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dal "manifesto" di sabato 22 aprile 2000
La verità della guerra
KAREL KOSÍK
La guerra degli Stati Uniti e dei loro alleati contro la Jugoslavia ci apre gli occhi
sull'intera realtà contemporanea, e nella sua eccezionalità ci offre la chiave per
decifrare i periodi di "normalità". Con il suo significato rivelatore, questa
guerra travalica i propositi e gli obiettivi dei suoi stessi artefici.
(...) La guerra non si deve necessariamente concludere al suono delle
fanfare di vittoria; in una strategia a lungo termine, essa, come nudo
fatto, assolve a un ruolo insostituibile. La guerra porta i suoi frutti,
soprattutto se, chi la scatena, la concepisce e la conduce come una
verifica, attesa ed economicamente vantaggiosa, delle proprie potenzialità,delle proprie
doti di comando e previsione.
Questa guerra si svolge nell'area limitata dei Balcani, ma il suo
significato supera il ristretto ambito regionale. Con essa si manda un
chiaro segnale affinché nessuno si permetta di porre in dubbio l'ovvio e
naturale diritto degli americani a essere l'unica superpotenza planetaria (the leading
power) (...) che afferma la fondatezza della propria rappresentazione del futuro: deve
essere americano. (...)
La guerra non deve necessariamente concludersi con una vittoria esplicita, è sufficiente
che "l'opinione pubblica mondiale" l'accolga come un'ovvietà, ci faccia i conti
e ci si abitui. Il successo della guerra americana è già nel fatto che sia stata elevata
a naturale elemento della "civiltà euroamericana". La prossima guerra simile
non avrà nulla d'insolito, sarà già inserita nella normalità del secolo venturo.
(...)Questa guerra è ancora una guerra o non è piuttosto l'annuncio di una nuova
realtà, nella quale una nuova pace, la pax americana, sarà assicurata da operazioni
chirurgiche, dall'asportazione fulminea delle pustole più dolorose e dall'eliminazione
d'ogni pericolosa infezione, tutto secondo la regia e l'esecuzione di generali in camice
bianco, affinché sia chiaro a tutti che il futuro dell'umanità è in buone mani, nelle
mani di medici e infermieri?
Nella consolidata pace planetaria i concetti di imperium e di territorio si implicano
vicendevolmente. Imperium significa comando e controllo su un territorio, che non è più
il semplice luogo in cui si svolge la vita degli uomini ma si trasforma in territorio
dominato. Nella visione guerresca dei generali, in un'ottica di conquista, il territorio
cessa d'essere tale per ridursi a un insieme di punti astratti, verso i quali i missili
possono essere puntati: è sufficiente mirare e fare fuoco. (...)
Nell'orrore delle attuali operazioni militari si manifesta l'orrore della presente e
futura vita di pace: l'uomo è ridotto a componente accessoria di un sistema funzionante
di per sé; egli vi si adatta, perdendo verso di esso ogni senso critico. L'uomo si è
lasciato degradare a elemento di una macchina. La stupidità, come ci dice Shakespeare in
uno dei suoi sonetti,legittima nell'altro l'autorità: tu mi servirai.
Gli europei non dovrebbero dimenticare che l'americanismo è un'invenzione europea. Dalla
pluralità e multiformità delle culture europee se n'è separata una, si è resa
indipendente, si è elevata sopra la pluralità dell'insieme e da questa posizione detta
legge. Gli antichissimi sogni dell'umanità - la pace, l'immortalità, la vita nel
paradiso terrestre - sono realizzati dall'americanismo a suo modo, attraverso la tecnica,
e questa deformazione tecnologica è imposta al mondo.
La guerra americana contro i serbi è un'ovvia e dichiarata anticipazione
della quotidiana normalità del prossimo millennio. (...) Essa non nasce da un contrasto
complesso e difficilmente risolvibile su chi, dei due contendenti, stia dalla parte della
verità. Si tratta di un problema più profondo, decisivo: la questione in gioco è cosa
propriamente sia la verità. In questo senso la guerra nei Balcani rappresenta la prova
più difficile che l'umanità contemporanea è chiamata ad affrontare: supererà
l'esame? Nessuno di coloro che sono convinti di stare dalla parte giusta della barricata
(...) è al riparo dal pericolo di cadere nell'oscurantismo, che confonde a tal punto la
riflessione da far trascurare, anche ai protagonisti del conflitto, ciò che realmente
avviene, ciò di cui si tratta concretamente.
Non appena azzardiamo il primo passo, e invece che insistere sullo sterile diverbio su chi
possieda la verità ci domandiamo cosa sia la verità,verifichiamo quanto segue: il
mercato e i campi di battaglia non sono i luoghi in cui nasce e vive la verità. Le
diverse opinioni che s'impongono come verità nel mercato delle idee, e i diversi
strumenti di guerra rivolti contro gli uomini come ultima conquista dello
"spirito", mettono in scena il duello di un male contro un altro, di un errore
contro un altro, duello che,con il suo fragore, oscura la reale verità. La verità viene
al mondo (e con il suo nascere gli dà fondamento) come protesta e ribellione contro
l'arrogante pretesa di mercanti e guerrieri, che vivono nella folle illusione di avere tra
le mani, tra le loro mercanzie e macchine da guerra, la verità, che questa sia nelle
merci e nelle armi, che equivalga all'arte di vendere e uccidere.
Avere ragione. Quale delle parti in conflitto nei Balcani ha ragione? Ma non si comincia
in fondo a cadere nel torto proprio quando ci si comporta come detentori e possessori
della verità? Quanti, credendo di essere dalla parte della verità, e che la verità
fosse dalla loro parte, hanno sofferto per essa nelle prigioni e nei campi di
concentramento, ma, non appena raggiunto il potere, sono stati portati, dalla stessa
convinzione di possedere la verità, alla rovina morale e politica. Quanti poi hanno
inaugurato la propria carriera politica gridando: "Al diavolo tutti i patti
militari!"? Non è passata molta acqua sotto i ponti, i ribelli di un tempo hanno
messo la testa a posto, si sono fatti più saggi, con l'età si sono adeguati al sistema
come burocrati servizievoli al punto da confondere i diritti umani con la teoria
dell'attacco preventivo, e oggi accolgono entusiasti il bombardamento delle città
jugoslave.
Avere ragione. Il mondo è un enorme mercato in cui, con le altre merci, si offrono le
"idee" più diverse. L'opinione che tra le altre s'impone, che trova un buon
mercato di sbocco e supera la concorrenza, è accolta dalla pubblica opinione come
"la verità". La verità si misura con il metro del successo.
Avere ragione. Chi attua la restaurazione del capitalismo e aiuta l'avidità sconfinata,
sotterranea, temporaneamente nascosta a dominare la realtà e a mutare il mondo in proprio
territorio può credere, può avere di sé l'opinione di "vivere nella verità"
e diventare un esempio per gli altri. In cosa si differenzia questa verità dall'illusione
e dall'inganno?
Esiste realmente la verità, e se sì, non è uno degli ultimi residui di un passato
mitologico che a noi moderni complica solo la vita? Liberiamoci della verità! Ci
incatena, limita il nostro volo. Rinunciamoci! In nome di un modo di vivere che non
conosce più misura e può permettersi tutto, purché disponga di un'adeguata tecnica, e
se non limitato dalla verità è in grado di cancellare la vita dal pianeta.
Sostanza della verità è che nessuno la possiede. Ma anche che nessuno è
capace di sottrarsi al suo agire rivelatore, differenziante.
La verità non è stabilita da sentenze, atti ufficiali, istituzioni, ma si anima
nell'azione; suoi elementi vitali sono il confronto e il dialogo. E' legata al disporsi
degli eventi nella realtà, ed è nel loro succedersi che gli individui falliscono o no,
cadono o meno in inganno, conquistano o perdono il coraggio d'imparare dalle proprie
esperienze, e con il loro comportamento dimostrano chi effettivamente sono.
Dal progetto di cui l'uomo investe la propria vita e dalla realtà storica nella quale
questo progetto è posto in atto, dipende che egli viva nella verità o nella menzogna. Ma
l'uomo dispone la realtà a partire da se stesso.
E' un essere dotato di ragione e di coscienza; oppure interpreta questo dono a modo suo e
degrada la ragione a un calcolo razionale, che gli permette di dominare e devastare il
pianeta?
Non ci illude il nostro linguaggio, quando ci sussurra che viviamo in
un'epoca post-moderna e post-capitalista? Da queste definizioni dovremmo
dedurre di aver finalmente superato il passato, con le sue difficoltà, e di essere
entrati in un'epoca nuova. E' realmente così? Il passaggio al nuovo secolo non è
piuttosto caratterizzato dal fatto che ci stiamo lasciando alle spalle un passato mai
"superato" (o forse è il passato stesso a spingerci oltre) e ci accingiamo a
ripetere i fallimenti che hanno segnato il XX secolo?
Chi fallisce cade nel torto. Ma che significa "fallire"? Non corrispondere alle
attese, non mantenere la parola data, tradire la fiducia, non superare una prova, sprecare
un'occasione.
I fallimenti si sono succeduti come pestilenze. I partiti si sono dichiarati per la pace,
ma nell'ora della verità hanno sostenuto la guerra imperialista e hanno fallito
completamente. Gli intellettuali hanno lodato la ragione e la critica, la cultura e
l'umanesimo, ma al momento decisivo si sono messi immancabilmente al servizio di chi
voleva la guerra - fallendo. La rivoluzione ha promesso libertà, ma ha portato sanguinose
dittature. E non è forse anche la sindrome di Monaco uno dei segni caratteristici
dell'epoca passata, un'epoca dal cui assedio non ci siamo ancora liberati? Questi esempi
non vogliono dimostrare che tutti abbiano fallito e che ogni speranza sia stata delusa, ma
ci richiamano alla riflessione. (...)
Il prudente, e assai moderato, democratico Frantisek Palacky nel 1864
annotava sulla situazione sociale dell'America del nord: "La componente di colore
della popolazione è trattata come bestiame (human cattle)". Oggi gli Usa sono il
paese modello della democrazia e i congressisti seguono con attenzione (effettuano un
monitoraggio) le aree del mondo in cui i diritti umani non sono rispettati.
La Germania ha sterminato nella II guerra mondiale milioni di europei e ha condotto con
determinazione ed efficacia pulizie etniche in grande stile. Oggi è una democrazia
modello e a fianco degli Usa impartisce alla cittadinanza serba lezioni sul rispetto dei
diritti umani. Dalla storia della Germania e degli Stati Uniti possiamo dedurre che si
tratta di paesi che hanno percorso uno sviluppo progressivo: dapprima assassinii e
massacri, poi l'illuminazione, l'affermarsi della democrazia e un rigoroso rispetto dei
diritti umani. Questa "legge naturale" vale solamente per la cittadinanza
bianca, mentre le altre razze e culture sono condannate in eterno alla disumanità e alla
barbarie? L'umanità si divide in due gruppi, del tutto separati? L'uno con i propri
sforzi lavora e combatte per il rispetto dei diritti umani ("si umanizza"),
mentre l'altro deve essere obbligato alla libertà e alla democrazia dall'esterno e con la
violenza? E quale tribunale decide se una nazione o una cultura appartengono all'una o
all'altra categoria?
Sulla terra si daranno relazioni normali tra gli uomini e si affermerà la pace quando
dovunque saranno rispettati i diritti umani. E' compito
fondamentale e urgente dell'oggi (e dei suoi uomini guida), che tutte le
regioni oggi zoppicanti in questo senso si mettano al passo con le nazioni evolute, che
superino la loro eterna arretratezza e si avvicinino agli "standard
euroamericani".
Questo concetto è un'illusione, errata e pericolosa: non tiene conto non
solo della differenza di sviluppo ma soprattutto dell'infinitezza e della impossibilità
di dare un fine alla Storia. La Storia non si dirige verso uno stato ideale o un culmine
finale. Gli uomini s'imbattono a ogni tappa della loro storia in nuove minacce:
l'importante è che sappiano riconoscere in tempo il pericolo e abbiano il coraggio e la
forza di fronteggiarlo.
L'umanità di oggi è minacciata solo dal mancato rispetto dei diritti umani? E' davvero
questo l'unico fallimento della contemporaneità?
La guerra contro la Serbia mostra anche un altro, non meno grave pericolo riguardante
l'intero pianeta. Anche lì dove i diritti umani sono rigorosamente rispettati, l'uomo
può soccombere alla moderna fatalità, che lo degrada a un "agente" utile al
sistema vigente. L'uomo fallisce e cade nel torto se accetta di essere manipolato e
trattato come un "agente" al servizio della tecnica, infallibile e perfetta.
Nella lotta per il proprio riconoscimento, che è per Hegel la forza motrice della storia,
vince chi, nel momento decisivo rischia la vita, si gioca tutto e non cede. Chi si
spaventa della morte e le preferisce la nuda vita, cade nella servitù, in condizione di
dipendenza.
In questa forma classica la dialettica servo-padrone concede spazio
all'intervento liberatorio della pietà: faccia a faccia il più forte può
avere pietà del nemico più debole, rinfoderare la spada già sguainata,
essere clemente e concedere la vita al nemico. La situazione cambia
radicalmente se il duello si svolge a distanza, senza contatto personale e immediato. Chi
ha a disposizione una tecnica evoluta, che gli garantisce un assoluto predominio, come in
un gioco elettronico, ha davanti a sé nient'altro che un punto astratto, un obiettivo
calcolato e puntato dagli strumenti, mai una concreta figura umana. Uno dei due
contendenti è protetto a tal punto dalla tecnica che non deve rischiare la sua vita. La
dialettica finisce, s'impone un meccanismo spietato e impersonale. Il pilota, dall'alto,
semina rovina e morte ma la sua vita è protetta da una tecnica infallibile. Lo protegge
Dio, il suo Dio, che s'incarna nella perfezione dell'apparato tecnico.
Il ponte vivo sulla Sava: con i loro corpi uomini e donne difendono la
propria città, le proprie fabbriche, la propria libertà e la propria
dignità. Rifiutano la fatale imposizione della guerra e mantengono viva la propria
tradizione di resistenza, che in questo secolo hanno saputo
testimoniare non umiliandosi di fronte a Hitler e a Stalin. Due diverse
posizioni, due mondi diversi: rischiare la propria vita o giocare d'azzardo con la vita
degli altri.
Secondo un'antica leggenda il re della Lidia, Gige, possedeva un anello
magico. Quando lo ruotava vedeva tutti e tutto, divenendo invisibile. La
nostra epoca ci ripropone questa vecchia storia. La tecnica contemporanea, capace d'ogni
miracolo, ha inventato un'invisibilità del tutto speciale.
L'anello magico dell'epoca moderna supera nei suoi "parametri" gli
stregoneschi strumenti del passato. Chi lo possiede diventa signore sulla vita e sulla
morte: può uccidere gli altri, essendo (ipoteticamente) inattaccabile e invulnerabile. Ma
l'anello di Gige non è stato il simbolo del male radicale, perché innalza il suo
possessore al di sopra degli altri mortali e gli dà la possibilità d'ingannare
impunemente e sfuggire alla giustizia?
(Trad. Alessandro Ruggera)
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