La notizia www.cnnitalia.it/2000/MONDO/europa/02/12/danubio/index.html

Un reportage del "manifesto" del 12.3.2000

From: "Chierico Navigante"

----- Original Message -----

ROMANIA/REPORTAGE
"Noi non abbiamo scelta, dobbiamo vivere col cianuro"
Viaggio nel cuore malato d'Europa distrutto dalla logica del profitto
- LO. C. - BAIA MARE (ROMANIA)

S u questa poltiglia appiccicosa fatta di fango di pirite, neve vecchia e
blocchi di ghiaccio nero pece, passano soltanto i fuori strada targati
"Aur", un paio di camion pieni di operai e qualche autocisterna. Si
inerpicano annaspando poi si piegano, affondano nella melma e lentamente
spariscono in direzione del laghetto.

Il laghetto altro non è che l'invaso da cui sei settimane fa sono
fuoriusciti 130mila metri cubi di acqua "ricca" di cianuro, proveniente
dalla miniera d'oro della Esmeralda Exploretion. E' oro maledetto. L'intero
ecosistema dell'ancor più maledetta penisola balcanica è stato stravolto da
questa catastrofe, le cui proporzioni rimangono ignote perché nessuno - o
quasi - è disposto a parlare. Tutti minimizzano: per primo il padrone
australiano della miniera, che si comporta come tutti i padroni del mondo
negando l'evidenza e cercando di scaricare la responsabilità della
catastrofe sugli altri, in questo caso sugli ungheresi, accusati di aver
avvelenato il Tibisco e quindi il Danubio buttando cloro nel fiume per
disinfettarlo.

Oro e omertà
Tace anche l'operaio, che toglie oro alla roccia avvelenando se stesso e
tutto ciò che lo circonda, perché in Romania avere un lavoro e addirittura
un lavoro pagato il doppio non è roba da buttar via, neppure in nome della
salute, neppure in nome della vita stessa; per terza la Romania,
terrorizzata dal rischio di dover risarcire ungheresi e jugoslavi per il bel
servizio reso.

Quarta è la Serbia di Milosevic, che nasconde ai propri bombardati cittadini
lo stato in cui è ridotto l'ambiente grazie alla Nato e ora anche ai padroni
australiani; per quinta, probabilmente, la stessa Ungheria che ha giocato al
piccolo chimico con uno dei fiumi più belli del mondo, il Tibisco,
risciacquato con un'iniezione di cloro che potrebbe averlo mandato in
overdose.

"Girate l'automobile e tornate in dietro, di qui al laghetto non si arriva",
raccomanda il vecchio contadino del villaggio di Bosanta, due chilometri
dall'invaso assassino. "Laghetto? Non conosco nessuno laghetto. La miniera
di Aurul? mai sentita nominare", ci aveva liquidato un poliziotto di
Cicirlau, bagnato dal fiume Somes. E un secondo poliziotto era stato quasi
comico: "Quando è successo quella storia del cianuro io ero in vacanza,
perciò capite voi stessi che non sono la persona adatta a darvi le
indicazioni giuste". Arrivare di fronte a questo laghetto non è stato
facile, non più facile della fatica che si faceva negli anni '60 a trovare
un campo di concentramento nazista in Austria chiedendo informazioni ai
contadini i cui campi confinavano con i lager.

Ma ci siamo riusciti, eccoci in quest'ultimo fazzoletto di Romania pizzicato
tra l'Ungheria e l'Ucraina, a contemplare acque violate e a tentare di
ricostruire le tappe della più nefanda catastrofe ambientale mai avvenuta in
Europa dopo Chernobyl. La società Aurul è proprietaria della fabbrica di
estrazione dell'oro, al 50% della società australiana Esmeralda Explorection
e per il restante 50% dello stato rumeno: la compagnia Remon, emanazione
della Regia autonoma del piombo e dello zinco attraverso un processo che è
stato pagato dai lavoratori con la perdita di 12mila posti di lavoro,
detiene il 44,8%, la Geomin Bucarest il 5%, l'Istituto ricerche e progetti
minerari e l'opificio di attrezzi minerari e riparazioni di Baia Mare
posseggono ciascuna lo 0,1% del capitale societario. Sia i rumeni che gli
australiani partecipano ad Aurul con 5,6 milioni di dollari e la società ha
lettere di garanzia delle banche Rotschild e Sons e Dresner. La Aurul è
stata costituita nel '96 e ha ricevuto tre licenze di sfruttamento, grazie
alle quali è diventata beneficiaria di 17 perimetri auriferi e delle miniere
intorno alla di città Baia Mare.

Cosa sia capitato il 30 gennaio di quest'anno è presto detto: la stessa cosa
che capita da anni, ciclicamente soltanto in proporzioni spaventose, al
punto che non è stato possibile passarla sotto silenzio. La pirite e la
roccia aurifera trasportate nella fabbrica da una miniera sita a cinque
chilometri di distanza alle pendici dei Carpazi occidentali, vengono
irrorate con enorme quantità di acqua e trattate con dose massicce di
cianuro. E' un vecchio metodo di estrazione dell'oro che utilizza come una
tecnologia chiamata Cip-Cil, abbandonata in tutto il mondo per i suoi
effetti devastanti sull'ambiente. In tutto il mondo, tranne in qualche
impianto in Australia e in Sud Africa, ma attenzione: in questi due paesi le
fabbriche di trasformazione si trovano a più di 100 chilometri dall'abitato
più vicino mentre lo stabilimento di Baia Mare è nel bel mezzo della città,
a meno di un chilometro dalla piazza principale. Dunque, le acque di scarico
ricche di cianuro e metalli pesanti (rame, zinco, piombo) vengono
convogliate nel laghetto, che, quando le piogge sono abbondanti come in
queste settimane, tracima e riversa il suo contenuto di morte in un canale
che conduce al fiume Sasar. Dal Sasar il veleno arriva al fiume Le Puscel,
che si immette nel Somes a pochi chilometri più a ovest. Il Somes esce dalla
Romania per entrare in Ungheria, là risale verso nord e al confine con
l'Ucraina confluisce nel Tibisco. Il resto è noto: il Tibisco ridiscende
l'Ungheria formando una delle più straordinarie zone palustri dell'Europa,
piena di laghi, corsi d'acqua e paludi, che costituiscono il parco naturale
di Hortobagyi. Quindi entra in Voivodina e a sud di Novisad si immette nel
Danubio. Basta prendere una cartina geografica dove percorrere virtualmente
il viaggio del veleno, da Baia Mare fino al delta del Danubio sul Mar Nero
per capire le proporzioni della catastrofe che informe diverse si ripete in
continuazione da anni.

La Romania conviene
La miniera d'oro di Baia Mare è tra le più povere del mondo, la quantità di
materiale prezioso contenuto nella roccia è bassissima. Perché allora gli
australiani sono finiti qua su? Perché hanno combattuto per otto anni - dal
'92 - per avere una concessione che sembrava impossibile, esclusa dal
governo, dal ministero dell'ambiente, dalle autorità sanitarie, per mancanza
di garanzie ecologiche, e alla fine chissà come - come sempre in
Romania -ottenuta? Proprio perché siamo in Romania, dove il lavoro costa un
20esimo che in Italia solo per fare un esempio, perché non ci sono controlli
e limiti di natura ambientale, insomma perché qui si può fare quello che si
vuole. In questo modo diventa conveniente anche la pirite povera, da cui
comunque ogni anno escono 1,6 tonnellate d'oro e 9 di argento dirette nei
cavea della banca centrale rumena. Quante tonnellate d'oro e argento
finiscano nei forzieri dell'australiana Esmeralda, non è dato sapere.

Prima di arrivare alla diga assassina ho tentato in tutti i modi di parlare
con un dirigente della Aurul, inutilmente. Un appuntamento dopo l'altro con
il direttore andato a vuoto: "Il direttore è tanto occupato", mi spiega con
ferma cortesia una robusta vigilante di mezza età al cancello di ingresso
della fabbrica, "torni alle 15 e vedrà che il direttore la riceverà perché
noi non abbiamo nulla da nascondere". Alle 15 l'ultimo tentativo: "Il
direttore è uscito, non tornerà e comunque non ha nulla da aggiungere a quel
che ha detto durante la conferenza stampa di un po' di giorni fa", e cioè
che il cianuro fa bene ai pesci, alle mucche e alla popolazione, la strage
del Tibisco è stata provocata dagli ungheresi che hanno buttato il cloro nel
fiume.

Sul portone della palazzina direzionale - ridendo e scherzando siamo
riusciti a varcare il cancello - c'è scolpito un bel canguro. Ma oltre il
canguro non si va: "No, non c'è nessun altro dirigente autorizzato
dall'Australia a rilasciare dichiarazioni". Anche gli operai in tuta e col
casco bianco in testa che entrano e escono dalla fabbrica hanno ricevuto un
mandato inappellabile: con quel rompiballe del giornalista italiano non si
parla. E loro obbediscono mansueti, alla moda rumena, e cortesemente
sgusciano via evitando di rispondere a qualsiasi domanda. A questo punto la
determinata vigilante allarga le braccia per bloccare l'accesso in palazzina
e ci indica l'uscita. Posso fotografare il canguro? "No, non può, questa è
proprietà privata, la prego di andarsene. Abbiamo ordini tassativi. Sa,
ragioni di sicurezza. Se proprio insiste può fotografare l'esterno, anche al
cancello c'è un canguro, anzi ce ne sono due". Fotografiamo cancello e
annessi canguri e ripartiamo alla ricerca della diga.

Piove a dirotto. L'acqua al cianuro piena di metalli pesanti arriva al bordo
dell'invaso e ci vuole poco a capire che tra non molto, se continuerà a
piovere la tragedia si ripeterà. Scatto un po' di fotografie sotto l'occhio
vigile di un alcuni operai che ci sorvegliano a 100 metri di distanza mentre
i fuori strada e i camion targati "Aur" vanno avanti e indietro tra la diga
e la fabbrica, costeggiando le grandi condotte che avvelenano il laghetto.

Si sente un odore forte che prende al naso e allo stomaco, come i colori
delle pozzanghere. L'interprete e l'autista che mi accompagnano restano in
automobile, vuoi per non riempirsi di poltiglia gialla fino alle ginocchia
vuoi per non farsi riempire di schiaffoni dai corpulenti guardiani che si
avvicinano minacciosamente. E' tempo di andare, un salto in città, la città
più inquinata della Romania e forse d'Europa, e nei villaggi intorno
all'invaso per cercare di parlare con gente muta, vittima e complice per
miseria e ignoranza.

Incontriamo due ragazzini che pescano nel torrente a 300 metri dalla diga:
"Oggi non abbiamo preso niente. Il cianuro? Non ne sappiamo niente. I pesci
morti? Qui non ne abbiamo visti, né vivi né morti. Ci scusi dobbiamo
andare". Ritirano la canna da pesca, chiudono il sacchetto con i vermi e si
incamminano verso il villaggio di Bosanta. Qui sono morte un po' di mucche.
Colpa loro, hanno bevuto l'acqua proveniente da una falda vicino all'invaso,
l'ultima loro bevuta. "Ma i contadini sono stati risarciti dalla società",
ci dice soddisfatto Pop Gheorghe, barista in villaggio vicino che si chiama
Tautji Magheraus. Accetta di parlare solo quando lo abbiamo convinto di
trovarsi di fronte a un giornalista, ma anche ad un funzionario del
ministero per l'ambiente rumeno.

I pesci morti
"Io vado a pescare tutte le domeniche, per sicurezza a qualche chilometro da
qui. Quattro giorni fa ho preso 11 carpe. Quel che non capisco è come mai i
pesci muoiono in Ungheria e in Serbia mentre qui no. Secondo me le autorità
ci fregano non ci dicono la verità. Non so se hanno portato via di nascosto
i pesci morti, questo proprio non posso dirlo. Posso dire invece che altre
volte, anche sei mesi fa, mi è capitato di vedere pesci morti galleggiare
oppure sulla sponda del torrente". La casa di Pop è piena di fumo, colpa di
una stupenda stufa di ceramica che si rifiuta di collaborare. Forse per il
vento gelido che scende dal cammino, forse per la maledetta pioggia mista a
neve che non vuole smettere di rovesciarsi su questo angolo infernale di
terra e veleno nel cuore d'Europa. "E poi mi chiedo perché non avete mai
detto che non solo il Somos ma anche il Le Puscel è inquinato. Comunque il
pesce è buono. Se lo mangio? Certo che lo mangio, che altro dovrei fare? Non
ho mica altro pesce oltre a questo. Qui la gente non si preoccupa per
l'inquinamento, o meglio un po' ci preoccupiamo ma che possiamo farci? Siamo
nati qui e qui dobbiamo campare con o senza il cianuro".