Ia Mummificazione

 

Gli Egizi credono che la persona sia il risul­tato dell'unione di cinque elementi: l'om­bra l'akh o spirito, il ka, la forza vitale, l'anima o ba e il nome. Solo se il corpo del defunto ri­ceverà cure e nutrimento, al suo ka sarà consentito di sopravvivere nell'aldilà. La piramide è il suo rifugio, la mummificazione la garanzia del suo perdurare alla morte fisica.

 

Il tipo più costoso di imbalsamazione, quello che la testimonianza di Diodoro Siculo riferi­sce come prerogativa del faraone e dei suoi più stretti collaboratori, prevede che il cervello sia estratto dalla sua sede con un ferro a uncino e fatto penetrare in profondità attraverso i fori delle narici.

Una pietra aguzza serve a praticare un taglio sul ventre tale da consentire l'estra­zione degli intestini che, lavati e trattati, vengono riposti in canopi, vasi funerari chiusi da coperchi raffiguranti di­vinità antropomorfe o animali. Anche quando, intorno al 1000 a.C., gli organi incominceranno a essere riposti nella loro sede naturale avvolti in bende, canopi vuoti conti­nuano a essere collocati nelle tombe. Annerito dalle resine e dagli unguenti con cui è stato trattato, il morto è ri­sciacquato con getti d'acqua poi, per settanta giorni, viene lasciato in una soluzione di natron, la moderna soda in­dustriale, perché si dissecchi.

 

La durata del periodo desti­nato a tale operazione non è come si può immaginare, ca­suale: settanta sono i giorni dell'anno in cui la stella Sirio rimane nascosta alla vista degli uomini per ricomparire poi come annuncio sicuro dell'inizio della piena del Nilo. Intervengono allora i bendatori che avvolgono il defunto come in un sudario. Per far aderire il lenzuolo al corpo, ne cospargono la parte interna con della gomma che ha ele­vato potere incollante. Tra le bende dispongono gli amu­leti rituali, lo scarabeo sul cuore, l'occhio divino del Sole sul punto dove è stata praticata l'incisione dell'addome, degli occhi in pietra entro le cavità orbitali ricoperte dalle palpebre, eccetera.

 

I reperti

 

Dall’alto: Fanno parte del corredo funerario della mummia le scatole di ushabti, le statuette seppellite con il morto al fine di sostituirlo nelle attività cui sarà chiamato nell’aldilà. Sono generalmente lignee e, come quella in alto, finemente decorata.

Il dio sciacallo Anubi  veglia sulla mummia del principe Sennefer nella raffigurazione.

 

La maschera funeraria può essere preziosissima, in oro massiccio incastonata di gemme, co­me quella ritrovata nella cella della tomba di TU­TANKHAMON o più modesta come sono quelle di epoca tarda; sempre riproduce esattamente le fattezze del viso del defunto consegnandole, come l'imbalsamazione, alla posterità. Infine il defunto è deposto in uno o più sarco­faghi che s'incastrano l'uno nell'altro.

Casa accogliente per lo spirito del morto, il sarcofago è considerato in Egitto una sorta di secondo corpo e come tale la sua lavorazione e decorazione meritano grande cura. Il legno, di solito im­portato, è riservato alla scatola più esterna, per la più vici­na al corpo è generalmente sostituito dal più economico cartonnage, leggero e facile da dipingere.


Il corredo della mummia varia in relazione all'importanza del seppellito: oggetti d'uso quotidiano si affiancano agli ushabti, le sta­tuette rispondenti che, in numero pari a quello dei giorni dell'anno, sostituiscono il morto nelle occupazioni lavora­tive cui anche nell'aldilà sarà chiamato.

 

Neppure il diver­timento è trascurato; scatolette per il senet, l'antica dama egizia, compaiono nei sepolcri più ricchi.Riproduzione esatta della bendatura praticata dalle so­relle Iside e Nefthy sul corpo di Osiride quando si trattò di ricomporlo e ridargli la vita, la mummificazione è esi­genza sentita in un paese dove, fin dall'età preistorica, la conservazione dei cadaveri è stata favorita dalla loro se­poltura nella sabbia del deserto. La sua pratica è da asso­ciare al convincimento che la vita ultraterrena impone necessità non diverse da quelle di que­sto mondo.

 

 Oggetti, cibi, statuette votive, scene di vita rappresentate sulle pareti del sepolcro, pre­ghiere scritte su rotoli di papiro hanno come sco­po quello di consentire al seppellito, mediante la rappresentazione o la so­stituzione simboliche di vivere ancora.

 

 

 

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