Dal Manifesto del 24 maggio, un bel riassunto delle "gloriose gesta" della
Monsanto.

Il gigante dai piedi transgenici
Dalla saccarina alle "scienze della vita", facendo (quasi) sempre grandi
affari. Storia della Monsanto
MARINA FORTI

Alla fine del 1998 una tipografia inglese, Penwells, distrusse l'intera
tiratura del giornale The Ecologist, uno tra i più radicali magazine
dell'ecologismo anglosassone, autorevole e apprezzato anche nella comunità
scientifica per la sua serietà. Eppure 14 mila copie appena stampate furono
mandate al macero. Lo stampatore spiegò che temeva le conseguenze legali di
quel numero speciale, completamente dedicato a un dossier su Monsanto, astro
ormai affermato delle biotecnologie. Più tardi risultò che lo stampatore
aveva avuto contatti con la stessa Monsanto - pressioni indebite?
Il dossier è infine circolato e poi tradotto in francese, italiano,
spagnolo. Ma l'episodio di The Ecologist dice quanto spregiudicata sia la
battaglia per il mercato delle biotecnologie: dove la posta in gioco è
imporre e allargare un mercato nuovo, quello delle sementi "modificate
geneticamente" e, naturalmente, controllarlo. Vale la pena dunque guardare
la storia di Monsanto, una delle prime aziende della chimica a buttarsi in
quelle che con un eufemismo sono definite "scienze della vita".
Fondata nel 1901 a East St. Louis (Illinois, Usa), Monsanto produceva
all'inizio saccarina. Nel '29 acquista un'altra azienda che aveva appena
messo a punto una nuovo composto, i policlorobifenili (Pcb), apprezzati per
l'inerzia chimica e la resistenza al calore (li trovò utili l'industria
elettrica, come liquidi refrigeranti nei trasformatori). Negli anni '60 alla
famiglia dei Pcb Monsanto si aggiungono lubrificanti, liquidi idraulici,
rivestimenti stagni. Già dagli anni '30 erano apparse evidenze della
tossicità del composto chimico, provata poi tra gli anni '60 e '70: i Pcb e
altri organoclorati aromatici sono altamente cancerogeni, responsabili di
diversi disordini immunitari e della riproduzione. Si concentrano nei
grassi, a cui sono affini chimicamente, e si "accumulano" nei tessuti,
invadendo tutta la catena alimentare: così, malgrado la loro produzione sia
vietata dal 1976 negli Usa, i suoi effetti tossici sono ancora visibili nel
mondo intero.
Dagli anni '40 Monsanto poi ha avuto a che fare con le diossine, quando ha
cominciato a fabbricare l'erbicida conosciuto come 2,4,5-T: la sigla allude
ai numeri di atomi di cloro del composto. L'erbicida risultò tanto efficace
che durante la guerra in Vietnam l'esercito americano lo usò per defoliare
le foreste tropicali in cui avevano rifugio i combattenti vietcong: il
tristemente famoso "Agente Orange" è appunto un misto del 2,4,5-T Monsanto e
del 2,4-D di altri fabbricanti (tra cui la concorrente Dow Chemicals). Il
bombardamento delle foreste vietnamite con Agente Orange fu sospeso nel '71,
sotto le pressioni di scienziati e opinione pubblica americana, quando
cominciavano a essere noti gli effetti delle diossine sull'ambiente e sulla
salute umana (la sua tossicità è ormai fuori dubbio: è cancerogena, provoca
danni immunitari e alla riproduzione).
Il vero grande affare di Monsanto comincia però negli anni '80 con il
glifosato, sostanza di base di parecchi erbicidi e soprattutto quello in
commercio con il nome di Roundup. Funziona su ogni genere di pianta e ha
generato per Monsanto una crescita regolare di introiti del 20 per cento
annuo. Ovviamente l'azienda pretende che sia innocuo per gli esseri umani,
mentre sono noti e documentati i disordini provocati da intossicazione con
glifosato; soprattutto è risaputo che il glifosato resta attivo nei vegetali
trattati. Eppure su questo pilastro la multinazionale di East St.Louis ha
costruito un impero e ha spiccato il salto verso le biotecnologie. Nel '98
Roundup e gli altri erbicidi al glifosato rappresentavano un sesto delle
vendite annuali di Monsanto e metà del suo risultato netto: anche perché nel
'97 l'azienda aveva confinato le attività più tradizionali della chimica e
fibre sintetiche in una società diversa, Solutia, per dedicarsi alla sua
nuova "visione", quella delle biotecnologie applicate alla produzione
agricola, in cui aveva cominciato a investire a metà degli anni '80.
Non è un caso che il primo exploit di Monsanto in questo campo sia stato
quello delle specie resistenti al glifosato: così si può trattare le
coltivazioni con dosi generose di erbicida senza uccidere anche la specie
utile - e con il vantaggio, per Monsanto, di vendere il "pacchetto" di
sementi più erbicida (il brevetto sul Roundup scade nel 2000, ma così il
mercato resta assicurato). Soia, mais e colza "roundup ready" sono coltivati
negli Stati uniti dal '96. Il cotone "Rr" è arrivato nel '97, ma si è
rivelato un disastro.
Sorvoliamo sulla faccenda del cotone Bt, modificato in modo da produrre una
tossina, quella del Bacillus Thurigensis, molto apprezzata dall'agricoltura
biologica: ma ormai parecchi studi hanno dimostrato così che si creano ceppi
di insetti resistenti al Bt, e uno strumento naturale di lotta ai parassiti
sarà vanificato. L'altra "innovazione" legata al nome di Monsanto ha
implicazioni ancor più globali. Nel '98 la multinazionale ha acquistato
un'azienda di ricerca biotech, Delta & Pine Land, che appena due mesi prima
aveva ottenuto un brevetto per una tecnica chiamata "Sistema di protezione
della tecnologia": una modifica genetica tale da rendere sterile la pianta
alla seconda generazione. E' il Terminator. Lo scopo del brevetto è
evidente: poter vendere le proprie sementi transgeniche nei mercati
dell'Asia, Africa, America latina "in tutta sicurezza economica", per usare
le parole del comunicato con cui Delta & Pine annunciava la sua scoperta. I
contadini, che per secoli hanno conservato il meglio del proprio raccolto
per seminarlo alla stagione successiva, non avranno nulla da conservare:
quei semi saranno sterili e loro dovranno ricomprarli dal produttore a ogni
stagione. Per l'agricoltura mondiale è come la bomba H.
Non esagera chi definisce la tecnologia Terminator una minaccia alla
sicurezza alimentare mondiale. E' vero, lo scorso ottobre Monsanto ha
solennemente annunciato di abbandonare la ricerca sui "semi suicidi",
prontamente seguita da altre aziende detentrici di brevetti analoghi. Eppure
risulta che da allora nuovi brevetti per nuove versioni di Terminator sono
stati rilasciati dall'ufficio brevetti degli Stati uniti: almeno 7, secondo
Rafi, organizzazione canadese per la protezione dell'agricoltura. Perché
brevettare invenzioni se non per trarne prima o poi un profitto?
In marzo una sessione del "Tribunale permanente dei popoli" ha giudicato
Monsanto colpevole di "aver sviluppato tecnologie che possono causare danni
irreversibili e aver deliberatamente e illegalmente rilasciato queste
tecnologie senza riguardo all'impatto sulla salute, l'ambiente e il tenore
di vita" di intere popolazioni. Il Tribunale aveva esaminato in particolare
il caso dell'Andhra Pradesh (India), dove il cotone Bt è stato rifilato ai
contadini a loro insaputa, prima di ogni test e ricerca sull'impatto
ambientale a lungo termine. Ma il profitto giustifica tutto. Del resto, il
famoso dossier del The Ecologist ricostruisce come tra la multinazionale e
all'amministrazione Usa ci siano parecchi "vasi comunicanti".
Beninteso, la faccia che Monsanto mostra al pubblico è diversa, condita con
le visioni profetiche del suo presidente del consiglio d'amministrazione,
Bob Shapiro - e da tonnellate di subdola pubblicità per dire che Monsanto
salverà il mondo dalla fame e l'ambiente dall'eccesso di pesticidi. La
doccia fredda è arrivata però negli ultimi mesi. Sarà "l'aria del tempo": il
titolo azionario di Monsanto è sceso dal suo record di 50 dollari in
febbraio '99 a un record di ribasso di 35 dollari nel gennaio 2000. E' in
buona compagnia, poiché tutta l'industria biotech è in ribasso. Ma dopo aver
investito oltre 8 miliardi di dollari per acquistare aziende produttrici di
sementi transgeniche e diventare la leader del settore, il colpo è duro. Per
salvare il salvabile, alla fine del '99 Monsanto si è fusa con Pharmacia
Upjohn. La nuova azienda ha deciso subito di raggruppare le attività
agricole di Monsanto sotto un marchio separato. La "Microsoft della
microbiologia" lotta per sopravvivere.