Il viaggio nell’aldilà

 

La cura riservata dagli Egizi al corpo del defunto che, mummificato, conserverà le sue fattezze per migliaia di anni, non esaurisce le attenzioni che essi dedicano alla morte. La fine della vita su questa terra è infatti avvertita come un semplice momento di trapasso verso un'altra esistenza, quella dell'aldilà.
Tuttavia, perché il morto ne sia degno deve sottostare alla prova del giudizio divino che solo potrà indirizzarlo a intraprendere il lungo e difficile viaggio verso la rinascita. Il tribunale giudicante è compo­sto dalle quarantadue divinità corrispondenti agli altret­tanti nòmi in cui il paese è diviso.

 

A presiederlo è OSIRI­DE raffigurato in trono, con le insegne del potere e la co­rona simbolo dell'unificazione dell'Egitto.
Tutto intorno sono i tradizionali simboli della reli­gione egizia: il fiore di loto, l'occhio di Ra, il falco Horus.
In piedi davanti alla corte, il morto pronuncia una solenne dichiarazione d'innocenza finalizzata a provare la sua buona condotta in terra, lì momento cruciale è la pesatura del cuore.
Se non c'è corrispondenza perfetta tra il suo peso e quello di MAAT, generalmente una piuma, ad accogliere il colpevole di una vita vissuta indegnamente c'è la Grande divoratrice, una leonessa: l'appellativo ne chiarisce senza dubbio la brutalità.
Per gli egizi quindi la conclusione della vita fisi­ca è solo una prima fase, quel che conta vera­mente è evitare la “ seconda morte “,quella che finisce con l'annientamento totale.

Se l'esito del verdetto è favorevole, e ne sono attenti testimoni THOT dalla testa di ibis e ANUBI, il dio sciacallo, al morto è consentito di accedere al cospetto di Osiride per il giudizio finale. Da questo momento inizia per lui il drammatico viaggio nell'oltretomba verso l'Oriente, la luce. Se ne dà menzione con forme diverse, ma significati affini, nel Libro di Am-Duat, in quello delle Porte e nel Libro delle caverne.

 

L’immortalità

 
Con la cerimonia dell’apertura della bocca viene restituita al morto l’energia vitale che gli è necessaria per l’esistenza ultraterrena.(Dal libro dei morti dello scriba Hunefer)

Le barche solari sono il mezzo con cui il morto compie il suo viaggio verso la rinascita a Oriente. 

Il viaggio si compie in dodici ore cui corrispondono al-trettanti scenari.
Via via prendono forza i segnali della re­surrezione di Ra chiamato a superare le prove più difficili.
Trasportato dalla barca solare e assistito da un equipag­gio variabile nel numero e nell'identità degli accompagna­tori, il defunto affronta il terribile Apophi, un serpente gi­gantesco le cui spire si ricongiungono dopo essere state tagliate.
Per sconfiggerlo bisogna ricorrere alle arti magiche di Iside, ma a finirlo sono centinaia di lame di coltelli che lo trafiggono dopo che le sue due estremità sono state immobilizzate.

Ovunque le punizioni riservate a chi osa ribellarsi ai voleri del Sole sono descritte in modi raccapriccianti: cadaveri messi a bollire in calderoni fumanti, teste mozzate, torture spaventose si offrono alla vista e a monito dei viaggiatori. Infine, superato ogni ostacolo, la barca solare approda alla sua destinazione ultima, l'Orien­te.
Ra, rappresentato in forma di scarabeo esce di scena per lasciare il posto a Horus bambino accovacciato sul disco del sole che sta per sorgere. Ra è ora Kephri, la luce dell'alba che si afferma tra bagliori rossastri. Secondo al­cuni si tratterebbe di un richiamo simbolico al sangue versato durante il parto.

 

Assecondare la rinascita del faraone con formule rituali e per l'egizio un dovere: risorto a nuova vita, il sovrano non cessa di conservare la responsabilità dei suoi sudditi, la sua rinascita assume cioe una valenza universale che tutto il popolo sottoscrive come una sorta di delega, di garanzia di sopravvivenza. Il simile produce il simile:conservato dentro il tessuto dell'universo, il defunto sopravvive. Mediante il ricorso al mito, meglio di qualsiasi altro popolo gli egizi sono riusciti a trovare un valido rimedio all'angoscia più temibile, quella della morte.

 

 



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