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manifesto 22/10
Noi non abbiamo paura della bomba
Documento segreto degli Usa: in Italia ordigni "poco sicuri"
- ANGELO MASTRANDREA -

S arebbero al massimo 28 le bombe B-61 statunitensi in Italia, divise tra le
basi di Aviano e Ghedi-Torre. La previsione è stata fatta dagli esperti in
base ai "buchi", dei depositi in cui verrebbero piazzate le bombe. I "buchi"
sarebbero infatti trenta, anche se non si conosce la loro esatta posizione
e, se si considera che almeno due o tre vengono lasciati in "stato di
attesa", vale a dire vuoti, per permettere di spostarvi le bombe quando
vengono effettuati impianti di manutenzione agli altri "buchi", ecco che le
atomiche italiane vengono stimate in ventisette-ventotto.

In realtà, non si ha nessuna certezza che i "buchi" siano pieni di bombe. Ma
le probabilità sono molto alte, stando allo studio di Robert Norris
pubblicato ieri sul Bollettino degli scienziati atomici e da quanto si
intuisce in un documento del Dipartimento della difesa americano, di cui "il
manifesto" è riuscito a entrare in possesso. Lo scritto, ottenuto in base al
Freedom act dal Landau network di Como, porta la data del 28 luglio 1998 e
riferisce dei risultati di alcune ispezioni agli ordigni atomici nella base
di Aviano. In particolare di quelle condotte, tra il 16 e il 19 gennaio del
'96, per accertare la sicurezza degli ordigni. E' evidente che condizione
necessaria per le ispezioni è che ci sia qualcosa da ispezionare, vale a
dire un certo numero di testate atomiche.

Bombe di nuova generazione B-61 a uranio arricchito con eleuterio, da
montare su Tornado e F-16, e a tecnologia così avanzata che il pilota ne può
regolare la potenza in base all'obiettivo da colpire. Si va da pochi
chilotoni, più o meno la potenza della bomba che devastò Hiroshima, a una
capacità di distruzione anche dieci volte maggiore. Due terzi di queste
bombe sono ad Aviano, il restante a Ghedi. Pronte ad essere utilizzate, ma
nemmeno tanto. Il documento in nostro possesso testimonia, infatti, come gli
ispettori non abbiano trovato "soddisfacenti" i livelli di sicurezza degli
ordigni in almeno la metà delle dodici "aree" visionate. Sicurezza che, va
precisato, non concerne un eventuale rischio ambientale o la situazione più
o meno di degrado in cui verserebbe la base, ma soprattutto i controlli
contro i rischi di attentato o di furto e le procedure di dismissione.

Le bombe della Nato
A vincolare i paesi della Nato all'accettazione del nucleare militare non è,
come potrebbe sembrare, chissà quale antico trattato, ma il recente accordo
del 24 aprile del '99. L'articolo 62 parla, infatti, di "pianificazione
nucleare collettiva", "stanziamento di forze nucleari in tempo di pace" e
"accordi di consultazione", tutti termini che hanno caratterizzato il
dibattito sul nucleare in seno alla Nato fin dalla sua creazione. Più avanti
si legge: "l'Alleanza conserverà forze nucleari adeguate in Europa. Queste
forze devono avere le caratteristiche necessarie di flessibilità e capacità
di sopravvivenza appropriate, per essere percepite come un elemento
credibile ed efficace della strategia atlantica di prevenzione dei
conflitti". Una precisa dichiarazione di volontà politica, per niente
segreta, checché ne dicano oggi, a bubbone scoppiato, i governi che vi hanno
aderito. Recedere dal nucleare significherebbe dunque sconfessare quanto si
era voluto pochi mesi fa, in piena guerra del Kosovo. Il lato che rimane
oscuro, invece, riguarda i numerosi e complessi trattati bilaterali sulle
procedure operative ("first strike", "doppia chiave", ecc.). Questi accordi
sono, e rimangono, vincolati dal segreto militare.

Mentre non varrebbero, nel caso dell'Italia, le norme del Trattato di non
proliferazione nucleare, adottato dal nostro paese, semplicemente perché
queste bombe non sono italiane, ma della Nato. E allora le vie d'uscita si
riducono a due: tenersi le bombe e restare nella Nato o, viceversa,
rifiutare le bombe e uscire dalla Nato. Tertium non datur, o almeno così
sembra.

Andiamo ora a vedere quali sono queste forze nucleari che rappresentano il
cuore del programma di "difesa nucleare collettiva". In sette paesi europei
sarebbero dislocate circa 180 bombe per aereo, destinate ai
cacciabombardieri F-16 o ai Tornado (gli stessi utilizzati nella guerra in
Kosovo) e di potenza variabile, come abbiamo spiegato prima. Recentemente è
stato portato a termine, inoltre, un programma per la costruzione di nuovi
depositi di armi nucleari in Europa, detto Ws3. Con strutture che
servirebbero a "ospitare le armi tattiche all'interno dei rifugi antiaerei
protetti per innalzare il livello di sopravvivenza, di sicurezza e di difesa
delle armi".

Il paese col più alto numero di bombe è la Germania (55 a Ramstein, 11 a
Buechel), seguita dalle 33 testate britanniche di Lakenheath. 25 ordigni
sarebbero anche nella base strategica di Incirlik, da dove partono quasi
quotidianamente aerei Usa e inglesi per colpire l'Iraq. Delle atomiche
"italiane" abbiamo già detto. 11 bombe a testa anche al Belgio (Kleine
Brogel) e all'Olanda (Volkel). Fanalino di coda la Grecia, con sei bombe ad
Araxos (ma la notizia è stata smentita ufficialmente, ieri, dal governo di
Atene).

In queste basi il personale militare americano e del paese ospitante
verrebbe addestrato all'uso delle bombe nucleari durante azioni belliche
simulate. Lo sottolinea il rapporto sulla "Nato e le armi nucleari americane
in Europa", opera degli esperti Paolo Cotta-Ramusino e Maurizio Martellini.
Mentre il giornalista statunitense William Arkin aveva reso noto, nel numero
di novembre-dicembre '98 del Bollettino degli scienziati atomici, che la
nuova dottrina dell'aviazione americana del 31 marzo '98 ("Operazioni
nucleari") ricorda che gli obiettivi dei bombardamenti nucleari devono
includere "porti, centri industriali e oleodotti".