dal "manifesto" del 12 agosto 2000

La guerra Arcobaleno
Barberi, sotto accusa, ribatte: "Falsità. Non mi hanno ascoltato"
MI. B.

Falsità. "Grossolane falsità". Il direttore dell'Agenzia della protezione civile, Franco Barberi, contesta seccamente le conclusioni a cui è giunta la commissione tecnico-amministrativa istituita sette mesi fa presso la presidenza del consiglio dall'allora premier Massimo D'Alema per fare luce sullo "scandalo" della missione Arcobaleno, quella che avrebbe dovuto essere la faccia pulita della guerra in Kosovo. Un caso che portò la magistratura di Bari a arrestare il capo della spedizione italiana, Mario Simonelli, e Luciano Tenaglia, scelto dallo stesso Simonelli per dirigere il campo di Valona.
E' una relazione, quella della commissione d'inchiesta, che parla di "confusioni contabili", "carenze organizzative", di responsabili selezionati con criteri sbagliati e in generale di una gestione che "può aver fornito l'esca per comportamenti illeciti". Una relazione che punta l'indice anche contro Barberi: "L'azione ispettiva di controllo non è stata esercitata in alcun modo, né nella fase iniziale dell'intervento, né nel corso di esso, né alla fine".
Conclusioni "arbitrarie", una "fuga di notizie unilaterale", ribatte Franco Barberi, affermando che la commissione non ha nemmeno sentito l'ex sottosegretario. Il duro giudizio di Barberi sulla relazione non è infatti di ieri, perché era appunto contenuto nelle sue controdeduzioni. Il responsabile dell'Agenzia per la protezione civile lo rende noto, ricostruendo la vicenda: il 15 giugno scorso il segretario generale di palazzo Chigi invia la relazione a Barberi invitandolo a esporre le sue controdeduzioni, "fornite il 20 giugno con una nota analitica ricca di documenti in cui si contestavano vizi di forma e di sostanza, comprese alcune grossolane falsità", oltre al fatto che la commissione, appunto, non avesse ascoltato lo stesso Barberi "circa il ruolo da lui svolto come componente del governo". Passa più di un mese, prosegue la nota, e il segretario generale della presidenza del consiglio spiega a Barberi che "la commissione non poteva più essere convocata e che le relazioni e le controdeduzioni erano state trasmesse alle varie magistrature inquirenti". La replica di palazzo Chigi appare quantomeno imbarazzata. La precisazione infatti non fa che confermare la ricostruzione dell'ex sottosegretario: è vero, la relazione della commissione d'indagine non contiene le controdeduzioni di Barberi. Che "comunque" sono state inviate alla procura di Bari, nonché alla Corte dei conti e al Viminale. La presidenza del consiglio aggiunge: la relazione è stata consegnata dalla commissione d'indagine il 14 giugno; il 15 è stata trasmessa a Bari, al Viminale e a Barberi, che "è stato invitato a fornire le osservazioni". Osservazioni arrivate il 20 giugno e "successivamente" trasmesse al Viminale, a Bari e alla Corte dei conti. Insomma, tanto per precisare, coincidono anche le date citate.
Ma ora Barberi contesta: "Qualcuno ha reso pubblica la relazione, ma non le controdeduzioni".