Articoli vari

"Com'è una sera di musica "creativa" fra i giovani della Villa di Monza", Corriere della Sera, 20 aprile 1978  

"L'evoluzione interiore del musicista", (intervista) da Re Nudo 40, 1978  

"Rock Benedettino", (intervista) da TV7- Rai UNO, 1988

"Presto un nuovo disco dopo "Te Deum" e il tour con Milva", da Alta Fedelta, 1990

Beppe Giunti intervista Camisasca per "Videodeserto", 1994 

"Nuvole Bianche" (intervista), da Note su Dio, 1994

"Camisasca", da Fuori dal Mucchio n. XVI 

"Estate catanese 1995", da La Sicilia,  23/7/1995  

"Il profeta nomade" da La Sicilia 25/7/1995 

"Roberto Juri Camisasca. Concerto per due tastiere e harmonium" 5/11/1995

"Juri Camisasca. Musicista col codino." Da Cercatori di Dio. (interv.) Ed. Paoline, 1996

"A Monza e poi Milano", da La provincia di Como, giovedì 21 maggio 1998 

"Il musicista che vive su un vulcano" (intervista), da Il Giornale, 6-12-98

"Il canto dell'ascesi" (interv.), da L'isola che non c'era, n.8, gennaio 1998

"Juri, monaco tra new age, zen e rock",  da Il Mattino, 17 Aprile 1999

da la Nuova stagione , 2 Maggio 1999

"Alice e Juri Camisasca tra musica e misticismo", da La Sicilia, 1999  

"Juri Camisasca, l’eremita  con l’anima pop",  (interv.)  da La Sicilia, (2000)

"Juri Camisasca", da L'enciclopedia del rock

"Intervista a Juri Camisasca" e altre domande, dal Battiato Virtual Fan, 2001

"L’Arcano Enigma di Juri Camisasca", da www.musicalnews.com, 14/3/2002

"Tao e Sacre scritture nelle note di Camisasca", da La Nazione, 15/3/2002

L’io, antitesi di Dio. Ecco il mio canto. Intervista a Roberto Juri Camisasca da L'Eco di Bergamo e La nostra domenica, 27/2/2003

 

COM'E' UNA SERA DI MUSICA "CREATIVA" FRA I GIOVANI DELLA VILLA DI MONZA

MONZA- Nel Teatrino della Villa Reale piove la luce azzurra di cinque riflettori molto schermati, sul palcoscenico un "harmonium" (il piccolo organo per i cori di chiesa): poi arriva avvolto in una palandrana di lana grezza lui, l'esecutore. E' Juri Camisasca, ex-operaio, ex-cantautore, ora insegnante di animazione nelle scuole elementari. Inaugura una rassegna di giovani musicisti contemporanei, organizzata da una radio privata della nuova sinistra.

La rassegna si intitola alla "evoluzione interiore dell'uomo": e l'esecutore da inizio con la voce ad una nenia senza parole, molto lunga (durerà un'ora e mezzo), accompagnata da accordi musicali d'organo ossessivamente tenuti, senza un attimo di respiro.

In platea centocinquanta giovani tra i diciotto e i venticinque anni, nella consueta "divisa" di jeans e maglione. Sono studenti in gran parte, molti lavoratori: vengono da Monza e dagli altri paesi della Brianza per assistere solamente a questa esibizione. Sono attentissimi, silenziosi, quasi tutti si prendono il volto tra le mani e chiudono gli occhi per concentrarsi meglio. ANche le coppie, che prima erano abbracciate, si sono sciolte: ciascuno entra in un suo mondo solitario, tutto particolare. E' l'effetto di questa musica.

"Serve moltissimo a immergersi nella propria dimensione di individuo" - ci spiega Giordano Casiraghi, uno degli organizzatori dell'emittente privata - "E questo consente poi di prendere coscienza del mondo esterno, di avere una posizione politica, di contestare essendo consapevoli soprattutto di se stessi".

"E' una musica meditativa - aggiunge Antonio Origgi, uno degli spettatori più attenti - che invita a partecipare insieme a riflettere su di sè; ti prende dentro e ti aiuta anche per l'azione politica, dopo".

E' il commento più diffuso. Sembra quasi che questi giovani, che pure sono politicamente sensibilizzati e attivi, abbiano una estrema necessità di essere convinti prima di tutto su sè stessi, sulla propria individualità, per trovare poi una dimensione di lotta collettiva. Poco importa loro, così almeno dicono, se questi musicisti sono capiti da pochi, se l'esecutore di ieri sera è stato lungamente fischiato ad una manifestazione del partito radicale.

"Il musicista è soltanto un mezzo attraverso il quale la natura si esprime" sostiene Camisasca, l'esecutore, e spiega che la cosa più importante è recuperare il contatto con quello che già esiste, incontaminato, fuori dal singolo e lasciare stabilire una comunicazione col proprio io.

C'è in platea un'atmosfera di misticismo, di religiosità del "privato", del singolo: la musica e la voce sembrano un'eco del canto gregoriano sparito da tempo da tutte le chiese. Quando lo si dice, i giovani non respingono il paragone e confessano che ideologie e strategie politiche restano alienanti se "l'io" individuale non è prima consapevole e soddisfatto.

E se ne vanno silenziosi e tranquilli, ancora ispirati a continuare a riflettere.

Giuseppe Baiocchi

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L'EVOLUZIONE INTERIORE DEL MUSICISTA - Intervista a Juri Camisasca in occasione della sua partecipazione alla rassegna musicale denominata: "L'evoluzione interiore dell'uomo" svoltasi nel mese di maggio a Monza e organizzata da Rodiomontevecchia.

D. Sono convinto che conoscendoti attraverso le incisioni su vinile di qualche anno fa, ovvero l'LP "La finestra dentro" e il 45 giri: Himalaya, ci si è fatta un'idea non propriamente esatta di chi sei adesso. O forse non sei cambiato?
R. Ho fatto quei dischi perché non mi era chiaro quello che volevo fare. Per me è stata un'occasione per uscire da una situazione poiché io lavoro in fabbrica. Si trattava di fare delle cose che colpissero il produttore. Era comunque il mio stato di cose che mi portava a fare quello.
D. Ascoltando il tuo microsolco ci si trova in una situazione angosciosa stimolata da testi e tono vocale disperato. Adesso usi la voce in modo da trasmettere pace: tu questa pace te la senti dentro?
R. Sì, quando riesco a trasmetterla.
D. Pensi che il messaggio spirituale che riceviamo dall'oriente possa essere realizzato in un luogo culturalmente e socialmente diverso come l'Italia o l'occidente in generale?  Voglio dire secondo la tua esperienza, servono lo yoga, le meditazioni di zen, la macrobiotica...
R. Noi diciamo yoga riferendoci all'oriente, ma esiste anche yoga occidentale, così pure la meditazione. Nel campo dello spirito ci sono tante strade tra cui i vari tipi di yoga orientali e il grande insegnamento di
Cristo
D. Parlami della tua esperienza come animatore
R Stare coi bambini è stata per me una grande apertura. Tutti noi ci influenziamo con il pensiero, con gli atteggiamenti e il modo di fare. I bambini mi hanno capire la semplicità delle cose e l'importanza della
semplicità. Quando stiamo con delle persone pure queste ti trasmettono la loro purezza.
D. Cosa pensi della musica?
R. Innanzitutto bisogna stabilire cosa è la musica e cosa fa il musicista nel momento in cui si applica a uno strumento. Il musicista è un mezzo attraverso il quale la natura si esprime. Quando uno suona non fa altro che riprodurre una musica che già esiste nell'aria, nel cosmo, nell'universo. Il risultato della musica di un musicista dipende dal rapporto che lui ha con la natura, dipende poi da cosa riesce a captare dalla natura. Quando uno suona non deve dire: "la mia musica".
a cura di Giordano Casiraghi
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ROCK BENEDETTINO -estratto da un intervista apparsa su TV7 (Rai UNO) 

D: Juri Camisasca, 37 anni, negli anni '70 c'è un passato legato alla canzone d'autore, alla sperimentazione della musica, poi ad un certo punto ti ritiri in un convento, fai vita comunitaria, diventi monaco benedettino. Da pochi giorni hai abbracciato una strada di certo non facile che è quella della vita eremitica... come mai questa scelta?
R: Una maggiore necessità di solitudine, una maggiore necessità di silenzio per un desiderio sempre più grande di vivere verticalmente la vocazione umana.
Quanto sfida se stesso Juri Camisasca in questo viaggio nuovo che va ad intraprendere?
Bisognerebbe riuscire a sfidarsi interamente perché questo tipo di ricerca implica la totale abnegazione di se stessi, quindi riuscire a trovare la propria origine, la propria essenza, significa smantellarsi di dosso tutto quello che noi ci siamo costruiti, ci siamo prefabbricati con le nostre idee, i nostri ideali...
Di recente una coincidenza ha voluto che la tua scelta dell'eremo coincidesse con l'uscita di un tuo disco che si intitola "Te Deum". La musica ha quindi continuato ad avere una parte importante nella tua vita. Ecco, ma cosa significa oggi per te?
Questo mondo ha tanto bisogno di Dio. Poiché la mia vita è dedicata alla ricerca di Dio e poiché Dio è una realtà molto più concreta, per chi lo cerca, che non la materia per il materialista, mi sembra giusto dire agli altri che questo Dio esiste e che lo si può toccare con mano, lo si può sperimentare. Ora questo è quello che io voglio comunicare con il "Te Deum", che poi è un canto sacro; ma lo voglio comunicare con l'intenzionalità della voce, con la vibrazione che viene da dentro.
Da questo eremo, che opinione hai del pianeta che ci ospita e di tutti noi che lo viviamo?
Ma io non penso che ci sia stata un'umanità peggiore o una migliore. Adesso come adesso di questo pianeta, di quello che è stato e di quello che sarà non so niente. Mi appare un mondo decisamente disperso nelle vanità. C'è poca gente che ricerca la Verità.
Qual è la cosa più bella che tu hai ricevuto da questa vocazione?
È la vocazione stessa. È la cosa più bella. Essere stato chiamato alla ricerca di Dio, è questa la cosa più bella. Che poi la risposta più esatta sarebbe "essere stato cercato da Dio", perché è sempre lui che cerca l'uomo. L'uomo deve rispondere, quindi il silenzio diventa l'ascolto, silenzio per ascoltare che cosa mi dice questo Linguaggio così sconosciuto nella nostra epoca.
Intervista a cura di Vincenzo Mollica

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JURI CAMISASCA - Presto un nuovo disco dopo "Te Deum" e il tour con Milva.
Avevamo parlato di un ritorno al disco di Roberto Juri Camisasca quando recensimmo "Te Deum", una preghiera in musica uscita per l'Ottava di Battiato sul finire dell'88. Poi abbiamo ascoltato le sue canzoni interpretate da Battiato, "Nomadi", e poi da Alice, ancora "Nomadi" e "Visioni", "Il sole nella pioggia" ,"L'era del mito" e "Le baccanti". Infine anche Milva non ha saputo resistere dall'interpretare il mondo sonoro di Camisasca così nel suo ultimo "Svegliando l'amante che dorme" troviamo "Angelo del rock" e "Potemkin" che Juri ha scritto per lei. Pare insomma che le sue canzoni vanno a ruba ed è stato un piacere rivederlo sul palco del teatro Lirico di Milano. Quindici anni dopo la sua esibizione prima del gruppo inglese Henry Cow. Durante lo spettacolo con Milva egli ricopre il ruolo di accompagnatore vocale e gestuale di alcune canzoni che lui stesso ha scritto per la "pantera del rock". Tra un tempo e l'altro lo incontro dietro le quinte e si offre l'occasione per una breve chiacchierata:
D.Allora Juri le tue canzoni vanno a ruba, da Milva a Alice ma per esempio l'attacco di "Visioni" ricorda un po' "Nomadi"...
R.Certo le mie canzoni cantano di un certo argomento che mi sta a cuore, quello della ricerca spirituale, ma "Visioni" è diverso da "Nomadi". "Visioni" è una particolare intuizione della vita in rapporto agli uomini, anche a quelli che non ti sono amici..
D.Si parla di un altro tuo disco. E' vero?
R.Si, ho un accordo con la Emi per la pubblicazione di più dischi. Sto lavorando anche sui testi che dovrebbero prendere una dimensione più allargata rispetto alle canzoni che ho scritto finora.
Giordano Casiraghi

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BEPPE GIUNTI INTERVISTA JURI CAMISASCA PER "VIDEODESERTO" 1994
J.C.: Io non sono partito da nessuna parte. È stato Dio che è intervenuto nella mia vita in un momento in cui per me era tutto quanto buio, insignificante, negativo; tutto non aveva senso, la mia vita, il mio
respiro, non aveva senso niente. In un momento di crisi assoluta c'è stato l'irrompere di un amore che supera il nostro mosdo di comprendere l'amore e che mi ha letteralmente rivoluzionato. Questa è la mia esperienza.
B. G.: Tu stai parlando di una fase della tua vita in cui vivevi per delle cose, probabilmente per delle idee... chissà. Per te, adesso, vivere per Dio che significa?
J.C.: Vivere per Dio è l'unico modo per potere dare un senso alla vita. Non esistono valori verso i quali ci si possa orientare e trovare una pienezza di vita. All'epoca quando ti dicevo che vivevo in un momento molto difficile e molto buio, era l'epoca in cui inseguivo degli orizzonti musicali, inseguivo il successo discografico, la popolarità. E credevo  che realizzando questi valori, che non sono i veri valori ma sono valori inventati dall'uomo, io potessi ottenere una pienezza interiore, potessi avere quella serenità e quella gioia che, dopotutto, sono il fine  dell'esistenza umana. Invece non li ho avuti. Ho capito che erano cose effimere, il successo, la popolarità, insomma, non danno la felicità. Si dice "i soldi non fanno la felicità, ma ti aiutano a vivere meglio"; questo è un principio molto sano, però l'importante è saperlo e non inseguire questi ideali come scopo ultimo della vita. La vita è infinitamente superiore e infinitamente più preziosa di questi valori. Quando uno ha l'incontro con Dio sente che ogni cosa va al suo posto, tutto acquista un senso; la sua vita, il suo dormire, ogni attimo dell'esistenza ha un valore eterno. Ed ecco che è un premio veramente grande quello che Dio ci da, che è la sua conoscenza.
B.G.: Ricerca del successo, ma hai incontrato anche il monastero. Adesso vivi eremita. Perché questo incontrare Dio nella solitudine e nel silenzio? Non potrebbe essere una fuga... cos'è?
J.C.: Io credo che se si può chiamare fuga, è una fuga dalle distrazioni del mondo, ma non una fuga dalla realtà.. io credo che vivere nel silenzio e nella solitudine significhi andare incontro alla realtà, alla vita, sia mettersi in un atteggiamento di ascolto di ciò che la vita ti dice. E non è poesia; tutta la vita è linguaggio. Cioè, uno dice "mettiti in ascolto", o si parla della tematica dell'ascolto, "ma cosa devo ascoltare - noi diciamo - se nessuno mi parla?". Invece  la vita ti parla in ogni momento, attraverso la natura, il silenzio. Ogni cosa ha il suo linguaggio ed esprime l'eterno; noi dobbiamo essere in grado di cogliere questo valore, ma solamente il silenzio ed un certo tipo di solitudine ti possono portare a questo tipo di conoscenza. Io trovo, invece, che il vivere in una maniera dissipata, continuamente nella confusione e nel caos, sia un evadere la vera realtà, innanzitutto sia un evadere l'incontro del vero amore, della vera vita, ed evadere anche dai propri problemi. Vivere sempre proiettati verso l'esterno difficilmente induce la persona a conoscersi. Quando vivi nel silenzio e nella solitudine sei obbligato a conoscerti, che tu lo voglia o no. Sei a contatto con te stesso, tutte le debolezze affiorano dalla tua interiorità e le devi affrontare, inevitabilmente. Si possono manifestare sotto forma di pensieri, sensazioni, di momenti di apatia in cui sei nel silenzio e ti domandi "che ci sto a fare?". Allora devi riuscire a trovare una motivazione al tuo essere in silenzio ed in solitudine, e da lì parte questo impulso interiore che ti fa avvicinare alla presenza invisibile della vita.

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NUVOLE BIANCHE

 Chi è Juri Camisasca?

Sono vissuto per undici anni in un monastero benedettino dell'Umbria dove, dopo un periodo da eremita sull'Etna, farò certamente ritorno. Ho sentito la necessità di compiere questo cambiamento che non ha toccato il mio stile di vita. Mi sono calato in un'altra parte del mondo per portare avanti il mio progetto della canzone. Fuori dal monastero conduco una vita anche più dura, sto da solo, e dalla mia esperienza eremitica nascono anche le canzoni. Prima di convertirmi al cristianesimo ero uno che seguiva Kerouac, Hendrix, la beat generation, il mito di Woodstock. Poi è accaduto un fatto concreto nella mia esistenza: l'incontro con Cristo che ha capovolto tutto. L'essere monaco benedettino è una conseguenza della mia scelta: trovare lo spazio adatto per uno stile di vita cristiano.

Perché ha scelto di scrivere canzoni?

Ho avuto l'offerta discografica e ho accettato, perché no? Svolgo questo lavoro come una missione.  La mia vita infatti è a completa disposizione di Cristo e di nessun altro. Purtroppo c'è il mio "ego" che a volte mi porta fuori strada, però alla base della mia vita c'è la scelta fondamentale di vivere per Cristo. Che ci riesca o meno è un altro discorso. Cerco di darmi da fare, però la mia miseria è talmente grande che non sempre riesco a vivere per Cristo. Sono un poverello che ha bisogno della Redenzione.

Ritiene possibile evangelizzare attraverso le canzoni?

Lo si può fare solo se si è incarnazione del Vangelo. Credo che tutti gli uomini abbiano bisogno di un'ancora di salvezza e la possono trovare anche nei messaggi delle canzoni. Le mie canzoni sono frutto di una ricerca e non di un calcolo studiato a tavolino. Sono provocatorio, è vero. Ma a essere provocatoria è la mia vita perché è orientata verso Cristo. La vita dei cristiani è "contromano" perché tesa a inseguire la fede, la preghiera e la povertà. Con umiltà cito una frase di san Paolo: la perdita è il mio vero guadagno. Quello che il mondo vede come una perdita per me è una conquista.

La decisione di vivere in eremitaggio e non in monastero è legata alla sua scelta di dedicarsi alla musica?

Non vorrei che sembrasse che io abbia rifiutato la vita monastica per scappare via da solo. Conosco bene e amo la vita in comune. Ho avvertito il bisogno di vivere ancora di più nel silenzio e nella solitudine. La cosa che mi interessa è solo la ricerca di Dio. E' una ricerca non facile e la mia paura è che per molti sia soltanto una questione concettuale, di intelletto. Invece c'è un'ascesi ben precisa da fare: questo Dio che noi cerchiamo dobbiamo conoscerlo realmente, dobbiamo lasciarci conoscere da Lui. O viviamo sul serio questa esperienza, e per viverla ci devono essere determinate condizioni, oppure si rischia di imparare il catechismo a memoria credendo di aver concluso tutto, ma non è così. Come non è sufficiente entrare in monastero per considerarsi santi. La strada è lunga e dura. Ecco allora il senso della mia scelta personale di vivere nel silenzio e nella solitudine.

Non le pesa essere considerato un autore che scrive canzoni troppo "pesanti", certamente poco adatte a essere trasmesse dalle radio e dalle televisioni?

Non è un peso, ho scelto di fare un certo percorso nella vita. Le critiche non mi interessano. E' un po', ad esempio, come quello che viene criticato perché prega. Peggio per chi critica, evidentemente non ha capito l'importanza della preghiera e vede il fatto di inginocchiarsi davanti a Dio come una cosa strana, bigotta. Invece chi ha toccato con mano certi valori sa che non può prescindere dalla preghiera nella sua vita. Del resto non riesco a scrivere una canzone che non abbia una relazione con la mia vita e il mio modo di essere. Quindi poiché la mia vita di monaco benedettino è orientata a cristo, le mie canzoni hanno una chiara connotazione religiosa.

Che cosa vuole comunicare con le canzoni?

Nel momento in cui scrivo una canzone cerco innanzitutto di verificare se è quello che sento veramente. Non mi interessa bluffare per farmi ascoltare a tutti i costi. Potrebbe forse anche essere una strategia: scrivere canzoni "così così", vestite in modo che la gente le ascolti più facilmente. Però non ci riesco. Quello che scrivo deve arrivare dalla mia coscienza e se raggiunge anche la gente sono contento, altrimenti… pazienza. Certo, sento forte il desiderio di comunicare. Quello del condizionamento per arrivare agli ascoltatori potrebbe invece essere un discorso valido per quanto riguarda la forma, quindi la scelta di certi vocaboli e di certe immagini. Personalmente, provo un certo pudore nel parlare di alcuni temi. Nelle mie canzoni, per fare un esempio, compaiono raramente le parole Dio e Signore. Non le metto perché le ho talmente dentro di me che ho paura di non saperle esprimere. Cerco allora di trovare delle forme per comunicare come ho fatto nella canzone Le acque di Siloe, le acque dell'eternità, secondo una citazione del profeta Isaia. Si tratta perciò di trovare varie forme di questo tipo, immagini, ma i contenuti non si toccano.

Lei ha scritto una canzone su Edith Stein, uno dei maggiori filosofi contemporanei, una delle figure più straordinarie della Chiesa di questo secolo, beatificata da Giovanni Paolo II a Colonia nel 1987. Una donna ebrea che si fece suora carmelitana, venne arrestata dalla Gestapo e uccisa nel lager di Auschwitz. E' una storia molto significativa.

La storia di Edith Stein conferma che non sempre vivere nella solitudine e nel silenzio, come faceva lei nel Carmelo di Echt, significa essere staccati dagli altri. Ha vissuto la morte come una martire, come una donna consacrata a Cristo. C'è un grande significato nel suo sacrificio: all'interno del cristianesimo Edith si è ricongiunta al popolo ebraico. Condannata da ebrea, ha vissuto la morte da cristiana.

E' una testimonianza molto forte. "D'ora innanzi il mio solo lavoro sarà l'amore" scrisse Edith Stein il giorno del suo ingresso nel Carmelo. Attraverso questa vicenda lei ha voluto comunicare il valore del silenzio, della solitudine?

C'è un bellissimo detto di Evagrio Pontico, un eremita del deserto vissuto nel IV secolo: "Il monaco è colui che vive separato da tutti ed è unito a tutti". Quando un uomo trova l'unione con l'Assoluto la trova automaticamente anche con il resto dell'umanità. Il vivere insieme agli altri non significa necessariamente possedere questo senso di comunione. Prima di tutto l'uomo deve trovare l'unificazione in se stesso. Quando dentro di sé è unito alla sua vera realtà, trova anche le giuste relazioni con gli altri. Invece nei percorsi comunitari, a volte, entra in gioco tutta la psicologia umana: si è insieme ma non si è uniti.

"Nuvole bianche veloci come nel vento attraversano i mari della relatività… Nuvole si evolvono e poi si disperdono, nuvole vivono nel mondo, ma non sono del mondo…". Sono alcuni versi della canzone Nuvole Bianche. Li può spiegare?

Quello delle nuvole bianche è un concetto propriamente orientale. Sono cristiano, ma guardo con attenzione ai valori delle altre religioni. Ci sono meditazioni della filosofia orientale che mi affascinano tantissimo. "Nuvole bianche" è un detto applicato al Buddha, a cui avevano chiesto una definizione dell'uomo veramente libero. Lui risponde "E' come una nuvola bianca". Bianco, lo si capisce, è il colore simbolo della purezza. La nuvola è un concetto che forse va spiegato: non ha una volontà propria, ma è sempre sospinta dal vento, non ha radici, non sta ferma in un posto per sempre, ma va dove la vita la trasporta e lì si trova bene. Le nuvole bianche, in sintesi, rappresentano gli uomini liberi che si lasciano trasportare dalla vita e si sentono sempre al posto giusto. Sono gli uomini liberati dall'"ego". "Viaggiano al di sopra del maestrale oltre gli orizzonti della vanità…". La definizione migliore è senza dubbio quella evangelica: sono nel mondo, ma non sono del mondo.

"I nostri tempi affondano e perdi la tua immagine, non si sente l'urlo degli dèi...". Sembra che oggi tra gli uomini non ci sia più posto per Dio...

Prima bisogna convertire noi stessi e poi pensare a cambiare gli altri. Oggi è totalmente assordante il fracasso di questa società. Siamo talmente proiettati fuori da noi stessi da non riuscire più a sentire la voce interiore. Siamo rapiti nel vortice del frastuono interiore ed esteriore.

Che cosa si aspetta di ottenere scrivendo canzoni di questo genere?

Se, una volta che sarà concluso il mio iter discografico, non avrò venduto dischi e di conseguenza il mio messaggio sarà arrivato a poche persone, mi accontenterò di quel poco. Di certo non mi dispero, perché ho ben altre risorse nella vita e non aspiro a diventare un cantante famoso. Indubbiamente sarei felice se una canzone come "Le acque di Siloe" l'ascoltassero in tanti. Questo sì. Quella canzone è la mia testimonianza di fede, esprime la verità di essere stato concepito nella mente di Dio prima dell'esistenza del mondo. Dio è eterno. Risalendo al momento del nulla cosmico, in Dio c'era il pensiero di creare l'uomo, c'eravamo anche noi concepiti per venire al mondo. La prima strofa parla della preesistenza nella mente di Dio; la seconda è la creazione, la nostra è la nascita, la terza è la vocazione sacerdotale che hanno tutti i battezzati, è l'incarnazione di Cristo, l'offerta di se stessi a Dio, è un'esplicitazione del Sacrificio Eucaristico. La quarta e ultima strofa è il ritorno dell'anima a Dio.

(Giampaolo Mattei, Note su Dio, Editrice Elle Di Ci, Torino, 1994, pp. 37-42)

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CAMISASCA  - FUORI DAL MUCCHIO, n. XVI di Ottobre.

 Per una volta abbiamo deciso di rendere maggiormente profondo il nostro viaggio nei suoni più immaginifici del passato, spingendoci oltre nel tempo ed occupandoci di una figura davvero di culto e probabilmente del tutto ignorata dalla gioventù sonica dell’attuale. Ben poche sortite pubbliche, distribuite nel corso di oltre un ventennio, bastano a fare di Roberto “Juri” Camisasca un caso unico nell’ambito della canzone d’autore italiana. Franco Battiato, che condivise con lui la fatica di prestare il servizio di leva, fu il primo a rilevarne il talento, a sorprendersi delle capacità che quel ragazzo, così schivo e introverso, aveva nel raccontarsi in musica, senza inibizioni di sorta. Nella trasfigurazione del suo cantato, nella soglia tra dolore esistenziale ed incubo, nell’uso, insomma, della musica un poco come autoterapia d’impatto, si celavano una dote artistica ed una forza inventiva (per quanto lenta) impressionanti.

Fu proprio il musicista siculo a prendersi cura di lui, prestando la sua esperienza ed il supporto materiale per la realizzazione di un album memorabile quale appare “La finestra dentro” (Bla Bla 1974 /CD Artis 1993). Il gruppo di musicisti assemblato per l’occasione, comprendente Pino Massara ed il percussionista Lino “Capra” Vaccina, forniva una cornice stimolante (con qualche reminiscenza dei primi dischi di Battiato), ric­ca nei suoni e negli arrangiamenti, capace di esaltare il clima di pathos che Camisasca andava creando nel raccontare il suo mondo interiore. Senza timore di affrontare l’assurdo ed il grottesco, Juri finì per dare voce alle sue inquietudini esistenziali, ricorrendo spesso a metafore anche molto crude. Ciò che però impressiona di più è la spregiudicatezza nell’utilizzo della voce, in grado di aggredire così come di farsi flebile e spaurita, con risultati di struggente intensità. Fra i pochi paragoni plausibili si può azzardare quello con Tim Buckley, sebbene non vengano, per un soffio, raggiunti quegli incredibili apici di virtuosistica ampiezza espressiva. La stampa rimase spaesata, malgrado il pa­norama musicale dell’epoca fosse discretamente ricettivo nei confronti di proposte “diverse”, innovative e costruì l’imma­gine del cantore paranoico ed alienato, limitandosi ad evidenziare la stranezza dei testi, le storie di “topi che corrono nelle vene e rodono il cervello”, riferimenti a metamorfosi kafkiane e deliri mistici.

Per Camisasca si avviò così un periodo di ricerca spirituale di cui la musica era parte essenziale, troppo intima per conformarsi ad esigenze di mercato. I pochi concerti, realizzati con l’ausilio di una scarna strumentazione, mostravano un artista già diverso rispetto a poco prima. Con l’eccezione di un paio di 45 giri, “La finestra dentro” rimase per lungo tempo un episodio isolato. Prima del ‘78, anno in cui decise di ritirarsi in un convento, Juri si limitò a prestare delle pregevoli collaborazioni ai dischi degli amici musicisti con cui si sentiva in maggiore sintonia. Preme qui ricordare soprattutto la breve ma significativa esperienza del Telaio Magnetico, effimero gruppo che riunì sei fra i più brillanti esponenti del pop d’avanguardia nostrano (oltre Camisasca c’erano l’immancabile Battiato, Lino Capra Vaccina, Roberto Mazza, Mino Di Martino e Ter­ra Di Benedetto). Una sola tournée, all’insegna della libera improvvisazione, venne tenuta nel Sud dell’Italia alla fine del ‘75 e fece di ogni concerto un accadimento unico ed irripetibile (alcuni brani registrati a Gela e Reggio Calabria sono stati inclusi in un CD edito dalla Musicando nel ‘95).

Il ritorno di Camisasca, in veste di solista, giungeva solo nel 1988 con “Te Deum” (L’ottava), disco di ispirazione religiosa registrato ancora con l’aiuto di Battiato. All’arrangiamento di tre brani di musica sacra medioevale vennero affiancate due composizioni originali: ogni episodio vibra della toccante profondità di una voce poggiata su un tanto essenziale quanto efficace tappeto tastieristico. “Il carmelo di Echt” (EMI 1994) è invece un album di matrice cantautoriale, dalle atmosfere pacate ed eleganti, con Mauro Pagani nei panni di supervisore artistico. Si tratta forse di una delusione per i vecchi fan, ma l’autore vuole trasmettere in qualche modo il senso, anche estetico, dei propri personali mutamenti: i “topi”, i pensieri negativi che lo angustiavano, paiono sconfitti da un atteggiamento più sereno e distaccato, che non esclude comunque nuove vie di ricerca.

Dopo le partecipazioni ad un tour con Milva ed all’edizione ‘92 del “Club Tenco”, gli ultimi segnali artistici sono giunti dalla collaborazione con Lino Capra Vaccina per “In cammino tra i sette cieli” (Musicando 1995), una dimostrazione di come possano interagire ancora al meglio, a distanza di anni, due menti musicali così fervide ed attente a non ripetersi. Si tratta di un disco dal sapore profondamente catartico e liquidamente contemplativo, che parrebbe preludio a qualche progetto futuro organizzato con maggior cura.

In ogni caso siamo sicuri che, se Juri Camisasca ritornasse ad incidere, lo farebbe comunque sotto i dettami di una sincerità espressiva coerente, una traccia che ha sempre indissolubilmente unito la sua vita di uomo con quella di artista.

Jacopo Barozzi

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ESTATE CATANESE 1995: stasera alla chiesa di San Nicola l'Arena Juri Camisasca
L'esperienza religiosa messa al servizio di musica e pittura

CATANIA - In vent'anni solo 3 album. E non perché ci fosse poco da dire. Milva, Alice, Battiato, sono solo alcuni dei nomi che hanno dato voce al suo intimo. Pochi dischi, e attesissimi incontri dal vivo.
Juri Camisasca, lo ascolteremo stasera alle 21 nella chiesa di San Nicola l'Arena, 11 anni trascorsi in un monastero, una vita per la ricerca interiore. Si è sentito, nell'Estate Catanese, un giusto tassello nel giusto mosaico...
 "Infatti. C'è da considerare l'interesse del pubblico per la musica sacra. Si avverte una serie di cose non ancora ascoltate, ma che siano vere, autentiche".
Giuni Russo l'altra sera ha proposto liriche da camera ottocentesche, lei stasera rivisiterà a suo modo Haendel, Palestrina e soprattutto il repertorio gregoriano, che senso ha, a suo avviso, questo guardare indietro?
Non mi sembra di guardare nel passato. Il canto gregoriano, secondo me, trascende il tempo. È musica astorica. Vive nel tempo grazie alla sua fruizione in ambito liturgico.
Lei è forse troppo ottimista, ci sono ormai 2 generazioni che non sanno nemmeno un'Ave Maria in latino e forse nemmeno in italiano....
È proprio qui che sta il senso della mia proposta. È essenziale il valore della tradizione intesa come incontro incessante con qualcosa di vivo e vero. Se non fosse così non potrei fare il pittore di icone, un'arte che si tramanda da secoli.
Cosa ne pensa di quell'ormai celebre Salve Regina utilizzate per musica da discoteca?
Già altrove ho espresso il mio disaccordo nei confronti di simili operazioni. Ora aggiungo che è necessario lavorare con coscienza, sapendo bene dove si va....
Maestro Camisasca, vuole presentarci i compagni dell'esperienza di stasera?
Si, stasera con me ci sarà la Corale polifonica Jonia, diretta dal maestro Cristaudo. È la prima volta che mi esibisco con loro, li ho ascoltati qualche tempo fa ed ho trovato quest'insieme in sintonia con il mio modo di vivere la musica.
Davide Gilioli

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IL PROFETA "NOMADE"
Estate Catanese - il concerto di Juri Camisasca a S. Nicola l'Arena

CATANIA - I tratti somatici sono quelli di un profeta biblico non vecchio, o sono comunque tali, se più vi piace l'immagine, e sempre fermandoci al viso, da ricordare come un Giovanni Battista andato più avanti negli anni di quanti effettivamente ne visse. Un abbigliamento "casual" diciamo color sacco, che era in perfetta linea con la sobria gestualità e il suo posizionarsi far l'obliquo e il trasversale, ma sempre con alcunché di trasognantemente ieratico. E davanti a lui, staremmo per dire davanti alla sua voce, che ne rispecchia funzionalmente la fisicità e la musica insieme, un mare di persone venute ad ascoltarlo nella chiesa di San Nicola l'Arena, molto volentieri accogliendosi quest'altro invito dell'Estate Catanese. E qui, in così monumentale accoglienza architettonica, ora comprensibilmente molto adatta e producente, ha proposto se stesso e il senso di religiosità che lo sostiene e guida, ossia attraverso quel dimensionarsi da sacertas che è tipico di certa sua musica, nonché riccorrendo a composizioni altrui ed a quell'enorme lascito che è da sempre il canto gregoriano. Superfluo aggiungere, a questo punto, che stiamo parlando di Juri Camisasca e delle atmosfere misticheggianti e coinvolgenti che le sue pagine di stampo sacro fanno suscitare, e quindi del loro accattivante costruirsi, che, pur con qualche ripetitività, è ora semplice ed ora più complesso e addirittura raffinato, accogliendovisi esperienze del canto chiesastico antico, affidate soprattutto alla monodia vocalistica e rielaborandovi suggestioni musicali e timbriche di altre culture religiose, mediterranee e non. Mentre, ai fini dei contenuti di tali pagine, conta assai quella poesia della preghiera e della pace interiore che già esprimono sin dall'andamento agogico. Né talora vi si tacciono, altresì, alcuni riferimenti, per quanto in lontana eco, di un repertorio classico volutamente non dimenticato. E d'altra parte, la sobrietà e l'essenzialità assolute del canto di Camisasca aderivano certamente alle soluzioni compositive perseguite, trovandosi così una simbiosi tra autore ed esecutore che non è di sempre, o non lo è al livello ora riscontrato.
Alla manifestazione, parecchio edificante ha preso parte la Corale Polifonica Jonia che, guidata dal maestro Cristaudo, è ormai un punto fermo non solo in Sicilia per il tipo di repertorio affrontato. Né poca era la padronanza stilistica del soprano Angela Panebianco e l'avallo strumentale saputo fornire dai tastieristi Filippo Destrieri e Giuseppe Mignemi.
Tre canzoni dello stesso Camisasca per bis, tra cui "Nomadi", da ultimo (che sere fa era stata eseguita per due volte da Giuni Russo). E sebbene si fosse passati in campo diciamo pure profano, la religiosità del momento non si è per nulla rarefatta, cogliendosi anzi tanto spirito di evangelica fratellanza.
Ninì Ganguzza

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JURI CAMISASCA. MUSICISTA COL CODINO.  (da Cercatori di Dio. Reportage sulle tracce degli ultimi eremiti. Ed. Paoline, 1996)

Chiunque può isolarsi e definirsi «eremita »? E una scelta di comodo oppure comporta terribili momenti di prova? Prendiamo Roberto Juri Camisasca, per esempio. Lombardo inquieto di Melegnano, dov’è nato nel 1951, è musicista: nei primi anni Settanta percorreva i sentieri dell’avanguardia con personaggi come Demetrio Stratos e gli Area, Claudio Rocchi, Vincenzo Zitello e Franco Battiato, che lo ribattezzò «Juri». Radicale, impulsivo, a un certo punto decise di entrare in monastero. Per undici anni è stato monaco laico dai Benedettini: inizialmente a Praglia, nel Padovano; poi a San Silvestro Abate sul Montefano, vicino a Fabriano, nelle Marche. Da quei chiostri, nel 1987, ha collaborato a Genesi di Battiato e, nel 1988, ha composto un disco tutto suo, Te Deum, con alcuni splendidi canti di lode. Adesso Juri vive in una casetta aggrappata alle pendici dell’Etna, che dal 1991 l’inseparabile amico Battiato gli ha messo a disposizione nelle sue terre. Appena arrivato, ha creato un altro longplaying, Il Carmelo di Echt. In canzoni come Nuvole bianche o Le acque di Siloe svela un obiettivo: «Ai confini del mondo per essere un tuo messaggero».

Camisasca abita sopra Milo. L’appuntamento è nella piazza del paese, un pomeriggio afoso di fine giugno; da dietro i tavolini dei bar e dalle imposte semichiuse piovono acuminati sguardi indagatori. Il «musicista eremita» arriva a bordo di un’utilitaria bianca; lo seguo per qualche chilometro lungo una stradina sterrata ripidissima. Eccoci. Un cancelletto, qualche gradino: dal piccolo giardino si vedono la costa e il mare. Dentro, un’unica stanza a fare da stu­dio e camera da letto, un cucinino, un bagno minuscolo. Ci sono telefono, radio, televisore, un organo e una chitarra, molti libri.

Capelli lunghi raccolti in un codino, barba, casac­ca e pantaloni fucsia, sandali e calze. Scrive, dipinge icone bellissime; a volte si ferma a discutere a lungo con Battiato. «Ci troviamo bene insieme », dice Juri. «Non la pensiamo nello stesso modo, ma non abbiamo mai litigato. Ci stimiamo. Franco ha seguito passo dopo passo il mio cambiamento ».

Su Camisasca non ci sono vie di mezzo. C’è chi ne parla bene, c’è chi ne parla male, con ostentata diffidenza. Eppure Paolini e Salesiani sono venuti a stanarlo per la serie di ritiri spirituali in videocassetta che hanno lanciato nel 1994. E una sera, a Genova, nella parrocchia dei Francescani, un nutrito gruppo di giovani ha fatto notte per discutere con lui di fede, quasi spiazzati dalla sua «rigidità ». «E’ di grande impatto », osserva padre Beppe Giunti, che l’ha invitato nel capoluogo ligure dopo averlo intervistato per Videodeserto. «Colpisce, provoca. Così si aiuta a crescere».

«A dire il vero», esordisce Juri, «io non sono partito da nessuna parte. E’ stato Dio che è intervenuto nella mia vita in un momento nel quale per me era tutto quanto buio, insignificante, negativo. Non aveva senso niente. In un periodo di crisi assoluta c’è stata l’irruzione di un amore che supera il nostro modo di intendere l’amore; mi ha letteralmente cambiato ». Per «uno col codino» che cosa significa vivere per Dio? «E l’unico modo », dichiara sicuro, «di poter dare un senso alla vita. Non esistono altri valori. All’epoca del buio, inseguivo orizzonti musicali, successi discografici, la popolarità. Credevo che, realizzandoli, potessi raggiungere pienezza interiore, serenità, gioia. Non li ho avuti: tutto era effimero».

Periodicamente è chiamato a tenere qualche concerto, magari dirigendo corali gregoriane. Ottiene così qualche provento. Ma da questo rifugio si allontana solo lo stretto necessario. Perché? «E una fuga dalle distrazioni dal mondo», riflette, «non dalla realtà. Vivere nella solitudine significa andare incontro alla vita. E la vita ti parla in ogni momento, basta accorgersene. Vivere in modo dissipato vuoi dire evadere dalla vera realtà. E anche dai propri problemi. Nel silenzio sei obbligato a conoscerti, tutte le tue debolezze affiorano e le devi affrontare ». Juri pronuncia parole sode, quasi con l’entusiasmo del neofita: «La vita è un dono di Dio »; «Non siamo padroni del nostro corpo »; «Non mi sento servo fedele, ho bisogno continuo di redenzione ». Sono soltanto frasi a effetto?

« No, assolutamente no », ribatte. «Se io ho la pace interiore, questa è dono di Dio. Ed è la miglior testimonianza».

Camisasca non nasconde di avere sperimentato e studiato le discipline meditative dell’Oriente, «la dottrina della non dualità », di conoscere bene mistici come Gosh Aurobindo, il pensatore indiano scomparso nel 1950 dopo aver fondato una comunità religiosa ispirata a un sincretismo di cultura orientale e filosofia occidentale. «Senza equivoci, però», precisa subito. «Il mio ancoraggio è e resta il cristianesimo». Dice di condurre «una vita di preghiera» perché «immerso nel silenzio». E sufficiente? Oppure è un addomesticamento di qualcosa di ben più impegnativo? «Per me la preghiera è un modo di essere in armonia con la vita », risponde. «Devi continuamente verificarti; ci vuole una grande disciplina, quella è una forte preghiera. Che senso avrebbe dire il Padre nostro e poi condurre un’esistenza dissoluta? Vivere costantemente con il senso di Dio, ecco la questione vera».

Undici anni di vita monastica hanno lasciato in Juri una traccia formativa indelebile: «Sono stato costretto a mettere i piedi per terra, pur elevando lo sguardo al cielo. Certo, a volte, in comunità, si vedono meschinità tremende. Ma c’è molto amore: sono convinto che, se uno vuol capire che cosa significhi veramente la carità evangelica, debba entrare in monastero. Sì, c’è veramente amore incondizionato». Si ferma, pensa, poi aggiunge: «Volevo andare con i Certosini, cercando subito la solitudine. Ma per fare questo devi avere delle basi, sennò corri il rischio di impazzire a trovare costantemente una motivazione e un senso al tuo silenzio». Perché hai lasciato i Benedettini silvestrini di Fabriano? «Sentivo la ne­cessità di trovare un altro tipo di rapporto con Dio, non comunitario. Sono stati molto comprensivi».

La calura è mitigata da una brezza marina deliziosa. Traffichiamo in cucina: un po’ di frutta, formaggio, un pranzo rimediato all’ultimo, ma efficace. Vedo il frigorifero, provvidenziale comodità. E l’ascesi? La mortificazione corporale? «Ci sono grandi mistici del Medioevo che hanno condotto una vita ascetica durissima », risponde. «Temo che si possa essere attaccati anche alla propria rigidità. Conta essere liberi dentro. All’inizio, giovane e impulsivo, ho provato addirittura il folle desiderio di morire per andare ancora più vicino a Dio. Una stupidaggine, una presunzione: la vita è dono, va vissuta nella sua ricchezza. La nostra umanità non deve essere cancellata o repressa. Dio ci ha donato il palato, ha messo il sapore nella mela e il profumo nei fiori: non beneficiarne sarebbe come dire: “Non m’interessa nulla di quanto hai creato, o Signore”. Apprezzo l’arte in generale. Non rinuncio a queste cose temendo che mi portino via da Dio. Se è così, significa che il mio rapporto con lui non è ben saldo».

Interpreti in questo modo anche la musica? Juri guarda chitarra e spartiti: «Mi ha sempre fatto sentire me stesso. Poi ho attraversato un momento di grande confusione interiore. Facevo cose inaccettabili. Il cambiamento ha fatto sì che io cambiassi anche dentro. Mi sono immerso in un certo modo di suonare meditativo, di abbandono alle onde sonore. Prima la musica era uno sfogo, poi è diventata una forma di preghiera, di linguaggio dell’anima». Quando va a messa si irrita: «Trovo insopportabili certi canti. Non vorrei sembrare presuntuoso: quando manca la profondità spirituale, manca anche quella musicale. Non si deve strimpellare davanti a nostro Signore come se fosse il disco per l’estate. Il canto gregoriano, invece, eleva». Un vero peccato che Il Carmelo di Echt sia introvabile. Adesso Camisasca sta sperimentando nuovi percorsi sul pentagramma. E non nega che presto potrebbe sfornare qualche primizia gustosa.

A cura di Francesco Antonioli

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A Monza e poi Milano. In chiesa per ascoltare JURI CAMISASCA e un coro religioso
Due concerti, uno in seguito all'altro. Protagonista Juri Camisasca, personaggio particolare della scena musicale italiana. Lo si potrà ascoltare giovedì 21 maggio ore 21 presso la Chiesa S. Giuseppe di via Guerrazzi, 30 a Monza, oppure il giorno dopo presso la Chiesa di S.Eufemia in corso Italia a Milano. L'ingresso è libero e non poteva essere altrimenti essendo in un ambiente religioso. Camisasca sarà accompagnato da un numeroso coro e canterà canzoni tratte dal suo disco "Il carmelo di Echt", ma anche canti gregoriani come fece con il "Te Deum", disco pubblicato per l'etichetta Ottava di Franco Battiato. E proprio  l'incontro con il famoso musicista siciliano offre l'opportunità a Roberto "Juri" Camisasca di incidere il primo disco nel lontano 1974. Si tratta di "La finestra dentro", un esempio di canzoni originalissime, con testi particolari e un canto fuori dagli scemi, ad indicare un urgente bisogno di uscire dai binari precostituiti. La libertà, Camisasca la cerca attraverso un'espressione sonora non più schiacciata dalla formula canzone. Nella seconda metà degli anni settanta segue Battiato in vari concerti, cantando senza linea di testo, poi va in giro da solo accompagnandosi con un harmonium. Proprio vent'anni fa, di questo periodo, si esibì al Teatrino della Villa Reale di Monza. Se ne andò via senza il suo harmonium, qualcuno passò a ritirarlo, e di lui non si ebbe più traccia fino all'87 quando tornò a collaborare con Battiato nell'opera "Genesi". Per tanti, l'appuntamento è unico e imperdibile. Qualche giorno fa, in una chiesa di Roma, con lui c'era anche Alice.
Giordano Casiraghi

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IL MUSICISTA CHE VIVE SUL VULCANO. Da otto anni si è ritirato sulle pendici dell'Etna in uno spartano rifugio prestatogli dall'amico Franco Battiato. E qui nascono le sue note. Camisasca, folgorato da un libro di Santa Teresa d'Avila, girò per monasteri prima di isolarsi. 

Se guarda all’orizzonte vede il mare, se si volta di spalle vede il nervoso cratere dell’Etna. L’umanità molto più in basso, giù sulla costa dello Stretto. In questo bosco isolato, il suo amico Franco Battiato, che più in là  ha casa, gli ha concesso una vecchia dimora agreste: una stanza con tavolo, armadio, angolo cottura e stufetta per 1’inverno. Unico elettrodomestico optional, una piccola televisione per vedere il calcio e qualche buon film. Non è molto, ma è quanto basta. Yuri Camisasca, che non fa l’eremita per mestiere o per necessità, ma per lucida scelta di vita, ha già trovato da tempo tutto quello che gli serve davvero: ha la sua fede e la sua musica. Si viene da Catania, si arriva a Giarre, poi tutta salita lungo le pendici del grande vulcano. Alla fine c’è Milo. E oltre il paese, nell’isolamento più totale, nel silenzio più forte, c’è quest’uomo strano e solo, che però vive sereno senza stranezze e senza solitudine. «Sono arrivato qui otto anni fa - racconta -. potrei dire al termine di un lungo viaggio...». Il lungo viaggio comincia a Melegnano, famosa nel mondo più che altro per la sua famigerata barriera autostradale. Yuri, che di vero nome fa Roberto, nasce nel 1951 in una famiglia di operai. Padre, madre, cinque figli. Infanzia normalissima, scuola e giochi, però con un grande sogno: la musica. Yuri canta sempre, Yuri strimpella, Yuri tiene banco nelle feste di compleanno. Crescendo, è autodidatta delle sette note e sperimentatore di accordi. Mentre si diploma maestro, un mestiere che non eserciterà nemmeno un giorno, consolida la sua vocazione artistica frequentando gruppi e producendo le prime cose. Musica d’avanguardia, genere aggressivo. E un giorno, mentre sta chiudendo il servizio militare a Udine, arriva nella sua caserma un cantante di cui si dice bene. E’ siculo, un genialoide e un originale. Si chiama Franco Battiato, ma al momento-non è ancora Franco Battiato. Yuri vuole conoscerlo. S’incontrano, parlano a i lungo, si scoprono vicini. Cosi, anche quando lasceranno il grigioverde, 1’amicizia continuerà nel tempo e diventerà sempre più forte... «Ma nel frattempo succede la cosa che sconvolge la mia vita. Dopo il militare provo diversi lavori. Vado anche in fabbrica. Ma sono fondamentalmente in crisi. La vita e il mondo mi sembrano incomprensibili. Per colpa mia, sia chiaro: non c’è niente di politica e di ribellione, è solo uno sconfinato malessere esistenziale. Tutto mio, solo mio... Cosi, dopo due o tre anni nel mondo della musica, decido di lasciare anche questa avventura. Il nulla totale. Ed è proprio a questo punto, quando non ho una casa e un lavoro, non ho soldi e non ho speranza, quando tocco veramente il fondo e un passo dopo c’è solo il suicidio, che esplode improvvisamente dentro di me una forza dirompente. Una cosa pazzesca». Vogliamo definirle chiamata, vocazione, grazia? «Chiamala come vuoi, io 1’ho chiamata semplicemente Dio…»  Da agnostico qual era sempre stato, il cantante Yuri si scopre travolto «da un’irresistibile energia, quaIcosa che trasmette una pace di incalcolabile intensità: per me è la rivoluzione». Che storia è mai questa? Sarà meglio chiarire che non ho davanti un pazzo mitomane, un anacoreta della mutua, un visionario pericoloso. Yuri parla con calma assoluta, Yuri ragiona profondo e non ha nessuna voglia di recitare il personaggio. Yuri è un uomo pienamente, totalmente, invidiabilmente consapevole di sé. Certo non è facile spiegare, così come non è facile capire. Sono fenomeni sconvolgenti...». Investito da fenomeni sconvolgenti, Yuri sente 1’irrefrenabile voglia di approfondire, di darsi una ragione. All’inizio studia su libri di filosofia orientale, dove, gli sembra di scovare quello che cerca. Intanto, vive a Milano vivendo fuori dal mondo: si isola dagli amici, evita i contatti, rientra in società soltanto per lavorare come animatore negli asili («I bambini, che cosa sono: candore e la semplicità, quanto c’è di più vicino a Dio»). Tutto questo groviglio dipensieri e di sensazioni trova finalmente la quadratura quando gli capita fra le mani un libro di Santa Teresa d’Avila. Lui, che della religione cattolica non s’era nemmeno mai interessato, si sente finalmente a casa. «So- no quasi alla fine del mio viaggio, ma ne comincia subito un altro... ». Yuri  lascia Milano, lascia gli amici, lascia tutto e se ne va per monasteri. E’ troppo forte 1’esigenza di chiudersi in totale confidenza con se stesso. A Montefano, nella zona di Fabriano, si ritira per anni. La vita monastica gli insegna molte cose, gli conferisce ordine e disciplina, «ma non ho mai pensato di farmi prete o monaco: già sentivo di dover andare oltre...». Racconta che la solitudine e il silenzio delle celle sono magnifici, ma non sono abbastanza: c’è il rituale, ci sono gli orari, ci sono i confratelli. Yuri ha bisogno di starsene solo per davvero. E allora, e siamo a otto anni fa, che decide di tornare nel mondo: «Con grande dispiacere e con molta paura, perché non è facile lasciare la sicurezza del monastero e rituffarsi in mare aperto...». In quel preciso momento si fa trovare al suo posto, da amico vero, Franco Battiato: «Se vuoi, mi dice, ti do un rifugio sull’Etna. E io, che non ho niente, accetto subito. Vedi? Sono qui ancora. All’inizio è stata dura, avevo nostalgia del monastero. Ma adesso no, è tutto a posto. Sento di essere cresciuto, finalmente compiuto. Nel silenzio di queste notti, notti magiche e stordenti, io vivo la dimensione che cercavo. E poi ho capito: non è giusto isolarsi nel compiacimento della grazia che ti ha investito. E’ giusto affrontare la vita per quello che è. Se uno non sta bene con la gente, vuol dire che ha problemi suoi...». Dopo lungo e faticoso peregrina- re, Yuri ha trovato il suo approdo: sotto il cratere dell’Etna, lontano dal caos, ma pienamente disposto a scendere verso valle. «Ci vado senza problemi: faccio spesa, mi bevo il cappuccino al bar, vedo amici a Giarre. Sarebbe molto triste aver paura di finire contaminati. Tornare anche a viverci? Questo no, non è possibile: io mi nutro di silenzio...». La vita dell’eremita, un eremita con codino e pizzetto, comincia al1’alba davanti a una tazza di caffè.  Poi molta ginnastica yoga, quindi le faccende domestiche («in monastero ho imparato la grande cura per 1’igiene e la pulizia»). Quindi la spesa, quindi il pranzo (vegetariano), e poi molte ore di riflessione e di meditazione. Spesso dipinge icone. Sempre, la musica. Che tra 1’altro gli dà da vivere. «Si, è tornata fuori non appena ho ritrovato la pace: fa parte di me, è stupido pensare di cancellare parti di noi stessi...». In questi ultimi anni ha scritto e composto pezzi per Battiato, per Milva, per Alice. Ma adesso sta lavorando con una passione indicibile al suo disco nuovo, tutto suo, parole e musiche, uscita in primavera. Yuri, potrebbe succedere di finire a Sanremo o da Maurizio Costanzo: chi scrive libri e canzoni, da noi, esiste solo in quanto passa di li... «Lo so, sono pronto a tutto. Non condivido questi meccanismi, ma ho raggiunto una tale pace e una tale forza, dentro, da poterli affrontare senza lasciarmi turbare. Anche questo ho imparato: perché mai farci rovinare da cose così, come la televisione, il traffico, la frenesia... è stupido. Se dovrò andare, ci andrò. Stando quassù, isolato da tutto, mi sono scoperto finalmente capace di affrontare tutto. Mi sento più che mai in armonia col mondo. Il mio viaggio, certo, non è finito: ma forse proprio adesso viene il bello...». Hanno scritto che la solitudine è uno stato dell’animo, non una banale situazione logistica. Qui, sul vulcano che non ha mai smesso di brontolare, vive sereno uno di questi uomini simbolo: solitari senza essere soli nemmeno per un momento. E’ la strana e incredibile storia di Yuri: eremita, musicista, figlio diletto del suo Dio.

Intervista realizzata da Cristiano Gatti

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INTERVISTA - JURI CAMISASCA: IL CANTO DELL’ASCESI

Correvano gli anni Settanta e Roberto Camisasca, Juri per gli amici, incominciava ad essere molto più di una originale speranza per la musica italiana e per tutto il movimento musicale, politico, sociale che, in quegli anni, fermentava e presentava ottimi ed anche irripetibili lavori discografici.

 Ma proprio mentre Camisasca si apprestava a fare il musicista a tempo pieno, le parole del profeta Isaia, ”le mie vie non sono le vostre vie”, lo portavano a percepire quella luce interiore che ne avrebbe cambiato la vita. Sono passati molti anni da quei giorni, molti ragazzi d’allora sono uomini fatti, per usare un gergo d’altri tempi; alcuni non sono riusciti a crescere dibattendosi tra soggettivismo, personalismo, consumismo, magari droghe varie, viaggi in India e ”voglia di comunismo”. Ma non è il caso di fare processi o elevare stili di vita a dogmi assoluti: ogni momento della vita ha i suoi passaggi obbligati. A volte questi passaggi si comprendono bene mentre altre volta la fatica e maggiore. Tutto qui... però l’importante è saper cogliere il momento in cui ”la luce” si avvicina, ti parla e tu, con stupore, ne comprendi le parole. Roberto Camisasca si e fermato ad ascoltare ed ha risposto...

 I tempi cambiano ma la musica, ciclicamente, pare voglia tornare indietro, alla ricerca delle radici, della cultura che, in ogni paese, ha saputo generare la sua distinta identità. In Europa il canto gregoriano e quello religioso in genere, è stato fondamentale per la musica che si è succeduta nel tempo. Tu che hai registrato album a carattere religioso, penso ad esempio a “Te Deum”, come credi possa essere realmente valorizzato questo tipo di musica?

 Io non so fino a che punto la musica abbia voglia di tornare indietro, non mi sembra, perlomeno, questo il momento. Credo che mai come adesso ci sia la demolizione di determinati valori, Chiaramente quando si parla di musica ci sono tanti dislivelli, perché la musica va da Ambra a Bach.

Io sono un po’ più allarmato rispetto al problema musicale proprio perché sento che in giro non si sente il bisogno di un recupero dei veri valori musicali, ma si sta andando allo sfacelo con una mediocrità assoluta.

Per quanto riguarda la necessità di valorizzare la musica a carattere religioso, credo che ciò possa avvenire solo attraverso il cambiamento della propria personalità e della coscienza, tenendo sempre presente che, nel mondo musicale, vi sono alcuni personaggi che hanno sempre il coltello dalla parte del manico. Allora il cambio di mentalità deve avvenire su diversi piani: quello dell’ascoltatore, dei mass media, delle case discografiche. E evidente che la musica a carattere religioso verrà sempre penalizzata in nome del business, delle vendite. Il mio Te Deum fu stampato in sole 5000 copie e, nonostante le enormi richieste, la casa discografica non ha più ristampato i1 disco.

 Questo esempio serve a dimostrare che questo tipo di musica può arrivare fino ad un certo punto ma se poi non c’è un supporto da parte dell’industria discografica, se non vi è uno stimolo ad approfondire la tematica, tutto si esaurisce. Fino a quando le case discografiche saranno gestite da persone poco competenti, il criterio di gestione sarà soltanto quello di vendere un prodotto senza fare attenzione all’arte ed ai valori. Sta di fatto che questo tipo di musica, che è musica di elevazione interiore, può essere valorizzata solo attraverso il cambiamento della coscienza. Solo quando ciò accadrà la musica a carattere religioso potrà avere un suo adeguato spazio e riconoscimento.

 A tuo avviso la musica dovrebbe proporre valori, dovrebbe essere evocativa di una situazione, dovrebbe essere portatrice di suggestioni oppure 1’importante e che possa, comunque, essere utilizzata come un piacevole passa- tempo?

 Credo che la musica debba rivolgersi all’essere interiore, che c’è in ciascuno di noi; dovrebbe distogliere dalla noia della vita, dalla sua monotonia per aiutarci a far si che ciascuno, dopo aver preso coscienza di se stesso e della propria interiorità, possa prendere coscienza della vita intera.

 La musica deve essere utilizzata per risvegliare il senso della vita che c’è in noi. Chiaramente anche una musica utilizzata come passatempo mi può andar bene, l’importante e che sia capace di suscitare sentimenti positivi; se dovesse risvegliare, invece, sentimenti di aggressività. o negatività, allora non mi andrebbe più bene. La musica è un valore alto e non deve essere utilizzata per risvegliare sensazioni ombelicali.

 Si dice che attraverso la musica ci si avvicini a Dio e che, addirittura, per qualcuno, attraverso le note e le vibrazioni che esse provocano (pensiamo ad esempio alla mistica Indù) sia possibile entrare nella dimensione del Divino. Tu che ne pensi?

 La vibrazione del suono è qualcosa di primordiale ed è dentro il mistero della creazione. Gli astronomi parlano da tempo della vibrazione primordiale che è presente nel big-bang. Credo che 1’uomo abbia insito il senso del suono che accende delle forze interiori, D’altra parte, se ci pensi bene, i racconti biblici, le varie mitologie sull’origine dell’universo dicono che Dio creo il mondo attraverso la parola, cioè per mezzo di una vibrazione. La musica, se ben uti1izzata, può realmente essere vissuta come un’esperienza mistica ed io avvaloro questo concetto. Sono sempre rimasto affascinato dal fluire, anche involontario, delle note (penso al grande Ravi Shankar, ad esempio), a questo suono che esce in maniera involontaria ma naturale, fino a portarti verso il rispettivo e personale suono interiore.

Quando riusciamo a giungere fino a questo limite, siamo noi ad essere suonati dalle note, siamo noi che diventiamo musica. Per fare capire quanta necessita vi sia di vivere la musica in maniera interiore, nel corso dei miei concerti propongo dieci minuti di improvvisazione e spiego che quel gesto è una sorta di igiene mentale che utilizza la musica per purificarsi e devo dire che questa proposta e in genere tra le cose più apprezzate del concerto. Quando non si pensa alla musica solo in termine di melodia ma ci si lascia trasportare dalle note, la musica comunica qualcosa di grande, ovviamente sempre nel contesto di un clima sacro. Anche nel free jazz si fanno improvvisazioni, però il jazzista, che vive e comunica un’esperienza di tipo urbano, attraverso la musica scarica la sua nevrosi; per fare invece musica meditativa c’è bisogno di una base interiore, di un cammino spirituale in corso. Comunque sono d’accordo sul fatto che la musica avvicini a Dio.

 Nella mistica Indù e presente il concetto dell’ottava nota che racchiude tutte le altre e porta il musicista, o l’ascoltatore, in una diversa e più profonda dimensione.

 Bene o male qualsiasi tipo di musica ti fa fare un’esperienza che trascende da questa vita, 1’importante è capire che attraverso la musica avviene la sospensione del pensiero, Perché ad esempio quando si hanno i cosiddetti “pensieri”

1’ascolto della musica rasserena? Proprio perché la mente non si identifica più con il problema che 1’assilla in quanto viene rapita dal suono. Ecco perché la musica e importante per 1’equilibrio dell’uomo. Se questo tipo di attenzione alla musica viene vissuta in maniera “scientifica”, cercando di giungere ad un risultato, automaticamente si giunge all’abbandono dei pensieri e si arriva a scoprire un’altra dimensione. Quando faccio dei concerti, pur non essendo molto conosciuto, mi accorgo che c’è sempre tantissima gente; da ciò comprendo che le persone hanno bisogno di ascoltare un certo tipo di suono. Pensa ai monaci del monastero di Silo che hanno venduto oltre sei milioni di dischi! La musica sacra, inoltre, dovrebbe riuscire ad allentare le nostre tensioni quotidiane elevandoci verso realtà e dimensioni “più alte” per giungere al canto dell’ascesi, all’elevazione della coscienza.

 Gli anni in cui tu ”vivevi” di musica come li ricordi e come li paragoni rispetto ai nostri giorni? Ti pare che allora che ci fosse una autentica voglia di comunicare, attraverso la musica, valori da condividere?

 Quegli anni li ricordo come momenti entusiasmanti e pieni di creatività, fantasia, di estro; anni in cui c’era tanta voglia di cercare strade nuove, c’era il desiderio di scoprire realtà differenti da quelle conosciute ed omologate. Oggi mi pare che i musicisti, e non solo, vivano d’eredita grazie agli esperimenti fatti in quegli anni, basti pensare che, ancora oggi, i chitarristi rock sono sulle orme di Hendrix. Lo stesso discorso credo che valga per i gruppi. Gli stessi U2, che apprezzo, non mi paiono particolarmente innovativi rispetto ad altre band di vent’anni fa. A mio avviso e molto più moderno Jim Morrison che tanti altri artisti che ci sono oggi! Allora c’era disinteresse per 1’aspetto commerciale e molto interesse per quello artistico, mentre oggi mi pare che il musicista cerchi d’accontentare i gusti del pubblico e, di conseguenza, le sue tasche...

 Ricordo che tu hai composto un disco molto originale anche per quei tempi, pur fecondi e pieni di innovazioni: ”La finestra dentro”. Come lo ricordi?

 Circa un anno fa mi e capitato di risentirlo e, a parte qualche passaggio che mi ha dato qualche fastidio, mi sono reso conto che brani come Scavando con il badile o Il regno dell’Eden sono molto particolari ed ancora attuali. Allora si andava molto ad istinto e quello e un disco fatto con l’istinto. Ricordo che quei pezzi li scrissi quasi inconsapevolmente, senza razionalità. Ora questo non è più possibile ed una canzone si deve scrivere in funzione del passaggio radiofonico o sul calcolo delle copie che potrebbe vendere. E davvero tutta un’altra realtà.

 La tua vita si è incamminata su percorsi molto particolari in cui la spiritualità e la vita monastica hanno inciso, credo, profondamente. Che cosa ha spinto un musicista, che la critica specializzata stava apprezzando sempre più, ad entrare in una dimensione di religiosità cosi profonda da incamminarsi in una realtà di vita monastica? Questa esperienza come ha cambiato la tua vita? Come ha modificato la tua “Finestra dentro”?

 La spinta e stato il prorompere di una forza, di una gioia, di un’esplosione di serenità che mi ha fatto cambiare radicalmente il modo di vedere la vita. Diciamo che io sono entrato in monastero perché ho avuto una chiamata; ma cosa è realmente questa chiamata? A volte può accadere che tu parli con una persona e questa accende una luce dentro di te oppure risveglia aspetti che non pensavi fossero parte della tua persona. Per me è stato diverso perché c’è stato il contatto con un’energia che non potrei definire di questo mondo; questo incontro ha letteralmente rivoluzionato la mia vita perché ho scoperto che 1’uomo non è mai solo e che la sua vita ha un fine altissimo. Per sintetizzare posso dire che per me la chiamata è stata la conoscenza di Dio. Credevo di sognare ed invece, quando fai un certo tipo di esperienza spirituale, ti accorgi che il sogno è la vita che viviamo e che la vita vera è quella in Dio. Dovremmo essere capaci di scoprire qui, nel quotidiano della nostra materia, quel tipo di luce, di esperienza di vita “superiore”. La luce che io ho incontrato mi ha fatto scoprire la dimensione del1’immortalità dell’uomo e per la prima volta ho capito cosa significasse essere consapevole di chi sono: una parte del tutto. Detta cosi sembra banale, ma quando percepisci dentro di te la forza di questa intuizione, comprendi che non ti appartieni ma che sei parte di un corpo grande più dell’immaginabile. In ogni caso le parole non possono rendere l’esperienza vissuta e se anche mi mettessi a spiegare minuziosamente qual e stato il mio percorso, non riuscirei a rendere correttamente ciò che è avvenuto in me.

 Esiste, a tuo avviso, una ”musica del mondo” e da cosa è composta?

 Credo che l’universo abbia ritmi decisamente più profondi di quanto 1’uomo possa attualmente concepire. Prima di capire, però, quale dovrebbe essere la musica del mondo, bisognerebbe entrare in contatto con la fonte creativa del mondo stesso, ma anche allora penso che sarebbe impossibile riproporre, nel1’ambito della nostra esistenza, la natura di quell’essenza musicale nel senso che noi non ne abbiamo le qualità. Solo andando al di là del mondo si può capire come dovrebbe essere la musica del mondo che, in fondo, altro non e che quella musica che nasce dalla fonte che ha creato il mondo. Solo in quella dimensione può esistere la musica del mondo, ma per conoscerla bisognerebbe avere un contatto con questa fonte. Comunque questa musica non la si potrebbe riprodurre, non la si potrebbe trasmettere perché l’uomo non ne ha le capacita, le possibilità. La vera musica del mondo è, quindi, quella musica capace di risvegliare il Divino che è in ciascuno di noi.

 Come giudichi la musica che oggi viaggia nell’etere e che tipo di musica ti piacerebbe ascoltare?

 A dire la verità non e che ascolti molta musica; solitamente sto in silenzio. Per me il silenzio e il culmine della percezione del suono; rappresenta la pienezza, il respiro. Comunque ascolto volentieri la musica, prevalentemente d’ordine sacro, anche se mi piacciono molto Mozart e Chopin.

 Ultimamente ascolto spesso i dischi di Ildegard Von Bingen che trovo stupendi. Quando sono in viaggio con l’automobile ascolto anche suoni più allineati con i gusti dei giovani, come il rock; l’importante e che si tratti di buona musica, fatta con intelligenza e buone armonie.

 Che cosa ne pensi del filone ”New Age” e della musica ad esso collegato?

 A me piace tantissimo ed è grazie ad esso che si possono esprimere musicisti che, altrimenti, resterebbero nascosti, Per fortuna vi sono etichette che permettono di presentare questi lavori. Lisa Gerrard e Garbareck sono artisti che hanno potuto ottenere una visibilità solo grazie a queste etichette dedicate a suoni New Age. Ovviamente, anche in questo campo bisogna vedere chi gestisce il prodotto. A volte ci sono delle bidonate e si incontrano artisti che credono d’essere dei geni oppure si incontrano personaggi che fanno cose in cui manca una reale cultura e coscienza musicale.

 Il tempo dell’intervista e volato rapido e le parole che ho ascoltato mi hanno come rapito.

 Non ne comprendo il motivo ma l’immagine che mi rimane impressa, dopo la conversazione, e quella delle vetrate della chiesa di San Francesco, in Arezzo. E’ la dimensione del sacro ed il lavoro dell’uomo che si incontrano per edificare qualcosa che rimane nel tempo, nei secoli. Forza della suggestione che una voce che pare uscita da un racconto sulla ricerca del Santo Graal ha saputo infondere ai miei infami ritmi “cittadini”.

Un sussurro immateriale si e intanto insinuato nella mia mente e dice: ”Portami dal falso al vero, portami dall’oscurità alla luce” (da Il primo motore).

Intervista realizzata da Rosario Pantaleo

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CAMISASCA: Juri, monaco tra new age, zen e rock

«Negli anni ’70 mi sentivo un cane randagio di Milano, uno sbandato». Comincia da qui la riflessione di Juri Camisasca, un passato da cantautore rock e un presente da eremita sulle pendici dell’Etna, invitato dai responsabili della Facoltà Teologica dell’Italia meridionale di Napoli per discutere sul tema «Spiritualità e musica». Il suo percorso umano ed artistico non è poi così anomalo nell’ambiente musicale, come dimostrano le conversioni illustri di Cat Stevens e Leonard Cohen, eppure coglie un po’ alla sprovvista il numeroso pubblico riunitosi giovedì mattina nell’aula magna dell’istituto, in gran parte composto da religiosi e novizi. Aria serafica e chioma lunga, l’autore de «Il Carmelo di Echt» (dedicata ad Edith Stein, intellettuale ebrea convertita al cattolicesimo e uccisa da Auschwitz) dovrebbe parlare di redenzione e fede, ma spiazza l’uditorio esponendo una visione singolare e poco ortodossa della vita spirituale, aperta all’esperienza new age e alle dottrine orientali: «Pratico lo yoga e la meditazione trascendentale, mi sento molto vicino alla sprititualità indiana e continuo ad amare la forza liberatoria del rock», esordisce non senza disappunto della platea.
E ancora: «Amavo Led Zeppelin e Hendrix, vivevo tutti gli eccessi di quegli anni tumultuosi, ma vent’anni fa ho deciso di cambiare vita attraverso la regola benedettina, senza rinnegare il mio amore per la musica e la pittura». Fondatore del gruppo sperimentale del Telaio Magico con Battiato (con lui ha ha collaborato in tre album e per le opere «Genesi» e «Gilgamesh»), Camisasca nel ’79 si è ritirato nel monastero di San Silvestro Abate nelle Marche. Dieci anni fa l’ulteriore cambiamento, con la scelta di vivere in un eremo in provincia di Catania, riprendendo la sua attività di compositore, anche per Milva («Svegliando l’amante che dorme») e Alice («Il sole nella pioggia», «Open your eyes»).
«Florenskij distingueva l’arte della salita dall’arte della discesa», continua Juri. «La prima è quella realizzata dall’uomo con i suoi mezzi e la sua volontà, mentre per la seconda bisogna che si crei un vuoto interiore per accogliere la voce dello Spirito. Quest’ultimo è il mio modo di rapportarmi al suono e al testo». Musica come necessità interiore, dunque, «ma anche come momento di meditazione, e, perché no, di libera espressione di sensazioni umane».

Caterina Vitale

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da la "NUOVA STAGIONE" di Napoli, 2 Maggio 1999
Perché proprio un cantautore,Juri Camisasca, è stato il protagonista dell'incontro "Musica e spiritualità" che si è svolto il 15 Aprile nell'Aula Magna della Facoltà Teologica?
"La musica oramai- ha spiegato don Alessandro Gargiulo, presidente del Comitato studentesco- sta diventando comunicazione non solo di contenuti, ma anche di esperienze spirituali: poiché non volevamo ascoltare una lezione accademica sul tema,non abbiamo invitato a parlare teologi o filosofi, ma un autore musicale, che è anche un uomo di fede."
Don Luigi Merluzzo, direttore dell'Ufficio Comunicazioni Sociali della diocesi di Napoli, che ha organizzato l'incontro, ha chiesto a Juri di raccontare la sua esperienza spirituale.
" Negli anni '70-ha confessato Juri Camisasca- mi sentivo un cane randagio di Milano, uno sbandato: per me niente aveva senso." Risale a quel periodo la sua collaborazione con Franco Battiato e il Telaio Magnetico, una formazione storica dell'avanguardia musicale italiana. Nel ' 79 la svolta, con l'ingresso nel monastero benedettino di S. Silvestro abate sul Montefano nelle Marche. "Nel momento in cui ho sentito la chiamata, non sapevo a chi rivolgermi e ho consultato  le Pagine Gialle per trovare un monastero. La scelta di S. Silvestro è stata azzeccata: lì ho vissuto sereno per dieci anni." Durante questo periodo, Camisasca ha partecipato all'opera lirica di Battiato "Genesi", ha registrato un album di canti sacri "Te Deum" e ha scritto la canzone "Nomadi", portata al successo sia da Alice che da Battiato.
Nell'89 Juri ha interrotto il ritiro monastico per vivere da eremita sull'Etna dove, ancora oggi, continua la sua attività di compositore per Alice, Milva, Battiato. La storia di Camisasca ha incuriosito l'uditorio, che lo ha tempestato di domande, soprattutto sul suo modo di intendere il lavoro musicale. Mi rifaccio al pensiero di Florenskij, autore di spiritualità russa nel mio modo di rapportarmi al suono ed al testo, quindi distinguo l'arte della salita, realizzata dall'uomo con i propri mezzi e cognizioni, da quella della discesa, dove l'artista fa il vuoto in sè per accogliere la forza dello Spirito  e farlo operare attraverso di lui". Da Camisasca, che pratica yoga e meditazione orientale, ed unisce spiritualità cristiana ed indiana, rock e new age, traspare una serenità non comune, che resta sempre inalterata.

Giusy Avolio

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ALICE E JURI CAMISASCA TRA MUSICA E MISTICISMO

 CATANIA - Per la rassegna «Catania e le città del mondo», curata da Michael Nyman per il Comune di Catania, stasera alle 21, in piazza Teatro Massimo, si tiene il concerto di Alice «God is my Dj», con Juri Camisasca ospite d’onore. Alice replica da sola domani sera in piazza Duomo a Messina, sempre alle 21.

  Sanremo? Un gioco televisivo che poco ha che fare con la canzone. Battiato? Un amico in­nanzitutto ma anche un musicista dal valore inconfutabile. Tra sacro e profano, tra misticismo e concretezza, l’esile silouhette di Alice si muove come su un terreno di confronto fra un passato remoto di successo po­polare ed un divenire artistico che ha condotto la cantante milanese ai confini dell’essenzialità pura della musica. Il nome di Alice, in Sicilia per due concerti tra Catania e Messina, per molti resta ancora legato alla vittoria sanremese del 1931 con «per Elisa» ed ai connubio una volta personale poi solo artistico con Battiato, durato fino a «I treni di Tozeur», il duetto dell’Eurofestival del 1984. «Sanremo mi ha dato il successo -confessa la cantante- mi ha dato l’opportunità di viaggiare, di conoscere persone. Oggi ha un senso solo se si vede come spettacolo che grazie alla tv diventa un’ottima vetrina promozionale». Un grande gioco, aggiunge Camisasca, che non va preso troppo sul serio. «A Franco Battiato — continua Alice — mi lega una grande amicizia ed una stima verso un musicista completo dal valore innegabile».

L’ingombrante figura di Battiato, di cui Alice interpreta a Catania «L’ombra della luce» e «Un oceano di silenzio», entra anche a vario ti­tolo nella carriera di Juri Camisasca, che dividerà con l’amica il palco di piazza Teatro Massimo. Battiato ha cantato varie canzoni di Camisasca, quest’ultimo ha collaborato alla realizzazione delle opere («Genesi» e «Gilgamesh». «Io non mi sento legato al repertorio di Franco - dichiara il musicista -, ci sono indubbiamente delle affinità musicali fra di noi dovute ad un certo percorso esistenziale comune che dura da trent’anni. Franco è stato spesso per me un pungolo, l ‘ariete che sfonda mentre io artisticamente sono il leone tranquillo». Battiato ha prodotto «Arcano Enigma», l’ultimo disco di Camisasca. Oltre alla title track, alcuni brani del disco saranno ripresi dal vivo «Il Carmelo dì Echt» e «Le Acque di Siloe» che Alice e Juri canteranno insieme, accompagnati dalla Corale Polifonica Ionia di Giarre.

La spiritualità, quel valore alto che viene dato alla vita, diventa quindi il terreno comune in cui si sono ritrovati Alice, Battiato e Camisasca e che ha perpetuato la loro unione personale ed artistica. Spiritualità che diventa ricerca del sacro nella musica. Da qui il titolo del concerto «God is my dj» che Alice sta proponendo già da alcuni mesi insieme a Marco Guarnerio alle chitarre, Simone D’Eusanio al violino elettrico, Ines Hrelia al violoncello e Michele Fedrigotti alle tastiere. In un viaggio soprattutto dell’anima, si passa attraverso un repertorio classico che vede in scaletta il «Pie Jesus» di Gabriel Fauré, uno tradizionale con «Victimae Paschali Laudes» dell’XI secolo, «Orleans», «Istenem, Istenem» e la rilettura fatta da David Crosby di «Refugeès theme», fino ad uno più pop che vede pezzi di Gavin Bryars («Jesus blood never failed me yet»), i due pez­zi citati di Battiato ed ancora la strumentale «With this love» di Peter Gabriel.

«Madre notte» è un pezzo scritto a quattro mani da Alice con Francesco Messina, altra fi­gura di primo piano del nutrito clan di musi­cisti che hanno legato il proprio nome a quel­lo di Battiato.

La spiritualità dei due artisti, che viaggia spesso ai confini del misticismo, nasce da stili di vita ben precisi. Camisasca ha vissuto per 11 anni in un monastero per uscirne poi totalmente rinnovato. «Di quella lunga esperienza mi è rimasto tutto — racconta — e soprattutto la consapevolezza dei valori della vita». Anche Alice, nel 1986, fu vicina ad una scelta simile. «Mi sentivo molto attratto da una certa forma di astrazione dalla materialità della vita di tutti i giorni. Perché alla fine non l’ho fatto? Ho capito semplicemente che non era il mio posto e che potevo vivere la mia fede nel mio ruolo di sempre».

Gianni Nicola Caracoglia

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JURI CAMISASCA, L'EREMITA CON L'ANIMA POP - Da La Sicilia (2000)

L’Etna seduce anche l’ex monaco che compose per Alice e cantò con Battiato

 Dal nostro inviato

 MILO -Il villaggio ideale è diventato una roccaforte delle star: cominciò Franco Battiato che oggi vive in una bellissima casa con annesso studio di registrazione, lo hanno raggiunto presto anche Dalla e il paroliere di Julio Iglesias, il sicilianissimo Gianni Belfiore.
E’ salito alla ribalta da tempo anche Juri Camisasca;  per molti è rimasto il monaco benedettino che cantò ne “La Genesi” di Franco Battiato suscitando scalpore non solo tra i confratelli del suo ordine religioso. «Beh, la gente è legata a quel momento di grande effetto o per le canzoni che ho scritto per lo stesso Battiato, per Alice (ricordate Open your eyes, una delle hit de­gli ultimi anni?ndr) o per il tour che ho fatto insieme a Milva. Ma io non cerco la celebrità, cerco di continuare il mio percorso di libertà».
Oggi Juri Camisasca si ritiene una persona sufficientemente libera. Da cantante pop Anni Settanta, a monaco per undici anni...
Da dieci, invece, ha scelto la vita di eremita. Ma nella sua Milo, sotto il Vulcano, ha ritrovato la voglia di essere artista poliedrico: realizza icone, ha ultimato un album da protagonista. Oggi Camisasca gioca da solo,il passato è solo un ricordo. «Esiste unicamente il presente, alla fine S. Agostino diceva che il passato è nella memoria, il futuro nell’immaginazione. A me interessa solo vivere».
- Negli Anni Settanta ha abbandonato una carriera di cantante pop per prendere i voti. Ha lasciato con un palmo di naso la Rai, i suoi discografici, i suoi amici.
«Rimasi sconcertato dalla falsità del mondo discografico, dalle trasmissioni in cui dovevi per forza scimmiottare, dire cose che magari non pensavi affatto, mostrarti ipersorridente e parlare del tuo prossimo tour. No, queste regole non mi andavano  e allora il rifiuto di quel regolamento sociale e la vocazione mi portarono a Fabriano, dai Benedettini. Nel ‘74 avevo realizzato un album, La finestra dentro, una sorta di lavoro sperimentale sul piano vocale; anche la costruzione dei testi era diversa da solito, allegorica, kafkiana. Avevo comperato un armonium indiano e cominciai a fare concerti di musica meditativa nei dintorni di Milano. All’epoca una musica del genere si poteva anche proporre».
- Capire il senso della vita, ecco cosa l’ha spinta a farsi frate
«In pochi giorni passai da un senso di vuoto assoluto alla gioia di vivere. La mia aspirazione era capire il senso della vita, vivere la mia libertà. Per undici anni mi sono sottoposto a una disciplina ferrea, decisi di lasciare totalmente la musica e per cinque anni mi isolai totalmente da quel mondo per cui avevo straveduto fin da bambino».
- Cinque anni, poi?
«Un giorno un frate stava tentando di suonare lo chitarra, quasi senza accorgermene mi ritrovai a strimpellare.  In convento nessuno sapeva del mio passato, la mia ritrovata dimestichezza con la musica suscitò clamore e allora divenni, diciamo così, il cantore del gruppo. In chiesa, nei momenti di svago, durante le ricorrenze:... Composi salmi, vespri».
- Poi entrò Battiato nella sua vita artistica.
«Mi chiamò quando ancora ero in convento. Mi propose d cantare nella Genesi. Io accettai, convinto che i miei superiori non mi avrebbero lasciato andare sul palco. Invece dissero di sì, andai a Parma e la gente rimase stupita di quella strana presenza. Fui quasi considerato un rivoluzionario. In monastero realizzai un album per l’etichetta di Battiato, un «Te deum» di canti spirituali armonizzati elettronicamente. Roba che dieci anni fa era impensabile».
-Dopo il Te deum andò via dal monastero
«Avevo sempre bisogno di solitudine, ma indipendentemente dalle regole. Volevo seguire il ritmo della vita con più naturalezza. Ecco la scelta di vivere a Milo, da solo e al tempo stesso a contatto con l’universo».
- Insomma vita ritirata, ma anche contatto con la gente.
«Vado a fare la spesa, mi fermo al bar. Qui ho tanti amici con cui ogni tanto mi fermo a parlare. La mia esperienza claustrale si è chiusa da un punto di vista esteriore, perché la spiritualità è una cosa che si ha dentro. E’ uno stile di vita, un modo di concepirla. Non è certo indossando un saio che si concepisce in un modo e poi togliendoselo si cambia improvvisamente. Dalla famiglia Patti ai Battiato. Dopo dieci anni mi sento cittadino siciliano».
- La sua esperienza di vita vissuta in mille modi ha facilitato il ritorno alla musica da solista.
«Da poco più di due mesi ho ultimato per la Universal un disco, «Arcano Enigma»: tre pezzi in latino, il testo di uno in particolare deriva da un passo delle Confessioni di S. Agostino. E’ un lavoro che ha delle sonorità pop ed elettroniche. C’è la presenza di una evoluzione tecnologica, ma io canto, non urlo perché la spiritualità è presente; ognuno di noi fa quello che ha dentro. AI disco hanno collaborato i Blu Vertigo che hanno arrangiato le canzoni. Anche Battiato ha arrangiato i brani del disco. Spiritualità, ma non solo. Ci sono anche componenti di altra natura. «Zodiaco» è una canzone sospesa tra ironia sulle caratteristiche dei segni e la seria considerazione dell’elemento astrale che influisce sulle nostre vite. Quasi una roba da giornale del mattino».
- Camisasca, lei realizza icone di notevole bellezza.
«Non a scopo commerciale; infatti capita che su un lavoro mi soffermi anche sei mesi».
- Cantante, monaco, adesso artista. Cosa è rimasto delle precedenti esperienze.
«Tanto. Un particolare curioso?Ogni mattina mi sveglio presto, non alle quattro come si faceva in convento, e tengo in ordine la stanza».
- Ha cambiato vita ogni dieci anni. Il Duemila sarà l’anno dell’ennesima metamorfosi?
­«Sto bene qui e grazie alla musica ho ritrovato una spinta energetica potente, quella che cercavo».
Intervista a cura di Giovanni Finocchiaro

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JURI CAMISASCA - Da L'enciclopedia del Rock

Chitarrista autodidatta, Roberto “Juri” Camisasca (Melegnano 1951) comincia a muovere i primi passi nell’ambiente musicale grazie a  Franco Battiato, che lo incontra durante il servizio militare e accetta di produrre le coraggiose canzoni di La finestra dentro. Il disco è senz’altro una delle opere più sbalorditive e personali della musica italiana dei ‘70, ricca di testi surreali e canzoni prive di ogni riferimento stilistico. Anche il suo modo di proporsi, tra il timido e il selvaggio, affascina il pubblico che occorre numeroso al Festival di Villa Pamphili (Roma 1974) e al Teatro Lirico di Milano (1975). Parlando di lui e della sua musica la stampa usa volentieri termini come allucinato, sconvolto, alienato, che ben ri­specchiano i contenuti delle canzoni, a dir poco originali e metaforica­mente crudeli: in Un galantuomo, per esempio, si parla di topi che cor­rono nelle vene, in Metamorfosi di una improvvisa trasformazione kafkiana da uomo a insetto, in Scavando col badile di un mondo sotterra­neo dominato dagli animali. Incubi deliranti e un profondo stato di di­sagio esistenziale, inducono Camisasca a cercare nella musica un rime­dio alle insoddisfazioni quotidiane. Nel 1976, insieme a Franco Battia­to, fa parte del gruppo Telaio Magnetico per una breve tournée nell’i­talia centro-meridionale. Dopo un paio di singoli (Himalya  e La musica muore), Camisasca cambia improvvisamente linguaggio musicale e utilizza la voce alla maniera orientale, senza l’ausilio di testi,con un ar­monium al posto della chitarra; cosi si presenta nell’aprile 1978 al Tea­trino della Villa Reale di Monza nella rassegna “L’evoluzione interiore dell’uomo”. Quella è l’ultima apparizione pubblica per molto tempo: poco dopo infatti Camisasca abbandona la scena musicale e si chiude in un convento alimentando così un certo alone di mistero che sin dagli esordi accompagnava la sua figura. Nel 1987 lo ritroviamo però al Teatro Regio di Parma per cantare alcune canzoni di Genesi e realizzare Te Deum, una sorta di suggestiva preghiera in musica. Prima Alice e poi Battiato cantano una sua canzone, Nomadi, e altri brani di Camisasca appariranno in Il Sole della Pioggia (Alice) e Svegliando l’amante che dorme (Milva). Il rientro in scena, in tournée con Milva, e la pubblicazione de Il Carmelo di Echt sanciscono il definitivo ritorno alla musica, con canzoni che ora rivelano lucidissime visioni del mondo (Primo Motore, Curva del cielo e Le acque di Siloe). Nel 1992 suona al Club Tenco e l’anno dopo è ancora al fianco di Battiato per la rappresentazione di Gilgamesh.  

A cura di Giordano Casiraghi

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DAL BATTIATO VIRTUAL FAN:

- INTERVISTA A JURI CAMISASCA 

Hai ricordi vivi della tua infanzia, un presentimento di ciò che avrebbe toccato poi la tua consapevolezza?
Ho ricordi della mia infanzia, ma non che dalla mia infanzia avessi sentori del mio futuro, tranne il fatto che fin da bambino ero un grande appassionato di musica. Fin da 4 o 5 anni sentivo che la musica era una cosa che mi apparteneva.
Quali sono stati i tuoi modelli musicali?
I musicisti che hanno segnato delle svolte o che mi hanno dato delle aperture: i Beatles, i gruppi musicali di quella generazione, Hendrix, Terry Riley; parlo di rivoluzioni musicali.Un passo ulteriore è stato la scoperta della musica etnica; ho amato molto la musica indiana e la musica classica. In seguito c’è stato anche il canto gregoriano…
Essendo tu un leone, sei naturalmente uno spirito di grande energia e istintiva voglia di vivere; come si coniugano queste qualità con una vita fatta apparentemente di rinunce?
Bisogna vedere a cosa si rinuncia, in realtà quello che può apparire come una rinuncia è un abbracciare un concetto più ampio della vita, quindi rinunciare alla banalità per abbracciare valori più alti. Il silenzio per me è un linguaggio.Non mi sento solo, anche se paradossalmente è nella solitudine che si può esperire una maggiore pienezza di vita. Io mi sento parte dell’universo.
Qual è stato il rapporto con i tuoi coetanei, ti sei sentito inevitabilmente diverso?
A un certo punto sì, quando le mie scelte si stavano orientando verso altri orizzonti; poi si matura e si capisce che non si è affatto diversi, siamo tutti figli dell’Eterno.
Dal tuo primo disco "La Finestra Dentro" all’ultimo "Arcano Enigma" sembra che in parte i temi siano rimasti gli stessi, ma il percorso evolutivo è molto. Chi o che cosa ti ha aiutato in questo?
Sono le evoluzioni che si hanno nell’esistenza. Al tempo del disco "La Finestra Dentro" avevo le idee un po’ confuse; alcune cose erano degli effettismi, anche se credo di aver manifestato anche a livello inconscio un certo disagio esistenziale. Ora ho semplicemente le idee più chiare.
Su queste alture, sospesi tra cielo e terra, facendo silenzio si riesce ad avvertire qualcosa?
Il problema è proprio fare silenzio: è una cosa difficilissima. Vivere nella solitudine è combattere con il turbinio dei pensieri e con l’inerzia. La mente è come uno specchio. Quando l’ottusità dell’intelletto si calma e la nebbia dei pensieri scompare, le forze segrete dell’anima vengono allo scoperto.
Anche nei tumulti della città questo è possibile?
Certamente.
Allora questa tua scelta la vedi come definitiva?
L’unica mia scelta definitiva è la ricerca spirituale.Per il resto l’unica cosa che nella vita non muta è il mutamento stesso. Quando sono entrato in monastero pensavo fosse una scelta definitiva, invece…
Sento una grande serenità nella tua scelta.
Se non si è sereni, non si possono fare certe scelte.
Riuscirà mai l’Occidente contemporaneo a capire che la dualità è solo apparente, o addirittura stiamo andando verso un relativismo, un’indifferenza morale che azzera qualunque dinamica Bene-Male?
Come posso saperlo? Di certo la persona occidentale e la persona orientale riescono a superare il concetto di dualità qualora intraprendano un cammino interiore.Non distinguo tra Oriente e Occidente, l’uomo è l’uomo; ci sono degli illuminati in Oriente, così come in Occidente.E’ la presa di coscienza interiore che ti fa superare determinati scogli filosofici. Se è vero quanto dice San Paolo, che l’universo è in attesa di una grande presa di coscienza, allora si arriverà all’unità cristica e si supererà la dualità.
Quant’è importante per te l’apprezzamento del pubblico? Ti piace avere un rapporto diretto nei concerti?
Il concerto è sempre un momento un po’ magico. Non mi metto nei panni dell’artista che sale sul palco, ma mi sento strumento per un incontro con altre persone che possa essere piacevole. Per il resto la vanità non mi appartiene, anche se apprezzo l’apprezzamento come controbilancia delle critiche.
Un uomo spirituale come te, come vive la sessualità?
Ma che cos’è la sessualità? Penso ci sia molta confusione su questo argomento.Si fraintende la sessualità con la genitalità. Nella misura in cui cresce l’amore per Dio, sulla via che porta alla trasformazione della coscienza, le altre cose cessano di turbare la mente. A seconda di come tu hai pensieri, così sei.
E l’erotismo?
Un certo tipo di catechismo ci ha messi con le spalle al muro e forse ha fatto più male che bene. L’eros non si può eliminare dalla vita. La vita è erotica, l’universo è erotico. L’eros è vitalità, è comunicazione. Se non ci fosse l’eros non ci sarebbe nemmeno l’esistenza. Bisogna solamente sapere come utilizzarlo ai fini di un’apertura verso l’alto.
Ritieni la preghiera, l’umiltà e la povertà dei tuoi valori?
Assolutamente sì. Con povertà intendo il senso di non appartenenza o possesso delle cose nella vita. Non vi è niente a cui si debba rinunciare, proprio perché niente ci appartiene nella vita, neanche il nostro corpo.Se si capisce questo si diventa necessariamente umili.
La vita ritirata e di contemplazione può rappresentare una fuga dalle responsabilità?
La realtà per me è una sola ed è quella spirituale.E’ fuggendo da essa che si compie la vera fuga. Io non fuggo dalla realtà, ma mi avvicino ad essa. Per me fuggire significa fuggire da Dio, e l’unica responsabilità che sento di avere è l’obbedienza alle sue leggi.
Pensi che la tua scelta di vivere ai confini della realtà possa risultare in un certo modo provocatoria nei confronti della società?
Credo che il mio modo di vivere rappresenti un interrogativo per molti, tuttavia non intendo provocare nessuno. Ho semplicemente votato la mia esistenza per una causa superiore.Non è ciò che gli altri pensano di me che conta, ma ciò che io sono.
Quali ritieni siano le pecche del tuo ego?
Nel Vangelo c’è scritto: "Siate perfetti, come è perfetto il vostro Padre".E chi può esserlo? Una persona quando si evolve vede inevitabilmente anche la propria limitatezza. Una volta un monaco camaldolese mi fece un esempio.Era verso l’imbrunire. Mi disse: - Vedi questo saio? Ora che è sera lo vedi bianco, ma domani col sole ti accorgerai che è tutto pieno di macchie.- Così mi sento io.
Hai una tua idea di una fisiologia spirituale dell’uomo?
So la cosa più importante: di essere il tempio di una luce soprannaturale che, come dice San Paolo, "occhio mai ha visto". L’uomo è una creatura della Luce. In alcuni questa Luce è più cosciente, in altri meno, in altri ancora è totalmente incosciente, ma ogni uomo ha lo stesso potenziale universale.
Quando preghi?
Pregare è essere! E’ vivere con rispetto per gli altri e per le cose. Ed io, con i miei limiti, cerco di farlo ventiquattro ore su ventiquattro.
E se qualcuno ti domandasse come si può trovare la serenità, tu cosa gli risponderesti?
Tratta ogni essere umano come fosse un fiore e vivrai felice.

- INFINITO 

Chiara sta facendo uno studio sull’infinito e desidera conoscere il pensiero di Juri su questo affascinante concetto:"Lo colleghi a Dio? Oppure all’ipotesi di uno spazio infinito, di un universo che non ha confini? Secondo te l’infinito esiste solo perché è intellettivamente concepibile?"
Dio è infinito e l’infinito è pieno di Dio.Il vuoto è pieno di Spirito, è pieno di Dio.   
Ma una visione panteistica sarebbe limitata, perché Dio è anche assolutamente trascendente. L’Infinito è nell’universo e lo trascende.  L’infinito come estensione fisica e intellettiva rimanda ad un Infinito che sta oltre l’universo, oltre il cosmo. Quando al Buddha dopo l’Illuminazione (che significa conoscenza di Dio e dell’Infinito) fu chiesto in che cosa consistesse, rispose con un nobile silenzio.
Dio resta per l’uomo un mistero, di cui c’è presenza nel cosmo e nell’uomo, ma è sostanzialmente ineffabile. Parlare di Dio significa sminuirne il valore. E’ come l’esempio che fa S. Agostino del bambino che vuole mettere il mare in una buca fatta sulla sabbia.
Infatti abbiamo una visione limitatissima dell’esistenza e non possiamo comprenderne la totalità. Quest’Infinito non può essere raggiunto con l’intelletto (sarebbe come tentare di spiegare a parole il gusto dell’arancia), l’unica via possibile è l’esperienza." 

- IL CANTO E LE ICONE

Nell’intervista hai affermato: "Pregare è essere": come si sviluppa la preghiera nei particolari modi di essere che sono il canto e la pittura delle icone?  

Con quest’affermazione intendo riferirmi ad ogni istante dell’esistenza: pregare è essere portatori di verità e di luce in ogni circostanza e attimo della giornata.Poi vi sono momenti in cui si è totalmente naturali e si possono smantellare tutte le maschere e sovrastrutture dietro alle quali ci si nasconde, per far credere di essere ciò che non si è.Il canto e la pittura delle icone sono per me come meditare: il pensiero si distacca e la mente si svuota liberandosi completamente dal senso dell’ego;Dio è onnipresente, ma questi momenti sono simili ad un rituale, ad una liturgia: un tempo forte, di cui mi sento privilegiato.Quando canto entro in una dimensione di assoluta tranquillità, così immergendomi nei colori sperimento l’abbandono ad una mano superiore. 

- PRATICHE INTERIORI E MAESTRI 

Mi è sempre piaciuto lo straordinario passaggio dell’Asatho maa e vorrei sapere se fai uso dei mantra nella tua vita interiore, che tipo di pratiche di meditazione segui e se fai anche hata-yoga?    

Ho fatto uso di mantra in passato, ora solo sporadicamente riprendo il mio mantra personale: è una fase che ho superato, anche se mi ha dato molto. Ho praticato per circa dieci anni l’hata-yoga, traendone un grande beneficio. Attualmente però la meditazione per me è totale silenzio.

Quali sono stati i tuoi maestri, le tue letture preferite?

Le Sacre Scritture, S. Teresa D’Avila, Aurobindo, S. Agostino

- VEGETARIAN MAIL

Si è discusso sul sito intorno ad una "vegetarian mail", che cosa significa per te questa scelta?

Molti anni fa mi avvicinai alla macrobiotica, poi durante gli anni passati in monastero mi riadattai a cibarmi di carne secondo le abitudini della comunità in cui vivevo; adesso sono naturalmente vegetariano. Non è una presa di posizione morale la mia, ma un naturale orientamento biologico. Del resto è un dato di fatto che la vita si nutra con la morte e anche in un vegetale c’è vita.

- IL VIAGGIO DEGLI UMANI

Nella canzone "Il viaggio degli umani" si dice che nasca "da un seme di libertà": il viaggio umano nasce da una scelta che è un’esigenza, o da una caduta?

Nella canzone intendo semplicemente riferirmi all’atto libero del concepimento, una libertà che non è governata dall’uomo, che semplicemente si presta all’opera di un’Intelligenza superiore.

La trasmigrazione, affermi, la mente non la può comprendere: cosa ti ha convinto della verità della reincarnazione?

Con la parola trasmigrazione mi riferisco non alla reincarnazione, ma al viaggio post-mortem, che secondo le diverse tradizioni religiose l’anima deve compiere per tornare alla Fonte originaria. E qui siamo davvero nel campo del mistero.

- LE FORZE DEL MALE

Che concezione hai delle forze del male? Credi che le tentazioni e il male possano presentarsi facilmente a chi è sulla strada della ricerca di sé?E secondo te, salvarsi miracolosamente da queste influenze nefaste è voluto dal destino, oppure alcune anime semplici e pulite riescono, in virtù della propria semplicità, a salvarsi in queste terribili prove?

Quanto alla semplicità, esiste una semplicità positiva, che troviamo ad esempio in S. Teresa di Lisieux, che non significa certo non porsi dei problemi. In realtà la vita è una faticosa ricerca: nasciamo semplici, la società poi ci rende complessi e occorre quindi liberarsi da certe sovrastrutture. Indubbiamente sul cammino si presentano quelle che io chiamo "forze avverse". La difficoltà maggiore sta proprio nel rendersi conto della presenza di certe "interferenze" sulla nostra via. A volte uno stato di agitazione, una crisi, una depressione possono avere radici oscure. Rendersene conto è un importante primo passo per poi assumere un atteggiamento positivo e capire che sono situazioni transitorie. La fede aiuta. L’aiuto viene da Dio, non dipende dai propri meriti, crederlo sarebbe una presunzione dell’io.Noi siamo strumenti di un’unica realtà, in cui si muovono anche forze avverse.

- LA FIGURA DI GESU' 

Credi che Gesù Cristo sia l’unico figlio di Dio e l’unico salvatore?

Mi sento cristiano e il riferimento alla figura di Cristo mi basta e mi avanza. Cristo è stato l’ultima Rivelazione di Dio, ma non si può parlare di un unico salvatore. Basti pensare all’Islam che lo riconosce in Maometto. Sono comunque figure che confluiscono in un unico punto e manifestano l’Assoluto. Sul mio cammino ho scoperto anche altre straordinarie fonti di insegnamento nel Buddismo e nell’Induismo.

A cura di Donatella De Vincentiis

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L’ARCANO ENIGMA DI JURI CAMISASCA
In esclusiva per i lettori di Musicalnews Roberto “Juri” Camisasca.

Juri Camisasca è sicuramente uno dei personaggi più singolari nella musica nostrana. Dal suo esordio del 1974 con l’album “La finestra dentro” (etichetta Bla Bla) ad oggi l’artista milanese, ma siciliano di adozione, ha realizzato solo quattro album, oltre ad aver scritto brani e partecipato a lavori di amici colleghi (tra cui Franco Battiato e Alice). La musica di Juri Camisasca non è facile da identificare. In ogni suo lavoro l’artista è sempre uscito fuori dagli schemi, realizzando album sempre avanti con gli anni. Da “La finestra dentro” all’ultimo “Arcano Enigma” (1999), passando per l’opera “Te Deum” (1988) e “Il Carmelo di Echt” (1991), tutti intrisi di forte spiritualità, ricerca, riflessione e soprattutto rock, sottolineato da affascinanti chitarre. Siamo riusciti a contattare l’artista, che oggi vive in provincia di Catania. Una telefonata piacevole, memorabile e per noi anche storica, dove l’artista, disponibile sin dall’inizio, ha manifestato un assoluto distacco verso il mondo dell’industria discografica. Anzi, stando alle sue parole, non realizzerà più album. E se ciò fosse vero sarebbe un vero peccato e soprattutto una gran perdita per la musica. Inutile nascondersi: la discografia ha le sue colpe. Non si possono mettere da parte artisti innovativi e “nuovi” come Roberto “Juri” Camisasca.
Antonio Ranalli: Come inizia la sua avventura nel mondo della musica? Come è arrivato alla realizzazione dell’album “La finestra dentro” nel 1974 per la Bla Bla?
Juri Camisasca: Ma guarda tutto è successo quasi per caso. In quel periodo mi interessava un pochettino entrare nella cerchia della discografia. Avevo conosciuto un gruppo di persone, e così sono arrivato alla Bla Bla con la quale ho realizzato “La finestra dentro”. A dire il vero mantengo molto distacco verso quel periodo ma anche verso tutto ciò che ho fatto.
Antonio Ranalli: Parliamo allora del suo ultimo CD “Arcano Enigma”, realizzato nel 1999 per la Mercury / Universal (con la produzione di Franco Battiato n.d.a.). Mi ha fortemente colpito il testo di “Zodiaco”. L’astrologia l’ha influenzata realmente nella composizione di questo brano?
Juri Camisasca: E’ stato un gioco. E’ una cosa normale quando metti all’interno dei testi certe tematiche. Non potrei mai scrivere “Come è bella la guerra”. In questa canzone l’astrologia viene utilizzata a livello di gioco. Io non credo negli oroscopi e in queste cose, anche se ai nostri tempi tante persone seguono l’astrologia.
Antonio Ranalli: L’album è stato suonato con tre / quarti dei Bluvertigo. Ad accezione del tastierista Andy, ci sono Morgan, Livio e Sergio. Come è nata la decisione di utilizzare giovani musicisti, appartenenti alla schiera del cosiddetto nuovo rock italiano?
Juri Camisasca: Loro sono amici. Per questo progetto mi serviva una base strumentale e un certo tipo di suono. Loro sono stati disponibili sin dall’inizio.
Antonio Ranalli: Che cosa ne pensa della mancata promozione fatta dalla casa discografica ad “Arcano Enigma”?
Juri Camisasca: Non ne penso proprio nulla. Il fatto è che questo per un’artista come me è sempre normale, nel senso che è sempre accaduto.
Antonio Ranalli: Tornerà ad incidere altri lavori?
Juri Camisasca: Non credo proprio. Mi sento molto distaccato da questo ambiente. Per questo credo che sarà molo difficile che io torni in studio.
Antonio Ranalli: Un’ultima domanda. So che ama molto dipingere, e che è specializzato nella pittura sulle dorature. Che cosa rappresenta per lei la pittura?
Juri Camisasca: In dipingo spesso… tra l’altro lo stavo facendo proprio in questo momento. Per me dipingere è un modo per entrare in una certa dimensione. Mi consente di stare ad un livello di quiete interiore. Dipingo come rituale.

di Antonio Ranalli

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Tao e Sacre scritture nelle note di Camisasca
Concerto-evento di Juri Camisasca, cantautore milanese dall'affascinante parabola artistica, che dopo oltre un decennio di vita monastica, torna alla musica alla fine degli anni '80 coniugando pop e spiritualità. In questi anni ha pubblicato 4 dischi ed ha partecipato a molti altri, interpretando canzoni rock, gregoriani, opere, mantra. Ha scritto canzoni per Battiato, Alice, Milva e Pfm.
La performance fiorentina (attesa a giugno-luglio) prevede composizioni dell'ultimo lavoro dell'artista: «Arcano Enigma». Verranno eseguiti inoltre i brani più famosi dei suoi lavori precedenti, insieme ad alcuni capolavori della Tradizione Gregoriana che sono stati il punto di forza della sua popolarità culturale.
La musica di Juri Camisasca Project trascende gli orizzonti spazio-temporali, si rivolge al potenziale assolutamente universale che è in ciascun essere umano e lo pone in relazione con l'Assoluto. In questo senso il contenuto dei testi, attingendo alla ricchezza spirituale di culture diverse, esprime il senso dell'incontro incondizionato con «l'altro» nella relazione con il «totalmente Altro», dagli infiniti nomi, nelle diverse espressioni del sacro.
La limpida voce del cantore delle opere Genesi e Gilgamesh di Franco Battiato evoca un suggestivo percorso interiore: canzoni tra spiritualità e pop, canto gregoriano rivisitato con ritmi nuovi e sonorità elettroniche, mantra indiani, in cui il suono ha il potere catartico di liberare la mente dai pensieri...
Dall'occidente all'oriente, passando attraverso l'Africa, con la canzone Mana e con il Psalmus 113 che rievoca la fuga in Egitto, per poi arrivare in Afganistan con la canzone Himalaya e in India, nei villaggi dell'Indonesia, fino ai popoli che vivono oltre gli oceani. Composizioni nelle quali convivono in un insieme sorprendente Edith Stein, cui è dedicata la canzone «Il Carmelo di Echt» e S. Agostino, le Sacre Scritture ed il Tao, come ad indicare che, qualunque sia il percorso scelto, la vetta sarà per tutti la medesima.
Camisasca sta preparando una «performance multimediale», che comprende aspetti delle grandi culture dell'umanità, Buddhismo, Cristianesimo, Islam, Induismo, approfondendo anche il tema dell'icone nella tradizione ortodossa.
D.D.V.

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L’io, antitesi di Dio

Ecco il mio canto

Intervista a Roberto Juri Camisasca

di Massimo Maffioletti

direttore del settimanale di Bergamo La nostra Domenica

Del silenzio ha fatto la sua casa. Alle pendici dell’Etna. Dove si è ritirato in solitudine, dipingendo icone e componendo. Ogni tanto lascia il suo eremo catanese per incontrare il pubblico. E cantare. Difficile distinguere il confine fra canzone e preghiera, quando lo si ascolta. I suoi ormai non sono più dei veri e propri concerti, ma narrazioni della sua ricerca e singolare esperienza spirituale: l’essere «stato toccato dalla grazia. Perché così è stato per me – afferma Juri Camisasca –: un capovolgimento esistenziale». Che con pudore «definisco conversione».

Un’avventura iniziata nel 1974 con una profonda crisi interiore, proprio mentre usciva il suo primo album La finestra dentro; proseguita nell’amicizia con il musicista siciliano, Franco Battiato; coltivata in un monastero benedettino in Umbria per 11 anni fino all’87, dove è maturato il dirompente e rigoroso Te Deum, lavoro con il quale l’allora monaco milanese rivisitava i grandi testi della liturgia come Exultet, O Redemptor, Victimae paschali laudes. La maturità musicale è raggiunta con Il Carmelo di Echt, un omaggio alla santa ebrea convertita: Edith Stein. L’ultimo suo album, Arcano Enigma, è del 1999. Qui è l’ansia agostiniana delle Confessioni a troneggiare. Di quest’ansia Juri Camisasca ci parla.

Sarà a Bergamo il prossimo 14 marzo, invitato dalla diocesi di Bergamo, per un incontro musicale con i giovani e gli universitari (teatro delle Grazie in città, ore 21, ingresso libero).

Juri, come definisce il suo percorso musicale? C’è un filo rosso che dal ’74 unisce La finestra dentro fino ad Arcano Enigma?

«È difficile rispondere, perché da La finestra dentro fino a oggi è come se io fossi un’altra persona. Quello per me fu un momento di grande confusione. Non sapevo che pesci pigliare, non sapevo cosa volevo dalla vita. Non ero contento. Mi illudevo che avrei trovato un appagamento nella gratificazione artistica, invece scoprii che non era così, che quelle che si vedono nel mondo sono molte lucciole e poche lanterne. Ma tutto, per la verità, dipende da come si è. Solitamente si pensa che una persona, per il solo fatto di far musica, calcare il palcoscenico, incidere dischi, sia compiuta, felice, realizzata. Invece non è così. E poi, in me è avvenuto un radicale cambiamento. Non cercato. E la mia musica ne è un riflesso. Ma, in genere, tutta l’arte è così. L’arte è l’espressione di ciò che si è, che lo si voglia o meno. Crediamo di poter manipolare la nostra personalità attraverso la creatività, e di apparire per come non si è, ma non è possibile».

Quando è avvenuto il «radicale cambiamento»?

«Nel 1974 o ’75. Ricordo di avere concluso La finestra dentro e di avere realizzato altri due singoli come La musica muore/Metamorfosi e Himalaya/Un fiume di luce ma sentivo che tutto ciò non mi interessava più. Ho sentito un forte richiamo per la vita interiore, tanto è vero che poi ho smesso perfino di suonare e mi sono ritirato in un monastero».

E adesso che cosa sta cercando?

«Non posso più soltanto dire la ricerca di Dio. La vita non è forse cercare di ricordarmi di essere parte della Chiesa, Corpo di Cristo? Questo è ciò che provo a vivere. Pertanto Juri Camisasca, i suoi dischi e tutto il resto, non sono che marginali allo scopo vero della mia esistenza. Sono prima di tutto un essere umano».

Le sue musiche e le sue liriche sono inequivocabilmente intrise di spiritualità. Ma che cos’è la spiritualità?

«Spiritualità è vivere la natura reale che è dentro di noi, è vivere “chi” noi siamo. Ricordo che quando studiavo teologia il professore di liturgia ci ripeteva l’adagio “diventa quello che sei”. Spiritualità è vivere la propria vita in Cristo, vivere per ciò che noi siamo. Il problema è sapere chi noi siamo. Noi viviamo in così tanti ruoli identificati che ci vengono appioppati dalla società – per cui io per esempio sono un cantante e lei un giornalista – e nel peggiore dei casi la gente si identifica con i vestiti che compra, con i possessi che ha. Spiritualità è essere ciò che noi siamo in profondità. Purtroppo noi viviamo in una società che è imperniata più sull’avere. Si rincorre il proprio benessere attraverso l’accumulo di cose. Il che significa essere completamente persi».

Anche per non perdersi lei si è ritirato alle pendici dell’Etna?

«Sì. A un certo punto della mia vita sono stato toccato in modo molto forte da ciò che io chiamo la “grazia”. C’è stato un capovolgimento radicale nella mia persona che mi ha portato a desiderare intensamente di conoscere Dio, di avere un’esperienza sempre più forte di quella realtà che sentivo pulsarmi dentro. Tanto è vero che poi sono entrato in monastero».

Perché il monastero?

«Io ho scelto i benedettini; san Benedetto, ricordando il salmo 14, ripeteva ai suoi monaci: voi entrate in monastero per fare esperienza della tenda: Signore chi abiterà la tua tenda? Questo è il monachesimo: abitare nella casa del Signore, nella tenda del Signore. Il che significa fare esperienza della presenza di Dio. Pensi che volevo persino entrare nei certosini, abbracciare una solitudo infinita. Cosa che poi fortunatamente non feci. San Benedetto insegna ad avere i piedi per terra e la mente in cielo. Il monastero mi ha insegnato molte cose: il contatto umano sempre con le stesse persone, anche antipatiche, mi ha aiutato a superare me stesso. Ma per superarsi occorre avere molta umiltà. L’umiltà deriva anche dal fatto che scopri ogni giorno che hai bisogno dell’aiuto di Dio, che da te solo non puoi nulla. Ma anche il monastero mi stava un po’ stretto; nel momento in cui avrei dovuto prendere i voti ebbi grandi ripensamenti, tormenti. Così me ne uscii. Ma con una sofferenza indicibile. Adesso sono contento della vita che vivo».

E cos’ha imparato ancora dai monaci?

«Il silenzio. Sono ormai un po’ di anni che vivo nel silenzio. Ricordo quello che dicevano i padri del deserto: “la solitudine la sperimenterai quando pur vivendo in una città sentirai il silenzio intorno a te”. Credo di esserci un po’ riuscito».

Quali sono le qualità esistenziali che le città moderne hanno smarrito?

«Il silenzio, appunto. Non esiste proprio. Non c’è più come fatto udibile, come percezione fisica. Subiamo un bombardamento continuo di rumori. E i mass media contribuiscono alla sparizione del silenzio. Ogni volta che mi capita di vedere la tv mi chiedo dove stiamo realmente andando; basta il Grande Fratello per capire quale livello di idiozia abbiamo toccato. Gli individui oggi non sanno più stare con se stessi. Sono sempre alla ricerca di qualcosa che li tenga occupati. La gente fraintende l’essere attivi con l’essere indaffarati. E, infatti, oggi si è solamente indaffarati, persi nel vortice dell’iperattivismo, ingoiati dalle cose da fare. Tutto questo ci porta ad essere fuori da noi stessi, a non essere consapevoli di noi stessi. Quando si offrono momenti di silenzio dove finalmente poter sprofondare negli abissi della propria interiorità, ci si spaventa perché vengono a mancare gli appoggi esteriori. La gente non sa rimanere con se stessa; per rimanere con se stessi occorre imparare a sentire il silenzio, che non è vuoto, ma linguaggio. È l’anima che ti parla».

Cosa manca ancora?

«Oltre all’essere e al silenzio, l’amore. C’è un fraintendimento sull’amore. La gente concepisce l’amore solo come attaccamento. Io amo questo qui o quello là. Ma amare significa essere come un fiore che profuma ed esala il suo profumo. Amare è essere amore dentro. Non si può amare fin quando non si scopre l’amore dentro. E per scoprirlo ci vuole, ancora una volta, il silenzio».

Accennava alla grazia. Cos’è?

«Parlare della grazia è parlare di Dio. E io cosa posso dire di Dio? Io posso soltanto dire di avere fatto un certo tipo di esperienza. Due persone che si amano sanno quale tipo di rapporto c’è tra loro, ma non riescono a comunicarlo agli altri. Non si può comunicare l’amore. O lo vivi o, altrimenti, non puoi dire nulla. Il profumo di una rosa lo conosci nel momento in cui l’annusi e lo gusti. Non puoi pretendere di spiegarlo. Figuriamoci Dio… Quelli che, come san Giovanni della Croce, hanno avuto esperienza profondissima di Dio, sostenevano che non se ne può parlare; è un’altra dimensione. I padri del deserto ammonivano: a una persona che non crede non puoi dare nessuna risposta mentre a una persona che crede non sorgono dubbi e domande».

Viene spesso mossa l’accusa di New Age a canzoni come le sue.

«Cosa significa New Age? Non mi faccio paladino di un discorso prettamente cristiano. Io sono un musicista e come tale faccio la mia personale ricerca musicale. Per esempio, l’accostamento della lingua latina con alcune sonorità l’ho scelto per la sua musicalità; mi interessava avvicinare il latino con i suoni pop: era una ricerca. C’è una ricerca artistica che va salvaguardata. Io credo di avere fatto qualcosa di nuovo quando ho composto il Te Deum. Quindi, che cosa significa parlare di New Age? Quando si parla di spiritualità l’importante è comunicare. Se non si comunica una dimensione interiore, allora la musica potrà anche avere tutte le forme che vogliamo, ma non dirà nulla».

Nei suoi testi c’è la presenza di alcuni santi importanti: Edith Stein, Agostino…

«Quando scrivo sono influenzato dalla cose che leggo. Ho scritto di Edith Stein perché avevo letto un libro su di lei entrando in monastero. Così per Sant’Agostino. Per Alice avevo scritto Il sole nella pioggia che è una frase Zen; e poi però nello stesso testo cito l’universo che geme nelle doglie del parto, un’espressione di san Paolo. Mescolo le cose. Non leggo, però, le Sacre Scritture per metterle in musica. La Bibbia l’ho letta tutta quando ero in monastero; adesso mi concentro sui vangeli e sui salmi. Dei santi amo quelli carmelitani: Teresa d’Avila, Teresina di Lisieux, Elisabetta della Trinità, Giovanni della Croce. Teresa d’Avila, poi, è stata la mia maestra: quando ebbi la conversione il primo libro che mi capitò fra le mani fu uno scritto sulla santa spagnola. Fu per me un punto di riferimento».

C’è una differenza fra la ricerca di Dio e ricerca dell’io?

«Certamente sì. Dipende, però, da cosa si intende per “io”. In psicanalisi non è sempre chiaro. Per quanto mi concerne, la ricerca di Dio è la ricerca della nostra vera natura e la ricerca dell’io è la ricerca della personalità. Ma l’io è fasullo. Noi ci identifichiamo con l’io, ma che cosa è l’io? È il nostro inganno. La ricerca di Dio, invece, sta proprio nell’abbandono dell’io. L’io è in antitesi con Dio».

Fra lei e Battiato, Alice, Giuni Russo: chi ha influenzato di più?

«Risulta ufficialmente che Battiato ha influenzato me, ma potrei aggiungere che anch’io ho influenzato Franco. Ma non è vera né l’una né l’altra affermazione. Ci conosciamo da anni, abbiamo vissuto tante esperienze insieme, abbiamo suonato e cantato insieme, cercando nuovi stili musicali, abbiamo molte affinità… è ovvio che la frequentazione l’uno dell’altro diventi anche trasmissione. L’osmosi è inevitabile. Non è stato così per la scuola bolognese, o per quella genovese…? Per Battiato scrissi soltanto Nomadi , che per la verità era una canzone per la professione di un mio confratello in monastero. Franco l’ha ascoltò e la volle inserire in Fisiognomica (Nomadi e Il Carmelo di Echt sono riapparsi nel nuovo lavoro di Giuni Russo, Signorina Romeo; ndr). Ma abbiamo composto insieme per Milva, e io molto per Alice. Alice e Giuni sono entrate nella logica del nostro pensiero».

Tentazioni sanremesi?

«Assolutamente no. Ma c’è stato un anno che stavo per andare».

Nuovi progetti, nuovi dischi?

«No, non ce ne sono. Sto continuando a dipingere».

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