Kosovo, le prime duemila vittime (manifesto 11/11)

Dolorosa denuncia del Tribunale dell'Aja. Un documento cauto, con qualche nebbia

- TOMMASO DI FRANCESCO -

G li inviati del Tribunale penale dell'Aja (Tpi), hanno riesumato finora in Kosovo 2.108 corpi, ma "il numero reale delle persone di etnia albanese rimaste vittime delle aggressioni serbe potrebbe essere molto più alto": lo ha dichiarato ieri il nuovo procuratore capo del Tribunale, la svizzera Carla Del Ponte in un discorso, secco, asciutto, preciso al millimetro, fatto davanti a rappresentanti del Consiglio di sicurezza dell'Onu, in un documento annunciato dieci giorni fa, ma via via rimandato. "Ad oggi - ha precisato - è stato esaminato un terzo delle 529 fosse comuni segnalate. Il lavoro è stato completato in 195 siti di sepoltura dove - precisa il documento - erano stati segnalati 4.266 corpi sepolti". In totale i corpi segnalati - anche dal plenipotenziario dell'Onu in Kosovo, Bernard Kouchner - agli investigatori del tribunale sono 11.334.

Per il procuratore dell'Aja la cifra di 2.108 "non riflette necessariamente il totale delle vittime reali" in quanto insieme alle tombe sarebbero state scoperte anche prove di manomissioni, tanto che "è impossibile contare il numero dei morti": molti corpi sono stati bruciati. Ma solo alcuni "siti di sepoltura" contengono centinaia di persone, moltissime sepolture invece contengono pochi corpi, molti quelli individuati ma molti ancora quelli senza identificazione. Poi Carla Del Ponte ha concluso con la necessità di "fare presto" e l'impegno a concludere tutte le indagini "entro la fine dell'anno prossimo".

Questo scarno, onesto comunicato - pensiamo alle iniziative propagandistiche di Louise Arbour il procuratore canadese precedente del Tpi - dice alcune cose inequivocabili. E' fin troppo evidente che non c'è, finora, alcun riscontro con gli 11mila morti denunciati da Kouchner e tantomeno con i "centomila morti" annunciati nel maggio scorso dal segretario Usa alla difesa William Coen a giustificazione dei bombardamenti "umanitari" della Nato contro altri civili. Ma questa conta strumentale dei morti, da becchini, a "riprova" o a "ragione" stavolta francamente la lasciamo ad altri. E' fin tropo evidente, e da sempre. A noi preme dire che questa contabilità provvisoria è già troppo dolorosa e non ci appartiene: la vita di un solo essere basta a dimostrare l'infamia della guerra di pulizia etnica. Ora duemila morti (anche se le fosse comuni "vere e proprie" sono poche e molte, quasi tutte, sono fosse individuali) rappresentano un formidabile atto d'accusa per la leadership serba in guerra spietata con una parte del suo popolo.

Ma il rigore della documentazione portata, con notizie volutamente esili, quasi a voler evitare strumentalizzazioni, autorizzano non già ad entrare nel "becchinaggio", ma a sollevare qualche legittimo dubbio sulle nebbie che è sperabile vengano al più presto dissipate. Il documento dell'Aja non spiega infatti come le vittime fin qui ritrovate siano state uccise. Non lo fa volutamente perché "dice di non sapere". Se lo facesse entrerebbe in conflitto con alcuni degli organismi che hanno indagato dalla fine di agosto, e per farlo hanno rimosso le zone minate proprio nelle aree indicate come "fosse comuni". Vale a dire contraddirebbe i 62 agenti dell'Fbi e i tanti medici legali, primi fra tutti i medici e i legali della commisisone d'indagine del governo spagnolo. Di entrambi le relazioni sono conosciute e i giornali di mezzo mondo le hanno pubblicate: parlano di delitti efferati, ma nell'ordine, anche quantitativo, della "logica di guerra, non del genocidio", e descrivono le tante fosse comuni segnalate e scavate dove non si è trovata una sola vittima. Il documento dell'Aja non dice poi chi sono le vittime, giacché non basta dire "albanesi": infatti proprio ieri, in strana sintonia ed equilibrio inedito con le rivelazioni dell'Aja, la Nato da Pristina ha reso noto in un documento che dice che dall'entrata della Kfor sono state uccise ben 400 persone, serbe, rom e albanesi "collaborazionisti", "in misura sorprendente" dice la Nato se messe in rapporto "alla bassa la pecentuale dei serbi rimasti". Inoltre la Del Ponte non dice - ma come può dirlo ora? - il periodo in cui le uccisioni sono avvenute, se prima, durante la guerra, o immediatamente dopo, né spiega se tra le fosse comuni indagate dal Tribunale dell'Aja ci siano anche quelle in cui sono seppellite - come a Ugljare, Lipljane o Gnjilane - vittime civili serbe.

Comunque sia non è un giallo. E' iniziata la conta dei morti della guerra. Dal rigore non strumentalizzabile della ricerca, dalla verità, dipenderà la possibilità che la storia passi nei devastati Balcani (la crisi a Belgrado è legata a queste "verità", come alla definitiva "attribuzione" del Kosovo), e che l'orrore per quei corpi maciullati non si trasformi in nuova "ragione" etnica.