dal "manifesto" del 17.3.2000

Il pianeta sotto "stress idrico"

Due terzi dell'umanità mancano d'acqua dolce

Da oggi all'Aja una conferenza mondiale tratta di acqua, e di come garantire al mondo la "sicurezza idrica"

- MARINA FORTI -

P iogge torrenziali e alluvioni. Siccità, deserti che avanzano, terreni disseccati. Il mondo ha sete, anche se a volte rischia di annegare. L'acqua, base della vita sul pianeta, è diventata una risorsa rara, in particolare l'acqua "buona": dolce, non inquinata, non contaminata da parassiti, potabile. Al punto che il Programma delle Nazioni unite per l'ambiente (Unep) stima che due miliardi di esseri umani sul pianeta soffrano di "stress idrico": definisce così la situazione in cui il consumo d'acqua dolce supera (di oltre il 10%) la disponibilità.

"Il declino delle risorse mondiali d'acqua dolce, in termini qualitativi oltre che quantitativi, potrebbe essere il principale problema ambientale e dello sviluppo del ventunesimo secolo", afferma il più recente "Panorama globale" dell'Unep. Questione che chiama in causa la protezione degli ecosistemi, la suddivisione delle risorse, le politiche agricole, la gestione di conflitti geo-politici. Di tutto questo - di "sicurezza idrica", nel linguaggio delle Nazioni unite - tratterà una conferenza internazionale che comincia oggi all'Aja, in Olanda, e si concluderà martedì prossimo con un vertice mondiale di ministri.

E' importante chiarire che la mancanza d'acqua non è una fatalità. Secondo l'Unep ogni anno circa 44mila chilometricubi d'acqua colano sulle terre emerse. Fanno circa 7.300 metricubi all'anno per ciascuno dei sei miliardi di umani terrestri. Basterebbero a bere, produrre e anche a riempire le piscine, se non fosse che è distribuita in modo diseguale - nella striscia di Gaza, in Palestina, sono 59mc per abitante, in Islanda 630mila. Diversità di ambiente naturale, certo, ma non solo. La domanda d'acqua cresce con la popolazione (acqua da bere, per produrre cibo, per far funzionare le industrie...). Prendiamo per buone le proiezioni del Unfpa, l'agenzia dell'Onu per la popolazione: nel 2050 saremo quasi 9 miliardi? E la domanda d'acqua aumenterà del 40 per cento nei prossimi due decenni, afferma un rapporto preparato per la conferenza dell'Aja dalla Commissione mondiale per l'acqua (organismo istituito due anni fa dall'Onu e dalla Banca mondiale).

Non solo: la popolazione cresce più in fretta in regioni - Africa, Asia meridionale, Medio oriente - già sottoposte a "stress idrico". Risultato: secondo l'Unep nei prossimi 25 anni undici paesi africani si aggiungeranno ai 14 che già mancano d'acqua, mentre la Cina e l'India saranno sotto "stress".Come usiamo l'acqua? Grossomodo, si calcola che il 70 per cento del liquido pompato dal sottosuolo o deviato dai fiumi sia usato per l'agricoltura; il 20 per cento per l'industria e il 10 per cento per gli usi residenziali.

 

Nei secoli, gli umani hanno valutato la produzione agricola in tonnellate per ettaro, dove le varianti che contano sono il terreno e la produttività dei semi. Ma ormai la principale limitazione a produrre cibo non è la scarsità di terreno bensì d'acqua, fa notare Lester Brown, il presidente del WorldWatch Institute di Washington: tanto che si comincia a calcolare i raccolti in quantità d'acqua necessaria per tonnellata di cereali prodotti. Per aumentare la produzione, gli umani hanno aannaffiato i terreni: nel 1900 erano irrigati 48 milioni di ettari di terre, nel 1950 quasi il doppio, 94 milioni di ettari. La crescita poi è diventata vertiginosa, fa notare Brown (citando dati della Fao, l'organizzazione dell'Onu per l'agricoltura): ormai sono irrigati 260 milioni di ettari. Fino al 1978 questo corrispondeva a un aumento degli ettari coltivati per persona, ormai non più: la popolazione aumenta più in fretta.

Le coltivazioni irrigue sono particolarmente importanti in Asia, dove si trovano alcuni dei maggiori fiumi: l'Indo, il Gange, il Brahmaputra, il Fiume Giallo, lo Yangtze, il Mekong - che offrono grandi opportunità di canalizzazione già solo sfruttanto la forza di gravità. Così oggi in Cina il 70% del raccolto di cereali viene da coltivazioni irrigate, il 50% in India, solo il 15% negli Stati uniti.

 

Ma le falde acquifere si stanno abbassando, in tutti i continenti. L'acqua è pompata da strati sempre più bassi. In Medio oriente le falde freatiche si svuotano ben più in fretta di quanto si riempiano. Così in quasi tutta l'India e nelle pianure cinesi: uno studio condotto nel 1991-96 dice che la falda freatica nella pianura cinese settentrionale si abbassa di un metro e mezzo l'anno (citato da Lester Brown): preoccupante, se si pensa che quella zona produce il 40% dei cereali raccolti in Cina. In India le falde freatiche si abbassano tra 1 e tre metri all'anno: il sub-continente ha aumentato la sua produzione di cibo in modo spettacolare, ma per questo si sta giocando l'acqua; "quando questo castello di carte crollerà, il raccolto di cereali indiano potrebbe crollare del 25%. In un paese dove l'offerta e domanda di cibo sono già in precario equilibrio e dove la popolazione aumenta di 18 milioni di persone ogni anno, è una prospettiva allarmante".

D'altra parte, negli anni '90 nord Africa e Medio oriente sono diventati importatori di cereali (anzi, sono il mercato in crescita più rapida in assoluto). E importare una tonnellata di cereali equivale a importare 1.000 tonnellate d'avcqua, calcola la Fao (citiamo sempre Lester Brown). Al punto che il modo più semplice di importare acqua è comprare cereali, e si potrebbe calcolare che nel '97 l'insieme delle importazioni di cereali nel Maghreb e Medio Oriente equivaleva alla portata annuale del Nilo...

Sempre Brown fa notare che molti grandi fiumi ormai non arrivano al mare. E' vero del Colorado, che non sbocca più nel golfo di California. L'Amu Daria non arriva più al Lago d'Aral, prosciugato dalle coltivazioni di cotone di uzbeki e turkmeni. Il Fiume Giallo non ha raggiunto il mare per la prima volta nel '72, per pochi giorni: ormai succede tutti gli anni, e per parecchi mesi, perché le sue acque sono deviate molto prima per progetti agricoli e industriali.

Un altro motivo della penuria d'acqua "buona" è l'inquinamento: fiumi, laghi e falde freatiche ricevono abbondanti reflui tossici. In molti paesi in via di sviluppo gli scarichi industriali fluiscono via, nei fiumi e terreni, senza alcun controllo. E nessun controllo è esercitato sull'inquinamento agricolo, i residui di pesticidi e fertilizzanti che finiscono nei corsi d'acqua e nelle falde sotterranee. E' un fenomeno mondiale. L'eccesso di fertilizzanti, quindi di azoto e fosforo che finisce nelle acque, favorisce la proliferazione di alghe che consumano tutto l'ossigeno in fiumi e laghi (e mari). Secondo l'Unep il 54% delle acque superficiali in Asia è eutrofizzato, il 53% in Europa, il 48% in nord America, il 41% in America Latina e il 28% in Africa. Nel Golfo del Messico c'è ormai una "zona morta" di 8.000 chilometri quadrati dove crescono solo alghe: è prodotta dagli scarichi del Mississippi.

Si pensi ancora al cambiamento del clima, che provoca eventi estremi - alluvioni, siccità. Alla cattiva gestione delle acque, la scomparsa delle "zone umide", o la polemica sulle dighe. E ai conflitti per il controllo della poca acqua disponibile, la gestione dei fiumi "internazionali"... Un elemento è chiaro: la conferenza dell'Aja tratta di uno dei problemi politici più importanti del nostro tempo.