L'angelo azzurro del rock

di Juri Camisasca

Ho conosciuto Milva in occasione del suo disco “Svegliando l’amante che dorme”, prodotto da Battiato e che conteneva anche pezzi miei: soprattutto Potemkin, scritto appositamente per lei, e Angelo del rock, brano con una venatura anni ’70 che avevo solo abbozzato e che ho rifinito pensando ad una sua interpretazione. Potemkin invece ha un impianto di carattere storico, con una valenza spirituale in filigrana. Tenendo presente la musica che lei cantava, mi sembrava che questa canzone avesse un clima simile e che lei fosse adatta ad interpretare una storia di quel tipo.

Milva mi fece subito un’ottima impressione. La conoscevo solo di riflesso, attraverso il suo personaggio pubblico, e poi scoprii con grande piacere che al di là della sua apparenza inarrivabile c’era una persona semplice e piena di umanità. Dopo il disco la accompagnai in tournée e fu un’esperienza bellissima. Mi colpì innanzi tutto la sua professionalità e il suo dare tutta se stessa durante i concerti. Ricordo che una sera stava molto male, era bianca come un cencio, non aveva dormito la notte. Si pensava di rinviare l’esibizione, ma il teatro era già pieno e lei non volle: chiamò un medico, si fece prescrivere qualcosa e poi fece tutto il concerto come le altre volte, escludendo solo un paio di brani che richiedevano un eccessivo sforzo vocale. Temevo di vederla crollare da un momento all’altro sul palco e invece cantò con la carica di sempre, concedendo anche dei bis. Incredibile, mi colpì davvero: chiunque altro avrebbe annullato il concerto.

La sua energia è poi accompagnata da una vocalità straordinaria. La grandezza di un interprete è quella di rendere importante tutto quello che canta, anche se di per sé non sarebbe di grande valore, e Milva, da grande artista quale è, qualunque cosa canti lo rende personale, importante, fa sentire a chi ascolta che sta avvenendo qualcosa di bello.

Dopo la tournée non ci siamo più sentiti, ma di lei conservo un piacevolissimo ricordo, perché nonostante l’apparenza di donna fatale, conserva quella fragilità e quell’umanità che le fanno mantenere dei rapporti sinceri. Ad esempio mi ha colpito il rapporto straordinario che ha con sua figlia Martina. Quando una persona raggiunge tali vette di popolarità si tende a pensare che sia distaccata dagli affetti quotidiani, e invece mi ha piacevolmente stupito notare come Milva e Martina siano davvero amiche.

Il suo apporto alla musica italiana credo sia stato innanzi tutto quello di insegnare ad interpretare. C’è in lei infatti una teatralità innata, un innesto tra teatro e musica che la rende riconoscibile e unica. Un altro è stato il grande salto di qualità che ha compiuto nel corso degli anni. Lei stessa ammette di non avere avuto la possibilità di formarsi culturalmente da giovanissima, ma poi attraverso gli incontri, le circostanze e il suo talento è entrata in contatto con un mondo di gente colta e raffinata. In queste circostanze bisogna essere davvero bravi a non vacillare, e lei ci è riuscita alla grande, come persona e come artista. In fondo la canzone italiana ha avuto molti bravi interpreti, ma la particolarità di Milva è quella di non essersi fermata a cantare brani leggeri e di stampo popolare, ma di essersi evoluta fino a diventare un’esponente della musica colta, e con il suo salto di qualità personale ha contribuito ad elevare anche il livello di gusto della gente. Viene considerata la Marlene Dietrich italiana, e questo dice tutto. Credo che ora come ora non ci sia nessuna che possa considerarsi una sua erede, anche perché fa parte di un modo di intendere l’arte che purtroppo sta scomparendo. Oggi molti si accontentano del successo per l’estate, di essere trasmessi in radio... Milva ha cantato alla Scala! Tutto un altro peso artistico, un altro valore, un segno che rimane.

Dicembre 2001