dal "manifesto" del 7 giugno 2000

Amnesty contro la Nato
Un dossier sui crimini occidentali in Serbia e Kosovo, a due giorni dall'assoluzione dell'Aja
ANGELO MASTRANDREA

Arilanciare le accuse per i crimini della Nato in Serbia e in Kosovo, due giorni dopo l'assoluzione da parte del Tribunale dell'Aja, è arrivato ieri un corposo dossier di Amnesty international, che contiene un'analisi dettagliata di tutte le violazioni del diritto umanitario internazionale da parte dell'Alleanza atlantica. Un rapporto che, proprio perché proveniente dall'organizzazione internazionale più impegnata nel rispetto dei diritti umani, e al di sopra degli schieramenti in campo, potrebbe riaprire la partita giudiziaria dinanzi al Tribunale guidato dal magistrato svizzero Carla Del Ponte. Se l'elemento principale che aveva fatto cadere le accuse alla Nato, secondo la Del Ponte, era la difficoltà di acquisire prove più certe delle violazioni dei diritti umani, il dossier di Amnesty, intitolato "Danni collaterali o uccisioni illegittime?", elenca con precisione tutte le azioni di guerra che hanno colpito la popolazione civile serba e kosovara. In realtà, si tratta di episodi già ben conosciuti e di cui si è parlato a lungo, ma il rapporto ha il merito di ricostruirli momento per momento, includendo sia le giustificazioni dell'Alleanza atlantica che le reazioni jugoslave.

"Violati i principi umanitari"

"La Nato ha in più occasioni violato i principi umanitari da applicare in ogni conflitto armato", sostiene con decisione l'organizzazione non governativa, che accusa la Nato di "non aver rispettato le regole fondamentali sancite nelle convenzioni di Ginevra del 1949", causando la morte di numerosi civili. Tra le norme del diritto umanitario internazionale vi è, infatti, la proibizione di qualsiasi attacco diretto contro persone o strutture civili, degli attacchi condotti in modo da non distinguere gli obiettivi civili da quelli militari, e di quegli attacchi che, seppur condotti contro obiettivi militari legittimi, comportano un impatto sproporzionato sui civili.
A tutt'oggi non ci sono dati certi sulle vittime non militari, ma le stime (riprese dall'analogo rapporto di Human rights watch) parlano di novanta civili uccisi dai cosiddetti "effetti collaterali" dei bombardamenti e di un totale di circa 500 morti da parte serba. Senza considerare gli effetti sulla salute (sul medio-lungo periodo) dei proiettili e dei missili all'uranio impoverito utilizzati (31 mila sul solo Kosovo e dai soli A-10 americani, come ha confermato il segretario generale della Nato George Robertson in una lettera inviata lo scorso febbraio al segretario generale delle Nazioni unite Kofi Annan, su richiesta italiana. Ma il numero è probabilmente molto più alto perché la risposta della Nato parlava solo dei bombardamenti americani e non di quelli sul resto della Jugoslavia). E dei bombardamenti mirati sulle industrie chimiche e sulle raffinerie, come dimostra il rapporto dell'Unep (la task force dell'Onu per i Balcani), che ha individuato quattro aree ora particolarmente a rischio, tra cui Pancevo, Novi Sad e Kragujevac.
"Effetti secondari" della guerra, quelli prodotti dai bombardamenti alle industrie, ma non per questo meno nocivi alla salute, a causa dell'inquinamento delle acque e dell'aria. Tanto che in molti (come l'intellettuale tedesco Knut Krusewitz) sono arrivati a ipotizzare una vera e propria "guerra ecologica", vale a dire bombardamenti premeditati per ottenere gli stessi effetti che si sarebbero ottenuti utilizzando armi chimiche (vietate dalle convenzioni internazionali). Senza considerare l'embargo alla Serbia, che fa sentire il suo peso soprattutto sulla popolazione civile.

La versione atlantica

Il rapporto di Amnesty international è basato sulla raccolta di testimonianze e sull'analisi dettagliata dei pronunciamenti ufficiali della Nato, nonché di materiale di vario genere prodotto da altre organizzazioni indipendenti. Il 14 febbraio scorso, inoltre, una delegazione dell'associazione ha incontrato i vertici della Nato. Che, lo ricordiamo, si sono sistematicamente rifiutati (come ha ammesso anche il Tribunale dell'Aja) di fornire dati e mappe precise relative ai bombardamenti, se si fa eccezione per quelle relative all'uranio impoverito sganciato in Kosovo, arrivate con dieci mesi di ritardo e solo dopo le bacchettate dell'Onu. A un anno esatto dalla conclusione della guerra, non si sa ancora niente, ad esempio, su ciò che è stato sganciato sulla Serbia, o sulle cluster bomb nell'Adriatico. Anzi, spesso la regola è stata quella di depistare, come testimonia l'episodio del video "accelerato" mostrato ai giornalisti dallo stesso generale Wesley Clark e relativo all'"effetto collaterale" su un treno di civili, colpito mentre attraversava il ponte di Grdelica il 12 aprile '99 (i morti furono dodici in tutto).

Un "crimine" la Tv target

Il rapporto prende in esame tutti gli obiettivi civili colpiti, compreso il bombardamento alla sede della televisione e della radio di stato jugoslava a Belgrado, avvenuta il 23 aprile dello scorso anno, considerato "un crimine di guerra", perché "uno strumento di propaganda non può essere considerato un obiettivo militare". Amnesty international fa notare che tale attacco è stato sproporzionato, avendo causato la morte di sedici civili, con l'unico risultato di interrompere le trasmissioni per poco più di tre ore (e le vittime non sono nemmeno state inserite nel rapporto annuale di Reporters sans frontieres sui giornalisti vittime delle guerre). O ancora, l'attacco missilistico contro il ponte Varvarin, il 30 maggio, che uccise undici civili, senza che la Nato, pur essendo evidente il rischio di colpire persone innocenti, sospendesse l'azione. In altre due azioni, prosegue il dossier, il 14 aprile a Djakovica contro una colonna di profughi kosovari e il 13 maggio contro il villaggio di Korisa, dove ancora una volta furono colpiti civili albanesi (centoventi morti in totale nelle due azioni) la Nato non avrebbe adottato le necessarie precauzioni per minimizzare i danni ai civili. O ancora, l'attacco all'ospedale di Surdulica, il 31 maggio (16 o 17 morti).

Bombe anche sulle ambulanze

Un altro capitolo del dossier è dedicato al bombardamento dell'8 maggio all'ambasciata cinese di Belgrado che, oltre a uccidere tre persone e mandarne all'ospedale altre venti, rischiò di provocare una grave crisi internazionale con la Cina. Non è ancora chiaro se si sia trattato di un "errore", come si affrettò ad affermare la Nato, o di un'azione intenzionale. Il giorno prima, cluster bomb lanciate sulla città di Nis avevano distrutto l'ospedale e diverse abitazioni (14 morti e 30 feriti). Andando a ritroso, troviamo un autobus pieno di civili distrutto il primo maggio a Luzhane, 20 chilometri a nord di Pristina (quaranta morti tra civili e militari, secondo l'agenzia di stato jugoslava Tanjug). Saranno bombardate anche le ambulanze intervenute sul posto per i soccorsi, ricorda Amnesty.
Un'altra testimonianza dei crimini di guerra della Nato arriva dalla Croce rossa internazionale, che il 23 maggio diceva: "Durante la prima settimana di bombardamenti, il numero di obiettivi civili colpiti in realtà appare basso. Ma, quando la campagna aerea si è intensificata, è cresciuto il numero delle vittime civili serbe e dei danni a obiettivi civili". Basterà tutto ciò per riaprire quantomeno la discussione sulle responsabilità della Nato e dei suoi leader nella campagna di bombardamenti "umanitari"?

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Nota del webmaster
Il documento di Amnesty si può leggere a http://www.amnesty.org/ailib/intcam/kosovo/index.html o

http://www.amnesty.org/ailib/intcam/kosovo/docs/natorep_all.doc