dal "manifesto" del 15 aprile 2000
Invasa Belgrado
Centomila manifestanti al raduno delle opposizioni anti-Milosevic
Ce l'ha messa tutta la tv serba di regime per distrarre i belgradesi dal megaraduno delle
opposizioni, proiettando per tutto il giorno gli ultimi successi di Hollywood - tutti
rigorosamente copie pirata - da "American Beauty" al James Bond di "La
terra non basta".
Evidentemente, non è bastato. Ieri in piazza a Belgrado sono scese oltre 100 mila persone
- alcuni organizzatori parlano di 200 mila -, per partecipare a un comizio indetto
dall'ampio e assai variegato spettro di partiti d'opposizione che chiedono elezioni
presidenziali e parlamentari anticipate. Si è trattato di una vera boccata d'ossigeno per
il fronte anti-regime, che torna al centro della scena politica dopo mesi di litigi e
divisioni che ne avevano quasi compromesso l'immagine agli occhi della gente.
E' stata la più grande manifestazione contro il presidente jugoslavo Slobodan Milosevic
dalle proteste del 1996-97, quando migliaia di belgradesi difesero nelle strade i
risultati delle elezioni locali scippati dal regime. Una manifestazione più grande ancora
di quella dello scorso agosto, la prima a Belgrado dopo la guerra della Nato, con cui
l'opposizione cercava un nuovo slancio per scacciare dal potere Milosevic.
"Basta con la violenza" è stato lo slogan principale di ieri. E il grande
happening di ieri si è infatti concluso senza incidenti. Nella centrale Piazza della
Repubblica c'erano pochissimi agenti, ma la polizia era presente in forze nelle vicinanze
e soprattutto nel prestigioso quartiere residenziale di Dedinje, dove Milosevic ha la sua
residenza.
Per la prima volta i due principali leader dell'opposizione, Vuk Draskovic del Movimento
per il rinnovamente serbo e Zoran Djindjic di Alleanza per il cambiamento - un ombrello
sotto il quale siedono varie forze d'opposizione - si sono stretti la mano davanti alla
folla e hanno evitato di polemizzare fra loro nei rispettivi interventi.
Entrambi hanno sottolineato la necessità del cambiamento, ma per vie pacifiche,
attraverso elezioni anticipate corrette e democratiche. "Non vogliamo più vivere in
un lager - ha detto Draskovic - vogliamo la libertà di stampa, di cultura, di vita".
Gli ha fatto eco Djindjic, che si è detto felice per la ritrovata (ma per quanto?) unità
delle opposizioni: "Questa non è una manifestazione, ma un incontro di lavoro, un
punto di partenza per arrivare in ogni piazza della Serbia fino alla vittoria
finale". Ha poi invitato i moderati del Partito socialista serbo di Milosevic ad
unirsi al processo di democratizzazione.
Il comizio odierno suona senz'altro come un segnale d'allarme per Milosevic, che contava
sulla delusione provocata nei cittadini dalle divisioni e polemiche interne ai partiti
anti-regime. la strada delle elezioni non sembra però più vicina: gli ultimi sondaggi
dicono che oltre il 70 dei serbi vuole il cambiamento e difficilmente il potere accetterà
di confrontarsi con le urne da una posizione di netto sfavore.
La alta e insperata partecipazione al comizio di ieri - nonostante le pressioni sui
belgradesi, minacciati di licenziamento se assenti dai posti di lavoro, e la maratona di
filmoni alla tv - lancia un chiaro messaggio anche alle opposizioni. La gente è disposta
a mobilitarsi solo se i leader democratici si dimostrano uniti.
Anche l'Occidente è chiamato a svolgere un ruolo. Oltre che distribuire dollari a pioggia
a media e partiti anti-regime - suggerisce il vecchio e rispettato Avramovic, candidato
dalle opposizioni a "premier della transizione" - dovrebbe garantire a
Milosevic, incriminato al Tribunale dell'Aja, l'immunità. Si rimuoverebbe così il
principale ostacolo alla sua dipartita.