Felice Giani
Introduzione |
Formazione artistico-culturale |
L'esperienza Parigina e le opere della maturità |
Importanza del Giani |
INTRODUZIONE
Il decoratore più noto a Roma alla fine del XVIII secolo doveva
essere Felice Giani, che divideva la sua notorietà con Liborio
Coccetti.
Il Giani, a mano a mano che se ne ricostruisce l'attività e se
ne definiscono i limiti, viene sempre meglio prendendo posizione
di rilievo nel gruppo dei pittori che possiamo dire preromantici.
Di quei pittori, cioè, che scavalcando o eludendo il gravame
connesso alla più ortodossa cultura neoclassica, superano anche
nel tempo quello stadio ed operano sul finire del '700 e nel
primo ventennio del XIX secolo, preferendo al gelido classicismo
nutrito di dottrina archeologica e carico di significati anche
morali e politici, propri dei puri accademici, una maniera ove
l'immaginazione più accesa s'abbandona alla libertà dell'estro.
Preferenza forse talora determinata anche da una deficienza
culturale che li ha esclusi da un'esperienza di così grave
impegno e significato quale la neoclassica, che doveva sentirsi
allora come più "moderna" e necessaria. Essi infatti
giungono talvolta a tradurre in accenti popolareschi,
parodiandoli, gli atteggiamenti della cultura aulica che cercano
in tal modo di rendere più lieve e piacevole; anche in ciò
collegandosi con i loro "scherzi", ai
"capricci" del rococò. Artisti soprattutto spiritosi e
divertenti anche se i loro modi possono, da un lato, collegarsi a
quelli di ben più profondi e tragici temperamenti, di un antico
Fussli (1742-1825) o di un Guglielmo Blake (1757-1827), per
citare i consueti esempi, e, dall'altro, a quelli di un genio
addirittura, del maggior pittore d'immaginazione di tutti i
tempi, del fantastico e visionario Francesco Goya (1746-1828).
Per quanto riguardo il Giani, alcuni dei suoi disegni,
verosimilmente della sua giovinezza, per i rapporti evidenti che
essi hanno con la maniera dei Bolognesi, ricordano il grande
artista spagnolo, altri poi sembrano addirittura avviare
all'impeto drammatico di un Gericault e di un Delacroix.
Roma è nello studio del Giani una città molto importante, sia
perché si conservano forse le più complete testimonianze della
sua geniale attività, sia perché a Roma egli adottò e svolse
quella maniera decorativa che doveva farlo conoscere per tutta
Italia, ed anche perché proprio a Roma egli ha lasciato nel suo
seguace Bartolomeo Pinelli forse il più caratteristico
rappresentante di quel preromanticismo che valse a ricondurre il
gesticolante, estroso, teatralissimo linguaggio neoclassico in
quello che, in un certo senso, avrebbe potuto essere la sua sede
più propria: il parlar popolaresco.
Tuttavia non bisogna dimenticare il lungo tempo dal Giani
trascorso anche a Bologna, a Parigi e soprattutto a Faenza ove
sono tante testimonianze della sua attività e dove la sua
maniera ebbe seguito fin oltre la metà dell'800 nell'opera dei
seguaci.
FORMAZIONE ARTISTICO-CULTURALE
(1758-1805)
Nacque Felice Giani a San Sebastiano del Monferrato nel 1758;
iniziati gli studi a Pavia sotto la guida del pittore Carlo
Bianchi e dell'architetto Antonio Bibbiena, li proseguì fra il
1778 e il 1779 a Bologna con i pittori Domenico Pedrini e Ubaldo
Gandolfi e con l'architetto Vincenzo Mazza. Nel 1780 passò a
Roma ove fu scolaro del Batoni e dell'Unterberger. Vinto nel 1783
il premio di pittura all'Accademia di San Luca con un quadro di
soggetto mitologico, l'anno successivo guadagnava un altro
premio, all'Accademia di Parma, con una tela raffigurante Sansone
e Dalila ancora oggi nella Galleria di quella città. Fino a quel
momento nel Giani si direbbe non appaia nessun elemento, tranne
una certa fierezza compositiva e cromatica, che lo possa
individuare nella schiera di quei pittori fiduciosamente fondati
sui modi tradizionali, i quali ponevano i termini delle loro
aspirazioni nell'estro dell'invenzione compositiva, nella
scioltezza della pennellata, nella festosa piacevolezza e
ricchezza del colore.
Quattro anni dopo il Giani doveva essere di nuovo a Roma, questa
volta occupato presso l'Unterberger che gli faceva eseguire
alcuni encausti riproducenti brani delle logge di Raffaello,
richiesti da Caterina II di Russia, mentre il Coccetti si faceva
aiutare nella decorazione delle stanze del Castello di Nemi, ove
sembra presente qua e là la mano del Giani.
Tuttavia nel 1786 l'artista era anche a Faenza, collaborando con
Serafino Barozzi alla decorazione della Galleria dei Cento
Pacifici. Ed ancora a Faenza il Giani doveva essere tra l'87 e
l'88 per dipingere nel salone del palazzo del conte Francesco
Conti alcuni saggi. Ma l'anno dopo è di nuovo a Roma, ove in
Palazzo Altieri si trova un'altra opera da lui firmata e datata
"Giani 1789". Qui anzi si tratta di una serie di opere
in cui il pittore appare in una certa sua improvvisa,
sconcertante discontinuità stilistica che è utile, tuttavia, a
segnare il momento preciso in cui egli, col mutar di stanza, muta
il suo stile che da convenzionale viene trasformandosi in una
nuova caratteristica maniera, ove il linguaggio dei neoclassici
è ripreso con tono enfatico e quasi caricaturale; ed è qui
facile cogliere quegli spunti preromantici sui quali la più
recente critica si è più attentamente fermata. E' la maniera
che egli riprende intorno al 1790 in due soffitti della Galleria
Borghese e poi subito a Faenza in parte nella Galleria Laderchi
(1794) e, in pieno, nelle sale dei palazzi Gessi e Ginnasi e
quindi in quelle dei palazzi Pasolini dell'Onda e Milzetti,
nonché in alcune tele e più in bozzetti o in certi piccoli
quadri che sono nel gabinetto di lavoro del palazzo che fu di
Dionigi Strocchi.
L'ESPERIENZA PARIGINA E LE OPERE DELLA
MATURITA'
Si giunge così a quell'anno 1805, intorno al quale va posta la
grande avventura del Giani: il suo viaggio a Parigi per decorare
niente di meno che le stanze della Malniaison e delle Tuileries.
Le stanze ove abitavano Giuseppina e Napoleone e la loro
impennacchiatissima corte. E non si esclude che Napoleone nelle
parodie estrose dell'italiano più che nel gelido neoclassicismo
dei davidiani fosse disposto a riconoscere, e non senza umorismo,
se stesso.
E tanto va a genio l'arte dell'italiano in quell'ambiente, che
quando si progetta nel 1810 una permanenza di Napoleone a Roma,
lo stesso Giani viene incaricato di decorarne l'appartamento al
Quirinale. Ma a Roma il Giani doveva essere già tornato nel 1807
per dipingere l'ultimo piano in un appartamento del palazzo di
Spagna ancora esistente. Come ancora esistono le sue pitture in
quell'appartamento del Quirinale che poi sarà della Regina
Margherita; e si tratta della decorazione dei soffitti di quattro
sale.
In tre di esse le sue composizioni servono ad inquadrare tele del
tradizionalista Tommaso Conca e dei temperati davidiani Corsi e
Pelagio Pelagi, ma nell'altra egli stesso dipinge, in un riquadro
mediano sul solito fondo bianco a lui caro, un'impetuosa e quasi
parodistica allegoria della guerra.
Poi nell'autunno del 1812 Giani è di nuovo in Francia, a Parigi.
V'è una sua nota in un disegno della Corsiniana a Roma ove è
ricordato come egli abbia dato inizio al lavoro di decorazione
nella Villa Aldini a Montmorency il 10 novembre del 1812, e
un'altra nota ancora ove è fatto cenno a quel Gaetano, che altri
non è che il Bertolani, suo fedele aiutante, del 5 giugno del
1813.
Nella Villa di Montmorency il Giani dipinse tre stanze con
composizioni di cui alla Corsiniana a Roma sono gli schizzi: una
dedicata aMinerva, un'altra alle Stagioni e alle Ore, e un'altra
alle Quattro parti del Mondo con nel mezzo il Trionfo della Pace.
Poi, caduto Napoleone, Giani torna in Italia, a Roma, e
all'ultimo suo periodo romano deve assegnarsi anche il bozzetto
del sipario del Teatro Apollo, rinnovato al tempo in cui i
Torlonia ne divennero proprietari, che si trova a San Luca.
Sipario che poi fu sostituito con quello di Fracassini, oggi
all'Argentina.
IMPORTANZA DEL GIANI
Che il Giani abbia realmente contribuito, con la sua reiterata
presenza a Parigi, ove tuttavia nulla rimane di lui, ad orientare
il gusto di alcuni romantici francesi è un'ipotesi verosimile,
che alcuni caratteri della pittura del Gericault certamente
confermano. Sembra tuttavia che gli aspetti più attraenti del
suo preromanticismo dipendano maggiormente da un'elusione che da
un vero e proprio superamento dell'esperienza neoclassica intesa
nei suoi stessi effettivi valori di serietà e disciplina.