Cheope e la sua piramide

 

 

La leggenda ha fatto di CHEOPE, il secondo sovrano della IV dinastia, un re crudele impegnato nella co­struzione di una tomba gloriosa che eternasse la sua me­moria e per questo pronto a trasformare i suoi sudditi in schiavi condannati ai lavori forzati.

La testimonianza di ERODOTO assume questa interpretazione e le dà voce in un antico racconto nel quale Cheope viene descritto in negativo per la scarsa propensione al rispetto della dignità umana.

 

Il sovrano associato al nome della piramide di GIZA subentrò al suo predecessore SNEFRU in un momento di grande prosperità.

Il lavoro dei contadini e l'ordinato sistema delle cana­lizzazioni consentivano fino a tre raccolti l'anno; enormi quantitativi di cereali affluivano nei magazzini della “ grande casa ” e i funzionari riscuotevano tasse cospicue perché proporzionati all'abbondanza della produzione.

 

Monumenti e reperti


In alto la riproduzione schematica dell’interno della piramide di Cheope.

Dalle due ampie sale note come “ camera del re” e “camera della regina” si dipartono due condotti disposti secondo precisi criteri astronomici: sono infatti diretti rispettivamente verso le stelle della cintura di Orione e verso Sirio, corrispondenti alle divinità  di Osiride e Iside.

Le due statue in basso provengono dalla mastaba di Rahotep a Meidum che molto hanno conservato  della vivacità originaria dei colori.

Raffigurano il sommo sacerdote Rahotep, fratellastro del faraone Cheope e sua moglie Nofret, ”donna nota al re”.  

Anche l'artigianato aveva raggiunto livelli notevoli per la varietà dei manufatti e l'impiego di nuove tecniche di lavorazione; i prodotti egizi non circolavano solo nella valle del Nilo ma, per fattura e originalità, erano ricercati anche fuori dai suoi confini.

 

Non mancavano, insomma, le premesse perché gli Egizi espandessero la loro area d'influenza, e in effetti gli inizi del regno di Cheope furono contrassegnati da importanti spedizioni militari in MEDIO ORIENTE, nel SINAI e fi­no alla mitica BYBLOS, una delle città-Stato più impor­tanti dell'area controllata dai Fenici.

Proprio perché bene­ficiò di una situazione così favorevole, il sovrano riuscì a coltivare il progetto che già i re che l'avevano preceduto avevano tracciato: la costruzione di un monumento fune­bre che celebrasse l’autorità del faraone, dio in terra e ga­rante verso gli dèi del benessere della nazione.

 

Rifugio per il ka, lo spirito della persona che sopravvive alla sua morte fisica e le consente un esistenza ultraterre­na, la piramide è anche il tentativo di riprodurre sulla ter­ra la collinetta su cui si posa, in forma di airone cinerino (la fenice), il fondatore, ATUM-RA, la divinità solare che presiede al pantheon egizio e che, secondo la cosmogonia eliopolitana, avrebbe dato origine al cosmo.

 

Un sepolcro degno della sua condizione sociale testimonia dunque simbolicamente la partecipazione del sovrano all'ordine del cosmo cui la sua presenza in terra, in vita e in morte, assicura la continuità.

La piramide di Cheope rispose insomma alle attese di tutto un popolo, e l'immagine di lui come di un crudele tiranno al cui servizio lavoravano migliaia di diseredati è oggi respinta come un falso storico.

Non in condi­zione di schiavitù, ma da uomini li­beri, migliaia di Egizi contribuirono infatti alla sua edificazione.

 

Indub­biamente facevano parte di una ge­rarchia sociale rigida nella conserva­zione di ruoli definiti dalla nascita, ma erano consapevoli di rendere un importante servizio: il loro lavoro avrebbe infatti contribuito alla pro­sperità del Paese. Poiché la magia suggeriva la possibilità che il simile producesse il simile, assicurare la so­pravvivenza del faraone-dio significa­va garantire la ripetizione regolare, ci­clica, degli eventi naturali da cui di­pendeva la loro stessa vita.

 

Due milioni e mezzo circa di pietre, del peso di due tonnellate e mezzo l'u­na, furono utilizzate per la costruzione del COLOSSO di Giza, che occupò un'a­rea di quasi quattro ettari. Le sue facce furono orientate in direzione esatta dei quattro punti cardinali e il suo nucleo fu edificato in calcare della migliore qualità. L’ingresso al sepolcro si apriva sulla fac­cia settentrionale a sedici metri circa dal livello del terreno; l'iniziale progetto di scavare la cella funeraria a grande profondità fu abbandonato a favore di una seconda camera, cui si accedeva per mezzo di un corridoio in leggera salita.

 

Questo proseguiva poi in una grande gal­leria che portava a un'altra camera, quella in cui è collocato ancora oggi il sarcofago del re. Imponenti lastre di granito ne costi­tuivano il soffitto, rafforzato in modo tale da resistere al peso straordinario della costru­zione sovrastante.

Lastre altrettanto mas­sicce furono poste a difesa dell'ingresso alla camera sepolcrale.

 

Allo stesso modo gran­dioso era il complesso architettonico in cui la piramide risultò inserita: due templi, tre piramidi di dimensioni minori e un'impo­nente fila di mastabe affiancavano la via d'accesso alla necropoli.

Vi trovarono allog­gio le salme della famiglia reale e altri nu­merosi dignitari di corte.

 

Nel 1954 due splendide barche solari furono ritrovate ai piedi della piramide centrale: avevano il compito di trasportare il faraone nel suo viaggio verso Oriente, verso la luce e la ri­nascita promesse da Osiride.

Erodoto sostiene che Cheope governò per cinquant'anni; più lungo (circa sessantatré anni) è invece il periodo di regno che gli accredita la testimonianza dì Manetone.

 

Ipotesi confermate dai risultati degli scavi archeologici propendono per una durata più breve, ma è facile supporre che la lun­ghezza del governo del faraone-tiranno sia stata rafforzata dall'idea che non fosse pos­sibile portare a termine le sue imponenti costruzioni se non nel lungo periodo.

 

Quando Cheope morì, i figli CHEFREN e DJEDEFRE, con gli altri familiari e i sud­diti, ne celebrarono la grandezza con un funerale maestoso. Issato su una rampa, il corpo mummificato del faraone fu trasferi­to nella grande piramide che lo avrebbe ospitato per anni, mentre una lotta sangui­nosa avrebbe decretato la successione al trono. Ad avere la meglio fu dapprima Dje­defre, poi però Chefren, unico figlio legitti­mo del defunto sovrano, riconquistò il di­ritto a governare l'Egitto e spodestò il fra­tello usurpatore.

 




Carta

Copyright © 1999-2000 Valerio Ciriminna