria di un trasformatore? Per fare uscire fuori il dato "impedenza" di un trasformatore dobbiamo ancora inserire nello schema di Fig. 1 altri componenti, così come in Fig. 2: un generatore V ai capi 1 e 2, e una resistenza di carico R ai capi 3 e 4, permettendoci di chiudere il circuito secondario con R e di calcolare come viene vista la resistenza di carico R "guardando" il trasformatore dal punto di vista del generatore al primario.
Permettetemi ora qualche semplice formula e pochi passaggi algebrici, che spero non distraggano troppo.
Osservando la Fig. 2, si ha dalla Legge di Ohm che
(2)
che inserendo nella Formula 1a) ci da:
(3)
Oltretutto, prendendo il valore di i2 dalla Formula 1b), abbiamo:
(4)
Abbiamo allora che il rapporto tra la tensione applicata v1 e la corrente i1 circolante nel circuito primario è proprio il valore della resistenza R1 vista dal primario:
(4a)
Il risultato della precedente formula ci permette di affermare che collegando una resistenza di valore R al secondario di un trasformatore, questa viene "interpretata" dal circuito a monte del primario pari a R diviso il quadrato di N.
Se invece un ipotetico trasformatore è progettato per chiudersi su una resistenza R, e Z1 è l'impedenza caratteristica in ingresso dichiarata dal costruttore, dalla 4a) deriviamo una nuova formula:
(5)
che ci permette di risalire direttamente al rapporto di trasformazione partendo dal rapporto delle impedenze.
Le Formule 4a) e 5) affermano senza smentita che esiste una strettissima ed indissolubile relazione che lega il rapporto di trasformazione N, la resistenza R di carico del secondario e l'impedenza Z1 vista dal primario.
Si può ovviamente provare a generalizzare il risultato della Formula 4a), immaginando che il carico associato al trasformatore sia un'impedenza piuttosto che una comune resistenza.
Nel campo delle grandezze alternate abbiamo allora che vale la:
(5a)
che ci dice sostanzialmente che:
(5b)
TUTTE le componenti legate all'impedenza collegata al secondario (resistive, induttive e capacitive) vengono diminuite dello stesso fattore.
Per semplificare il discorso e renderlo praticamente più comprensibile, si ha che utilizzando un trasformatore elevatore ideale e “osservandolo” dal lato primario, le resistenze e le induttanze R e L, collegate al secondario appaiono più piccole, mentre le capacità C (per il fatto che la reattanza capacitiva è proporzionale al’inverso della capacità) appaiono più grandi, e per la precisione tutte di un fattore pari al quadrato di N.
Teniamo a mente queste formule e considerazioni, perché ci verranno utili più avanti.
In un trasformatore elevatore ideale, contraddistinto dal fattore N=10, le Formule 1a), 1b), 4a) e 5b) ci dicono che: Questo è quello che fa un trasformatore ideale, ma è anche quello che fa, in modo solo un pelo più complicato, un comune trasformatore reale: "trasforma" le grandezze in gioco tra il primario e il secondario!
Una domanda spontanea: e se non carichiamo il trasformatore di una resistenza di carico come facciamo a conoscere l'impedenza propria di un trasformatore, sempre che esista?
A questa domanda possiamo rispondere in modo molto semplice, affermando che: un trasformatore ideale NON possiede una sua impedenza caratteristica, se non collegato ad una precisa resistenza di carico!
Nei casi in cui ad uno specifico trasformatore ideale si vede "assegnato" un certo valore di resistenza (o per meglio dire, di impedenza) caratteristica, questa si intende solo ed unicamente in relazione ad una specifica resistenza di carico.
Questo ad esempio è quello che capita quando si prendono le caratteristiche dei trasformatori di uscita per ampli a valvole, e capita di leggere:
"Trasformatore per valvola 2A3 in configurazione S.E. - impedenza 2.5 kOhm"
In questo caso il costruttore del trasformatore ha previsto, in sede di definizione del progetto del componente, che al secondario del trasformatore sarebbe stato collegato un carico "standard" di 8 Ohm(5), e quindi il rapporto di trasformazione N è tale da soddisfare le ipotesi di progetto e in particolare la Formula 5), dove R=8 Ohm e Z1 l'impedenza dichiarata.

IL TRASFORMATORE REALE

Qualcuno potrebbe obbiettare che un trasformatore reale (che abbrevieremo nel seguito t.r.) sia sostanzialmente diverso dal modello ideale appena esaminato, e che il suo comportamento differisca non poco da quello di un componente solo idealizzato.
Ciò è vero, ma solo in parte: un t.r. presenta soltanto delle complicazioni di cui tener conto a livello costruttivo ma non differisce nella sostanza dal comportamento del modello ideale appena esaminato.
Possiamo generalizzare e semplificare dicendo che a centro banda, e nei casi di ottima costruzione, e quindi di accoppiamento ottimizzato e con minime perdite di efficienza, il parametro N (rapporto di trasformazione) che contraddistingue il t.i. contraddistingue anche il t.r. che in pratica sfrutta l’induzione magnetica nel concatenare le spire del primario con quelle del secondario.
In pratica, il t.r. utilizza degli avvolgimenti, sia sul primario che sul secondario, avvolti su nuclei magnetici per sfruttare un’alta concentrazione delle linee di forza del campo induzione magnetica al loro interno.
Ma anche senza entrare in dimostrazioni teoriche, e nei dettagli costruttivi dei t.r., si può affermare che: Da queste affermazioni deriva che un t.r. nel suo funzionamento di base è ancora del tutto assimilabile ad un t.i. ; tuttavia c’è da considerare la presenza dell’induttanza L1 al primario che limita la risposta nell’estremo basso.
Dovendo lavorare in banda audio, un trasformatore per uso audio deve avere una risposta in frequenza estesa fino ai limiti inferiore e superiore della banda audio, fissati per convenzione a 20 e 20k Hertz.
Per uno step-up in particolare, la linearità fino all’estremo inferiore è garantita da un corretto rapporto tra l’induttanza dell’avvolgimento primario e la resistenza interna della testina collegata al primario.
(6a) (6b)
Le Formule 6a) e 6b) esprimono la relazione che deve esserci tra: Si può facilmente constatare che l'induttanza del primario deve essere sufficientemente alta da garantire una frequenza di taglio Fc di almeno 1-2Hz, mentre l'induttanza del secondario è indissolubilmente legata a quella del primario dal valore NR di trasformazione (numero spire del secondario diviso numero spire primario), tenendo conto che in generale l'induttanza di un avvolgimento è proporzionale al quadrato del numero di spire.
E per questo, senza perdere di generalità, possiamo anche aggiungere che, se sono L1 ed L2 le induttanze del primario e del secondario(6)
(6c)
abbiamo che il quadrato di NR, che torna spesso nelle formule di trasformazione appena esaminate, è uguale al rapporto tra le due induttanze.
Induttanze e capacità disperse sono altri parametri spuri da cui un trasformatore reale è necessariamente contraddistinto, così come anche le dissimmetrie di avvolgimento, ma possiamo affermare che la natura del trasformatore reale è ancora legata al valore di N che identifica univocamente le caratteristiche di un trasformatore ideale.

UN TRASFORMATORE COMMERCIALE

Vediamo allora come si presenta un trasformatore di step-up commerciale, ad esempio un Audio Technica AT700T.
Nella Fig. 3 è possibile vedere il lato connessioni.
Il costruttore ha previsto in questo caso ben tre ingressi lato MC, da sinistra a destra 3 - 20 - 40 Ohm.
L'utente medio si aspetta allora di collegare a questi ingressi, rispettivamente testine da 3, 20 o 40 Ohm, immaginando che a questi ingressi corrispondano effettivamente le impedenze di ingresso dichiarate; ma ciò non è vero!
Queste impedenze dichiarate, come nella stragrande maggioranza dei casi, NON corrispondono all'impedenza che una comune testina MC vedrebbe se collegata a quello specifico ingresso; vediamo perché.
Dai dati indicati dalla casa deduciamo che all'ingresso di 3 Ohm corrisponde un guadagno di 34dB (circa 50 volte), ai 20 Ohm corrisponde un guadagno di 26dB (circa 20 volte), ai 40 Ohm invece un guadagno di 23dB (circa 14 volte).
Ma così non tornano i conti… collegando l'uscita di questo trasformatore ad un ingresso MM da 47 kOhm, utilizzando la Formula 5) ed inserendo i valori 3, 20 e 40 al posto di Z1 e 47.000 al posto di R otteniamo rispettivamente guadagni, cioè dei fattori moltiplicativi N, pari circa a 125, 48 e 40 che NON corrispondono assolutamente a quelli dichiarati dalla casa.
Facendo altri calcoli, utilizzando la Formula 4a), abbiamo che per guadagni rispettivamente di 50, 20 e 14 (quelli dichiarati dalla casa) corrispondono impedenze reali di circa 19, 118 e 236 Ohm!
Questo vuol dire che utilizzare l'ingresso, ad esempio, da 20 Ohm sta a significare che l'impedenza reale che la testina "vede" è di 118 Ohm!
Come si fa ad interpretare correttamente questi dati e a provare a far tornare i conti?
Supponiamo che l’ipotetico ingresso phono a cui stiamo collegando l’ AT700T non abbia una impedenza di ingresso “standard” di 47 kOhm, ma sia dotato invece di una impedenza “corretta” di circa 7.5 kOhm. Cosa succede in questo caso?
Riprendiamo la calcolatrice, e facciamo altri due conti; vale sempre la Formula 5), dove ora al posto di R proviamo a inserire 7500, e alterniamo i precedenti valori di 3, 20 e 40 al posto di Z1.
Ora si che ci siamo: l’impedenza risultante ai tre ingressi del trasformatore è ora rispettivamente uguale ai valori approssimati di 50, 20 e 14 che ritroviamo sui dati di targa del AT700T, ma solo se la resistenza all’ingresso phono risultasse di circa 7.5 kOhm!
Qualcuno non è convinto?
Vi porto un altro esempio: il Fidelity Research FRT-4 ha anch'esso vari ingressi, di cui uno è da 3 Ohm. Secondo le specifiche, ad esso corrisponde un guadagno di 31dB, pari a 36 volte.
Come vedete, abbastanza diverso dai valori di 34dB (50 volte) dell'Audio Technica!
L'interpretazione che a questo punto sorge spontanea è quella che segue.
Se una casa che progetta un trasformatore dichiara che il suo guadagno è supponiamo 20, dobbiamo in qualche modo crederci! Anche perché ciò ci riporta direttamente alle considerazioni riguardo i trasformatori ideali, dove il fattore fondamentale era quello di trasformazione N, e ci fa pensare che il guadagno sembra essere il vero dato facilmente misurabile perché impostato come dato generale di progetto e legato al rapporto del numero di spire secondario/primario.
Ma se il dato di guadagno (che è poi quello che quasi tutti i costruttori forniscono) è esatto, ne consegue che il dato di impedenza di ingresso deve essere sbagliato (qualora ovviamente non corrisponda a quello reale calcolato).
Ne consegue, e se ne deduce, che il dato di impedenza d'ingresso dichiarato dai costruttori di trasformatori MC è solo una indicazione che il costruttore fornisce; di cosa per la precisione?
È l'indicazione del tipo di ingresso che il trasformatore offre ai vari tipi di testine.
Cercando di essere sufficientemente chiaro, ripeto: un conto è dire che un generico trasformatore offre in ingresso, ad esempio, un'impedenza da 10 Ohm, altro è dire che quel trasformatore ha un ingresso progettato per testine da 10 Ohm.
Nel primo caso, abbiamo già visto e verificato che un trasformatore che presentasse un'impedenza di ingresso da 10 Ohm deve rispettare regole precise che mettono in diretta relazione il rapporto di trasformazione N con la resistenza di carico presente alla sua uscita.
Rimane allora valida la seconda affermazione: un trasformatore con un ingresso "marchiato" 10 Ohm è PROGETTATO, e quindi dimensionato, per una testina da 10 Ohm, ma non offre quasi mai quel tipo di impedenza specifica al suo ingresso.
Perché? Un trasformatore progettato per una MC a bassa impedenza, supponiamo 1-2 Ohm, può permettersi di avere un’induttanza al primario relativamente contenuta per riuscire a scendere lineare in frequenza fino a pochi Hz (vedi Formula 6b) mentre di contro deve avere un alto rapporto di trasformazione N. Un trasformatore che lavora a impedenze più alte, supponiamo 30-40 Ohm deve necessariamente avere un’induttanza al primario più elevata e di contro un più basso rapporto di trasformazione N.
Banalizzando al massimo il discorso, si riesce a trarre una semplicissima regola base, da tenere sempre a mente: all’ingresso di un trasformatore MC progettato (e quindi “marchiato”) per testine ad impedenza medio-alta (20-100 Ohm), e quindi dal guadagno medio-basso, sarebbe in linea teorica possibile collegare tranquillamente anche testine di bassa impedenza: l’induttanza in ingresso, sufficientemente elevata, permetterebbe una risposta in frequenza non affetta da cali in bassa frequenza.
Non è vero invece il contrario: non è consigliabile cioè, e per molti motivi, collegare una testina dall’impedenza medio-alta a trasformatori con l’ingresso a bassa impedenza.
Da queste semplici considerazioni si evince chiaramente quanto possa diventare estremamente complicato, se non dannoso, intercambiare con troppa facilità una generica testina MC con un generico trasformatore, senza tenere in debito conto tutta una serie di fattori estremamente importanti ed essenziali.

CONCLUSIONI OPERATIVE

Voglio a questo punto fornirvi delle indicazioni pratiche per come muoversi in questo mondo di dati, come abbiamo visto, spesso inesatti e/o fuorvianti.
Proviamo a fissare dei dati relativamente certi.
Cominciamo col dire che solitamente uno stadio phono MM "standard" è progettato per avere: Se a questi dati sommiamo quelli caratteristici di un certo fonorivelatore che dobbiamo interfacciare, ne deduciamo le caratteristiche di massima che il trasformatore di conseguenza dovrebbe avere, secondo la sana regola che vorrebbe che il segnale della testina MC deve essere amplificato dal trasformatore SOLO quanto serve!
Se ad esempio possediamo una testina con un'uscita da 0,2mV dobbiamo allora accoppiargli un trasformatore che ne elevi la tensione fino ad un valore prossimo a 5mV, guadagnando allora circa 25 (valore che corrisponde a 28dB). È intorno a questo valore (né molto di meno, né molto di più) che dobbiamo trovare un trasformatore adatto.
Queste considerazioni diventano ancora più consistenti qualora ci si proponga di confrontare due o più trasformatori da abbinare ad una certa testina, la quale avrà bisogno, per le considerazioni di poco sopra, di uno specifico guadagno e anche di una specifica impedenza di carico.
Molta attenzione dovremmo allora dedicare alla scelta dei trasformatori da utilizzare. Abbiamo visto come il parametro più attendibile di paragone non è l'impedenza di targa (spesso puramente indicativa), quanto il guadagno dichiarato.
L'errore che si vede spesso commettere è quello di confrontare trasformatori che, guardando il dato di impedenza dichiarata dovrebbero essere simili, ma che simili proprio non sono in quanto esibiscono dati di guadagno spesso molto diversi.
Ed essendo il guadagno, abbiamo già visto, il parametro che dobbiamo assolutamente tenere a mente, diventa allora fondamentale recuperare questo dato, di solito fornito dal costruttore, e basarsi principalmente su questo.
Volete un esempio lampante?
Rimanendo in casa Fidelity Research, se foste ancora convinti ad utilizzare un cosiddetto "ingresso da 3 Ohm", quello che NON potete assolutamente fare è confrontare "alla pari" lo specifico ingresso del FRT-4, che guadagna circa 35 volte, con quello del X1-L che guadagna invece circa 63!
Vi assicuro che un trasformatore che guadagna 35 è molto, ma molto diverso, da uno che guadagna quasi il doppio. In questo caso il confronto andrebbe fatto invece, e più correttamente, con l'ingresso da 4-18 Ohm del X1-M che guadagna circa 32, anche se quest'ultimo ad un primo esame sembrerebbe avere un'impedenza di targa discretamente più alta.
Dovrebbe essere a questo punto abbastanza chiaro che, come in quest'ultimo caso, si rischia di paragonare ingressi simili di due oggetti che invece sono nella sostanza diversi, portando facilmente a conclusioni fuorvianti ad esempio sulla qualità o sulla idoneità di un componente.

E IL CORRETTO ACCOPPIAMENTO DI IMPEDENZA?

Accenno inoltre, ma solo brevemente, alla possibilità di tarare con precisione l'impedenza vista dalla testina MC attraverso l'uso di un generico trasformatore.
Le case costruttrici di testine spesso insistono col dichiarare una ben precisa impedenza di carico per la loro particolare testina, e quindi il consiglio diventa per l'utilizzatore una specie di obbligo a fornire a quella testina quella particolare impedenza di carico.
L'accoppiamento d'impedenza è a volte molto importante per un motivo molto semplice: le testine MC a bassa uscita sono costruite con un ridottissimo numero di spire a costituire il loro motore magnetico, con spire avvolte quasi sempre rigorosamente in aria, e questo vuol dire che il generatore equivalente presenta pochissimi micro Henry e pochissimi Ohm di induttanza e resistenza serie. Questi bassissimi valori, uniti a caratteristiche di esigui smorzamenti meccanici del sistema cantilever/sospensione, hanno spesso bisogno di uno smorzamento elettrico per limitare fenomeni di risonanza ad alta frequenza, spesso nell'intorno dei 100kHz.
Questo smorzamento elettrico è fornito essenzialmente dal valore del carico ohmico dell'ingresso phono.
Si potrebbe facilmente verificare che un valore standard di 47 kOhm, che rapportato al primario diminuisce di 100 volte per trasformatori con N=10, fino ad arrivare a 1000 volte e più per valori più alti di N, è spesso ancora insufficiente a garantire l'assenza di risonanze ad alta frequenza e sovraelongazioni della risposta in frequenza.
C’è da aggiungere inoltre che un carico, come quello offerto da un ingresso phono, non ha solo una componente resistiva ma anche una discreta componente capacitiva(7), ed il nostro trasformatore step-up, così come qualsiasi altro trasformatore, trasforma le grandezze in gioco e quindi, per quanto visto sopra, aumenta la componente capacitiva dello stesso fattore N al quadrato.
E quindi, riassumendo: ai capi del primario del trasformatore ritroviamo un carico equivalente al parallelo della resistenza e della capacità collegati al secondario (e quindi dell’ingresso phono e dei cavi di collegamento), nel quale la componente resistiva è diminuita, e la componente capacitiva aumentata, del fattore N al quadrato.
Ma a questo punto non possiamo più trascurare il fatto che la capacità vista dal primario interagisce con l’induttanza propria della MC, formando una bella rete RLC risonante! E il modo più semplice per limitare gli effetti di una risonanza (che sottolineo è elettrica e meccanica) è quello di utilizzare un carico resistivo di valore discretamente basso, proprio per limitarne il picco.
Accade quindi che un valore nominale di impedenza di carico (quello fornito dal costruttore della testina) risulta opportuno per un più corretto interfacciamento di tutto il sistema testina, cavi, trasformatore ed ingresso phono.
E qui dobbiamo aprire una piccola parentesi e fare qualche esempio per capire meglio; il caso più ovvio è provare a recuperare le caratteristiche di una comune MC e vedere come interfacciarla correttamente.
Ammettiamo di essere in possesso di due MC, apparentemente simili: una Ortofon MC10 Super e una Denon DL-103. Annotiamoci i dati dei costruttori.
Per la Ortofon, l’uscita è di 0,3mV a fronte di una impedenza interna di 3 Ohm, ed una impedenza di carico consigliata maggiore di 10 Ohm; per la Denon, l’uscita è sempre di 0,3mV a fronte di una impedenza interna di 40 Ohm, ed impedenza di carico consigliata maggiore di 100 Ohm.
Già ad un primo esame, l’identica uscita in mV ci dice che le due MC potrebbero essere interfacciate dallo stesso trasformatore elevatore, mentre i dati di impedenza interna e di carico ci dicono invece che qualche attenzione va inevitabilmente posta.
Supponiamo inoltre di utilizzare uno stadio phono da 47 kOhm di impedenza di ingresso, per 5mV di sensibilità in ingresso per produrre un segnale di 1V in uscita.
Il compito che dobbiamo risolvere a questo punto è semplice: come interfacciare correttamente le due MC all’ingresso phono appena descritto?
Facciamoci a questo punto due calcoli: se l’uscita delle due MC è di 0,3mV e dobbiamo in entrambi i casi arrivare ai 5mV di accettazione ottimale dell’ingresso phono, il rapporto di queste grandezze ci dice che il guadagno ottimale del trasformatore da utilizzare è circa: 5 / 0,3 = 16,667 , che possiamo per brevità arrotondare tranquillamente a 15.
Utilizzando a questo punto la Formula 4a), dove abbiamo supposto che N sia uguale a 15, ed R uguale a 47 kOhm, abbiamo che:
(7)
Vale a dire che l’impedenza di ingresso dello stadio phono di 47 kOhm, rapportata all’ingresso del trasformatore di guadagno 15, vale circa 210 Ohm, che è quindi il carico offerto alle nostre due MC dall’accoppiata stadio phono+trasformatore.
A questo punto dobbiamo confrontare questo valore di 210 Ohm con i valori di targa di impedenza consigliata delle due nostre MC, che abbiamo detto dovrebbero valere rispettivamente “>10 Ohm” per la Ortofon, e “>100 Ohm” per la Denon.
È semplice constatare che il nostro ipotetico trasformatore elevatore dovrebbe interfacciare direi quasi perfettamente la Denon, mentre per quanto riguarda la Ortofon bisognerebbe apportare qualche aggiustamento.
Quale aggiustamento?
Non allarmatevi! È sufficiente in questo caso il collegamento di una semplice resistenza in parallelo all’uscita della Ortofon di opportuno valore, ad esempio di 27 Ohm, per poter fornire un carico vicino a quello consigliato, in questo caso specifico di circa 24 Ohm, che equivale al parallelo di 210 e 27 Ohm.
E anche la Ortofon possiamo dire che in questo modo sia opportunamente interfacciata.
Spero sia chiaro il risultato al quale siamo pervenuti: un unico (ipotetico) trasformatore di guadagno pari a 15 ci ha consentito di interfacciare correttamente due MC abbastanza diverse quanto a caratteristiche di uscita.
Una delle due (la Denon) può essere collegata direttamente, mentre all’altra (la Ortofon) dobbiamo solo accoppiare in uscita una ulteriore piccola resistenza.
Forse questo esempio non è esaustivo né tantomeno esaurisce le combinazioni possibili, ma ci permette di sgrossare una situazione che spesso sembra ingarbugliata, e ci permette di puntare con più attenzione verso soluzioni perfettamente praticabili, escludendo ovviamente quelle inefficaci.

Per concludere, accenno solo alla possibilità che possano esistere delle MC “sfortunate”, che presentano dati di uscita inusuali, e che diventi quindi molto complicato poterle interfacciare correttamente attraverso l’uso di trasformatori.
Un caso? Sul web, all’interno di un interessante articolo(8) corredato di utilissime tabelle comparative, è riportato un esempio illuminante: la Denon DL-1000A, con i suoi 0,12mV di uscita per 33 Ohm di impedenza interna, ed impedenza di carico consigliata “> 100 Ohm”.
Un ipotetico trasformatore dovrebbe elevarne il segnale di almeno 40 volte per portarlo vicino ai 5mV che consideriamo standard (0,12mV * 40 = 4,8mV).
Ma un trasformatore che eleva la tensione di ingresso di 40 volte, sempre secondo la Formula 4a), abbassa di 1.600 volte l’impedenza risultante in ingresso; quindi la DL-1000A, collegata ad uno stadio phono da 47 kOhm tramite un trasformatore di guadagno pari a 40 vedrebbe una impedenza di carico equivalente pari a:

(7a)
mentre invece l’impedenza di carico consigliata dovrebbe essere abbondantemente superiore ai 100 Ohm!
In questo caso, sono dell’opinione che una simile MC dovrebbe essere tranquillamente meglio accoppiata: In quest’ultimo caso, gli 0,12mV verrebbero amplificati dallo step-up fino a circa 1,2mV, e gli ipotetici 47 kOhm dell’ingresso phono ad alta sensibilità verrebbero abbassati a circa 470 Ohm; e in questo modo, come è facile constatare, tornano perfettamente i conti sia per quanto riguarda le tensioni in gioco, che le impedenze.

Tanto si potrebbe ancora dire ovviamente, ma l’idea era quella di stuzzicare da una parte qualche curiosità, dall’altra evidenziare i trabocchetti nei quali un comune utilizzatore può incappare, ma soprattutto provare a dare qualche risposta e quindi qualche piccola certezza.
Spero vivamente di esserci riuscito, e rimango ovviamente a disposizione dei lettori per qualsiasi delucidazione al riguardo, e rimandando ad altra occasione eventuali approfondimenti ulteriori.

Alla prossima.


NOTE

(1) In passato lo stadio phono era “tarato” per quel tipo di sensibilità perché le MM più famose, ad esempio la Stanton 681 e la Shure V15, avevano un’uscita che variava proprio in quel range, tanto è vero che fino all’avvento degli stadi MM ad alto guadagno per moving coil ad alta uscita da circa 1mV di sensibilità, la tensione di riferimento standard per un MM era proprio intorno ai 5mV

(2) Uno dei parametri che contraddistingue e differenzia il trasformatore ideale, rispetto a quello reale, è la “trasparenza alla potenza”: in esso non vi è quindi assorbimento di energia, e tutta la potenza fornita al primario la si ritrova al secondario. Nel t.i. non esistono quindi quei fenomeni dissipativi, resistivi, induttivi né capacitivi, purtroppo presenti in tutti i componenti reali

(3) Il trasformatore ideale, in virtù della sua natura di componente “astratto”, non lavora necessariamente con tensioni e correnti alternate. Comunque per semplicità, e per non perdere il contatto con i componenti reali, supporremo che anche il t.i. operi su componenti alternate

(4) Il segno meno presente nella Formula 1b) della corrente dipende solo dalle convenzioni scelte alle due porte del trasformatore ideale, considerato a tutti gli effetti un doppio bipolo

(5) Che poi il carico di 8 Ohm nella realtà pratica non sia mai né standard, né pari agli 8 Ohm nominali… è tutto un altro discorso!

(6) Le induttanze, L1 del primario e L2 del secondario, sono grandezze che, entro certi limiti, si possono misurare e valutare dall’esterno, mentre il numero delle spire con cui è stato avvolto il trasformatore è un dato che conosce solo il costruttore.

(7) Anche se la pura componente capacitiva di un ingresso phono potrebbe attestarsi intorno a qualche decina di pF, e quindi potrebbe definirsi trascurabile ai nostri scopi, c’è purtroppo da considerare, e quindi da aggiungere, un discreto apporto capacitivo offerto dai cavi di collegamento, che possiamo stimare tra i 100 e i 200pF in relazione alla lunghezza e al tipo di costruzione e accoppiamento dei conduttori

(8) http://www.vinylengine.com/step-ups-and-mc-cartridges.shtml

(Fine)