LA XXVI Dinastia

 

Dopo la campagna egiziana la potenza militare di Assurbani­pal e dell'Assiria era al suo massi­mo apogeo, ma gli Egizi erano a tal punto assertori della propria in­dipendenza da dare ai vincito­ri del filo da torcere. Tra i principi del Delta s'impose la figura di NECO di SAIS, pro­babile discendente di Tefnakt. Manetone fa di questi il terzo re della XXVI dinastia, ma la sua ricostru­zione è dubbia. Fondate ra­gioni storiche portano oggi a credere che il suo iniziatore sia stato PSAMMETICO I.

All'inizio del suo regno questi s'impegnò a battere la concor­renza degli altri principi re­gionali del Delta e, secondo quanto racconta Erodoto, riu­scì a liberare il Paese dal pro­tettorato assiro.

Nell'epopea dei faraoni Psammetico I è dunque visto come il restauratore dell'antica grandezza, conseguita at­traverso la riconquista dell'in­dipendenza oltre che della reli­giosità tradizionale. Per otte­nerla il re non aveva esitato a reclutare truppe mercenarie in Grecia e in Caria e i soldati stra­nieri sarebbero stati seguiti di li a  poco funzionari e mercanti de­stinati a contare sempre più nella vita della Valle del Nilo. Seguendo una strategia già sperimentata dai predecessori, Psammetico I intervenne in Asia Minore in appoggio ai focolai di rivolta antiassira e sostenne così la rivolta di GIGE, re della LIDIA.

Suo figlio, NECO Il, esercitò un ruolo ancora più attivo in politica estera. Poiché il re di GIUDA aveva impedito il passaggio del suo esercito sotto le mura di MEGIDDO, Neco gli dichiarò guerra e lo uccise in battaglia. In conseguenza di ciò Gerusalemme fu governata per quattro anni da sovrani 'amici' dell'Egitto che per breve tempo fece della Siria e della Palestina degli Stati 'satelliti'.

 

I reperti

Dall’alto: sarcofago ligneo antropomorfo risalente alla XXVI dinastia. E’ conservato al Museo del Louvre e presenta decorazioni religiose relative al viaggio del morto nell’aldilà.

In basso la Statua  in quarzite di Nakthoreb, dignitario al servizio del faraone Psammetico III.

 

Tuttavia il sogno della restaurazione dell'Antico Re­gno sfumò in un rapido volgere di anni: la potenza assira ormai vacillava sotto i colpi dell'astro nascen­te babilonese e anche gli Egizi avrebbero dovuto fa­re i conti con il nuovo avversario.

 

Nel 605 NABU­CHODONOSOR sbaragliò le truppe di Neco a KARKEMISH e mise fine al suo impero.
Ma, oltre che per le imprese guerresche, il faraone Neco è passato alla storia per un'avventura che ha dell'incredibile.

 

 

Erodoto racconta che avrebbe ordinato lo scavo del CANALE DI SUEZ e che, dotata la flotta di veloci triremi, avrebbe dop­piato con i suoi uomini il Capo di Buo­na Speranza per risalire nel Mediterra­neo attraverso lo Stretto di Gibilterra.

 

Lontano dal concepire questa come un'e­splorazione dell'ignoto, il faraone avrebbe acconsentito all'impresa per ragioni pura­mente economiche: per conto terzi (sembra i Fenici), le sue navi avrebbero così dato prova al mondo antico di quanto vasta fosse l'area geografica potenziale del com­mercio egizio.

 

Nessun'altra fonte tuttavia ci informa del fatto e, pur senza dare a Erodoto del mentitore, ci è lecito dubitare della fantasia eccessiva del suo racconto che fa del farao­ne Neco e dei suoi uomini degli antesignani di Bartolo­meo Diaz e Vasco de Gama.

 

 

 

La carta

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