Donnafugata
6 giugno 2003
Recensione del concerto da "La Città" (Ragusa), 19/06/03 Intervista realizzata in occasione del concerto Da INSIEME n. 368 del 16 giugno 2003 Recensione da "L'Isola che non c'era", luglio 2003
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Juri Camisasca, la musica dell'assoluto
L'artista, da sperimentatore progressive negli anni Settanta a eremita
Vincenzo & Antonio La Monica
Abbiamo notato che ti piace definire incontri i tuoi concerti. Come mai?
Mi sembrano più degli incontri considerando il fatto che vi partecipano persone di un certo tipo che sono motivate più che dalla musica, da un qualcosa che è metamusicale; è tutta gente che è in ricerca di valori spirituali. Lo stesso accade a chi va ai raduni pop o rock: non lo si fa solo per la musica. Così è per i concerti che faccio io, nel mio piccolo.
Cantando di valori spirituali si corre il rischio di vedere la propria figura fraintesa o catalogata…
Sì c’è il rischio, ma i pericoli esistono dappertutto. Molte persone vengono fraintese quando diventano un personaggio pubblico: qualcuno proietta su di te valori che non hai. Di questo però io non ne faccio un assillo, perché mi occupo del mio rapporto con l’esistenza; come mi vedono gli altri non è un mio problema.
E tu come vedi gli altri, visto che qua c’è gente
venuta da ogni parte di Italia?
A volte mi sembra un po’ esagerato, vi dico la verità. Però non è che io possa farci qualcosa; se uno ha la possibilità di avere due giorni di vacanza e venire in Sicilia a vedere un concerto è un avvenimento bello. Non c’è niente di male in questo. Io non me ne faccio comunque un vanto.
Rispetto ai concerti precedenti, qui a Donnafugata, ti presenti con una formazione diversa e dei brani diversi…
Sì anche perché il luogo lo richiede e si presta a delle sonorità più forti. In una chiesa certe cose non me le posso permettere. Oggi posso fare dei brani un po’ pazzoidi come “Zodiaco”.
Canti sempre in posti suggestivi. Quanto è importante la cornice?
Ha la sua importanza, perché aiuta a creare un clima. Sarebbe difficile per me cantare in un pub. I luoghi sono importanti perché ti mettono su una certa lunghezza d’onda. Poi con la musica si cerca di creare una sintonia con le armonie dell’universo.
Sei sempre stato fuori dai giri della discografia, come è cambiato il mondo della musica dai tuoi esordi ad oggi?
Non lo so. È cambiato il fatto che oggi ci sono più artisti e c’è una caterva di gente che propone materiale. Ai miei tempi eravamo di meno ed era più facile proporre il lavoro. Oggi manca il coraggio. La gente, più che cercare un’espressione artistica, cerca il successo. Molti vogliono apparire in TV o sui giornali, mentre io sono sempre stato uno molto schivo nei confronti di queste cose. All’epoca mi avevano fatto una versione di un brano, che era “La musica muore”, che a me non piaceva per niente, perché aveva una sorta trucco che la voleva rendere commerciale. A me non interessava! Non è una questione di soldi, perché bisogna pur vivere, però preferisco guadagnarmi il necessario facendo altre cose, piuttosto che cedere ai compromessi.
È una scelta di libertà, insomma?
Esattamente. Per me è più importante vivere e liberarmi dall’ego, perché il nostro obiettivo da umani è questo, che è una cosa molto sottile e difficile. È difficile capire persino cosa significhi liberarsi dall’ego. Però è quello che mi interessa. Viviamo una volta sola e arrivati alla fine cosa ci rimane? Che hai fatto dei dischi o ti hanno applaudito su un palco? Bè no, non mi interessa questo. È pura vanità.
Non c’è il rischio di essere compiaciuti della
propria ricerca?
Se è vera ricerca no. Perché tu mi vedi come un essere compiaciuto? (ride) Io non mi preoccupo di far sapere agli altri che sono una persona che ricerca; tutt’al più mi travesto da una persona che non ricerca. Dobbiamo capire che per produrre il frutto, il chicco di frumento deve morire. Significa che la personalità deve scomparire. Poi si può giocare ad andare sul palco o a mettere gli occhiali scuri; ma sapendo sempre che una Vita vive dentro di noi. Nell’esistere unico noi siamo una parte, il problema è che noi diciamo “Io Juri, Io giornalista, Io falegname” questo ci separa dall’Unica realtà. Tutti si ammazzano per il potere, credono di dominare il mondo. A me sembrano tanti folli.
Cosa hanno in comune, nel tuo cammino artistico, la
pittura delle icone e il canto?
In comune c’è il fatto che sono due dimensioni trascendenti il concetto di arte per come la intendo io. Quando dipingo un’icona, cerco di mettere da parte la mia personalità per lasciar fluire un qualcosa di più puro; la stessa cosa avviene anche nella musica. Quando canto non ho pensieri in testa ed entro in un’altra dimensione che non è quella del pensiero, ci si abbandona alla musica e al canto. Con la pittura vale lo stesso discorso: cerco di abbandonare le attività mentali, facendo il vuoto dentro di me.
Permettici una domanda banale: che cosa hai in programma
per il futuro?
Sono uno che non programma niente, che vive alla giornata, e attualmente mi occupo più di pittura che di musica. Però c’è il progetto di fare uscire un libro a cui sarà abbinato un CD con dei brani nuovi. Per ora rimane solo alla fase di progetto, anche perché devo pensare ancora al tipo di sonorità da dare ai pezzi. Mi piacerebbe fare una cosa classica, senza tanta elettronica.
Antonio La Monica per www.juricamisasca.it
Da INSIEME
n. 368 del 16 giugno 2003
L’evento si è già svolto ma qualcuno ne parla ancora.
Riguardo a me, lo confesso: quando ho letto il suo nome sul manifesto
pubblicitario non sapevo nemmeno chi fosse e ho deciso, in verità, che avrei
assistito al suo concerto più per la splendida cornice del Castello di
Donnafugata che per le sue canzoni, a me del tutto sconosciute. Ma come sempre,
in questi casi, la mia curiosità è stata ben riposta e sebbene rimpianga di
non averlo scoperto prima (perché gli altri lo conoscevano? Dov’ero io quando
gli amici compravano i suoi dischi? Ah!…già… troppo impegnata a sognare con
le canzoni di Baglioni!!!), la soddisfazione di averlo conosciuto mi consola
vieppiù!
Atmosfera intima (poche persone presenti per fortuna),
nessun effetto scenico strabiliante (poche e discrete luci colorate sul palco),
canzoni soft e delicate. Proprio come si addice alla personalità di questo
straordinario e sensibile artista che del silenzio e dell’intimismo ha fatto
una precisa regola di vita. Roberto Juri Camisasca nasce nei sobborghi milanesi
(Melegnano) e fa la sua prima comparsa nel mondo musicale nel 1974 con l’album
“La finestra dentro”, caratterizzato da una sorprendente intensità emotiva
e una non comune sensibilità artistica. Collabora anche con Battiato
partecipando ad alcuni suoi dischi (“Clic”, 1974 e “Juke box, 1978). Ma è
un ragazzo molto timido e schivo; nel ricordo di alcuni colleghi del tempo
appare tanto riservato e impacciato nei rapporti quanto a suo agio, invece, con
la chitarra e la musica. Alla fine degli anni ’70 la sua inquietudine lo
spinge alla ricerca interiore che troverà appagamento solo nella vita
monastica, durata ben 11 anni in un monastero benedettino nelle Marche. Qui trae
continua ispirazione per le sue canzoni e la sua attività di compositore
continua ininterrotta. Nel 1987 partecipa a “Genesi”, l’album di Battiato.
Segue, nel 1988 “Te Deum”, un album mistico di canto gregoriano, “Il
Carmelo di Echt”, dove l’intensità lirica dei primi lavori raggiunge la sua
massima espressione e “Arcano enigma”, nel 1999.
La gente al concerto non sembrava meravigliata, ma io ho
appreso solo lì che la “mitica” canzone “Nomadi” di Battiato era stata
scritta da lui, e lo stesso per tante canzoni del passato che ho amato e che
credevo scritte da (e non per!) Alice o Giuni Russo. Insomma è stata davvero
una gran sorpresa anche perché non capita tutti i giorni di ascoltare dal vivo
canzoni filosofiche, profonde e allo stesso tempo sorprendentemente semplici.
Juri Camisasca, come è ovvio, rifugge dalla gloria e dagli
onori; la sua discografia non è a scadenza, non teme confronti da hit parade.
Nelle sue parole, la summa del suo pensiero e del suo stile di vita. A chi gli
ha domandato in passato se intendesse evangelizzare attraverso le sue canzoni
egli ha risposto che le sue canzoni sono frutto della continua ricerca di Dio e
la sua vita una missione. E per questo non si può che restare piacevolmente
stupiti ascoltando le commoventi parole che parlano di Edith Stein (la suora
carmelitana ebrea arrestata ed uccisa ad Auscwitz ), straordinaria testimonianza
di fede dell’artista, o quelle più incisive e mistiche de “Le acque di
Siloe” in cui si canta la perfezione di Dio, da cui tutto parte e a cui tutto
ritorna.
Per saperne di più: alcuni suoi brani degli anni ’70
sono stati raccolti nel Cd “La convenzione”.
Da L'isola che non c'era, n. 29, maggio 2003
Che il concerto di questa sera si discosterà un poco, per
sonorità e spirito, dagli spettacoli “meditativi” proposti da Juri
Camisasca nell’ultimo periodo lo si può intuire dalla formazione
“d’attacco” che lo accompagna: Francesco Calì tastiere, Sandro
Giurato tastiere e computer, Riccardo Gerbino percussioni, Giovanni
Arena contrabbasso, giustamente definiti “grandi musicisti” da Camisasca.
La scaletta, poi, conferma l’intuizione: scomparsi i canti gregoriani (che
erano parte consistente degli ultimi concerti) e ridotte al
minimo le canzoni in latino; solo Non cercarti fuori, Psalmus
113 e Ecce panis, peraltro tra le composizioni più
ritmate e sonoramente “aggressive” del repertorio dell’artista. Ci sono
anche due novità: Tempo senza tempo, scritta per Alice e
cantata per la prima volta dall’autore, e Zodiaco, brano
d’apertura di “Arcano Enigma” mai cantato prima dal vivo. Un brano
che trova nel nuovo arrangiamento una dimensione più giocosa che cattura il
pubblico, comunque coinvolto e partecipe per tutta la serata. Il taglio più pop
del solito non toglie nulla all’intensità dei brani, veri inviti a
scandagliare nella propria interiorità e a riconoscere il mistero nel mondo, in
un percorso conoscitivo che è verticale più che orizzontale (“Più
lontano vai, sempre meno conosci”). L’innesto del contrabbasso (spesso
suonato con l’archetto) dà più ritmo e profondità al suono, di per sé già
incalzante in quasi tutte le esecuzioni. Quando poi rallenta, nelle parti più
“larghe” di brani come Nomadi, Nuvole bianche o
Polvere e diamanti, la voce di Camisasca risalta limpida, penetrante e
possente, da sola basta a produrre un’atmosfera vibrante (nonostante
l’amplificazione non impeccabile, specie sui bassi) e a ricordarci che buona
parte della malìa creata dalla sua musica dipende dal fatto che questo autore
originale è anche un interprete sensibile e dalle grandi doti vocali. Del resto
con la voce è difficile mentire, e il pubblico dimostra di riconoscere la
sincerità dell’artista e di gradire la sua performance, richiamandolo sul
palco per diversi bis. La bellezza del luogo certo è un’altra carta vincente
della serata: la facciata del castello di Donnafugata illuminato si staglia
dietro il palco creando un’ambientazione suggestiva. Un applauso al comune di
Ragusa e agli organizzatori, che hanno capito che c’è un pubblico disposto a
raggiungere (anche da città lontane della penisola) un luogo isolato, per
quanto incantevole, pur di assistere a proposte alternative e autentiche.
Alessia
Cassani
Il sole nella pioggia
Nuvole bianche
Il carmelo di Echt
Non cercarti fuori
Himalaya
Nomadi
Le acque di Siloe
Tempo senza tempo
Psalmus 113
La nave dell'eterno talismano
Revolution now!
L'era del mito
Visioni
Zodiaco
Polvere e diamanti
Tocchi terra tocchi Dio
Bis:
Ecce panis
L'urlo degli dei
Himalaya
Visioni
Zodiaco
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