LA STORIA DI ROCCAMANDOLFI
(A1fonso Perrella: L'antico Sannio e l'attuale provincia di
Molise-Isernia 1889)
... E se trovandoti in quel luogo ti coglierà la tempesta, mirerai
coll'animo atterrito dalle nere nubi addensate sul Matese, uscire sguizzanti fulmini che
fanno rimbombare i dintorni, e il vento che sbuffa tra quelle rovine e ne fa distaccare
qualche sasso, sembra che ti faccia udir la voce di qualche trapassato là sepolto, che ti
rimprovera di essere andato a disturbare gli eterni suoi riposi! Oh quante impressioni
avrai in ogni stagione in quel solitario e melanconico luogo! E se di là salirai più in
alto, e lo sguardo volgerai attorno, scorgerai buona parte del Matese che si stende dalle
sorgenti del Tammaro a quelle del Volturno. E di colle, di valle in valle, potrai spingere
l'occhio fino ad un lembo del mare Adriatico tra Campomarino e Termoli. E col pensiero
trasportandoti agli antichissimi tempi, e riandando le vicende che occorsero su questo
suolo, quanti importanti fatti quante gloriose e lagrimose vicende non ricorderai! Quivi
si successero, gli uni dopo gli altri, i popoli Aborigini, i Pelasgi, gli Osci, i Sabelli,
i Sanniti, i quali incivilirono questa contrada, specialmente gli ultimi, costruendo molte
città con mura, torri, teatri, templi, bagni, e via dicendo, come ancor fresca prova ne
danno gli scavi di Sepino, di Pietrabbondante, ed i ruderi di Isernia, di Larino, di
Boiano ecc. Quivi quanto valore spiegarono, quante fatiche dovettero durare, quanti
sacrifici patire gl'infelici ma sempre prodi Sanniti nella lunga guerra che sostennero
contro gl'ingordi Romani per salvare la propria indipendenza e libertà. Ed i Sanniti
Pentri. Samnites propriamente detti, quelli che abitarono presso il Matese, da Isernia
cioè a poco oltre Erculanea (città esistente un dì nelle vicinanze di Campobasso)
furono i soli che seppero resistere fino all'ultimo, bramando piuttosto di essere
distrutti anzichhè piegare il capo innanzi ai superbi figli di Romolo. Ed essi soltanto
ebbero il coraggio di continuare la guerra nel 462 di Roma quando già quasi tutti gli
altri popoli circonvicini eran venuti a patto col nemico. Quante volte le vallate, che
attorniano il Matese dovettero ripercuotere il suono delle belliche trombe che al la pugna
chiamavano i giovani; quante volte il fragòr delle armi il calpestio dei cavalli, le
grida di dolore e di vittoria echeggiarono nelle vicinanze!!.
E durante quella guerra atletica la valentia dei comandanti Sanniti, specialmente nelle
imboscate ebbe varie fiate a mostrarsi. La storia ci ricorda nomi come Cajo Papio Mutilo,
Mario Egnazio, Lucio Cluenzio, Stazio Gellio, Gellio Egnazio, Stazio Minazio e tanti altri
che si distinsero nelle lunghe e sanguinose guerre, specialmente in quella tanto celebre
appellata Sociale, che scosse tutti i popoli d'Italia. Ma tanti sforzi, tanto valore non
bastarono a salvare la indipendenza dei Sanniti;
Traditi anzichè sottomessi, distrutti anzichè vinti, il loro nome parve dovesse
scomparir dalla storia. Il console Lucio Silla irruppe in questi luoghi e tutto pose a
sacco e fuoco. Lo storico greco Srabone, che venne pochi anni dopo a visitare questa
contrada, trovò tutto desolazione, tutto ruina, tutto squallore; tanto vero che Lucio
Flore ebbe a scrivere che "invano si cercava il Sannio nel Sannio stesso, da che
niente appariva di ciò che aveva dato materia a ben 24 trionfi. In prosieguo colonie
romane si stabilirono qua e là specialmente a Bojano, ad Isernia, a Larino, a Triventi
ecc., ma non molto prosperarono. Ed uno stuolo di Bulgari, condotto da Alzecone, venne,
nel 667, a ripopolar, formandone una provincia del Ducato di Beneventano a quei tempi si
esteso.
Ma non molto stette, e nell'880, o in quel torno, uno sciame di Saraceni, guidati dal
feroce Suadan, seminò di nuovo la distruzione ed il pianto da Vena£ro a Sepino. Poi, man
mano, si ricostruirono villaggi e città, formando così, verso il 1000, la Contea o
Comitato di Molise, che, al principio del nostro secolo, mutò il nome in Provincia ai
Molise o di Campobasso con varie modificazioni di territorio fino ai nostri giorni.
Nè la sola mano dell'uomo incalzò contro questo classico suolo, ma ben anche quella si
potente della natura ebbe a sconquassarlo. Di fatti si ha memoria di molti tremuoti che lo
scossero, producendo più o me-no danni. I più importanti avvennero
ne11'847,853,1305,1309,1349,1456, I668,I805. E tutte queste rimembranze, ora gloriose, ora
meste, che si affollano alla mente, scuotono dolcemente il cuore, danno a quel famoso
monte, a quei colli che si addossano gli unì agli altri, a quelle valli e pianure che qua
e là si scorgono, solcate dal loquace Biferno e da altri fiumicelli, danno, ripeto, una
impronta di grandezza che soltanto chi conosce la patria storia può sentire e
valutare."
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