ARCHITETTURA NEOCLASSICA a Roma.
Morto tragicamente il Winckelmann a Trieste l'8 giugno del 1768,
il 30 dello stesso mese veniva sostituito nella carica di
Commissario e Soprintendente alle Antichità di Roma da Giovan
Battista Visconti. Il Visconti rimase in carica fino alla morte,
avvenuta nel 1784 e durante la sua direzione vennero intrapresi
quei lavori nei Musei Vaticani e nel Museo Pio Clementino, che
dovevano trasformarli nel tempo nei caratteristici ambienti di
schietta impronta neoclassica che oggi vediamo.
Le prime opere vennero condotte da Alessandro Dori nell'antico
Casino di Innocenzo VIII e proriamente nella Galleria contigua
ove sono archeggiature attenuate, da grevi panneggi in stucco
dipinto di gusto ancora berniniano, quali già aveva fatto il
Raggi. L'opera iniziata nel gennaio del 1771, alla morte del Dori
(gennaio 1772) non era ancora terminata. In suo luogo venne
allora nominato architetto camerale Michelangelo Simonetti .
Questi portò avanti l'impresa ed a lui si deve anche la
esecranda distruzione della cappella decorata con gli affreschi
di Andrea Mantegna situata appunto nel Casino di Innocenzo VIII:
Michelangelo Simonetti doveva essere persona poco in vista
nell'ambiente romano se di lui non s'ha notizia prima che gli
venisse conferito quel non troppo importante lauro accademico,
né a lui possono essere assegnati altri lavori prima di quelli
cui dette inizio nel 72 in Vaticano. Tuttavia dovette riscuotere
a pieno la fiducia del Visconti, ai cui precisati gusti
archeologici deve forse attribuirsi, più ancora che alla
specifica cultura del Simonetti stesso, il carattere delle nuove
architettura vaticane.
Infatti quando questi dovette proseguire i lavori del Dori nel
Cortile ottagono e negli ambienti della Galleria, dopo la
distruzione degli affreschi del Mantegna, non si allontanò dal
più tradizionalista conformismo. Poi dovette trascorrere qualche
tempo in progetti e discussioni per proseguire i lavori. Chi
conosce la prudenza con la quale si conducono le cose negli
ambienti vaticani capirà come si dovesse ancora attendere
qualche anno ed arrivare nel 1776 perché il Simonetti
intraprendesse altri lavori importanti nei Musei. Morto il 22
settembre del 1774 Clemente XIV, si attese fino al 15 febbraio
del 1775 perché venisse eletto papa il cardinale Giovan Angelo
Braschi, che assunse il nome di Pio VI.
Pio VI è il papa imprigionato da Napoleone e morto in esilio a
Valenza del Delfinato il 29 agosto del 1779. Un papa che
indubbiamente non ebbe vita facile durante gli anni del suo lungo
pontificato e che tuttavia seppe testimoniare vero amore per le
cose dell'arte lasciando intendere di essere orientato verso le
più moderne correnti del gusto.
Il Winckelmann aveva studiato, catalogato e valorizzato le
sculture delle raccolte papali; il Visconti le ordinò nel nucleo
essenziale del Museo detto Pio Clementino, nella maniera che oggi
vediamo. Venne costruito quel blocco di edifici che collegano il
Casino di Innocenzo VIII e l'emiciclo del nicchione bramantesco
ai portici dell'antico giardino del Belvedere che chiusi presero
il nome di Museo Chiaramonti, di Galleria dei Candelabri e di
Galleria degli Atazzi. Nel nucleo di edifici costruiti al tempo
in cui era Commissario dei Musei il Visconti, Simonetti oltre le
opere già ricordate, costruì la Sala delle Muse, coperta da una
gran cupola; la Sala Rotonda, coperta anch'essa da cupola; la
Sala a Croce Greca; la Scala d'accesso ai Musei, mentre
collaborava con lui Pietro Camporese il Vecchio.
Il Simonetti ed il Camporese dovettero lavorare nel periodo più
avanzato della loro attività e con una certa unità d'intenti
derivante dalla unica direzione del Visconti. Questi partiva dal
concetto che era necessario esporre opere d'arte in ambienti
architettonici intonati al gusto del tempo in cui le opere d'arte
stesse erano state create, e quindi chiese che venissero
progettate delle sale ove rivivesse uno schietto carattere
classico ispirato direttamente ad esemplari antichi. Gli ambienti
della Domus Aurea neroniana, quelli delle Terme di Caracalla, ma
più ancora alcuni della Villa Adriana sotto Tivoli, le tombe
della Via Appia e della Via Latina, furono i modelli dove trasse
ispirazione il Simonetti.
Il Simonetti, di cui non possiamo indicare altre opere oltre
quelle vaticane, è indubbiamente un architetto che possiede un
senso veramente grandioso dello spazio, delle masse nettamente
delimitate, dell'equilibrio dei rapporti, nello stesso variare
delle solenni prospettive che corrono dalla Galleria dei
Candelari allo Scalone, e quindi alla Sala a Croce Greca alla
Sala Rotonda alla Sala delle Muse, il gusto cioè , per un
architettura da lui autorevolissimamente impostata e risolta, con
un sentimento che denota il pieno possesso delle forme degli
antichi.
Altri architetti furono : Antonio Asprucci che dopo aver lavorato
per il Duca di Bracciano, e costruita una casa di campagna per
Marcantonio Borghese presso Pratica di Mare, si mise al passo
della moda erudita quando fu chiamato a dare nuova disposizione
alle decorazioni interne delle Sale del Casino nella Villa
Borghese. L'Asprucci, la cui presenza è evidente soprattutto
nelle stanze a terreno che hanno le pareti adorne di antiche
statue e busti e vasi, creò il proprio capolavoro nella Galleria
del Casino. Qui le pareti sono divise da lesene d'alabastro con
capitelli di metallo dorato e rese più preziose da
"cammei" di marmo bianco su fondi di mosaico turchino.
Bellissimi sono anche il pavimento di marmi policromi e gli
spartimenti della volta adorna delle pitture di Marchetti e di
Domenico De Angelis, mentre gli ornamenti a mosaico delle pareti
maggiori sono dovuti a Cesare Agnatti, i "cammei"
marmorei a Pietro Rudiez, ed i rilievi a stucco ad Agostino Penna
a Vincenzo Pacetti ecc.
Caratteri simili si riscontrano nel Gabinetto delle Maschere in
Vaticano presso la Galleria delle Statue, e in quello dei Busti,
forse da attribuire allo stesso Antonio Apsrucci. Al quale va
anche assegnato l'elegantissimo tempietto di Esculapio a specchio
del lago nel giardino segreto della villa il finto rudere
dell'altro dedicato ad Antonio e Faustina, nonché la chiesetta
preceduta da un portico d'ordine dorico che sorge, tra la piazza
di Siena ed il tempio di Diana.
Raffaele Stern dopo aver svolto in qualità di architetto
camerale opera soprattutto di ingegnere e di restauratore, nel
1817 riceveva l'incarico di proseguire i lavori per la
sistemazione dei Musei Vaticani e iniziava la costruzione di quel
braccio nuovo del Museo Chiaramonti. L'ampiezza solenne delle
arcate sorrette da colonne, la misurata cadenza delle nicchie
incavate ad ospitare le sculture, e la bella curvatura delle
volte cassettonate, infine l'ampio respiro della cupola mediana
danno veramente il senso di trovarsi in un ambiente di romana
classicità ove tuttavia il peso della erudizione archeologica
non riesce a impedire i liberi voli della fantasia. E i rilievi a
stucco di Massimiliano Laboureur s'inseriscono mirabilmente lungo
le pareti con perfetta eleganza di linee e soprattutto con un
gusto misuratissimo nelle proporzioni, e nella giustezza di
rapporto con le antiche sculture.
Ma prima che Raffaele Stern costruisse il braccio del Museo
Chiaramonti l'opera già iniziata dal Simonetti era stata portata
avanti da Giuseppe Camporese ed a lui, che fino al 1786
presiedeva ai lavori vaticani, va assegnato il caratteristico
edificio quadrangolare già ingresso ai Musei.
A piano terreno esso è formato dal cosiddetto "atrio dei
quattro cancelli" e al piano superiore dalla Sala della
Biga.
All'esterno il nucleo cilindrico posato sul doppio dado delle
sottostanti strutture, richiama architetture classiche, dalle
quali il Camporese giunge per suo conto al Vignola, mentre la
tecnica del cotto mirabilmente lavorato nelle sagome e nelle
cornici, ci riporta agli esempi forniti dalle tombe della Via
Latina, e più direttamente alla giudiziosa solida tecnica del
padre di lui, Pietro Camporese, e del Simonetti.
All'interno dell'atrio invece, le soluzioni angolari sono simili
a quelle attuate dal padre nell'atrio del Collegio Germanico in
via della Scrofa, mentre nel piano superiore, dove la Sala
rotonda della Biga ha quattro nicchie nelle pareti rivestite di
marmi ed otto semi-colonne con trabeazioni a sostegno delle
volte, sono ancora evidenti i richiami ad esemplari classici,
tradotti però con un linguaggio molto più freddo e compassato
che non quello del Simonetti.
Appaiono già chiari i caratteri di quella gelida architettura
ottocentesca che, verrà più tardi attuata dai suoi
continuatori.
Tali caratteri tornano nelle altre opere di Giuseppe Camporese.
Così nel Duomo di Genzano nell'ampia unica navata coperta da
volta a botte e nel transetto sormontato da un'ampia cupola priva
di fanternino; così nelle opere condotte in quello di Nemi
elegantissimo nei chiari rapporti spaziali; cosi nel
rimaneggiamento dell'interno della chiesa di S. Maria in
Monserrato, e nella costruzione della chiesa di Carbognano. Nelle
quali architetture il suo timbro si riconosce in una limpida
armonizzazione degli spazi e delle linee ed in una schietta
stesura delle superfici.
Così, Giuseppe Camporese, attivo con il fratello Giulio anche
alla prosecuzione dei lavori del Duomo e del Seminario di
Subiaco, iniziata dal padre loro, e dopo l'arrivo dei francesi a
Roma occupato in lavori di scavo e di restauro del Foro Traiano e
del Foro Romano e nella costruzione di ponti e strade della
campagna romana, ci appare, con Pasquale Belli e Giuseppe
Valadier, tra le personalità più caratteristiche che sul finire
del XVIII secolo tentano quella sorta di compromesso tra la
tradizione accademica e le nuove mode neoclassiche e puriste che
caratterizzerà l'architettura romana dell'800 fin oltre la meta
del secolo.
Nell'anno 1820 moriva Raffaele Stern non ancora cinquantenne: due
anni dopo era la volta di Giuseppe Camporese di 61 anni.
I due erano ancora giovanissimi quando già si erano conquistate
posizioni ufficiali nell'ambiente vaticano: avevano tutti e due
dalla loro l'essere figli di architetti che già avevano lavorato
per la Camera Apostolica, e questa circostanza, avrà senza
dubbio influito sulle loro burocratiche fortune.
Pasquale Belli di loro più anziano aveva invece stentato a farsi
largo. Anzi pur essendo stato allievo di Pietro Camporese il
Vecchio, ed avendo lavorato in qualità di assistente nelle
ultime imprese di quel maestro, quando s'era trattato di portare
avanti le costruzioni dei Musei, s'era visto preferire, malgrado
la minore età e certo la minore esperienza, prima Giulio
Camporese ancora giovanissimo e suo discepolo, e quindi lo Stern.
La prima notizia di suoi lavori si ha infatti quando il Belli è
intento, in Assisi, alla sistemazione della cripta
neoclassicheggiante della Basilica di S. Francesco.
Morto però lo Stern nel 1820, è al Belli, che viene affidato
l'incarico di proseguire i lavori del Museo Chiaramonti, ed è
ancora a lui che, dopo l'incendio del 1823, viene affidato
l'incarico veramente importantissimo di realizzare i piani per la
ricostruzione della Basilica di S. Paolo fuori le Mura.
Il Belli non è certo un grande architetto, tuttavia è utile
notare il suo apporto alla formazione del linguaggio
architettonico "purista" propriamente romano, di quei
costruttori cioè che, fin verso il 70 mostrarono di preferire
alle forme antiche, quelle del rinascimento e dell'età
paleocristiana.
Forme ridotte ad una nitida stesura di piatte superfici
nettamente stagliate in una definizione dei volumi sottolineati
da spigoli vivi, sagome e cornici tirate con estrema secchezza di
fattura e compassata meccanicità di precisione. Dadi, gole,
palmette, ovuli, dentelli ed astragoli sono eseguiti con stampi
d'acciaio e tutto diviene freddo, impersonale, anonimo, sbiadito.