John Joachin Winckelmann nasce a Stendal,
in Prussia nel 1717. La sua formazione culturale comprende quasi
tutte le aree del sapere, studia infatti teologia, medicina e
matematica alle università di Halle e di Jena. Si dimostra
subito uomo di formidabile ingegno in quanto riesce a portare
avanti con successo gli studi universitari anche vivendo in
condizioni di ristrettezze economiche. Dopo l'università i suoi
interessi si concentrano sulle lingue e sulle civiltà classiche,
soprattutto sul greco, di cui acquista una notevole padronanza.
Dal 1748 al 1754 lavora come bibliotecario presso il conte Von
Bunam, a nothnitz, impiego che gli permette di entrare in
contatto con l'ambiente colto di Dresda A Dresda incontra il
nunzio apostolico Archinto (1751), incontro che determinerà la
sua conversione da seguace di Lutero a Cattolico. La conversione
gli assicura un posto nel seguito del Nunzio al suo ritorno a
Roma. Durante il suo soggiorno a Roma Winckelmann si immerge
nello studio delle opere classiche. Membro di diverse Accademie,
quella di S. Luca a Roma, quella Etrusca a Cortona, della
'Society of antiquity' di Londra, e dal 1763 prefetto delle
antichità e 'scriptor linguae teutonicae' alla Vaticana, riesce
a portare le sue competenze in fatto di antichità classica ad un
altissimo livello. Le visite agli scavi
archeologici di Pompei nel napoletano, aperti nel 1748, gli
permettono di completare le sue straordinarie esperienze di
conoscitore. Winckelmann muore durante il viaggio di ritorno a
Roma dalla Germania, ucciso per rapina nei pressi di Trieste nel
1768.
A Dresda Winckelmann comincia a formulare le sue prime teorie
sull'arte greca, teorie che sono il frutto solamente dello studio
sui libri e che quindi mancano di quella oggettività, di quella
concretezza che può venire solo dall'osservazione diretta delle
opere. In questo periodo, nel 1754, compone le
"considerazioni sull'imitazione delle opere greche in
pittura e scultura", opera in cui esprime il suo punto di
vista sull'arte romana, arte che secondo lui costituiva la
corruzione dell'arte greca, la caduta dell'armonia e della
bellezza. L'arte romana agli occhi del critico non era altro che
sterile copiatura. Nel 1764 conclude due opere. Una è
"Storia delle arti e del disegno presso gli antichi",
in cui W. esaminando le arti del disegno presso i greci , studia
le componenti tecniche, climatiche ideali che condussero i greci
ad un'espressione così alta della bellezza e formula la teoria
del 'progresso' nell'arte: "le arti che hanno connessione
con il disegno cominciarono, siccome tutte le altre umane
invenzioni, da ciò che c'era di pura necessità; aspirarono
quindi al bello; e poscia passarono all'eccessivo al caricato.
Winckelmann distingue dunque l'arte greca in quattro stili,
corispondenti ad altrettanti quattro periodi (ANTICO, fino a
Fidia; SUBLIME, Fidia e i contemporanei; BELLO da Parassitele a
Lisippo; D'IMITAZIONE, fino alla morte dell'arte).
La seconda opera completata nel 1764 è "Storia dell'arte
nelle antichità", in cui Winkelmann esalta letteralmente le
opere greche esprimendo tutto il suo entusiasmo per la perfezione
e la semplicità delle forme che gli paiono rispecchiare con la
maggiore aderenza possibile l'idea del bello in assoluto.
Nel 1764-68, W. si cimenta nella catalogazione di tutti i
monumenti antichi non ancora conosciuti, scoperti durante gli
scavi di Pompei ed Ercolano. "Monumenti antichi
inediti" rappresenta il primo lavoro sistematico di
archelogia.
La personalità di Winckelmann si inserisce perfettamente nel
contesto culturale artistico di metà settecento. Egli giunge a
Roma nel 1755, al centro di quel periodo che assiste alla
progressiva caratterizzazione scientifica dell'archeologia. Nei
secoli precedenti, l'interesse per i classici era sempre rimasto
vivo negli intellettuali e negli artisti, ed il mondo
greco-romano aveva sempre costituito un solido punto di
riferimento. Nei secoli del Rinascimento cominciava a farsi
strada la necessità di contrastare l'indiscutibilità quasi
mistica che i medievali avevano attribuito all'auctoritas
classica e che aveva segnato tutta la filosofia cristiana fino al
1400, fissando il problema speculativo sull'interpretazione
cristiana dei pensatori antichi-basti pensar e a tutta la
filosofia scolastica.
E' nel 1700 tuttavia che nasce ufficialmente l'archeologia come
scienza. In reazione alla completa distorsione dei canoni
classici che aveva caratterizzato la letteratura italiana
secentesca, principalmente rappresentata dall'opera del Marino, e
di inizio settecento, ricordiamo la "Didone
abbandonata" del Metastasio, in cui l'eroina Virgiliana è
dipinta come una frivola e vezzosa dama di corte; era fortemente
sentita la necessità non solo di ridare dignità all'arte degli
antichi, ma anche di superare definitivamente quell'alone di
mistero che circondava il modo classico e che tanto ispirava la
fantasia dei romanzieri e dei lettori. Fornire supporti concreti
all'interpretazione della Storia Antica, portava intellettuali ed
artisti allo studio dettagliato delle sculture, dei templi, delle
opere letterarie greche e romane, e Roma divenava meta prediletta
dei classicisti. La straordinaria bellezza di Roma come museo di
arte classica è ben celebrata dalle tavole del Piranesi
(1720-1778), che disegna le vedute delle rovine della città
usando prospettive che offrono visione grandiose, che incutono
reverenza e timore nell'osservatore e che ben testimoniano i
sentimenti che gli autori neoclassici provano per la città
eterna. Roma è il maggior centro di indagine archoelogica, con i
scavi del monte Palatino aperti nel 1720 e con i reperti gia
conosciuti ma in questo periodo rivalutati come i fori il
colosseo. Nonostante Winckelmann fosse dell'idea che l'arte
romana costituisse di fatto la degenerazione dell'arte greca la
sua permanenza a Roma non fece altro che giovargli, trovando in
questa città l'ambiente culturale a lui più congeniale.
Winckelmann può essere considerato il maggiore esponente del
neoclassicismo, il teorico per eccellenza che segnò la svolta
definitiva nel cambiamento della concezione del bello e
dell'arte. Benedetto Croce dirà di lui che il suo merito
maggiore fu quello di tenere sempre presente il fine dell'arte
che è la bellezza; è prorpio grazie a questa sua spiccata
sensibilità nei confronti del bello, alla sua venerazione
dell'arte greca, che Winckelmann arriverà a teorizzare un nuovo
tipo di arte ed un nuovo tipo di artista. Era sua sentita
convinzione infatti che l'arte, aspirando alla bellezza totale
non può ottenerla che attraverso l'uomo. La natura lasciata a se
stessa non può raggiungere da sola l'apogeo della perfezione,
ecco che dunque la paesaggistica perde valore, è relegata a
rango di oggetto che in quanto tale non permette all'artista di
esprimere l'armonia e la dinamicità della vita.
Assieme alla proporzione e alla plasticità delle forme in
Winckelmann è esaltata la linearità, la chiarezza. Perfino in
colore viene quasi demonizzato in quanto non lascia vedere con
trasparenza la vera figura, l'uomo definito e perfetto in tutte
le sue parti.
Con la critica al colore, Winckelmann dichiara aperta la crisi
dell'accademia
tradizionale, dell'artista-artigiano (anche se le esigenze del
nuovo mercato autoregolato dettano la necessità di formare
ancora artigiani preparati da impiegare nelle industrie di beni
di terza necessità). L'artista di W. è un uomo di spiccata
sensibilità, in grado di estrinsecare l'estetica, la forma
perfetta dalla realtà che ha intorno. L'artista è
un'osservatore distaccato, quasi un filosofo che più che nella
realtà si colloca al di sopra dell'umanità stessa. Il nuovo
artista, oltre ad apprendere la tecnica del disegno dovrà
apprendere la scienza dell'arte, ovvero dovrà studiare storia
dell'arte, storia, geometria, mitologia, anatomia, filosofia.
Winckelmann lascierà una forte impronta ideologica nelle
accademie con cui è in contatto. Il nuovo modello sarà
accettato e diffuso in Italia come in Europa, le scuole d'arte
neoclassiche divengono le accademie più prestigiose e più
valide.
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