da "Liberazione" del 20 luglio 2000


«Quando la merce clona la vita»

Sulla decisione del governo britannico in favore della clonazione di embrioni umani a «fini terapeutici», il presidente del Comitato italiano di bioetica Giovanni Berlinguer ci comunica tutta la sua contrarietà. E ci dice subito che la «conoscenza diffusa sui risultati della ricerca, sui successi e sui fallimenti» è un traguardo fondamentaleper per il quale «in molti casi è necessario ci siano accordi internazionali»; se «una tendenza a realizzarli esiste», è però vero che «come nel caso della Convenzione c’è anche la tendenza a calpestarli, come si vede proprio nel caso britannico». E avverte: «Sono accordi internazionali che hanno permesso di evitare che si facessero esplodere altre bombe atomiche e hanno anche fermato le esplosioni sperimentali. Non confronto immediatamente - aggiunge - le bombe con le biotecnologie, ma ad una comparabilità si può davvero arrivare, senza controllo». Allora, professore: stiamo parlando di clonazionare umana o no, nel caso delle “proposte” della commissione Donaldson accolte dal governo della Gran Bretagna? Stiamo parlando di clonazione di embrioni umani, dunque della produzione di embrioni a scopo sperimentale. Se si trattasse solamente di isolare alcune cellule di embrioni già esistenti, questo non solleverebbe grandi polemiche: è esplicitamente consentito dalla Convenzione bioetica europea. Mentre ciò che essa vieta in modo categorico è la riproduzione di embrioni a scopo sperimentale. Clonare embrioni umani non significa immediatamente aprire la strada alla produzione di cloni umani adulti: ma può costituire un passo in questa direzione. In ogni caso, sarebbe aperta la strada a quello che Anna Rollier ci ha spiegato essere un “superamento” della «naturale casualità» della combinazione genetica... Un lato del problema è proprio che la combinazione dei corredi cromosomici, anziché essere affidata al caso è predeterminata dall’esatta riproduzione del patrimonio genetico di embrioni esistenti. Una delle principali ragioni delle critiche alla clonazione degli esseri umani è stata questa: il rifiuto di dar vita ad individui che siano geneticamente conformi ad un modello originale. E quindi privi o monchi della loro autonomia personale e della possibilità di compiere le scelte vitali che ciascuno ha il diritto di fare. Il governo britannico, però, si difende indicando come proprio scopo la riproduzione di «tessuti ed organi»: è vero? Già oggi si producono, clonando cellule, tessuti umani. L’esempio più noto è la produzione in laboratorio, si potrebbe dire industriale, di lembi di cute umana utilizzati per curare i grandi ustionati. Lavorare in questa direzione è utilissimo: se poi si potesse arrivare a tessuti più complessi ed eventualmente agli organi, non vedrei alcuna obiezione di carattere morale. Ci sarebbe solo un’utilità genuinamente terapeutica. Ma questa parola viene molto spesso abusata: un esempio è il parlare di aborto terapeutico nel caso di feti malformati e della decisione della donna di ricorrere ad una pratica abortiva. Parla d’un rischio di “eugenetica” strisciante? In questi casi l’aborto è certamente permesso dalla legge, ma non in rapporto all’esistenza in sé d’un feto malformato bensì alle conseguenze che questo può avere sulla donna stessa. Può essere appropriato parlare di aborto terapeutico soltanto nel caso in cui la prosecuzione della gravidanza comporti questi rischi per la donna. Altrimenti, chiamando le cose con il loro nome, si tratterebe di aborto selettivo; anzi, se non abbiamo paura delle parole, di eugenetica. Se poi si lavora ad esperimenti sugli embrioni, cosa che a loro non fa certo “bene”, sarebbe meglio parlare di clonazione per finalità terapeutiche: per altri, non per gli embrioni. Chiedo scusa per questa pignoleria, ma nel campo della biologia insieme a tanti risultati pratici in molti campi si fa anche abuso di scopi ingigantiti. Casi in cui la ricerca fa la propria apologia per assicurarsi una “libertà” assoluta? Sì: come per esempio quando si dice che la biogenetica nel campo delle piante risolverà il problema della fame nel mondo. E’ noto che questa non deriva dalla quantità di cibo prodotta, bensì dalla sua distribuzione; meglio, dalle possibilità di accesso agli alimenti. E’ ovvio che l’ingegneria genetica può anche contribuire a migliorare la produzione, ma può anche rovinare l’economia tradizionale di intere campagne. Il che infatti avviene, con l’uso dei brevetti dei semi da parte delle multinazionali. Non è questo, come ci indicava Demetrio Neri, il punto: il controllo della ricerca da parte dell’industria, nel nostro caso la farmaceutica? Distinguiamo: l’industria farmaceutica ha portato anche enormi vantaggi al genere umano. E anche i brevetti sui farmaci, in qualche misura, hanno stimolato ricerche fondamentali. D’altra parte la comunità scientifica ha già stabilito da tempo regole per evitare che la sperimentazione avvenga con metodi che calpestano la libertà e la dignità umane, a parire dal codice di Norimberga che fu approvato dopo la Seconda Guerra Mondiale nell’ondata emotiva provocata dalle rivelazioni sugli esperimenti nei lager nazisti. Oggi la situazione è più tesa perché gli interessi sono fortissimi e perché una parte degli scienziati non è più soltanto cositutita da ricercatori, ma da ricercatori-imprenditori, soprattutto nei campi di cui parliamo. E quindi è necessario che le regole vengano stabilite d’intesa con la comunità scientifica, ma sulla base di interessi e valori generali. Non manca anche un quadro stringente di regole, come nel caso della Convenzione europea sulla biogenetica che dà solo una “raccomandazione”? L’interpretazione, è vero, è affidata ai governi; ma la Convenzione è stata approvata dai 44 governi nel Consiglio d’Europa, e dice esmplicitamente che è vietata la produzione di embrioni a scopi sperimentali. Quella del governo Blair, quindi, è una ferita inferta prorio al tentativo dell’Europa di darsi regole basate sulla dignità umana e non solo sul progresso della ricchezza, su principi morali che la caratterizzino rispetto ad altre parti del mondo. Negli Usa su questi problemi c’è una doppia morale: la decisione di Clinton di vietare la clonazione umana, lodevole, si riferisce soltanto alle istituzioni federali o che ricevono finanziamenti federali. Non a caso chi ha realizzato un’intera linea cellulare clonata era un’istituzione finanziata interamente dal privato. Ma la decisione britannica non prende forse le mosse proprio da una vicinanza a quel “modello americano”? Non sul piano della morale. Ma sono anaolghe tra a quelle degli Usa le tradizioni culturali, la concentrazione della ricerca in questo campo e la forza degli interessi dell’industria; e poi una concezione ristretta dell’utilitarismo. D’altra parte è la Gran Bretagna che ha inventato la distinzione tra pre-embrione ed embrione: cioè ha chiamato col primo nome l’ovulo fecondato fino a 14 giorni dopo la fecondazione ed embrione invece lo sviluppo successivo, proprio per consentire la sperimentazione per due settimane. Un’idea bizantina. Non crede che la brevettazione da parte d’una multinazionale bio-tecnologica del sistema di “trasferimento cellulare” indichi che le ricerche sbloccate dall’assenso governativo inglese faranno fruttare grandi profitti a quelle entità? Non a quella compagnia, perché qui si tratta di tecniche diverse. Ma l’ostacolo sarà certamente la produzione di altri brevetti che verrano fatti sulla riproduzione degli embrioni o sugli embrioni stessi. Peraltro, a febbraio è esploso il caso del brevetto rilasciato dall’Ufficio europeo, proprio sulla riproduzione di embrioni di mammiferi, compresa la specie umana. E mi sembra che le proteste universali di allora siano già dimenticate. Quanto alla Convezione europea, il governo di Londra l’ha firmata ma non ancora ratificata: e così quello italiano, mentre il nostro Comitato ne ha fatto esplicita richiesta. Un’approvazione condizionerebbe, credo, anche il Parlamento di Londra. Il Comitato italiano non sta studiando altri vincoli? Poiché quelli della Conenzione mi sembrano ragionevoli, dovremmo piuttosto parlare di alternative. Alle effettive esigenze di ricerca si può fare fronte con altri metodi, forse più lenti al momento ma meno spregiudicati. Le cellule staminali paiono un’ottima fonte: hanno possibilità a seconda della sede e del modo di sviluppo, di diventare cellule differenziate di vario tipo. Ora queste cellule esistono negli embrioni come nel cordone ombelicale - e il professor Sirchia vi sta lavorando a Milano col suo gruppo; ed anche altri nel mondo - come negli adulti. In questo caso, si tratta d’un esempio di ricerche che usano una capacità biologica naturale senza interferire nei meccanismi riproduttivi della specie e degli individui umani.

Anubi D’Avossa Lussurgiu