"Il
Gattopardo" di G. Tomasi di Lampedusa
1.
-
- Romanzo insieme storico e autobiografico,
che alle fiduciose speranze della narrativa precedente
contrappone un'amara consapevolezza dell'inutilità dell'agire
umano, una sfiducia nella storia, un ripiegamento sull'esperienza
sentimentale e sul privato.
-
- E' un romanzo di impianto tradizionale,
ottocentesco, per l'ampiezza della visione storica e
sociale, sempre esplicitata, per la lentezza minuziosa
della prosa e per la presenza di un narratore onniscente.
La prosa è lenta e sontuosa, capace di cogliere con
ricchezza di lessico e complessità sintattica ogni
particolare visivo e ogni sfumatura di pensiero.
2.
- La narrazione non costituisce un
intreccio consequenziale ma avanza a blocchi, con estrema
libertà, a volte esclusivamente sulla base di
associazioni mentali del protagonista. Le otto parti di
cui si compone sono scene intervallate da periodi più o
meno lunghi, senza sommari di sutura; la narrazione in
atto, per momenti staccati, è preferita, secondo il
gusto novecentesco, a uno sviluppo metodico e pausato
della narrazione. Il Principe Fabrizio di Salina (il
Gattopardo) vive una vita monotona e tranquilla in una
villa presso Palermo, governando autoritariamente una
numerosa famiglia a cui egli rimprovera la loro piattezza
morale, eccezion fatta per Tancredi. All'inizio del
Gattopardo domina, come in tutte le parti più vive e
affascinanti di questo romanzo, la sua figura, a
colloquio prima col nipote Tancredi e poi con alcuni suoi
dipendenti. Alla notizia dello sbarco di Garibaldi e del
suo approssimarsi a Palermo, Tancredi decide di unirsi ai
garibaldini, non per spirito patriottico o perché
condivida un bisogno di rinnovamento, bensì proprio per
evitare ogni cambiamento, per imbrigliare entro l'alveo
della conservazione la carica potenzialmente
rivoluzionaria di quanto sta accadendo. Dietro le
sollecitazioni delle poche ma essenziali battute con le
quali il giovane Tancredi motiva le sue decisioni, il
principe medita sulle cose umane, sulla storia, sui suoi
protagonisti che non riesce a vedere altrimenti che come
autentiche e inconsapevoli mosche cocchiere. Alla fine il
principe accetta, contrariamente al prete di famiglia, il
gesuita padre Pirrone, il trasformismo del nipote e
alcuni mesi dopo, recatosi con la famiglia in
villeggiatura a Donnafugata, nonostante la rivoluzione,
al plebiscito per l'annessione della Sicilia al regno d'Italia,
vota e fa votare "sì". All'invito disubbidisce
solo don Ciccio Tumeo. Tancredi sposa poi Angelica, la
bellissima figlia di don Calogero Sedara, un popolano di
Donnafugata (un feudo del Principe), arricchitosi con
speculazioni di dubbia natura. Il matrimonio, che il
principe approva nonostante che anche sua figlia Concetta
sia innamorata di lui, suggella l'alleanza tra la vecchia
aristocrazia borbonica e la classe di affaristi che si fa
strada nel nuovo regime.La sesta
parte del romanzo descrive un ballo che si tiene Palazzo
Pantaleone nel 1862 in cui il principe mette piede per l'ultima
volta, ballando con Angelica, nel mondo giovanile da cui
egli si appresta ad allontanarsi definitivamente restando
legato ad un passato che scompare con la caduta del regno
borbonico.
Le ultime due parti avvengono dopo
forti scarti temporali: la penultima narra la morte del
principe nel 1883: l'ultima, datata 1910, descrive la
definitiva decadenza della sua famiglia, mettendo in
scena le sue tre figlie ormai vecchie e rimaste zitelle
che buttano in un mucchio di polvere gli ultimi residui
del fasto di casa Salina , attraverso la metafora del
corpo imbalsamato del vecchio fedele cane Bendicò.
-
- Al centro del romanzo è la figura di don
Fabrizio Corbera, principe di Salina, nel cui stemma
campeggia il Gattopardo che lo rappresenta. Il principe
ricopre un ruolo da testimone: lucido, impietoso e
sconsolato testimone del declino dell'aristocrazia
siciliana e della sua sostituzione, come classe dominante,
da parte di una vorace, spregiudicata, immorale borghesia
di affaristi. Questa borghesia "rampante" è
personificata in don Calogero Sedara, che alla fine avrà,
secondo ingiustizia morale e buona logica storica, la
nomina a Senatore del Regno, rifiutata, nel suo lucido
pessimismo moralista, da Salina. Pranzi, cene, rosari,
balli, vacanze estive a Donnafugata: di tal genere sono
gli avvenimenti del Gattopardo, espressione, nel loro
ritualismo, di un mondo statico, atemporale. Solo
Tancredi falconeri, il nipote prediletto del protagonista,
rompe questo universo chiuso e immobile con la sua
giovanile vitalità e la sua spregiudicatezza economica.
A differenza dello zio, osservatore scettico e distaccato
degli eventi politici che turbano la Sicilia, Tancredi si
getta nel fiume della storia che avanza. Mentre Tancredi,
con la stessa spregiudicatezza corteggia una popolana
arricchita guardando fiduciosamente al futuro, lo zio
rimane, pur lucidamente consapevole del necessario
mutamento dei tempi, a tutelare i ricordi e le reliquie
del passato, della classe nobiliare e della sua casata
destinata a finire con lui per colpa delle sue tre figlie,
Concetta, Carolina e Caterina, rimaste troppo legate a
quel passato che non consentì loro di integrarsi nella
nuova epoca e lasciandole arroccate nella loro
aristocrazia al tramonto.
-
- Il narratore, extradiegetico e onniscente,
introduce nel romanzo il commento dell'autore, razionale
o ironico-polemico nei confronti del mondo rappresentato.
Per contro non manca una commossa identificazione del
narratore nel protagonista (soprattutto nei monologhi
interiori), un'impercettibile fluire tra il punto di
vista dell'uno e dell'altro.
-
- Molto significativi nello svolgimento del
romanzo sono lo spazio e il tempo. Il lasso di tempo tra
il 1860 e il 1910 con gli avvenimenti del Risorgimento e
dell'unificazione del Regno d'Italia, influisce sul
carattere dei personaggi e contribuiscono a valorizzare
la decadenza di una società che rallenta col rallentarsi
del tempo narrativo. Lo spazio ha anch'esso influenza sul
carattere dei personaggi che hanno tutti un particolare
attaccamento per i luoghi e, le case e il mobilio.
3.
-
- L'autore si nasconde probabilmente dietro
alla maschera narrativa del principe di Salina, quasi in
un autoritratto sotto mentite spoglie che riflette le sue
contraddizioni. La tesi di Tomasi nei confronti degli
eventi storici che appaiono descritti in modo realistico
nel romanzo (l'impresa dei Mille, la costituzione del
Regno d'Italia, in fatti d'Aspromonte) è che la brutalità
del potere, con l'avvento dei Savoia, e della borghesia,
sarebbe rimasta invariata, ma avrebbe perso quelle
connotazioni di stile, eleganza, alto formalismo che l'aristocrazia,
ormai perdente, aveva manifestato per secoli, a copertura
del suo dominio di classe.
4.
-
- L'esaurimento del neorealismo coincide con
il "miracolo economico" che trasforma l'Italia
in paese industriale. Nel giro di pochi anni la realtà
descritta dai romanzi neorealisti è sconvolta dall'industria,
dalle migrazioni dal Sud verso il Nord, dal nuovo
benessere e dalla nuova povertà. Il confronto con la
realtà in trasformazione apre varie strade di
sperimentazione narrativa. I maestri di quegli anni,
Calvino, Gadda e la Morante, inclinano ad una narrativa
di impegno filosofico; e qualcosa di simile per gli
scrittori siciliani, alle prese con i fallimenti storici
della regione.
-
- Insieme a Elsa Morante, Tomasi di
Lampedusa decide di tenersi lontano dai dibattiti di
tendenza sul rapporto fra letteratura e industria, dal
neorealismo e dalle ricerche sperimentali per restare
fedele per certi aspetti a una concezione ottocentesca
della narrativa storico-sociale.
-
- Il Gattopardo è senza dubbio il
capolavoro di Tomasi che scrisse però anche alcune opere
minori edite postume: i "Racconti"(1961) e le
"Lezioni su Standhal" (1971), "Lighea",
"Invito alle lettere francesi del Cinquecento"
(1979).
1.
-
- Giuseppe Tomasi, duca di Palma e principe
di Lmpedusa, nacque a Palermo il 23 dicembre 1896 e morì
a Roma nel luglio del 1957. Appena ventenne aveva
interrotto gli studi per andare al fronte nella Prima
Guerra Mondiale. Fatto prigioniero, evase due volte dal
campo di concentramento di Posen, e la seconda con pieno
successo: travestito, attraversò mezza Europa a piedi,
rientrando felicemente in Italia. Ufficiale effettivo
fino al '25 si interessò sempre di cose militari, e fece
in tempo a partecipare, come capitano di artiglieria,
anche al secondo conflitto mondiale. Intimamente avverso
al fascismo, durante il ventennio della dittatura era
vissuto appartato da tutto ciò che sapesse di pubblico,
di ufficiale. Soggiornò a lungo all'estero: in Francia,
in Inghilterra, in Lettonia. Soltanto nel dopoguerra
accettò, ma per breve tempo, la carica di presidente
della Croce Rossa in Sicilia. In realtà la sua passione
più vera fu quella delle lettere. Lettore accanito,
forse per un eccesso di consapevolezza critica, scrisse
poco e non stampò mai nulla. Si risolse a scrivere
"il Gattopardo", dopo un ventennio di
esitazioni e di rinvii, negli ultimi anni della sua vita,
a un tavolino del Caffè Mazzara di Palermo.
2.
-
- L'apparizione nel 1958 del romanzo "Il
Gattopardo" creò uno dei maggiori casi letterari
del dopoguerra. Il romanzo, inviato dall'allora
sconosciuto autore all'editore Einaudi, fu bocciato da
Vittorini e invece pubblicato dall'editore Feltrinelli,
per consiglio di Giorgio Bassani, in quel periodo
direttore della collana di narrativa.
3.
-
- L'opera ebbe un eccezionale successo di
pubblico (e nel 1959 ricevette il Premio Strega), ma
suscitò accese discussioni tra chi la considerò uno dei
capolavori della narrativa contemporanea e chi (specie da
sinistra) la vide come un frutto fuori stagione, limitato
ad una prospettiva decadente e reazionaria. Il consenso
attorno al romanzo non era soltanto il frutto del ritorno
al piacere narrativo che vi ritrovava i rassicuranti
meccanismi fabulatori dl romanzo ottocentesco. Era anche
determinato dalla sostanziale esattezza della tesi
storica del Risorgimento come rivoluzione mancata, anzi,
mai tentata, sostituita, di fatto, dalla conservazione
dell'esistente. Era, in fondo, sostenuta e magari
schematizzata in facili assunti narrativi, la tesi
gramsciana, critica sul moderatismo liberale e imperniata
sulla consapevolezza storica di una tragica assenza nella
storia italiana di una rivoluzione democratico - popolare.
-
- "il Gattopardo" (1963)
Soggetto: dal romanzo omonimo di G.T.Lampedusa
Interpreti: Burt Lancaster (il principe), Alain
Delon (Tancredi), Claudia Cardinale (Angelica), Paolo Stoppa (don
Calogero), Romolo Valli (padre Pirrone),
musica. Nino Rota e un valtzer inedito di Verdi
durata: 205'
<<"Il Gattopardo" risulta l'epicedio
ironico e struggente di una classe al tramonto, ma anche la
lucida descrizione del riassorbimento degli ideali risorgimentali
col ricorso al trasformismo politico. Il celebre "se
vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi"
riassume la contraddizione tra l'effettiva caduta del vecchio
mondo e la mancata realizzazione del mondo nuovo. Appena legge il
romanzo di Lampedusa, Visconti decide di trarne un film. Molti
sono gli elementi che lo affascinano: il ruolo della cultura
aristocratica, l'ambientazione siciliana, la descrizione degli
avvenimenti risorgimentali sotto il profilo inconsueto del "tradimento":
Prospettiva questa già utilizzata per "Senso".
Visconti non ritiene in contraddizione le acquisizioni della per
Senso. Visconti non ritiene in contraddizione le acquisizioni
della storiografia democratica (Gobetti, Salvemini, Gramsci) sul
Risorgimento come "rivoluzione incompiuta" col
pessimismo del principe di Salina. Esso si manifesta, nel film
come nel libro, in una serie di dialoghi: come quello con don
Ciccio Tumeo durante la battuta di caccia, in cui si fa
riferimento alla manipolazione del risultato elettorale nel
plebiscito per l'annessione allo stato sabaudo: Principe: "Ammiro
la vostra fedeltà e devozione. Ma dovete capire, don Ciccio, che
il popolo era sovreccitato per le vittorie di questo Garibaldi, e
il plebiscito era il solo e urgente rimedio per l'anarchia.
Credetemi. E per noi non è che il male minore. I Savoia, in
fondo, una monarchia sono. Gli interessi delle persone che amate
e a cui siete devoto escono da questi avvenimenti frustrati, sì,
ma ancora vitali, ancora validi. Qualcosa doveva cambiare perché
tutto restasse com'era prima. L'ora della rivoluzione finì.
Speriamo che l'Italia nata oggi qui a Donnafugata possa vivere e
prosperare". Don Ciccio: "Ma io ho detto di no. E quei
porci in Municipio, si inghiotto no la mia opinione, la masticano
e la cacano via come vogliono loro... Io dissi Nero e loro mi
hanno fatto dire Bianco. Ero un "fedele suddito". Ora
tutti savoiardi sono! Ma i savoiardi me li mangio col caffè, io...
i savoiardi!".
I personaggi esprimono punti di vista
reazionari; "ma lo fanno" osserva Visconti "o
meglio Lampedusa ha ottenuto che lo facciano, in modo tale, da
mostrare in qual modo distorto la classe dirigente piemontese e i
suoi alleati naturali in Sicilia portassero avanti il "nuovo"
servendosi unicamente degli strumenti più menzogneri e
deprimenti del "vecchio", la malafede, la sopraffazione,
l'inganno" (L. Visconti, Il Gattopardo, Bologna 1963, p. 29).
Nel Gattopardo, Visconti ammira l'intrecciarsi di vita interiore
e vita sociale, cui vede corrispondere, sul piano dello stile, la
sintesi tra il realismo di stampo verghiano e il flusso della
memoria proustiana. "Sarebbe la mia ambizione più sentita"
afferma "quella di aver fatto ricordare in Tancredi e
Angelica la notte del ballo in casa Ponteleone, Odette e Swann; e
in don Calogero Sedara nei suoi rapporti coi contadini e nella
notte del plebiscito, Mastro Don Gesualdo" (ibidem, p. 28).Ancora
una volta, la sua sintesi stilistica Visconti la cerca nel
melodramma. Con un attacco sontuoso, con quel susseguirsi di
carrellate che funge da ouverture, con l' "allegro maestoso"
del commento musicale di Nino Rota, il film dichiara fin dall'inizio
di voler sottolineare la musicalità del romanzo. Per il ballo,
Visconti utilizza lo spartito di un valzer inedito di Verdi. Per
la scena dell'arrivo dei Salina a Donnafugata, sviluppa le
citazioni proposte nel testo: dall'aria verdiana "Noi siamo
zingarelle" che saluta l'arrivo del corteo, all' "Amami
Alfredo" che ne accoglie l'ingresso in chiesa. Ma l'intento
di sottolineare gli elementi lirici del romanzo induce Visconti a
modificarne e la struttura. Dovendo trasformare in immagini e
dialoghi il fluire del tempo e del monologo interiore propri del
Lampedusa, il regista decide di sintetizzare i tempi della
vicenda e di dilatare invece quelli del ballo. Sopprime alcuni
episodi e tutta la parte finale del romanzo, in cui Lampedusa,
dopo quello lirico, descrive con amara ironia il lato più
squallido della morte: la sopravvivenza di persone e cose che
hanno ormai esaurito la loro funzione storica. Lo scrittore
sottolinea più volte l'importanza di quel "patrimonio di
ricordi, di speranze e di timori di classe" di cui è
costituito, come dice padre Pirrone, l'universo artificiale degli
aristocratici: quella sensibilità ai segni esteriori per cui l'apparizione
in frac di don Calogero fa al principe "un effetto maggiore
che non il bollettino dello sbarco a Marsala" quell'attaccamento
alle case e al mobilio di cui parla Tancredi ad Angelica, quell'importanza
di rispettare le tradizioni, che trasformerebbe in un dramma per
il principe la mancata villeggiatura a Donnafugata. Proprio il
mutare di questi segni contraddice l'illusione di don Fabrizio di
fermare la storia. Anche se sarà scongiurata la rivoluzione
popolare, cambieranno infatti la cultura, lo stile, i cerimoniali
della classe dominante. Attraverso questi segni il principe
prende coscienza della propria sconfitta: "Era inutile
sforzarsi di credere il contrario, l'ultimo Salina era lui (...).
Perchè il significato di un casato nobile è tutto nelle
tradizioni, cioè nei ricordi vitali; e lui era l'ultimo a
possedere dei ricordi inconsueti, distinti da quelli delle altre
famiglie (...). L'ultimo era lui. Quel Garibaldi aveva dopo tutto
vinto" (G.Tomasi di Lampedusa).Nonostante che la
ricostruzione scenografica avalli, e persino accentui, la
idealizzazione di luoghi e ambienti mediata dalla memoria del
Lampedusa, persone e cose appaiono come sontuose nature morte.
Visconti ricorre al procedimento per lui consueto di sospendere i
gruppi familiari nell'immobilità: come nella scena iniziale del
rosario, o nella chiesa di Donnafugata, quando i Salma appaiono
come mummificati sotto la coltre di polvere del viaggio. Una
immobilità a cui il regista si proponeva di attribuire un
significato polemico, indicando nel trasformismo e nell'immobilismo
di ieri le premesse alla stasi politica attuale. Anche nel finale
Visconti ha voluto aggiungere uno spunto polemico, inserendo nel
testo un'allusione alla fucilazione dei disertori dell'esercito
regio, che nel '62 seguirono Garibaldi in Aspromonte. Abbandonato
su un pouf della "sala d'oro", Tancredi accenna con non
chalance ad Angelica dell'esecuzione imminente. Si esibisce così
nella sua vera veste politica, provocando la risentita delusione
di Concetta. Rimasti soli, Tancredi e Angelica si abbracciano;
finché irrompono nel salone gli ufficiali e le dame che
aggregano la coppia alla catena della quadriglia: un vincolo
simbolico, con il quale contrasta l'isolamento del principe fra i
membri della sua classe. In ultimo, mentre don Fabrizio si
inginocchia al passaggio del viatico e pronunzia la sua estrema
invocazione di morte, lo sparo dei fucili echeggia all'interno
della carrozza su cui rientrano Tancredi, Angelica e don Calogero,
e li rassicura della restaurazione dell'"ordine".
Queste notazioni hanno l'intento di suggerire il corso
reazionario della nuova classe dirigente, futura sostenitrice del
fascismo. Ma, più che altro, sottolineano il contrasto tra la
posizione di aristocratico distacco del principe e l'arido
opportunismo dei suoi successori. Anche gli spunti
intenzionalmente polemici convergono così in quello struggente
ritratto della fine del principe, che è il vero tema dominante
del film. Il suo culmine è nel ballo. Visconti ha posto questo
capitolo - l'ultimo scritto dal Lampedusa -a conclusione della
vicenda, e lo ha dilatato sino a fargli occupare un terzo dell'intero
film.
Tra i suoi fasti coreografici ha insinuato quei
sedimenti luttuosi di cui lo scrittore ha intessuto tutto il
romanzo. Il momento della fragorosa spettacolarità diventa così
anche quello della contemplazione interiore.(
)
Esiste una curiosa consonanza tra il capolavoro
di Visconti e un film di poco precedente, "Jalsaghar" (sala
di musica, 1958) del regista indiano Satyajit Ray.>>(
Alessandro Bencivenni, "Luchino Visconti", ed. Il
Castoro cinema 1994, Roma, pag. 55-60)
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