SHAKESPEARE IN LOVE

(Gwinet Paltrow)

Chi andrà a vedere questo film dovrà, come prima azione, togliere dalla mente il William Shakespeare dell’Amleto o di qualsiasi altra rappresentazione da lui scritta. Entrate nella sala e sedetevi con lo spirito di chi sta per assistere ad una commedia delle beffe, il cui finale toglie il fiato senza risparmiare nessun colpo di scena. La storia narra di com’è nato il dramma di Romeo e Giulietta, secondo un’interpretazione molto libera e colorita delle situazioni e delle contingenze che hanno spinto il drammaturgo inglese. Se volete chiamare l’amore con mille nomi e dipingerlo in mille metafore questo è il film che fa per voi; entrando nel cuore di Shakespeare vedrete quanto è grande la tempesta che lo guida nella creazione e quale sia il vento che spinge le sue vele. Un suo predecessore altrettanto famoso dell’antica Grecia, il tragediografo Euripide, aveva la caratteristica di smitizzare gli eroi e le divinità, presentando personaggi famosi in vesti umili e impoveriti delle loro virtù; allo stesso modo nel film accade per il Poeta. Shakespeare è presentato come un appena ventenne commediografo non solo privo degli abiti con cui tradizionalmente lo conosciamo e senza uno scellino in tasca, ma addirittura in crisi di creatività, costretto per questo motivo addirittura a ricorrere all’analista nel tentativo di risollevarsi da questa sua depressione. Per creare Lui ha bisogno di uno stimolo, di qualcosa che gli riempia il cuore, sa cosa cercare ma non sa dove cercarlo, confondendolo con il semplice piacere. A questo genio in cerca di musa si oppone il freddo Philipp Marlow, che ha da poco raggiunto la fama del "Dottor Faust" e a cui William non può far altro che buon viso a cattivo gioco inventando mille storie pur di celare il suo vuoto creativo.

A riempire la vita del Nostro sarà Gwinnet Paltron, dama dai puri sentimenti e amante del teatro, attrice autodidatta nonostante l’ingiusta interdizione del palcoscenico alle donne. Il teatro li fa unire e loro si uniscono col teatro: da quest’incontro si sviluppa il film. Shakespeare, infatti, scrive il "Romeo e Giulietta"

Pensando alle notti passate con la sua metà, le parole del copione non sono fantasia ma confessione di un’amante e la storia diventa l’incrocio di due mani, quella dell’amore e quella del genio che muovono un’intera compagnia teatrale nelle prove di questa rappresentazione. Così l’ostacolo del sangue è in realtà la famiglia di lei che l’ha già promessa in sposa ad un presuntuoso cicisbeo intenzionato a portarla nella nuova colonia della Virginia, l’omicidio del buon Mercuzio è la morte di Marlow di cui Shakespeare si sente responsabile: tutto combacia. Alla fine il solutore degli ostacoli non è però il sentimento ma la ragione, impersonificata da una Regina giudice intransigente che fa tornare ogni cosa al suo posto.

La regia del film lo ha reso un torrente in piena e noi spettatori siamo su una zattera, sbattuti tra le rapide; dialoghi veloci e personaggi dalla risposta sempre pronta ci immergono in una Londra non aristocratica, spontanea e priva di ogni forma di conformismo. Le facce che si vedono sono quelle che si possono trovare nei sobborghi, ognuna ha una sua espressione tatuata e ancor prima che pronunci battuta sappiamo già cosa vuole esprimere. Lo spirito primeggia sulla rigidità con cui siamo abituati a pensare gli inglesi ed il loro self-control è sostituito da un pragmatismo che senza far trasparire sentimenti forti dimostra la prontezza intuitiva di chi deve sempre coprirsi le spalle.

Lo Shakespeare voluto ci dice tutto su cosa muove il nostro essere perché diventi genio. L’animo del William in crisi era un animo che non era spinto da nessun vento, era fermo, immobile nei suoi pensieri ed incapace di agire, un gabbiano legato al terreno perché non conosce l’uso delle ali. L’illuminazione abbagliante del sentimento amoroso è il vento che risveglia l’istinto sopito, che spinge verso l’orlo del precipizio per farci librare in volo. La genesi dell’opera è tutta legata al sentimento provato; tutto ciò che William sente è una corda tesa tra la piattezza della materialità e il divino che sta nell’assoluta purezza.

Solo provando e partecipando di un sentimento vero riusciamo sentire l’impeto del genio. Il finale pur apparendo triste per certi aspetti è quasi indispensabile: l’abbandono è l’ennesimo sentimento forte che dà l’ispirazione per continuare; egli ha bisogno di questo, un esito diverso ne avrebbe compromesso l’avvenire. Priviamo l’uomo di tutto ma non dei sentimenti buoni, altrimenti avremmo solo un elettrodomestico.

Davide Dionesalvi

 

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