da "Liberazione" del 20 agosto 2000

Peacelink: perché il prefetto di Taranto non rende pubblico il piano di emergenza nucleare?
Tutti i nostri porti sono a rischio

L’incidente al sottomarino atomico russo Kursk ripropone al mondo intero l’incubo di una nuova Chernobyl. Sarebbe però irresponsabile non dire che questi rischi li corriamo anche nei nostri mari solcati dai sottomarini della Nato. A Taranto - venti giorni prima che accadesse l’incidente del Kursk - il prefetto ha ricevuto una seconda lettera di sollecito di PeaceLink in cui abbiamo chiesto, come è nostro diritto, di poter avere una copia del piano di emergenza nucleare. Alla data di oggi il prefetto di Taranto non ha ancora risposto. Ricordiamo che, sulla base del decreto legislativo n. 230 del 17 marz01995, è diritto dei cittadini conoscere il piano di emergenza nucleare connesso al transito e alla sosta di sottomarini nucleari e che è dovere delle prefetture renderlo pubblico senza che i cittadini siano obbligati a farne richiesta. Forse i sottomarini Nato sono “più sicuri” ma è falso affermare che “sono sicuri”, dato che nessuna compagnia di assicurazioni stipula polizze per risarcire in caso di incidente atomico. Se le compagnie di assicurazione non assicurano ci sono delle ragioni. Infatti l’incidente accaduto in questi giorni al sottomarino russo sarebbe potuto accadere - ad esempio - a Taranto o a Napoli nel 1968 a causa del sottomarino nucleare americano Scorpion ed è un puro caso che ciò non sia avvenuto. L’incidente dello Scorpion è molto simile per dinamica e per gravità a quello che ci tiene oggi con il fiato sospeso. Riassumiamo in breve quanto accadde allora. Il 15 aprile 1968 il sottomarino nucleare statunitense Uss Scorpion (Ssn-589) venne coinvolto in una bufera nel porto di Napoli; la poppa dello Scorpion (dove è collocato il propulsore nucleare) entrò in collisione con una chiatta posta a separarlo da un’altra unità navale; la chiatta colò a picco. Alcuni giorni dopo lo Scorpion esplode nell’Atlantico e cola a picco con il propulsore nucleare e due bombe atomiche a bordo. Il caso volle che l’affondamento dello Scorpion non si verificasse né a Napoli né a Taranto (dove era passato il 10 aprile) ma al largo delle Azzorre, il 27 maggio 1968. Ventuno sono le ipotesi sull’incidente che rimane ancora oggi misterioso (e in ciò troviamo un’inquietante similitudine con la sciagura attuale del sottomarino russo); alcune analisi evidenziarono la grave carenza nella manutenzione, ben al di sotto di quanto il programma di sicurezza nucleare richiedeva. Poiché pochi giorni prima lo Scorpion era stato a Taranto, è legittimo chiedersi cosa preveda oggi - per una simile eventualità - il piano di emergenza della Prefettura e se l’Arsenale militare verrebbe coinvolto (assieme ai lavoratori dello stabilimento) nella riparazione di emergenza di unità navali soggette a incidenti nucleari nelle vicinanze. Quante radiazioni dovremmo assorbire e quanti morti e contaminati gravi sarebbero previsti? Per quanti millenni le nostre coste rimarrebbero contaminate? Che ne sarebbe di Taranto? Le stesse domande è legittimo porle a tutte le prefetture dove ci sono porti militari interessati al transito nucleare. Rilanciamo ai prefetti la domanda e attendiamo le risposte, ammesso che conoscano la risposta e che abbiano veramente a cuore la sorte delle nostre città. Ci teniamo a specificare che questi problemi non sono né di destra né di sinistra ma di tutti. E due dati dovrebbero farci riflettere, appunto, tutti: l’uranio contenuto nel reattore nucleare di un sottomarino dimezza la propria radioattività in 4,5 miliardi di anni; la data di nascita della Terra risale a 4,6 miliardi di anni fa.

Alessandro Marescotti presidente di PeaceLink http: //www. peacelink. it  a. marescotti@peacelink. it