dal "manifesto" del 30 marzo 2000

CONFLITTI

L'Onu alla Nato: "In Kosovo la guerra è persa"

- LO. C. -

"I n Kosovo, alla pulizia etnica contro i serbi e i non albanesi "indesiderabili" sono seguite minacce, atti intimidatori e violenze contro quegli albanesi che non condividono l'opinione dell'amministrazione parallela controllata dall'Uck". Questo è il quadro della situazione in Kosovo, un anno dopo l'inizio della "guerra umanitaria" della Nato contro la Jugoslavia, raccontato tante volte sul manifesto. Ma la frase che riportiamo tra virgolette non è nostra, bensì del relatore dell'Onu per i diritti umani nella ex-Jugoslavia, l'ex ministro degli esteri della Cecoslovacchia, Jiri Dienstbier. Fa parte del rapporto presentato all'Alto commissariato delle Nazioni unite a Ginevra. Precisa Dienstbier: "L'economia jugoslava è stata distrutta. Il Kosovo è distrutto. Ci sono centinaia di migliaia di disoccupati e una pulizia etnica ha preso il posto di un'altra pulizia etnica. C'è un pessimismo generalizzato". Secondo il relatore Onu, infine, la Nato deve alfine ammettere che i bombardamenti sulla Jugoslavia hanno fallito il loro scopo, così come sta fallendo l'azione della Kfor per riportare la pace in Kosovo. La conclusione di Dienstbier è un invito "alla comunità internazionale" a porre fine "all'isolamento della Jugoslavia" e, al contrario, a infittire le relezioni con "la società civile" della Serbia.

Sono parole importanti, quelle uscite da un importante organismo delle Nazioni unite, che cominciano a far pulizia dell'imbroglio anglo-americano che sta soffiando su ogni fuoco acceso nella penisola balcanica, distorcendo la verità al solo fine di giustificare un nuovo intervento armato contro Belgrado. I focolai sono ben noti: l'intero Kosovo, con la situazione esplosiva di Kosovska Mitrovica, dove in nome di una multietnicità che la guerra della Nato ha finito di cancellare si tenta di spazzar via i serbi dall'unico Bantustan in cui sono rimasti, assediati dalle filiazioni dell'Uck a cui la Nato ha ha consegnato il ruolo di polizia ufficiale kosovara. Il secondo punto di conflitto è nella Serbia meridionale, dove i terroristi di un'altra filiazione dell'Uck stanno combattendo per strappare l'indipendenza di quello che definiscono il "Kosovo orientale". Terza miccia accesa, sempre con la criminale collaborazione americana, il Montenegro dove si fa del tutto per esaltare il vento indipendentista di un paese ormai in mano alle mafie balcaniche (e italiane), con un ruolo importante dello stesso presidente Djukanovic.

L'analisi precisa del relatore Onu per i diritti umani non fa che confermare la denuncia del giorno prima del responsabile dell'Alto commissariato per i diritti umani dell'Onu, Sadako Ogata, secondo cui 240 mila kosovari non albanesi sono stati buttati fuori dal Kosovo in questi mesi di pax americana. A questi vanno aggiunti gli albanesi dissidenti etiteccati dai boss dell'Uck come "traditori e collaborazionisti". Secondo l'Acnur è impensabile che i serbi, i rom, i turchi, i gorani costretti a lasciare il Kosovo possano rientrare entro l'anno nella loro terra, e riprendere possesso delle abitazioni confiscate e occupate dagli albanesi. E' un'affermazione grave e inaccettabile, ma che almeno su un punto fa chiarezza: non è possibile pensare a fissare la data di elezioni che non potrebbero che essere monoetniche, un passo verso l'indipendenza del Kosovo, in violazione alla risoluzione firmata alla fine della guerra della scorso anno. Ma per gli americani e gli inglesi le elezioni vanno fatte subito, addirittura entro il prossimo autunno. Una provocazione. Incontrando a Tirana il premier albanese Ilir Meta, ieri Ogata ha sostenuto l'esigenza di agevolare il rientro in Kosovo dei serbi cacciati. In questo quadro, sembra una battuta la decisione del Consiglio di sicurezza di inviare in aprile una missione "per invitare alla riconciliazione le comunità" serba e albanese.