I giorni segreti

M0prgipb.jpg (784 byte)

Riportiamo in queste pagine l'eccezionale inserto da 'IL FOGLIO' di MATTIA FELTRI su Lucio Battisti.

M0prgipb.jpg (784 byte)

 

lucio1c.JPG (9737 byte)Il medico disse: "Glomerulonefrite". Lucio Battisti se ne stette un po' lì, in silenzio , corrugando la fronte, con le sopracciglia incrinate verso il basso . Il medico lo lasciò riflettere qualche istante. "Vede , signor Battisti, la glomerulonefrite è un'infiammazione ai tessuti dei reni. Si tratta di un apatologia piuttosto seria che in qualche circostanza compromette gravemente la capacità di flitrazione dei reni. Mi dispiace, ma questo è il suo caso. I suoi reni non funzionano più come dovrebbero. E purtroppo funzioneranno sempre peggio". I  reni. Non era la prima volta che aveva guai ai reni. Ma non poteva immaginare quanti ancora ne avrebbe dovuti sopportare e quanti ancora, di altra natura, ne sarebbero discesi. Guardò il medico e gli chiese che cosa sarebbe successo, ora. Dialisi , gli fu risposto. Presto bisognerà cominciare con la dialisi e bisognerà continuare sinchè non ci sarà la possibilità di un trapianto , ma è molto difficile trovare organi e lo è di più trovarne di compatibili; eppoi può anche capitare che il corpo rigetti il rene estraneo, per quanto possa essere compatibile.

Lucio Battisti scoprì tutto questo molto tempo fa. Era l'inizio degli anni Ottanta. Era già scomparso dalla circolazione. non rilasciava più interviste nè accettava spettacoli dal vivo. Niente inviti alla tv nè trasmissioni alla radio. Con Mogol, cioè con Giulio Rapetti, l'uomo che aveva scritto i testi di tutte le sue canzoni, di ogni grande disco e di ogni grande successo, aveva rotto da tempo. Viveva già a Molteno, allora provincia di Como, oggi provincia di Lecco. Precisamente, viveva nella frazione di Dosso di Coroldo, che da quelle parti chiamano "il dormitorio dei ricchi": quattordici ville immerse in un bosco di faggi , circondate da un'unica grande staccionata che, con il contributo di una fitta e alta siepe e di molte piante, preclude la vista dei curiosi. Un ringhioso custodeha il dominio dell'unico ingresso del residence e quindi della sbarra che si alza solo per pochissimi autorizzati. Naturalmente, anche per Lucio Battisti.

Probabilmente quel pomeriggio, dopo aver lasciato il medico per tornarsene a casa con la netta coscienza della malattia, ricordò con precisione tutti i giorni che, anni prima, aveva trascorso a letto, febbricitante, con un violento dolore ai fianchi e un diffuso malessere in ogni arto. Era un ragazzo. Fu colpito da un'insufficienza renale. Lo curarono e credettero di averlo guarito. Qualche volta succede e successe a Lucio Battisti , perchè il virus gli restò avvinghiato dentro per riesplodere tempo dopo , rafforzato da una lunghissima e indisturbata incubazione, ormai quasi invincibile. E quando gli telefonarono dalla Francia  per fargli coraggio, perchè il rene c'era e si poteva fare il trapianto, e la speranza di una vita normale era davvero lì, distante solo poche ore, lui avvertì la moglie, Grazia Letizia, e insieme prepararono le valigie.

***

 

Grazia Letizia ha gli stessi anni di suo marito. Per la precisione, è di qualche mese più giovane. Lucio nacque il 5 marzo 1943, a Poggio Bustone, in provincia di Rieti. Fu la vevatrice ad andare a casa Battisti, dove una donna, Dea, gemeva per le doglie e un uomo, Alfiero, impiegato del Dazio, sudava per la tensione. Alle 13.30 la levatrice accolse il bambino dal ventre della madre nelle proprie braccia , e le due donne sentirono un acuto strillo di un bimbo sano; e tanto bastava, anche se non sapevano che quella voce,  così sperata e stridula , sarebbe rimasta sempre una lametta da barba, come disse Lucio Balla, cioè una voce d'emergenza, che fa della necessità una originalità assoluta: avrebbe fatto curve, sarebbe andata su un gradino, per impennarsi e subito abbassarsi, poi sussurrare e arrivare tortuosamente a quella che è la comunicazione ideale ; la voce opposta a quella del grande cantante. Ma che pure fece di Battisti un immenso cantante.

afor1.JPG (8048 byte)Il ventuno luglio, quando Lucio aveva vissuto quattro mesi e sedici giorni, a Limbiate, in provincia di Milano, nacque Grazia Letizia Veronesi. Sarebbero trascorsi venticinque anni prima che si conoscessero; ventisei prima che si fidanzassero; ventinove prima che toccasse loro sentire il pianto di un neonato, Luca, figlio unico; trentatrè prima che fossero uniti dal matrimonio e cinquantacinque prima che fossero divisi dalla morte. Nel 1968 , quando si strinsero la mano per la prima volta, lei era una segretaria del Clan di Adriano Celentano; lui stava cominciando ad assaporare la melassa del successo sopratutto grazie a "29 settembre", canzone che aveva scritto con Mogol nel 1966 e che l'anno seguente fu cantata dall'Equipe 84. Un pomeriggio, Lucio si era seduto davanti a uno dei pianoforti della Numero Uno , la casa discografica per la quale lavorava, e intonò "29 settembre" per Maurizio Vandelli, leader dell'Equipe , al quale voleva proporre questo suo ultimo lavoro. Vandelli sedette vicino a Lucio , col gomito appoggiato a un tavolino e il palmo della mano sotto al mento. Dopo poche note, balzò in piedi :"Lucio , rifalla, rifalla un po'...". Fu incisa, poi l'Equipe prese a girare per una serie di spettacoli in tutta Europa, ma una sera squillò il telefono della camera d'albergo di Vandelli; un discografico gli ordinò di rientrare, e pazienza le querele per i contratti non rispettati:"29 settembre" era prima in classifica , si poteva fare il botto. "Facemmo ritorno in Italia, e ad accoglierci c'era una moltitudine di ragazzi impazziti. Chi gridava i nostri nomi, chi sveniva,chi si strappava i capelli. Fu un piacevole choc che ci capitò di punto in bianco", ricorda Vandelli. E' stato allora che Battisti iniziò a pensare di essere il più bravo di tutti. E iniziò a pensare di poter cantare, da sè le proprie canzoni. Ed è stato allora che si innamorò di Grazia Letizia. questi due eventi cambiarono la sua vita.

***

foto37.jpg (5738 byte)

Così quando dalla Francia lo chiamarono per avvertirlo che tutto era pronto per il trapianto del rene, lui non potè fare altro che dirlo a Grazia Letizia, e lei gli strinse le mani per fargli coraggio. Partirono insieme per Parigi. Fu ricoverato . Trascorse la notte in clinica, e la mattina successiva fu portato in sala operatoria. L'operazione riuscì perfettamente, nei tempi e nei modi che i chirurghi si erano prefissati. Non restava che aspettare le risposte del fisico di Battisti, ma i presupposti, come informarono i medici, erano confortanti. Purtroppo l'ottimismo durò poche ore. Ci si accorse ben presto che qualche cosa non stava andando come si sperava. Battisti soffriva, aveva la febbre , il suo corpo cominciava a dare i primi inequivocabili segnali di rigetto. Si attese tutto il tempo che si poteva attendere, poi non ci fu più alternativa. Nel giro di pochi giorni, Battisti fu nuovamente anestetizzato e nuovamente operato, stavolta per l'espianto. Se ne tornò a Molteno con una lunga cicatrice, più malato di prima, e con la prospettiva di un destino da dializzato. Lui e Grazia Letizia decisero di raccontare a nessuno del fallito trapianto.

L'illustre paziente Lucio Battisti, gli ultimi anni della sua vita, raggiungeva il reparto di nefrologia dell'ospedale di Lecco un giorno sì e un giorno no. Lì si sottoponeva a estenuanti sedute di dialisi. Veniva adagiato su un lettino. Numerosi aghi gli venivano infilati nelle braccia e nelle gambe; gli aghi erano collegati a una quantità di tubicini che avevano per meta un rene artificiale. Il sangue, aspirato dalle vene, si incanalava nei tubi e veniva convogliato nel rene artificiale per essere depurato dalle scorie che il corpo di Battisti non era più in grado di depurare. Lui si informava su tutto. Voleva sapere come funzionava quella macchina, quali erano i danni provocati dalla circolazione esterna del sangue, quanta gente, come lui, doveva subire quel tormento. Se ne restava buono sul lettino per tre, quattro ore, con un infermiere a fianco. Parlavano. E intanto teneva d'occhio il saliscendi del sangue, ne controllavano l'ingresso nel rene metallico, poi l'uscita, la differenza di colore. Soprattutto , bisognava stare molto attenti che non si formassero bolle d'aria nei tubicini, perchè ne sarebbe conseguita un'embolia. Battisti non si distraeva un attimo. Ma accettava di chiacchierare con l'infermiere. Di tutto. Tranne del suo passato.

Lucio Battisti decise di farla finita con il passato nel 1982, quando concesse l'ultima intervista, che pensò di regalare alla Radio svizzera. Il 1982 fu un anno importante. Battisti e Mogol si erano stretti la mano e avevano concluso che la loro collaborazione doveva interrompersi dopo tre lustri di successi senza precedenti e poi insuperati . Non ci fu un vero motivo. Si è  a lungo parlato di problemi di proprietà, poichè Mogol alloggiò nella villa di Dosso di Coroldo confinante a quella di Battisti. Lo stesso Mogol ha ammesso punti di vista divergenti sui diritti delle canzoni di cui Lucio componeva la musica e lui il testo. E qualcuno ricorda il "vaffanculo" che come una lapide si posò su quella lunga amicizia. "Ma l'ultima volta che l'ho visto , un anno fa, ci siamo guardati e siamo scoppiati a ridere. Ci eravamo accorti che ormai non sapevamo più perchè avessimo smesso di lavorare assieme", ha ora raccontato Mogol.

1972-3.jpg (6931 byte)

E invece, forse, Battisti lo sapeva in ogni dettaglio. E non mancò di spiegarlo a tutti. Con Mogol aveva pianto nei microfoni gli occhi azzurri, le bionde trecce, gli amori dissolti , le distanze abissali, i cieli immensi, le colline dei ciliegi , le discese ardite; aveva sospirato per la donna tradita, e per la donna traditrice , per la donna casta e per la donna in vendita, per la donna sfavillante e per la donna sconfitta. Messaggi chiari, limpidi, amabili, orecchiabili, fischiettabili, facili e avvolgenti. Messaggi che diventarono inni e che si tradussero in milioni di dischi venduti, nel delirio degli ammiratori , nell'invidia dei colleghi, nelle celebrazioni anche un po' livorose della stampa. Messaggi che culminarono nel 1970, con un dominio devastante: le sue canzoni rimasero in classifica per quarantaquattro settimane su cinquantadue. Spesso con più di un pezzo: per trentaquattro settimane con i brani da lui interpretati: per venticinque con "Insieme", regalata a Mina; per dieci con "Per te", concessa a Patty Pravo. "Oggi sono l'unico . Tutti gli altri vengono dopo", disse. Ma tutto questo, appunto era il passato.

"Mi sono reso conto che fare l'ermetico crea meno problemi , mentre parlare un linguaggio semplice ti espone a maggiori possibilità di essere giudicato. Più gente ti capisce, più hai potenziali giudici di ciò che fai". Questo disse Battisti quando cominciava a dubitare del lavoro di Mogol. E quando si persuase definitivamente della necessità di ricominciare da capo, in quesl 1982, aggiunse:"Tutto mi spinge verso una totale ridefinizione della mia attività professionale. In breve tempo ho conseguito un successo di pubblico ragguardevole. Per continuare la mia strada ho bisogno di nuove mete artistiche, di nuovi stimoli professionali : devo distruggere l'immagine squallida e consumistica che mi hanno cucito addosso. Non parlerò mai più perchè un artista deve comunicare solo per mezzo del suo lavoro. L'artista non esiste. Esiste la sua arte".