Questo
articolo, da me scritto nell'Aprile del '93, offre una breve
panoramica su quel
periodo storico che spesso viene indicato come << L' Età dell'Imperialismo >>.
L'
Età dell'Imperialismo
Le caratteristiche
economiche. Le relazioni internazionali. I tempi e i modi della
spartizione dell'Asia e dell'Africa. La partecipazione
dell'Italia alla gara internazionale.
Gran parte dell'Europa aveva
conosciuto attorno al 1850 una fase di
notevole sviluppo economico e industriale. Questo aveva
determinato nei
paesi più avanzati la necessità di ingenti quantità di denaro
adeguate
alla crescente capacità produttiva e quindi una maggiore
presenza del
capitale bancario all'interno del sistema produttivo. La
compenetra-
zione tra banche e industrie portò non solo ad un maggiore
controllo
delle prime sull'attività produttiva e alla formazione di
monopoli, ma
anche ad un'eccedenza di capitali che non trovava possibilità di
investimento nell'industria nazionale. Inoltre il grande impulso
dato
alla produzione aveva portato intorno al 1873 ad una vera e
propria
crisi di sovrapproduzione con la conseguenza di accelerare il
processo
di concentrazione industriale e di indurre gli stati ad
abbandonare la
politica di libero scambio. Si tentò infatti di favorire il
riassorbi-
mento delle merci in eccedenza attraverso la loro protezione
dalle merci
straniere. Ma la spinta del capitale finanziario imponeva di
trovare
nuove aree in cui investire i capitali eccedenti spostando la
competi-
zione economica tra le singole imprese (scomparsa con la
formazione dei
trusts e dei cartelli) sul piano internazionale della lotta
economica
tra le nazioni. Questo processo di esportazione di capitali si
avvantaggiava della possibilità di creare imprese in zone dove
la
manodopera era a basso costo e esisteva una grande disponibilità
di
materie prime. Si usciva così dalla fase del colonialismo
classico
basato sul semplice sfruttamento economico (prelievo delle
materie prime
e vendita di prodotti nei mercati coloniali) per entrare nella
fase
dell'imperialismo in cui al semplice dominio economico si
sostituiva un
vero e proprio dominio politico con lo scopo di rendere più
sicure tali
iniziative.
Questo impegno diretto dei governi nell'attività economica ebbe
l'effetto di acutizzare gli antagonismi nazionali e di portare ad
intendere l'imperialismo come una forma di affermazione del
proprio
prestigio.
Accanto a questi motivi fondamentali della spinta
all'imperialismo
emergono altri fattori come la necessità di compensare la
perdita del
controllo da parte delle nazioni europee sui grandi imperi
americani (in
seguito alla proclamazione della "dottrina di Monroe")
con la ricerca di
territori che potessero fornire risorse analoghe; o come il
tentativo di
trovare uno sbocco all'eccesso di popolazione (ponendo fine in
questo
modo al fenomeno dell'emigrazione, diretta soprattutto verso
Stati
Uniti) attraverso la colonizzazione di territori sotto la
sovranità
della madrepatria stessa. Anche la necessità di controllare
territori
di importanza strategica ebbe il suo peso nella politica
imperialista
dei governi.
Inoltre furono addotte alcune motivazioni ideologiche che
favoriro-
no il consenso nei confronti di una politica coloniale
mascherando i
veri interessi di natura economica che riguardavano un ristretto
gruppo
di imprenditori. Ad esempio si considerò l'imperialismo come un
dovere
delle nazioni progredite di portare la civiltà e il progresso
nelle
nazioni più arretrate da un punto di vista economico e sociale.
Si
reclamò, facendo appello a sentimenti nazionalisti e razzisti,
il
diritto delle nazioni "superiori" di appropriarsi di
ricchezze che i
paesi sottosviluppati non erano in grado di sfruttare. Infine si
affermò il principio della necessità per le nazioni di
inserirsi al più
presto nella gara imperialista per evitare di rimanere estromessi
dal
processo di spartizione del mondo e di affermazione della propria
egemonia in campo internazionale.
Nella seconda metà dell'ottocento i maggiori paesi europei
(soprat-
tutto Inghilterra e Francia ma anche Germania, Italia e Belgio)
trasfe-
rirono le proprie mire espansionistiche dall'ambito europeo a
quello
africano e asiatico. La spartizione di questi territori avvenne
per lo
più in modo pacifico nel senso che non si verificarono conflitti
tra le
nazioni imperialiste nell'affermazione del proprio dominio e rari
furono
gli episodi di resistenza delle popolazioni native. Infatti
benché tale
spartizione fosse avvenuta in base a considerazioni di carattere
strategico essa si svolse sempre nel rispetto del principio di
equili-
brio tra le potenze; spesso si tentò inoltre di esercitare il
proprio
dominio in forma indiretta, attraverso le autorità preesistenti,
piut-
tosto che imporsi in maniera traumatica come nuova forza
governante.
L'Inghilterra all'inizio degli anni '50 era la nazione che aveva
dato peso più di altre alla politica espansionistica e già
esercitava il
proprio dominio in territori come l'India, l'Australia e la Nuova
Ze-
landa, l'Africa del Sud, il Canada, e i porti di Hong Kong e
Shangai.
In questo periodo il governo inglese cercò di ampliare il
proprio impero
coloniale con il controllo dell'Egitto (1884) e del Sudan (1898).
Inoltre in seguito alla scoperta di giacimenti di pietre e
metalli
preziosi in Sudafrica gli Inglesi tentarono di impadronirsi di
queste
regioni in cui si erano insediati già dal 17° secolo i coloni
olandesi;
questo portò ad una guerra che si concluse nel 1902 con la
vittoria
degli Inglesi e la creazione dell'Unione Sudafricana. Nel
frattempo era
stata portata a termine la conquista della Nigeria (1885) e di
una parte
della Somalia (1884). Nell'Asia continentale l'Inghilterra estese
il
proprio dominio in Birmania ma fu soprattutto nel Pacifico che
essa
tentò di conquistarsi posizioni strategiche (Nuova Guinea,
Samoa,
Filippine, Nuove Ebridi). Spesso inoltre l'espansionismo inglese
si
scontrò con altri paesi come la Francia in Sudan e in Indocina,
e la
Russia ai confini russo-indiani. La crescente tendenza
espansionistica
di molte nazioni non solo europee spinse così l'Inghilterra ad
uscire
dal proprio isolamento e a cercare alleanze con il Giappone e con
la
Francia con la quale stipulò una entente cordiale.
La Francia in Africa già aveva costituito le colonie di Algeria,
Senegal e Costa d'Avorio quando nel 1881 decise di riprendere la
propria
politica coloniale con la conquista della Tunisia. Alla conquista
del
Madagascar nel 1895 seguì il tentativo di creare un impero
omogeneo a
partire dall'Africa occidentale fino al Sudan occidentale che
iniziò nel
1904 e si concluse nel 1910 con l'acquisto dell'Africa
Equatoriale.
Nel 1911 venne occupato il Marocco. In Asia la Francia aveva
conquistato fin dal 1863 la Cambogia e il Vietnam meridionale; in
seguito l'impero in Indocina si estese con l'annessione del
Vietnam del
Nord (1884) e del Laos (1893).
Ma all'interno della Francia permaneva uno spirito di rivincita
nei
confronti della Germania per le terre perse con il trattato di
Francoforte. Bismarck cosciente del pericolo francese aveva
tentato di
isolare diplomaticamente la Francia con un'ampia rete di
alleanze. Ma
questo sistema si era incrinato a causa della rivalità tra
Austria e
Russia sui Balcani: questo aveva portato la Russia ad un
avvicinamento
alla Francia la quale si poté avvalere anche dell'intesa con
l'Inghil-
terra per rafforzare la propria posizione nei confronti della
Germania.
Per la Germania si presentavano scarse possibilità di costituire
un
unico impero territoriale a causa della politica estera
prevalentemente
europea sostenuta da Bismarck, che aveva portato questo paese ad
inse-
rirsi in ritardo nella gara di conquista. A farsi interpreti di
una
politica imperialista erano soprattutto le forze economiche e
impren-
ditoriali che cercavano nuove possibilità di investimento al di
fuori
della Germania. Furono conquistati tra il 1884 e il 1885 il
Camerun, il
Togo, l'Africa orientale tedesca e l'Africa sud-occidentale
tedesca; in
Asia venne occupata una parte della Nuova Guinea e alcuni
arcipelaghi
nel Pacifico. Inoltre venne dato un forte impulso al
rafforzamento
militare soprattutto con la costituzione di una forte flotta da
guerra
che allarmò l'Inghilterra la quale oltretutto non condivideva i
metodi
fortemente concorrenziali usati in campo commerciale dai Tedeschi
come
il dumping. Ben presto la Germania vide mutare il
sistema di alleanze
che le avevano consentito di porsi al centro della politica
interna-
zionale ricevendo un appoggio effettivo alla sua politica solo
dal-
l'Austria-Ungheria.
L'Italia nel periodo immediatamente successivo l'unità aveva
concentrato tutti i suoi sforzi nell'organizzazione dello stato
uni-
tario e non aveva avuto modo di occuparsi di un eventuale
programma
coloniale anche sulla base dell'esigenza di mantenere relazioni
amichevoli con le altre nazioni e non creare motivi di contrasto
che
potessero minacciare la già debole unità interna. Un principio
di
orientamento imperialista venne dal governo Depretis che ottenne
il
controllo di Assab (acquistata dalla società di navigazione
Rubattino
nel 1882) e di Massaua (1885) sul mar Rosso. Nel 1887 un
tentativo di
espansione in Etiopia fallì e 500 soldati italiani furono
massacrati a
Dogali. Ma fu Crispi il primo vero sostenitore dell'imperialismo
ita-
liano: sotto il suo governo fu creata la colonia di Eritrea nel
1890 e
si stipulò con l'Etiopia il trattato di Uccialli che garantiva
la
neutralità di quest'ultima. La sconfitta che l'Italia subì ad
Adua nel
1896 fu la dimostrazione che il paese non era ancora in
condizioni di
affrontare una politica imperialista: in effetti la spinta
all'es-
pansione era dettata più che da esigenze economiche della
borghesia,
dalla necessità di fornire terre ai contadini meridionali e di
proiettare verso l'esterno la tensione sociale in continua
crescita.
Contraddittorio fu anche l'atteggiamento ostile assunto nei
confronti
della Francia: la rottura commerciale con essa voluta dall'Italia
ebbe
infatti notevoli ripercussioni sull'agricoltura meridionale. In
seguito
venne tentato un riavvicinamento al governo francese da cui
nacque un
accordo che concedeva all'Italia la libertà d'azione in Libia.
Già
prima che venisse intrapresa una campagna in Libia alcuni grandi
gruppi
finanziari come il Banco di Roma avevano investito
capitali in quella
regione e facevano pressione affinché il governo Giolitti
procedesse
alla sua occupazione. Oltre che dalla borghesia affaristica la
guerra
era sostenuta dalle correnti socialiste rivoluzionarie che
speravano in
questo modo di indebolire e sovvertire il sistema giolittiano,
basato
sul riformismo graduale. La conquista della Libia iniziò nel
1911 e si
rivelò più difficile del previsto; le spese di guerra causarono
una
regressione economica notevole e si rivelarono sproporzionate
rispetto
ai vantaggi che si potevano trarre dalla conquista della Libia
(solo
molto più tardi vi furono scoperti giacimenti petroliferi). Con
la pace
di Losanna del 1912 l'Italia ottenne oltre al controllo della
Libia
anche Rodi e le isole del Dodecaneso.
Anche il Belgio tentò di conquistare una sua posizione nel
conti-
nente africano con il controllo del Congo che fu sanzionato dal
congres-
so di Berlino del 1885 con il riconoscimento della sovranità
belga in
quel territorio.
L'imperialismo americano ebbe caratteristiche diverse da quello
delle nazioni europee: esso si basò principalmente sulla ripresa
della
dottrina di Monroe sostenuta dal presidente Theodore
Roosevelt nei
termini dell'esclusiva degli Stati Uniti sul controllo e
l'intervento
negli stati delle americhe. Gli Stati Uniti ottennero infatti nel
1898
dalla Spagna, dopo averla sconfitta in guerra, Portorico e le
Filippine
ed esercitarono un forte controllo su Cuba. Inoltre acquistarono
le
Hawaii e una parte delle isole Samoa, ed estesero il loro dominio
indiretto (soprattutto economico e finanziario) a tutta l'America
latina.
Infine anche Russia e Giappone tentavano di attuare una politica
di
espansione coloniale, soprattutto ai danni dell'impero cinese
ormai in
stato di disfacimento. Inizialmente fu il Giappone ad
approfittare
della debolezza della Cina attaccandola e sconfiggendola nel
1895: la
vittoria suscitò la reazione di tutte le nazioni (Inghilterra,
Francia,
Russia) che avevano rinunciato, per ragioni di equilibrio, ad
intra-
prendere azioni offensive in Cina; il Giappone dovette così
rinunciare
alle sue conquiste. Nel frattempo la Russia aveva cominciato la
propria
espansione in Manciuria venendo così in conflitto con gli
interessi
giapponesi: il governo giapponese (appoggiato da quello inglese)
reagì
all'espansionismo russo attaccando nel 1904 la base russa di Port
Arthur
sconfiggendo gli avversari e dando prova della potenza militare
raggiunta; la pace stipulata nel 1905 assicurò al Giappone il
controllo
della Corea.
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