Arilanciare le accuse per i crimini della Nato in
Serbia e in Kosovo, due giorni dopo l'assoluzione da parte del Tribunale dell'Aja, è
arrivato ieri un corposo dossier di Amnesty international, che contiene un'analisi
dettagliata di tutte le violazioni del diritto umanitario internazionale da parte
dell'Alleanza atlantica. Un rapporto che, proprio perché proveniente dall'organizzazione
internazionale più impegnata nel rispetto dei diritti umani, e al di sopra degli
schieramenti in campo, potrebbe riaprire la partita giudiziaria dinanzi al Tribunale
guidato dal magistrato svizzero Carla Del Ponte. Se l'elemento principale che aveva fatto
cadere le accuse alla Nato, secondo la Del Ponte, era la difficoltà di acquisire prove
più certe delle violazioni dei diritti umani, il dossier di Amnesty, intitolato
"Danni collaterali o uccisioni illegittime?", elenca con precisione tutte le
azioni di guerra che hanno colpito la popolazione civile serba e kosovara. In realtà, si
tratta di episodi già ben conosciuti e di cui si è parlato a lungo, ma il rapporto ha il
merito di ricostruirli momento per momento, includendo sia le giustificazioni
dell'Alleanza atlantica che le reazioni jugoslave.
"Violati i principi umanitari"
"La Nato ha in più occasioni violato i principi umanitari da applicare in ogni
conflitto armato", sostiene con decisione l'organizzazione non governativa, che
accusa la Nato di "non aver rispettato le regole fondamentali sancite nelle
convenzioni di Ginevra del 1949", causando la morte di numerosi civili. Tra le norme
del diritto umanitario internazionale vi è, infatti, la proibizione di qualsiasi attacco
diretto contro persone o strutture civili, degli attacchi condotti in modo da non
distinguere gli obiettivi civili da quelli militari, e di quegli attacchi che, seppur
condotti contro obiettivi militari legittimi, comportano un impatto sproporzionato sui
civili.
A tutt'oggi non ci sono dati certi sulle vittime non militari, ma le stime (riprese
dall'analogo rapporto di Human rights watch) parlano di novanta civili uccisi dai
cosiddetti "effetti collaterali" dei bombardamenti e di un totale di circa 500
morti da parte serba. Senza considerare gli effetti sulla salute (sul medio-lungo periodo)
dei proiettili e dei missili all'uranio impoverito utilizzati (31 mila sul solo Kosovo e
dai soli A-10 americani, come ha confermato il segretario generale della Nato
George Robertson in una lettera inviata lo scorso febbraio al segretario generale delle
Nazioni unite Kofi Annan, su richiesta italiana. Ma il numero è probabilmente molto più
alto perché la risposta della Nato parlava solo dei bombardamenti americani e non di
quelli sul resto della Jugoslavia). E dei bombardamenti mirati sulle industrie chimiche e
sulle raffinerie, come dimostra il rapporto dell'Unep (la task force dell'Onu per i
Balcani), che ha individuato quattro aree ora particolarmente a rischio, tra cui Pancevo,
Novi Sad e Kragujevac.
"Effetti secondari" della guerra, quelli prodotti dai bombardamenti alle
industrie, ma non per questo meno nocivi alla salute, a causa dell'inquinamento delle
acque e dell'aria. Tanto che in molti (come l'intellettuale tedesco Knut Krusewitz) sono
arrivati a ipotizzare una vera e propria "guerra ecologica", vale a dire
bombardamenti premeditati per ottenere gli stessi effetti che si sarebbero ottenuti
utilizzando armi chimiche (vietate dalle convenzioni internazionali). Senza considerare
l'embargo alla Serbia, che fa sentire il suo peso soprattutto sulla popolazione civile.
La versione atlantica
Il rapporto di Amnesty international è basato sulla raccolta di testimonianze e
sull'analisi dettagliata dei pronunciamenti ufficiali della Nato, nonché di materiale di
vario genere prodotto da altre organizzazioni indipendenti. Il 14 febbraio scorso,
inoltre, una delegazione dell'associazione ha incontrato i vertici della Nato. Che, lo
ricordiamo, si sono sistematicamente rifiutati (come ha ammesso anche il Tribunale
dell'Aja) di fornire dati e mappe precise relative ai bombardamenti, se si fa eccezione
per quelle relative all'uranio impoverito sganciato in Kosovo, arrivate con dieci mesi di
ritardo e solo dopo le bacchettate dell'Onu. A un anno esatto dalla conclusione della
guerra, non si sa ancora niente, ad esempio, su ciò che è stato sganciato sulla Serbia,
o sulle cluster bomb nell'Adriatico. Anzi, spesso la regola è stata quella di depistare,
come testimonia l'episodio del video "accelerato" mostrato ai giornalisti dallo
stesso generale Wesley Clark e relativo all'"effetto collaterale" su un treno di
civili, colpito mentre attraversava il ponte di Grdelica il 12 aprile '99 (i morti furono
dodici in tutto).
Un "crimine" la Tv target
Il rapporto prende in esame tutti gli obiettivi civili colpiti, compreso il
bombardamento alla sede della televisione e della radio di stato jugoslava a Belgrado,
avvenuta il 23 aprile dello scorso anno, considerato "un crimine di guerra",
perché "uno strumento di propaganda non può essere considerato un obiettivo
militare". Amnesty international fa notare che tale attacco è stato
sproporzionato, avendo causato la morte di sedici civili, con l'unico risultato di
interrompere le trasmissioni per poco più di tre ore (e le vittime non sono nemmeno state
inserite nel rapporto annuale di Reporters sans frontieres sui giornalisti vittime
delle guerre). O ancora, l'attacco missilistico contro il ponte Varvarin, il 30 maggio,
che uccise undici civili, senza che la Nato, pur essendo evidente il rischio di colpire
persone innocenti, sospendesse l'azione. In altre due azioni, prosegue il dossier, il 14
aprile a Djakovica contro una colonna di profughi kosovari e il 13 maggio contro il
villaggio di Korisa, dove ancora una volta furono colpiti civili albanesi (centoventi
morti in totale nelle due azioni) la Nato non avrebbe adottato le necessarie precauzioni
per minimizzare i danni ai civili. O ancora, l'attacco all'ospedale di Surdulica, il 31
maggio (16 o 17 morti).
Bombe anche sulle ambulanze
Un altro capitolo del dossier è dedicato al bombardamento dell'8 maggio all'ambasciata
cinese di Belgrado che, oltre a uccidere tre persone e mandarne all'ospedale altre venti,
rischiò di provocare una grave crisi internazionale con la Cina. Non è ancora chiaro se
si sia trattato di un "errore", come si affrettò ad affermare la Nato, o di
un'azione intenzionale. Il giorno prima, cluster bomb lanciate sulla città di Nis avevano
distrutto l'ospedale e diverse abitazioni (14 morti e 30 feriti). Andando a ritroso,
troviamo un autobus pieno di civili distrutto il primo maggio a Luzhane, 20 chilometri a
nord di Pristina (quaranta morti tra civili e militari, secondo l'agenzia di stato
jugoslava Tanjug). Saranno bombardate anche le ambulanze intervenute sul posto per
i soccorsi, ricorda Amnesty.
Un'altra testimonianza dei crimini di guerra della Nato arriva dalla Croce rossa
internazionale, che il 23 maggio diceva: "Durante la prima settimana di
bombardamenti, il numero di obiettivi civili colpiti in realtà appare basso. Ma, quando
la campagna aerea si è intensificata, è cresciuto il numero delle vittime civili serbe e
dei danni a obiettivi civili". Basterà tutto ciò per riaprire quantomeno la
discussione sulle responsabilità della Nato e dei suoi leader nella campagna di
bombardamenti "umanitari"?