La Piramide

 

 

Simbolo dell'Egitto e oggetto di dibattito tra gli studiosi  da quando, verso la fine del Settecento, conquista l'in­teresse del mondo, la piramide compare qualche secolo dopo l'unificazione del Paese.Ai semplici tumuli di terra d'Età Preistorica si sostitui­scono in Età Predinastica le mastabe, tombe a parallelepi­pedo via via di dimensioni più grandi e più complesse nella struttura. Il progetto del complesso funerario di ZO­SER, attribuito a lmothep, prende corpo dall'idea della so­vrapposizione di più mastabe: sarà la piramide a gradoni di SAQQARA.

 

Tentativo di riprodurre sulla terra il tumulo primigenio su cui in forma di fenice si posa Atum-Ra, il fondatore, la piramide è il simbolo della partecipazione del faraone all'ordine del cosmo. Assicurata dalla sua presenza in terra, l'armonia lo pervade e ne è pervasa.

 

I reperti

 

Dall’alto:Piramide a gradoni di Saqquara, tomba del faraone Zoser della terza dinastia. La tecnica di realizzazione è quella di sovrapporre più mastabe, monumenti sepolcrali dell’Età Tinica.

Illustrazione delle due piramidi affiancate di Chefren e Macerino.

Particolare della piramide di Chefren che  ha conservato dello strato esterno solo la sua sommità.

 

Infinite sono le corri­spondenze simboliche attribuite alla piramide, attendibili sono oggi le ipotesi sulle tecniche di costruzione utilizzate.

Dirige il cantiere un sovrintendente, spesso identifica­to con il visir, cui si richiedono competenze, efficienza e disponibilità a lavorare con una équipe di collaboratori. Assieme ai più alti funzionari dello stato, al sovrano e ai grandi sacerdoti, egli procede alla scelta del luogo dove erigere il monumento, alla definizione delle sue dimensio­ni, alla selezione dei materiali da impiegare nella sua rea­lizzazione.

A lui spetta l’indicazione della località più op­portuna dove recuperano e il calcolo delle maestranze ne­cessarie e delle relative competenze.

 

Definito il luogo, una squadra di astronomi reali inter­viene perché poi i geometri possano tracciare con preci­sione l'asse nord sud dell'edificio in relazione all'orienta­mento dei punti cardinali.

Segue la cerimonia del tendere la fune nel corso della quale il sovrano, accompagnato da funzionari e assistito dalla statua della dea Seshat, patro­na della scrittura e dell'aritmetica, pianta dei paletti ai quattro lati della futura costruzione e li collega con una corda.

 

Le camere interne, cui si accede mediante scalinate di varie dimensioni, sono le prime a essere scavate. Nella più riposta è collocato un sarcofago in pietra, prima che si proceda a ricoprirla con una soffittatura.

Segue la posatu­ra dei blocchi di pietra, strato per strato fino ad arrivare alla rifinitura esterna. Se per le parti più interne viene uti­lizzato materiale più scadente, di solito disponibili in cave situate nelle vicinanze del cantiere, per i blocchi più ester­ni, i più grandi per dimensioni e consistenza, la qualità della pietra è superiore.

 

Per la PIRAMIDE DI CHEOPE, la più monumentale del complesso di GIZA, sono stati utilizzati due milioni e mezzo circa di pietre del peso complessivo di due tonnellate e mezzo l'una. Dove è stato possibile recuperare il materiale? Con quali strumenti è stato estratto dalle cave originarie? Come è stato traspor­tato? Queste domande hanno suscitato molte ipotesi: il granito rosa è fornito in abbondanza dalle cave di Assuan, il basalto viene dalla zona del FAYYUM, il porfìdo da GEBEL FATIRA, l'ardesia da WADI HAMMAMAT.

I cavatori si servono di pesanti picconi, mazzuoli, scalpelli in selce o in rame, sbozzano il blocco prescelto, lo circon­dano di braci ardenti e lo fanno saltare versandovi sopra acqua fredda. Levigano quindi i pezzi con polvere di quar­zite e li tagliano con seghe in rame. Naturalmente si tratta

di render conto del lavoro svol­to a un funzionario del sovrano.

 

Il trasporto verso la via di comunicazione per eccellenza, il Nilo, non avviene su ruota, ma su slitte di legno trainate da corde e fatte scivolare sulla sabbia bagnata perché opponga minore resistenza.

Le stesse so­no quindi caricate su chiatte che le trasferiscono verso le se­di indicate.

Ancor oggi sopravvivono in qualche caso tracce delle antiche rampe nelle cui vicinanze le barche attraccavano e i blocchi di pietra erano scaricati sulla terraferma.

 

Le rampe, opportunamente inclinate, sono rivestite di tron­chi di palma da dattero accostati in modo da consentire lo scorrimento delle pietre e una corretta distribuzione del loro peso. Non devono essere troppo ripide e sono suffi­cientemente larghe per permettere la salita e la discesa dei carichi. Il trascinamento è affidato non ad animali da tiro, ma a squadre di operai che azionano lunghe e resistenti funi. Altri operai procedono infine alla messa in opera del materiale servendosi di leve in legno, rulli, squadre con fi­lo a piombo.

 

 

 

 

Curiosità

 

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