IL RUOLO DELLA TURCHIA NELLA CRISI JUGOSLAVA

a cura del Comitato unitario contro la guerra alla Jugoslavia

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Il panturchismo e' una ideologia diffusa nei Balcani, dalla quale dipende molto delle sorti della pace, ed e' strano che in questi anni i nostri commentatori ne abbiano parlato cosi' poco. Non ci riferiamo qui all'idea di unificare tutti i popoli che appartengono al gruppo linguistico turcofono (turchi, tartari, kasachi, usbechi, turkmeni, azeri, altri caucasici ecc.), esplicitamente perseguita dai Lupi Grigi e dai loro sponsor, bensi' della espansione dell'influenza economica e culturale turca anche all'interno dell'Europa. Piu' precisamente, le ambizioni pan-turche conprendono tutti quei popoli convertiti al credo islamico sotto l'Impero Ottomano, indipendentemente dalla loro origine "etnica". Percio piu' che di pan-turchismo si deve forse parlare di neo-turchismo, una politica che e' divenuta politica ufficiale dello Stato turco da anni ed e' stata formulata in termini espliciti da alti esponenti delle istituzioni e della cultura, a partire dal presidente della republica Süleyman Demirel quando ha affermato che la Turchia si estende dal mare Adriatico alla muraglia cinese ("Politika" 25/2/1992).

E' un progetto che riguarda l'area jugoslava ed albanese, ma anche Cipro, Grecia e Bulgaria. Ricordiamo in particolare che la occupazione militare di Cipro continua ormai da piu' di venti anni.

Per quanto riguarda la ex Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia le zone interessate sono la Bosnia Erzegovina, il Sangiaccato, la provincia di Kosovo e Metochia (Kosmet) e la Macedonia. Gli Stati Uniti d'America, oggi unica superpotenza mondiale, esprimono dichiaratamente da anni il loro sostegno alla Turchia come potenza regionale e nei Balcani hanno appoggiato e continuano a sostenere la secessione dei suddetti territori e la creazione di una catena di protettorati che alcuni definiscono "trasversale" o "dorsale verde" (cfr. LIMES 4/1998).

Queste aree assumono un particolare valore strategico come futura direttrice per il trasporto delle materie prime dall'Asia Centrale ex-sovietica all´Europa, attraverso lo storico "corridoio" Turchia-Bulgaria-Macedonia-Albania che taglierebbe fuori definitivamente la Russia. Questo quadro strategico e'anche all'origine dell'accanimento repressivo contro il popolo Kurdo, che ha la sola colpa di vivere nel posto sbagliato, e della crescente instabilita' dell'area caucasica.

Questo avviene grazie alla potenza militare americana ma anche grazie al sostegno di paesi islamici come l'Arabia Saudita, che controlla fondamentali strutture finanziarie, lobby di pressione ed agenzie di informazione. Contemporaneamente gli USA riescono in questo modo a destabilizzare il polo imperialistico europeo. Ricordiamo anche che da alcuni anni a questa parte lo Stato turco sta sviluppando legami militari, politici ed economici con Israele, ad esempio il progetto della diga dell'Eufrate che concentrerebbe nelle mani dei due Stati i "rubinetti" idrici di tutto il Medio Oriente.

Nel breve termine gli USA mirano alla costituzione di una grande Albania che comprenda il Kosovo, e di uno Stato islamico dei musulmani di Bosnia e Sangiaccato. Questo progetto implica la scomparsa della Republica Federale di Jugoslavia, la riduzione della Serbia e dei serbi ad entita' irrilevante, la destabilizzazione della Macedonia e la costrizione di Grecia e Bulgaria nella morsa del pan-turchismo. Ha scritto il giornalista Nazmi Arif sul giornale turco "Turkiye Gazetesi" (citato su "Politika", 21/2/1993): "I popoli turchi, cui e' stato impedito fino a poco tempo fa di esprimere i loro sentimenti nazionali e religiosi... in Bulgaria, Romania" potranno ora liberarsi "alla condizione, che questi popoli a breve si riuniscano alla madre patria". Questo spiega perche' la Turchia si sia prodigata per la indipendenza di Bosnia Erzegovina e Macedonia come primo passo per altri tipi di pressioni sui popoli dell'area. Per questo la Turchia non puo' accontentarsi di manovrare la piccola minoranza turca della ex RFS di Jugoslavia (centotrenta mila persone secondo il censimento del 1971) ma deve fare leva sui sentimenti di slavi e schipetari di religione musulmana. Tra questi ultimi il turco e' ormai la prima o la seconda lingua straniera, le comunicazioni ed i commerci sono massicciamente orientate in direzione di Ankara cosi' come i rapporti politici, finanziari, commerciali e militari delle leadership islamiste locali a cominciare dal Partito di Azione Democratica [SDA] di Alija Izetbegovic in Bosnia.

Particolarmente forte e' il senso di appartenenza al mondo turco nella cultura e nella ideologia schipetara tradizionale, oggi strumento dei leader albanesi "democratici" dell'anticomunismo post-ottantanove.

"Noi vediamo come impossibile vivere sotto una amministrazione qualsivoglia, piu' indipendente o piu' autonoma, che non sia la amministrazione ottomana, ne' di poter essere cittadini di alcuno che non sia il sultano", scrissero alla fine del secolo scorso i rappresentanti politici degli albanesi di Tetovo, oggi in Macedonia, in un telegramma all'ambasciatore francese a Costantinopoli in un momento critico per il loro futuro politico ("La lingue albanaise de Prizren 1878-1881", Documents I, Tirana, 1988, pag. 21).

Durante la prima Guerra mondiale, tra il 1914 e il 1915 al centro dell'Albania, gia' Stato indipendente, esplose una rivolta contadina che tra le altre rivendicazioni espresse quella della unione con lo Stato ottomano. Dopo la guerra una parte rilevante degli schipetari del Kosovo preferi' trasferirsi in Turchia anziche' rimanere a far parte della Jugoslavia monarchica, optando per lo Stato di Kemal Ataturk piuttosto che per lo Stato albanese e per la lingua turca piuttosto che per quella albanese. In seguito al "Patto balcanico" del 1934 ancora 200mila albanesi del Kosmet si trasferirono in Turchia, ed oggi si calcola che circa tre milioni di turchi siano di origine albanese.

Questi fatti illustrano la possibile identificazione, in certi settori della cultura albanese, della antica conversione religiosa con la fedelta' verso lo Stato ottomano, legame che puo' essere alla radice di rinnovati contrasti con il mondo slavo, innanzitutto con i serbi ortodossi principali artefici della distruzione di quello Stato. Lo si vede oggi nelle dichiarazioni di intellettuali e uomini politici, come Adil Zulfikarpasic, fondatore della Libera Organizzazione dei Bosgnacchi (translitterazione italiana del termine "bosnjak" con il quale si definiscono gli slavi di religione musulmana, non solo della Bosnia, distinto da "bosanac" - "bosniaco" - ovvero abitante della Bosnia) ed ex-vicepresidente della SDA: "E' noto che fino alle guerre balcaniche su questi territori c'era lo Stato turco ... era il nostro Stato. Uno Stato che faceva i nostri interessi... cioe' la nostra emancipazione, la nostra prosperita', il nostro futuro erano legati a questo Stato turco e miravano a rafforzarlo ... perche' noi, voglio dire serbi e musulmani, eravamo allora grandi nemici. Quando l'Impero turco si e' ritirato, abbiamo continuato ad essere avversari" ("Stav", 21.02.1992, Novi Sad, p. 21). In effetti nello Stato ottomano la conversione all'Islam garantiva uno status sociale privilegiato, benche' le altre religioni fossero tollerate nella misura in cui non mettevano in pericolo l'ordine politico-sociale (nel qual caso la repressione poteva raggiungere livelli disumani). Dopo l'assassinio negli anni Ottanta dell'ambasciatore turco nella RFS di Jugoslavia, pure attribuito ad estremisti musulmani, i rapporti tra i due Stati si deteriorarono ed aumentarono invece le relazioni tra Istanbul e Novi Pazar, principale citta' e centro politico-culturale del Sangiaccato. Il numero degli autobus di linea tra le due citta' e' cresciuto enormemente durante gli ultimi anni insieme a traffici di ogni tipo, i cui intermediari sono spesso bosgnacchi o albanesi con cittadinanza turca. Con l'introduzione del sistema multipartitico in Jugoslavia tanti legami che prima esistevano in forma piu' o meno clandestina sono venuti alla luce, e sono cosi' usciti allo scoperto i referenti politici della influenza turca in questa parte dei Balcani.

Il principale partito politico di questo spettro e' l'SDA, fondato e tuttora guidato dal Presidente bosniaco Izetbegovic che non ha mai fatto mistero delle sue convinzioni islamiste, messe nero su bianco gia' negli anni Settanta nel suo libro "Dichiarazione Islamica" (stralci sono stati pubblicati su LIMES 1-2/1993; cfr. anche http://marx2001.org/crj/DOCS/alija.html ). L'SDA ha una ramificazione in Serbia, con centro a Novi Pazar dove i personaggi piu' influenti sono Sulejman Ugljanin, Rizah Gruda, Alija Mahmutovic ed altri. La cooperazione privilegiata e' dall'inizio quella con i partiti islamisti e nazionalisti della Turchia, come il Partito del Benessere (Refah Partisi) di Erbakan, la cui linea politica e' persino anticostituzionale in Turchia perche' estremamente antilaicista. Ugljanin e' stato spesso in missione politica ad Ankara, ospite anche del Refah. Questo fino a venire incriminato per sospette mire insurrezionali e a dovervi dunque rimanere a lungo. La polizia jugoslava aveva infatti trovato a Novi Pazar armi e munizioni presso diversi militanti dell'SDA, e le armi provenivano soprattutto da Turchia ed Albania. Nel giugno 1991 alla vigilia delle dichiarazioni di indipendenza di Slovenia e Croazia, che diedero il via alla guerra, Ugljanin partecipo' ad Istanbul ad un raduno del Refah dove retoricamente chiese alla folla "perche' la Turchia non abbia mai sufficientemente aiutato i musulmani di Jugoslavia, ne' politicamente ne' economicamente" ("Muslimanski glas" - Voce Musulmana -, organo dell´SDA, 14/6/1991 p.18). In tutto il periodo successivo si sono moltiplicate le dichiarazioni di questo tipo, volte in particolare ad auspicare un intervento turco non solo nello scenario bosniaco ma nella stessa Serbia: sempre Ugljanin dichiara nel 1992: "non appena [in Sangiaccato] sara' sparato il primo colpo, Demirel arrivera' " (Vecernje Novosti, 26/7/1992).

Due mesi dopo il riconoscimento dell'indipendenza della Bosnia Erzegovina (aprile 1992) Ugljanin ritorna a visitare la Turchia incontrando il Ministro degli Esteri Hikmet Cetin e lo stesso Demirel. Il crescendo di pressione anti-serba nell´opinione pubblica turca e' opera soprattutto dai partiti dell´estrema destra, tanto che il 3 giugno 1992 il consolato Jugoslavo a Istanbul viene preso a sassate dai manifestanti. Il primo ministro Ecevit propone in quei giorni un patto militare per la sicurezza comune tra Turchia e Bosnia Erzegovina, patto che avrebbe consentito l'invio di aiuti militari e di truppe, come espressamente richiesto dai rappresentanti turchi alla riunione della Conferenza Islamica tenutasi ad Istanbul (giugno 1992). La richiesta di sollevare la Bosnia dall'embargo sui rifornimenti di armi viene presentata anche all'ONU. Particolarmente pesante e' la pressione turca, a nome della Conferenza Islamica, alla Conferenza di Londra, tenutasi nell'agosto 1992, e poi di nuovo in occasione della visita al Consiglio di Sicurezza dell'ONU in novembre: l'idea e' quella di rifornimenti di armi ai musulmano-bosniaci di Izetbegovic, rifornimenti che in assenza di una iniziativa da parte dell'ONU i paesi della Conferenza Islamica riunitisi in Senegal i primi di gennaio del '93 mostrano di voler attuare unilateralmente. Ed in effetti forniture di armi e munizioni da parte della Turchia avranno luogo per tutta la durata del conflitto in Bosnia, sia per via aerea che attraverso il porto croato di Spalato.

I rapporti internazionali dell'SDA sono stati rivolti anche alle minoranze turche e musulmane di altri paesi limitrofi, come la Bulgaria dove esiste un "Movimento per i diritti e le liberta'". Il dirigente di questo movimento Ridvan-Malik Kadiov visito' Sarajevo gia' nel '91, dove fece visita ad una classe di scolari bulgari giunti a studiare presso gli Imam della Bosnia ("Muslimanski Glas" 1/3/1991, pg. 10).

Un altro scenario assai delicato per i rapporti tra mondo ortodosso e mondo islamico nei Balcani e' quello macedone. Nella Repubblica ex-Jugoslava di Macedonia (FYROM) esiste una minoranza di lingua albanese, concentrata nelle zone occidentali, nel seno della quale pure negli ultimi 10 anni si e' sviluppata una tendenza irredentista-separatista che mette in pericolo il sistema multinazionale su cui si fonda questo piccolo Stato. Nel luglio 1997 ad esempio, mentre Ugljanin veniva arrestato in Serbia a causa di certe dichiarazioni di segno secessionista, a Tetovo e Gostivar si verificavano dimostrazioni ed incidenti con la polizia macedone. Due i problemi principali: quello della "Universita' parallela" di Tetovo, gestita dai nazionalisti panalbanesi con il sostegno di finanziatori occidentali (es: la Fondazione Soros), e quello della esposizione delle bandiere albanesi e - per l'appunto - turche sulle facciate dei municipi e di altre istituzioni locali. Al centro dello "scandalo delle bandiere" esposte a Gostivar fu ad esempio il sindaco Osmani, membro dell'ultradestra nazionalista di Xhaferri, che dovette scontare un anno e mezzo di prigione fino all'inizio del 1999. Merita attenzione il fatto che a questi settori e' andato in tutti questi anni il sostegno del Partito Transnazionale Radicale di Pannella, che ha organizzato campagne per la liberazione di Osmani, dunque contro il carattere multinazionale dello Stato macedone.

Lo stesso dicasi per il Kosovo, dove dagli anni Ottanta, nonostante l'alto grado di autonomia della provincia nella RFSJ, sono riemerse le tendenze irredentiste. Dopo la abrogazione degli aspetti piu' politici di detta autonomia, alla vigilia dello scoppio del conflitto inter-jugoslavo, i settori panalbanesi guidati da Ibrahim Rugova, leader della "Lega Democratica del Kosovo", hanno iniziato a praticare il boicottaggio assoluto della vita politica e sociale jugoslava costruendo un sistema "parallelo" in tutte le attivita' - dalla sanita' all'istruzione - che ha configurato un vero e proprio "separatismo etnico". Questo sistema parallelo e' stato visto con apprezzamento in Occidente, anche dai settori "pacifisti" entusiasmati dal suo carattere non-violento, ed e' stato sostenuto con finanziamenti di vario tipo provenienti dall'estero, soprattutto Germania, Svizzera ed USA. Oltre alla lobby albanese-americana, merita menzione in particolare il "governo in esilio" di Bukoshi, con sede in Germania.

Rugova e' stato piu' volte in Turchia, dove ha incontrato l'allora Presidente Özal che gli ha garantito il suo appoggio (Vecernje Novosti, 17/2/1992). E' curioso che da noi di Rugova si sia detto solamente che e' un "pacifista", mentre nessuno ha mai citato le sue dichiarazioni, piu' volte rilasciate agli organi di stampa stranieri, come lo zagrebino "Danas" (1992), secondo le quali l'ideale per il Kosovo e' uno status transitorio di protettorato internazionale, per poi unirsi all'Albania.

La collaborazione politica e militare tra Turchia ed Albania e' nota da anni ormai. Lo scenario e' particolarmente preoccupante a causa dell'aggravarsi della situazione nel Kosmet, dove a partire dal 1997 si e' scatenata l'attivita' terroristica, gia' presente, dell'UCK ("Esercito di Liberazione del Kosovo"), sostenuto dalla lobby albanese negli USA (spec. la Albanian-American Civil League legata a J. Dioguardi e Bob Dole) attraverso la destra di Sali Berisha in Albania.

Cristophe Chiclet rivela su "Le Monde Diplomatique" di gennaio 1999 che il nucleo fondatore dell'UCK fu costituito dal Movimento Popolare del Kosovo (LPK), una organizzazione apparentemente marxista-leninista in conflitto con le dirigenze della provincia autonoma del Kosovo, ai tempi di Tito, e con la leadership di Rugova successivamente.

In effetti pero' il Movimento Popolare del Kosovo e' stato fondato nel 1982, nella citta' TURCA di IZMIR (Smirne). Non ci vuole molto a capire il perche'.

Nel 1982 in Turchia governava una feroce cricca militarista-fascista che aveva effettuato un golpe due anni prima contro il legittimo governo socialdemocratico. Questa cricca era (e') specializzata nel reprimere i movimenti, i partiti e le organizzazioni di sinistra, comuniste, marxiste, leniniste, socialiste, rivoluzionarie e operaie dei popoli turchi, alawiti, kurdi, armeni e siriani.

 

Poteva il governo militar-fascista di Ankara concedere graziosamente, al sedicente movimento "marxista-leninista" kosovaro, di indire il suo congresso di fondazione? Piu' realisticamente l'UCK deve essere visto come uno strumento della guerra a bassa intensita' contro la Repubblica Federale di Jugoslavia, atto alla sua destabilizzazione.

In questa organizzazione sono stati arruolati mercenari da svariati paesi islamici; nel 1998, nei giorni della caccia ad Osama Bin Laden, la CIA ha dovuto persino fare irruzione nella rappresentanza UCK a Tirana, in cerca di documenti.

Tuttavia la strategia della tensione in Kosmet ha mostrato di non dare immediatamente i suoi frutti, pertanto nella seconda meta' del 1998 si e' andati ad un crescendo di minacce di bombardamenti contro la RF di Jugoslavia, fino al reale, brutale attacco del 24 marzo 1999, giustificato con la non accettazione da parte jugoslava dell'"accordo"-capestro di Rambouillet, che prevedeva la occupazione militare NATO nel Kosmet ed una consultazione popolare che avrebbe portato alla secessione della provincia nel giro di tre anni. Durante i bombardamenti i diplomatici USA (es. E. Luttwak alla trasmissione televisiva italiana "Pinocchio") hanno incominciato a dire apertamente che la loro cessazione e' condizionata alla rinunzia da parte jugoslava alla sovranita' sulla provincia. Ma il Kosmet, oltre ad essere il cuore storico-culturale della Serbia, e' anche ricco di materie prime e nelle sue centrali a carbone si produce una rilevante quantita' di energia elettrica, della quale deve viceversa usufruire tutta la popolazione della Repubblica Federale.