Dante
Alighieri
(Firenze 1265 - Ravenna 1321), poeta e prosatore, teorico letterario e
pensatore politico, considerato il padre della letteratura italiana. La
sua opera maggiore, la Divina Commedia, è unanimemente ritenuta
uno dei capolavori della letteratura mondiale di tutti i tempi. Dante nacque tra il maggio e il giugno del
1265 da una famiglia della piccola nobiltà. L'evento più significativo
della sua giovinezza, secondo il suo stesso racconto, fu l'incontro con
Beatrice, la donna che amò ed esaltò come simbolo della grazia divina,
prima nella Vita nuova e successivamente nella Divina Commedia.
Gli storici hanno identificato Beatrice con la nobildonna fiorentina
Beatrice o Bice Portinari, che morì nel 1290 neanche ventenne. Dante la
vide in tre occasioni ma non ebbe mai l'opportunità di parlarle. Non si sa molto della formazione di Dante,
ma le sue opere rivelano un'erudizione che copre quasi l'intero panorama
del sapere del suo tempo. A Firenze fu profondamente influenzato dal
letterato Brunetto Latini, che compare come personaggio nella Commedia
(Inferno, canto XV), e sembra che intorno al 1287 frequentasse
l'Università di Bologna. Durante i conflitti politici che ebbero luogo in
Italia in quell'epoca, si schierò con i guelfi contro i ghibellini,
partecipando nel 1289 ad alcune azioni militari (a Campaldino contro
Arezzo e nella presa di Caprona contro Pisa). Iniziò l'attività politica nel 1295,
iscrivendosi alla corporazione dei medici e degli speziali. Quando la
classe dirigente guelfa si spaccò tra bianchi e neri (questi ultimi
legati al papa per interessi economici), Dante si schierò con i primi,
che avevano il governo della città. Ricoprì vari incarichi e nel 1300,
dopo una missione diplomatica a San Gimignano, fu nominato priore (uno dei
sei) per il bimestre 15 giugno-15 agosto, e ricoprì quel ruolo con senso
di giustizia e fermezza, tanto che, per mantenere la pace in città,
approvò la decisione di esiliare i capi delle due fazioni in lotta quasi
quotidiana, tra i quali l'amico Guido Cavalcanti. Fu quasi sicuramente uno
dei tre ambasciatori inviati a Roma per tentare di bloccare l'intervento
di papa Bonifacio VIII a Firenze. Non era comunque in città quando le
truppe angioine consentirono il colpo di stato dei neri (novembre 1301).
Venne subito accusato di baratteria (concussione) e condannato in
contumacia prima a un'enorme multa e poi a morte (marzo 1302). Iniziò così
l'esilio (nel quale furono in seguito coinvolti anche i figli) che sarebbe
durato fino alla morte. Dopo alcuni tentativi militari di rientrare a
Firenze, fece "parte per se stesso". Alla notizia dell'elezione
al trono imperiale di Enrico VII di Lussemburgo, sperando nella
restaurazione della giustizia entro un ordine universale, si avvicinò ai
ghibellini, ma la spedizione dell'imperatore in Italia fallì. Negli anni
dell'esilio Dante si spostò nell'Italia settentrionale tra la Marca
Trevigiana e la Lunigiana e il Casentino, e forse si spinse fino a Parigi
tra il 1307 e il 1309. Si recò poi insieme ai figli, forse nel 1312,
quando aveva già concluso il Purgatorio, a Verona presso Cangrande
della Scala, dove rimase fino al 1318. Da qui si recò a Ravenna, presso
Guido Novello da Polenta, dove riunì attorno a sé un gruppo di allievi
tra cui il figlio Iacopo, che si accingeva alla stesura del primo commento
dell'Inferno. Morì nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 a
Ravenna, e neppure le sue spoglie tornarono mai a Firenze. Le prime opere e la Vita nuova Fin dalle prime prove Dante rivela una
marcata passione per la sperimentazione, cimentandosi con vari registri
che si articolavano attorno alla nozione medievale dei tre stili (tragico,
comico, elegiaco, oppure tragico, medio, comico). Ciò risulta già nei
primi due testi che oggi la critica (ma non senza dubbi) assegna a Dante,
dopo la recente edizione di Gianfranco Contini: il Fiore (così
nominato dal primo editore), di registro "comico", che si
configura come una parafrasi in 232 sonetti delle parti narrative del Roman
de la Rose, e il Detto d'amore, poemetto didascalico in distici
di settenari con rima equivoca, di cui restano solo 280 versi. La prima opera di attribuzione certa è la
Vita nuova (1292-93), scritta poco dopo la morte di Beatrice, in
cui si alternano 31 liriche e 42 capitoli di prosa poetica, che fanno da
connettivo ai testi e consentono di distendere la gracile storia
autobiografica e di commentarli sul piano retorico. Dante ripropone la
propria storia d'amore assegnandole però una funzione conoscitiva
dell'amore (all'interno della ricerca stilnovista) e funzioni allegoriche
e simboliche (secondo il gusto medievale); l'azione si svolge secondo le
tappe dell'amore mistico verso Dio, e ogni tappa, che prepara al grado
successivo, è segnata da una violenta rottura: prima il saluto tolto da
Beatrice a Dante e poi la morte di Beatrice (esemplata su quella di
Cristo). L'opera, che contiene alcune delle liriche più belle di Dante,
si conclude col proposito dell'autore di non scrivere più di Beatrice se
non quando sarà in grado di parlarne più degnamente e di "dicer di
lei quello che mai non fue detto d'alcuna". Quest'opera, che si apre
con un sogno e si chiude con una visione e si distende in un'atmosfera
trasognata, rimane per così dire sospesa e troverà il suo compimento
nella Commedia. Oltre che nel registro stilnovistico, la scrittura
sperimentale di Dante si esprime in altre direzioni: nel registro
"comico", intensificato da forti cadenze popolari, della
"tenzone" con Forese Donati (prima del 1296); nell'intonazione
solenne delle rime dottrinali e morali; nella ricerca di uno stile aspro
(invece che "dolce") delle rime "petrose", per una
donna dall'animo duro, collocabili attorno al 1296. I trattati dottrinali Durante i primi anni dell'esilio Dante
scrisse due trattati dottrinali rimasti incompiuti. Il Convivio
(1304-1307 ca.) è un'opera in volgare di divulgazione dottrinaria
destinata al ceto politico e sociale emergente nei comuni del tempo,
scritta per la formazione di una classe dirigente che fosse adeguata ai
compiti di giustizia e di alta moralità. Doveva essere composta di 15
trattati (uno introduttivo e gli altri quattordici a commento ad
altrettante canzoni) ma furono portati a termine solo i primi quattro
trattati, che avviarono la prosa filosofica in volgare. La scelta del
volgare per un trattato era cosa nuova e funzionale alle finalità e ai
destinatari dell'opera. Contemporaneo al Convivio è il De
vulgari eloquentia (1303-1305 ca.), trattato in latino (destinato ai
dotti, ai "chierici") sull'uso del volgare come "lingua
letteraria" (eloquentia). Il progetto originario comprendeva
almeno quattro libri con l'analisi dei vari livelli stilistici secondo la
retorica medievale; ma l'opera si interrompe al XIV capitolo del secondo
libro. Il De vulgari eloquentia, oltre a un discorso tipicamente
medievale sull'origine delle lingue e sulla loro tipologia
storico-geografica, affronta la questione di una lingua letteraria
unitaria (in seguito continuamente riproposta) e offre preziose e
specifiche indicazioni sulla realtà linguistica del primo Trecento. Incerte sono le date della composizione di
un terzo trattato, di tipo politico, questa volta compiuto e in latino, la
Monarchia: per alcuni risale al 1308, ma per i più al 1311-1313,
al tempo della discesa in Italia di Enrico VII; per altri ancora fu
scritto dopo il 1318, al tempo della stesura del Paradiso. L'opera
si oppone al potere temporale della Chiesa e delinea un modello della
realtà politica contemporanea basato sull'armonica collaborazione delle
autorità universali, la Chiesa e l'Impero, per assicurare la giustizia e
una vita ordinata, prefigurazione di quella celeste: emerge una passione
utopica tipicamente medievale, mentre la realtà politica andava verso il
nuovo orizzonte degli stati nazionali (e, in ambito italiano, regionali).
Il trattato si snoda con una tecnica argomentativa propria delle dispute
filosofiche delle scuole medievali e il procedimento logico che vi si
dispiega è quello del sillogismo aristotelico, reso non accademico dalla
passione politica e religiosa che anima tutto il trattato. A queste tre opere vanno aggiunti altri
testi, nati spesso da occasioni specifiche. Sono le tredici Epistole
(le sole pervenuteci tra le tante prodotte), in latino, scritte anche per
conto di chi lo ospitava. Di particolare rilievo è l'epistola XIII,
scritta tra il 1316 e il 1320 per accompagnare l'invio e la dedica del Paradiso
a Cangrande della Scala. Essa contiene le uniche indicazioni offerte da
Dante per interpretare la sua opera maggiore e ripropone la teoria (già
contenuta nel Convivio) dei diversi livelli su cui si può e si
deve intendere la Commedia (come del resto ogni altro testo
letterario). Altre opere sono le Egloghe, due componimenti in
esametri latini di tipo virgiliano che riconfermano la dignità della
poesia in volgare; e la Quaestio de aqua et terra (Discussione
sull'acqua e sulla terra), una conferenza scientifico-filosofica (tenuta a
Verona nella chiesa di Sant'Elena il 20 gennaio 1320) centrata su un tema
che suscitava grande interesse tra i dotti del tempo, cioè come le terre
siano emerse dall'acqua: la tesi sostenuta da Dante è che le sfere della
terra e dell'acqua non siano concentriche. La Divina Commedia La datazione dell'opera è problematica.
Si considera leggendaria la notizia dell'inizio dell'opera prima
dell'esilio e se ne fa in genere risalire l'avvio agli anni in cui vennero
interrotti i due trattati dottrinali del Convivio e del De
vulgari eloquentia, cioè tra il 1305 e il 1307. L'Inferno, che
non contiene notizie posteriori al 1309, sarebbe stato compiuto attorno a
quella data e diffuso subito dopo in copie manoscritte (la prima menzione
è del 1313). Il Purgatorio non contiene riferimenti a fatti
posteriori al 1313 e venne divulgato separatamente nei due anni seguenti.
Al Paradiso Dante avrebbe messo mano a partire dal 1316 e l'avrebbe
terminato negli ultimi anni di vita, mentre i singoli canti venivano fatti
conoscere man mano che venivano compiuti. Non possediamo copie autografe
di Dante e l'edizione critica più recente del poema (quella di Giorgio
Petrocchi, del 1966-67) si basa sui manoscritti settentrionali, più
antichi di quelli toscani. Dopo la morte del poeta cominciarono ad
apparire commenti alle singole parti. Nella citata epistola XIII Dante spiega a
Cangrande perché chiamasse l'opera "comedia" o
"commedia" (l'aggettivo "divina", già impiegato da
Giovanni Boccaccio nella sua biografia dantesca, il Trattatello in
laude di Dante, venne introdotto in un'edizione a stampa del 1555 da
Ludovico Dolce e poi rimase incorporato nel titolo). La ragione del titolo
è di tipo retorico e riguarda il tema e il livello linguistico: l'opera
inizia con una situazione "paurosa e tremenda" e termina
felicemente (la tragedia invece ha inizio piacevole e fine treme"), e
il livello linguistico (il modus loquendi) è dimesso e umile (remissus
et humilis) per facilitare la comunicazione (perché è "la
parlata volgare in cui comunicano anche le donnette"). Quanto al fine
dell'opera, Dante dice che è quello di "salvare gli esseri umani
dalla condizione di miseria e di condurli alla felicità". A questo
scopo, Dante autore racconta un viaggio nei tre regni dell'aldilà (in cui
si proietta il male e il bene del mondo terreno) compiuto da Dante attore
("figura" dell'umanità), che si affida alla guida di Virgilio e
poi di Beatrice, in ciascuno dei quali si addensano complesse
significazioni di ordine allegorico, simbolico e figurale. La Commedia è un poema didascalico
(con ingredienti del poema epico, come la protasi e l'invocazione per
ciascuna delle tre cantiche) di 14.233 versi endecasillabi che compongono
100 canti raggruppati in tre cantiche di 33 canti ciascuna più un canto
introduttivo, secondo la successione 1-33-33-33. I numeri hanno una
valenza simbolica (100, multiplo di 10, allude alla totalità della realtà
rappresentata; 3 è il numero della Trinità e ricorre nell'invenzione
della forma metrica (la "terza rima") come pure nelle numerose
corrispondenze formali che segnano il testo (ad esempio, i canti sesti
delle tre cantiche sono di tema politico), legando gli episodi in
un'intricata rete di valori dottrinali. Si è detto che il titolo della Commedia
si spiega fondamentalmente con il linguaggio "comico" in cui è
scritto, ma l'affermazione vale particolarmente per l'Inferno: nel Paradiso
prevale lo stile "tragico" e nel Purgatorio il linguaggio
è intermedio o "medio". In ogni caso l'opera si caratterizza
per una continua mescolanza di stili con una libertà espressiva coerente
con le finalità dottrinali. Compendio della storia umana con centro
nell'esperienza e nella memoria di Dante, la Commedia è anche
un'intensa drammatizzazione della teologia cristiana medievale, arricchita
da una straordinaria creatività immaginativa. Il Purgatorio, ad
esempio, è dal punto di vista iconografico un'invenzione di Dante, il
quale, al termine di secoli di dibattito teologico sulla questione, ne
offrì un'immagine concreta destinata a rimanere nell'immaginario
collettivo dell'Occidente. Il sistema cosmologico è quello del suo tempo,
ma l'elaborazione concettuale ha una forza sintetica e icastica senza
uguali. |