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La guerra ecologica della Nato

Effetti "gravi, estesi e duraturi" dei bombardamenti sulla Jugoslavia - KNUT KRUSEWUTZ* -

dal manifesto del 4/11

I l problema: danni intenzionali e danni collaterali. La domanda che ci dobbiamo porre, dal punto di vista delle scienze ambientali, è quali metodi bellici e che mezzi la Nato abbia utilizzato durante l'Operation allied force, e quali danni essa abbia causato all'ambiente naturale e sociale. La domanda va posta in quanto sussiste il fondato sospetto che l'alleanza bellica contro la Jugoslavia abbia urtato principi e norme del Trattato sul divieto di guerra ecologica e danneggiamento ambientale, prescritto dal diritto internazionale umanitario. Le relative prescrizioni del diritto internazionale bellico includono, in primo luogo, l'intenzionale danneggiamento dell'ambiente nell'ambito della condotta bellica. Inoltre esse si applicano anche ai danni incidentali/collaterali, ma solo se inducono conseguenze sia gravi, sia estese, sia durature, con un perturbamento significativo della vita umana e delle risorse economiche e naturali. Se è dimostrabile che l'Alleanza, durante le azioni belliche, ha metodi e mezzi mirati, o da cui ci si doveva aspettare che causassero danni ambientali di simile entità, si tratterebbe allora di gravi violazioni di leggi e consuetudini belliche, punibili come crimini di guerra. La Nato ha dunque condotto una guerra ecologica contro la Jugoslavia? Una critica alle valutazioni delle Nazioni unite. Già durante la guerra, ancor prima che vi fosse il primo bilancio empirico dei danni, il direttore esecutivo del Programma ambientale dell'Onu (Unep), Klaus Toepfer (della Cdu), riferì che la guerra non aveva causato alcuna catastrofe ecologica. 11 maggio 1999: una Balkan task force (Btf) dovrà raccogliere e confrontare informazioni credibili sulle conseguenze ambientali della crisi del Kosovo per togliere fondamento a "speculazioni su una catastrofe ecologica dovuta alla guerra". Evidente, per Toepfer la Btf doveva raccogliere informazioni ambientali, con cui la Nato potesse eventualmente provare di aver condotto una guerra conforme al diritto internazionale. A causa della preponderante funzione discolpatoria del rapporto finale dell'Unep, è giocoforza contrapporvi una critica sui metodi. Pekka Haavisto, direttore di questa technical mission, formulò così un programma di valutazione apparentemente obiettivo suddiviso su cinque temi: stima dei danni ambientali derivanti dagli impianti industriali distrutti; Danubio; conseguenze della guerra sulle risorse naturali; effetti a lungo termine della guerra sulla salute degli uomini e sull'ambiente (incarico poi delegato a una commissione europea, che lo dovrà redigere per l'autunno 2000); insediamenti umani. Relativamente al punto 4 l'Unep ha comunque già tentato di valutare la contaminazione da uranio impoverito (depleted uranium: Du), nonostante la Nato si sia rifiutata di fornire indicazioni sulla quantità di armi Du impiegate e sui loro bersagli. La Btf rimase comunque allineata su riflessioni di natura opportunistica. Essa ha infatti concepito il suo programma d'indagine in modo tale da relegare in un novero extrascientifico di dati la connessione tra condotta bellica Nato, scelta dei mezzi e conseguenze ambientali. Solo così essa poteva considerare i danni come collaterali, "incidenti sul lavoro". Però, a dispetto di tale immunizzazione della realtà, la Btf trovò prove di consistenti e ripetuti danni ambientali in quattro località, cioé Pancevo, Kragujevac, Novi Sad e Bor. Risultati banali, perché confermarono solo cose già note agli esperti di disastri: chi distrugge industrie petrolchimiche e farmaceutiche, raffinerie di petrolio e oleodotti, depositi di carburante, centrali elettriche, fabbriche di munizioni, di fertilizzanti, e impianti chimici, libera sostanze nocive per ambiente e salute, che si depositano, a causa del vento e del ciclo delle acque, anche a grande distanza. L'Università Demokritos di Xanthi (Tracia) effettuò misurazioni al riguardo, ma la Btf trascurò deliberatamente questo importante dato di fatto ecologico. Il metodo Unep-Btf contribuisce ben poco a chiarire il quesito se la Nato abbia condotto una guerra ecologica, perché riduce la portata ecologica della guerra e i suoi effetti nello spazio e nel tempo a danni collaterali. La risposta al quesito può venire solo dall'analisi degli effetti primari, secondari e terziari. Quali sostanze tossiche/cancerogene/radioattive si sono diffuse nello spazio, nella biosfera, nei territori protetti dall'Unesco? Effetti primari e secondari Dati primari sono stati rilevati presso i siti bombardati relativamente a sostanze cancerogene, tossiche ed ecotossiche. Quali tendenze seguono nel corso del tempo le concentrazioni degli inquinanti? Si devono adottare misure di emergenza in aree ad alto rischio (per esempio presso le fabbriche chimiche distrutte)? Quali procedure tecniche devono essere messe in atto per la diminuzione o l'eliminazione dei danni? Le discariche militari sono riconoscibili e da risanare? Può essere ripristinato lo status quo ante ecologico? Finora sono stati rilevati solo pochi dati riguardanti gli effetti secondari. Ciò per motivi di politica interna, per le sanzioni, ma anche perché non ci si occupa più dettagliatamente di misurazione ambientale. Tuttavia, a Pancevo, si può esporre in modo esemplare il nesso causale tra effetti sull'ambiente primari e secondari. La Nato attacca più volte con missili Cruise la località industriale di Pancevo e la distrugge, insieme con i suoi grandi depositi. A ogni attacco sostanze tossiche formano nubi di miscugli corrosivi (Ecd, Vcm, diossine, fosgene, benzopirene e ammoniaca), con concentrazioni di veleni altrettanto alte che dopo un grande attacco con armi chimiche. La popolazione è stata ripetutamente esposta, indifesa, a queste sostanze tossiche, con danni alla salute che si mostreranno in parte soltanto fra molti anni. Quali costi per l'economia nazionale sorgeranno dai programmi di ricostruzione e risanamento? I tre settori-chiave dell'industria jugoslava (chimico, energetico, metallurgico) sono stati gravemente danneggiati. La petrolchimica, il ramo industriale più redditizio del paese, è quasi completamente distrutto, e l'impianto più moderno, quello di Pancevo, raso al suolo. Distrutte le fabbriche di fertilizzanti di Novi Sad e Pancevo. Ciò significa un'ipoteca pesante per il futuro della Jugoslavia, che è un paese agricolo, ed è sopravvissuta agli anni dell'isolamento solo della propria produzione alimentare. Negli anni scorsi la quota dell'agricoltura nel prodotto interno lordo è salita dal 35 al 50 per cento. Anche le raffinerie (settore energetico, il secondo del paese) sono ridotte in macerie. La metallurgia, come la Zastava di Kragujevac, largamente distrutta. Previsto, nel complesso, un calo del Pil del 40,7 per cento (44,4 per cento per la produzione industriale, e la disoccupazione dovrebbe salire al 32,6%). Crimini e diritto La Nato ha condotto una guerra ecologica contro la Jugoslavia secondo il diritto internazionale bellico? (Environmental Modification Convention, 1977 Enmod-Convention; protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Ginevra 1977 - stilati dell'Onu in seguito alle azioni belliche Usa in Vietnam). Secondo tali fonti del diritto è vietato l'uso di tecniche che alterino l'ambiente, che producano effetti gravi, estesi e duraturi come mezzo di condotta bellica. "Grave" è un effetto che porta con sè disturbi seri e significativi alla vita umana, alle risorse economiche e naturali e ad altri beni; "esteso" un ambito di varie centinaia di chilometri quadrati; "duraturi" s'intendono danni militari che si prolungano per vari mesi (circa una stagione). Se uno di questi limiti viene violato intenzionalmente si rientra nei crimini di guerra, in quanto arrecare consapevolmente o semplicemente accettare il rischio di creare tali danni all'ambiente sono comportamenti da considerare nell'ambito della condotta bellica. In particolare le norme Pa non comprendono solo i danni intenzionali, ma anche l'accettazione del rischio di danni collaterali. In questo caso, perché venga riscontrato un crimine i concetti-soglia (esteso, duraturo e grave) non sono impiegati in modo alternativo (come per la Enmod), ma in modo cumulativo. Per incorrere nel crimine di guerra occorre violare tutte e tre le soglie. Finora, ancorché possibile, un'analisi sistematica dei dati non è disponibile. Però disponiamo di informazioni sufficienti a ottenere risultati istruttivi sul nesso tra condotta bellica e conseguenze ambientali: effetti primari, secondari e terziari sono duraturi, si presentano in modo esteso, e indicano danni gravi all'ambiente naturale, dai quali la salute della popolazione è considerevolmente minacciata. Duraturi. Al contrario dell'impressione comunicata dall'Unep, raccolta e valutazione dei dati si mostrano complesse. L'effetto nel sottosuolo dell'interazione di tali miscele inquinanti è assai difficilmente valutabile e ancora poco studiato. Sicuramente la distruzione di discariche industriali nelle regioni colpite costituirà una minaccia per la popolazione ben oltre la fine della guerra. Altre ricerche, nel caso di Opovo, segnalano perdite probabili, nei raccolti, per diversi anni, con un impatto che andrà a detrimento della fauna e della flora. Estesi. Quanto accaduto a Pancevo e Novi Sad avrà un impatto regionale, con effetti sul Danubio, e potrà così avere conseguenze oltre confine. I composti chimici rilasciati nell'atmosfera dopo gli attacchi alle industrie chimiche e ai depositi di carburanti, in determinate condizioni meteorologiche possono essere trasportati a lunghe distanze oltre confine, contengono diossine, furani, Pcb, ftalati e altre sostanze dannose. Resta da chiarire come mai soltanto istituti ecologici greci abbiano misurato la diffusione di inquinanti su spazi estesi in Europa. Gravi. Due casi relativi alla possibile contaminazione del suolo e delle acque. Il primo riguarda lo sprigionamento di diossine (Pcdds) e di furani (Pcdfs). I cancerogeni furani e le diossine sarebbero immagazzinati prevalentemente nei prodotti agricoli e "al 95% introdotti nella catena alimentare". I valori raggiunti da queste sostanze consigliano ispezioni, cui potrebbero fare seguito interventi o restrizioni nei consumi. Il carico a Belgrado e dintorni sarebbe comunque molto più elevato. Se in quei luoghi tra due anni si analizzasse il latte materno, il risultato si rispecchierebbe negli inquinanti in esso contenuti. Altrettanto nell'altro caso: lo sprigionamento di prodotti tossici dalla disintegrazione di munizioni all'uranio. Il Du ha una densità molto elevata: è quasi tre volte più pesante dell'acciaio, cosa che a una granata riempita di Du consente di avere una grande forza di penetrazione nei confronti delle corazze dei veicoli militari. Quando il proiettile colpisce il bersaglio, una gran parte dell'energia cinetica si converte in calore, provocando effetti devastanti. In seguito all'esplosione si forma un aerosol di particelle molto fini contenenti l'uranio, che si diffonde nell'atmosfera e può interagire con la catena alimentare. La pericolosità di questo elemento è legata all'inalazione e all'ingestione, perché è chemiotossico, in quanto metallo pesante, ed è radioattivo. L'Autorità britannica per la protezione dalle radiazioni avvertiva in luglio che i maggiori rischi in Kosovo erano da ricercare dove erano state sparate munizioni all'uranio. Perciò le truppe britanniche erano state avvertite di indossare tute protettive in caso di contatto con obiettivi colpiti da munizioni all'uranio. I danni ambientali persistenti erano dunque prevedibili. Ma la Nato ha agito in modo premeditato o inconsapevole? La posizione ufficiale è che la pianificazione degli obiettivi era studiata in modo tale da evitare danni collaterali, soprattutto ai civili, ma anche all'ambiente. Perciò la Nato ha impiegato una complessa procedura, con simulazioni computerizzate, per testare l'arma col più ridotto rischio di danni collaterali; inoltre dei giuristi hanno valutato ogni bersaglio dal punto di vista della liceità secondo il diritto internazionale. Questa argomentazione non convince, perché contraddetta dall'entità dei danni ambientali. Sul diritto internazionale, tra gli stati in guerra v'erano concezioni divergenti. Contrariamente agli altri paesi Nato, gli Usa non hanno ratificato i relativi trattati di diritto internazionale bellico. Poi, è forse lecito utilizzare impianti chimici come armi ecologiche secondarie, per condurre una guerra chimica senza armi chimiche? E, anche se i pianificatori hanno effettivamente impiegato simulazioni computerizzate, non si potrà indagare fino a quando la Nato non renderà pubbliche le analisi, secretate, sugli effetti delle armi. Azioni premeditate Con tali simulazioni i militari avrebbero potuto scegliere anche l'arma più pericolosa. Nel caso di Pancevo vi sono indizi che convalidano questa ipotesi. Dopo i bombardamenti dell'impianto di Vcm della fabbrica chimica Hip Azotara con missili Cruise si sprigionò del fosgene, una sostanza una volta e mezzo più velenosa dell'acido cianidrico, in concentrazioni prossime alla soglia letale. Con tali attacchi la Nato ha messo in pericolo consapevolmente vita, salute e sicurezza della popolazione civile, e la biosfera nell'area urbana di Belgrado. Consapevolmente, giacché poteva prevederne le conseguenze devastanti. In particolare, gli effetti del fosgene sono ben noti, dato che fu impiegato nella guerra mondiale contro i francesi e oggi è utilizzato in una serie di processi chimici. Quante vittime si aspettava la Nato dal suo attacco al complesso chimico? Le guerre moderne non vengono più condotte con armi chimiche primarie, bensì secondarie, cioè attraverso il bombardamento di impianti contenenti sostanze e/o energie pericolose. Dal momento che i pianificatori di guerra della Nato conoscevano la quantità critica di questi prodotti chimici, che agiscono in modo simile alle armi chimiche se liberate durante un attacco, proprio l'incontrollabilità delle ricadute chimiche è un elemento tattico essenziale della condotta di guerra. Il caso Pancevo spiega infine il perché la Nato riteneva di poter raggiungere il proprio fine strategico solo coi mezzi della guerra ecologica. Essa causò premeditatamente danni collaterali che coinvolsero vaste aree; danni che permangono più a lungo e perciò mettono seriamente in pericolo la salute della popolazione, e questo con l'intenzione di farla insorgere contro il governo. Solo dalla prospettiva di una condotta di guerra totale devono sembrare rilevanti dal punto di vista militare tutti gli obiettivi naturali e sociali. Ma solo in questa prospettiva. Per gli uomini colpiti dalla guerra, invece, l'affermazione del principio secondo cui gli attacchi aerei Nato "non sono stati rivolti né contro la popolazione, né contro l'economia jugoslava" suona come una presa in giro delle loro sofferenze. (traduzione di Fausto Concer)

MA L'ONU ATTENUA LE RESPONSABILITA' DELLA NATO...

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dal manifesto del 4/1

Tra crimini di guerra e diritto

- PAOLO BARTOLOMEI* ALBERTO TAROZZI** - E' da poco uscito il rapporto dell'Onu sulle conseguenze ambientali dei bombardamenti Nato sulla Jugoslavia. Un rapporto ambivalente. Da un lato l'Onu reclama dalla Nato, senza risposta, informazioni sui luoghi bombardati, per verificare la presenza dell'uranio impoverito. Inoltre segnala i punti caldi, città in cui si ritiene necessario un intervento immediato, per scongiurare sciagure ecologiche. D'altro lato, le conclusioni negano l'esistenza di una catastrofe e enfatizzano la presenza di guasti ambientali antecedenti alla guerra. Qui si inserisce il contributo del prof. Krusewitz, del Politecnico di Berlino e fondatore dell'Istituto per la ricerca sull'ambiente e sulla pace di Kunzell, di prossima pubblicazione sull'annuario "Kasselerfriedenratschlag", e collaboratore del documentario "Bomben auf den Chemiewerke", presentato al Cinema ambiente di Torino. La lettura di Krusewitz è orientata a smantellare l'approccio discolpatorio dell'Onu nei confronti della Nato. Esiste cioè un diritto internazionale di guerra, la convenzione di Ginevra, aggiornato in seguito ai crimini perpetrati dagli Usa in Vietnam con i defolianti. Sulla base di tale diritto, l'intervento Nato va ritenuto un crimine di guerra, chimica ed ecologica, per le sue conseguenze gravi, estese e durevoli, conseguenze prodotte intenzionalmente. Il che cancella la possibile scappatoia dei "danni collaterali". Un'accusa grave come un macigno, che "spiega" i tentativi dei governi Nato, come l'Italia, di negare, per evitare il rischio di un'incriminazione come criminali di guerra, l'esistenza stessa di una guerra, ridotta a "intervento umanitario" o a "operazione di polizia". * Ricercatore Enea ** Sociologo, univ. di Bologna