Chefren e la sfinge

 


 La condanna di Cheope come di un tiranno crudele e odioso accomuna il figlio che gli successe al governo dell'Egitto: CHEFREN. Sotto di lui, racconta il solito Erodoto, «gli Egizi ebbero a soffrire ogni sorta di mali», al punto che i posteri non tolleravano neppure che se ne ri­petesse il nome. Come già si e osservato, tuttavia, questa testimonianza sembra confezionata ad arte per avvalorare la critica a un potere assoluto impegnato nello sperpero delle sostanze economiche del Paese.

Più credibile e che anche sotto Chefren la Valle del Nilo prosperasse a tal punto da suggerire la continuazione di ardite costruzioni architettoniche cui tutti guardavano come all'impiego più fruttuoso delle risorse locali.

 

La piramide e la sfinge

 
Così  è come si presenta oggi la piramide di Chefren il rivestimento esterno è completamente rovinato sola la sommità della stessa si è conservato integro.

La sfinge invece raffigura la testa del faraone sopra un corpo leonino, e testimonia la grandezza del re, che sorveglia piana di Giza.


Chefren che, come il predecessore, inserì nella propria titolatura l'appellativo di Figlio di Ra, volle eternare le proprie fattezze nella sfinge, enorme monumento della testa del faraone sormontata dal suo tradizionale coprica­po e innestata su un torso leonino maschile. Ne esistono in Egitto vari esemplari; la più nota e tuttavia quella raffigurata in posizione accovacciata. La sfinge voluta da Che­fren, in prossimità del complesso archeologico di GIZA è alta venti metri e fu scolpita in un solo blocco di pietra.
La sua funzione era quella di dimostrare l'imperturbabilità della forza sovrana, protettrice verso i buoni e implacabile nei confronti dei ribelli. Il leone di Giza, come felino superiore a ogni altro animale nel combattimento, si allunga per duecento metri e fa da guardia alle gallerie occidentali dove scompaiono il Sole e i defunti.

 

 

Nel Nuovo Regno sarebbe diventato HAR­MAKHIS, ' il Sole dell'orizzonte ', meta di frequenti pellegrinaggi e di devo­zione.
La sabbia ne avrebbe minacciato poi la sopravvivenza al punto che già in epoca tolemaica si dovette prov­vedere a liberarne le fondamenta; il celebre sorriso avrebbe invece perso gran parte del suo fascino enigmatico per colpa della cannonata di un emiro turco d’epoca medioevale.

Oltre alla sfinge, altri monu­menti grandiosi ricordano il successore di Cheope. Sono la piramide, il tempio funerario e il cosiddetto tempio a valle collegato alla sfinge da una lunga rampa. Due porte di accesso conducevano a quest'ultimo, un'imponente costruzione realizzata interamente in granito rosso di Assuan.

 

 Due lunghi corridoi interni portavano quindi a una vasta sala ipostila a forma di 'T', il cui soffitto era sorretto da sedici colonne a sezione quadrata. Qui erano collocate ventitre preziose statue in diorite e alabastro: raffiguravano tutte il faraone seduto sul trono. Immagine idealizzata del sovrano, riprodotta in dimensioni gigantesche per am­plificarne la potenza, la statua ospitava lo spirito del faraone e ogni giorno, alla stessa ora, viveva grazie alla cerimonia dell'apertura della bocca; era statica e incorruttibile come il blocco di pietra che l'aveva generata e aveva in Egitto una sua esistenza di cui l'accorto rituale dei sacerdoti sapeva fornire la conferma.

 



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