BREVE COMMENTO ALLA DIRETTIVA IN TEMA DI COMMERCIO ELETTRONICO

di

Filippo De Magistris

 

(Posizione comune n. 22/2000 del 28 febbraio 2000, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee dell’8 maggio 2000 n. C. 128/32)

 

 

Introduzione alla Direttiva.

 

Attesa da lungo tempo, ed anticipata da complessi lavori preparatori, la Direttiva approvata dal Parlamento Europeo lo scorso 5 maggio è un provvedimento che si annuncia gravido di effetti ed implicazioni non solamente a livello comunitario.

 

Il commercio elettronico è, attualmente, al centro dell’attenzione degli ambienti politici ed economici di tutto il mondo particolarmente per le previsioni di vertiginosa crescita previste nel giro dei prossimi anni. Si tratta, infatti, di un’occasione di crescita e sviluppo socioeconomico che nessuno può permettersi di mancare.

 

Va infatti premesso che la Direttiva affonda le proprie radici e la propria ragion d’essere nella necessità, fortissimamente avvertita a livello comunitario, di favorire lo sviluppo dell’e-commerce da parte delle imprese continentali, sia in Europa che in ambito globale. Per accompagnare e favorire “ab imis” tale sviluppo è apparso indispensabile munirsi anzitutto di adeguati strumenti legislativi e normativi tali da poter validamente contrastare sul terreno del commercio elettronico (e relative applicazioni) la temibile concorrenza d’oltreoceano.

 

Al fine di consentire la compiuta riuscita di tale disegno e, soprattutto, allo scopo di fornire un supporto adeguato alla capillare diffusione del commercio elettronico nell’ambito del Mercato comune, la Direttiva mira a fornire un contesto normativo chiaro ed unitario, che abbia nella coerenza sistematica tra i vari ordinamenti il proprio punto di forza.

 

Va anzitutto premesso che la Direttiva, il cui progetto di fondo appare quanto mai ambizioso, opera molteplici rimandi alla legislazione comunitaria vigente in vari settori. Ciò appare naturale in considerazione della vastità dei problemi affrontati dal testo normativo e dalla varietà delle implicazioni degli argomenti richiamati, data anche la necessità di operare in armonia sia con la normativa comunitaria, sia con quella degli Stati membri.

 

Dopo questo breve premessa, necessaria soprattutto per evidenziare l’importanza “strategica” della Direttiva nel quadro socio-economico e normativo europeo, si può passare all’analisi del provvedimento, composto da un lungo preambolo e da 24 articoli, ripartiti in 4 capi.

 

 

Preambolo

 

La parte introduttiva, composta di ben 65 punti, è una sorta di “omnibus” nella quale vengono elencate premesse, principi, dichiarazioni di intenti, nomenclature e definizioni nonché operati rimandi alla normazione comunitaria. Lo stesso è dunque indispensabile per comprendere la reale portata ed i significati della Direttiva, poiché vengono ivi spiegati i concetti basilari del provvedimento legislativo.

          Per comodità e necessità di sintesi possiamo riassuntivamente individuare alcuni punti fondamentali dai quali muovere l’analisi della premessa.

I punti, premesso “considerando”, sono i seguenti:

1)    La necessità di garantire a tutti gli operatori economici e, correlativamente, ai consumatori, la possibilità di accedere ad Internet ed ai servizi della società dell’informazione e di garantire un elevato livello di integrazione giuridica comunitaria (considerando 3), con ciò consentendo anche l’estrinsecazione del diritto alla libertà di espressione contenuto nell’art. 10, Par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che è stata ratificata da tutti gli Stati membri (considerando 9);

2)    La difficoltà rappresentata dall’estrema diversità della legislazione europea in tema di commercio elettronico (considerando 5);

3)    La necessità di garantire e, se possibile, rafforzare il livello di protezione dei consumatori già previsto dalla legislazione comunitarie, e, nel contempo, di rispettare quanto già previsto in tema di riservatezza delle comunicazioni dall’art. 5 della direttiva 97/66/CE che vieta qualsiasi forma di intercettazione o sorveglianza non legalmente autorizzata di tali comunicazioni da parte di chi non sia il mittente od il destinatario (considerando 15);

4)    L’esclusione dalla Direttiva di tutti gli aspetti fiscali relativi all’e-commerce, con particolare riferimento all’IVA (considerando 12 e 13);

5)    La necessità di operare un richiamo alla vigente disciplina in tema di privacy e di trattamento dei dati personali. Viene comunque precisato che, in ogni caso, nessuna normativa può impedire l’utilizzo anonimo delle reti aperte, con ciò assicurando la riservatezza delle comunicazioni (considerando 14);

6)    La definizione di servizi della società dell’informazione intesi quali prestazioni a distanza, per via elettronica ed a mezzo di apparati elettronici, di qualsiasi servizio, normalmente (ma non necessariamente) dietro retribuzione, su richiesta individuale del destinatario (“on demand”). Sono tuttavia incluse nella definizione anche le attività consistenti in servizi non remunerati, comprese le trasmissioni di dati e di informazioni da punto a punto. Viene inoltre specificato che non sono compresi nella Direttiva attività quali la consegna delle merci e la prestazioni di servizi non “on line". Non sono inoltre considerati servizi della società dell’informazione la radiodiffusione sonora e televisiva (considerando 17 e 18);

7)    La definizione del concetto di “stabilimento” quale luogo ove la società esercita la propria attività economica, anche se non effettivamente coincidente con il luogo ove la suddetta effettua il proprio accesso ad Internet (considerando 19);

8)    Il principio del mantenimento delle regole relative proprie della giurisdizione penale e civile di ogni singolo Stato membro. Si specifica che nella Direttiva non vengono introdotte norme supplementari di diritto internazionale privato per dirimere i conflitti di legge, né tratta della competenza degli organi giurisdizionali (considerando 23);

9)    La disciplina già in vigore relativa alle comunicazioni commerciali così come stabilità dalle direttive 97/7/CE e 97/66/CE e, in particolare, per quanto riguarda il consenso del consumatore all’invio di comunicazioni pubblicitarie non autorizzate per posta elettronica. A tal proposito la Direttiva auspica un adeguamento alla normativa europea per quegli Stati membri che autorizzano l’invio di comunicazioni commerciali non sollecitate, garantendo l’operatività ed il rispetto dei registri negativi in cui possono iscriversi le persone fisiche che non desiderano ricevere le comunicazioni commerciali per via elettronica (considerando 29 - 31);

10)  La necessità che gli Stati membri adeguino la propria legislazione soprattutto ai requisiti di forma che potrebbero ostacolare il ricorso ai contratti per via elettronica, rendendo possibile ed effettiva la stipula degli stessi, armonizzando le future norme con la disciplina e gli effetti giuridici delle firme elettroniche disciplinati dalla direttiva 1999/93/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13/12/1999 (considerando 34);

11)  Il principio del mantenimento del regime delle deroghe dalla responsabilità professionale per le attività di mero trasporto, di trasmissione e di immagazzinamento dei dati, con la correlativa previsione di precisi doveri di sorveglianza ed ottemperanza agli ordini delle autorità da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione (considerando 42 – 46) ;

12)  L’auspicio di un rapido adeguamento alle nuove esigenze degli strumenti giurisdizionali e promozione del processo telematico (considerando 51).

 

La premessa contiene pertanto indicazioni fondamentali per comprendere la reale portata della Direttiva e per capire ed interpretare la stessa ed i concetti che vengono introdotti nella successiva “parte normativa”. Non è infrequente, infatti, che nel corpo normativo vero e proprio vengano richiamati o sviluppati i concetti già avanzati in premessa. In particolare, poi, appare di fondamentale importanza il sistema dei rimandi alle precedenti direttive comunitarie, indispensabile per una documentazione che dia il senso della profonda innovazione apportata dalla Direttiva ed il forte impatto sulla legislazione futura degli Stati membri.

 

 

LA DIRETTIVA

 

La parte normativa della Direttiva si suddivide in quattro capi; il capo secondo, dedicato ai principi, è a sua volta suddiviso in quattro sezioni.

Come accennato, la Direttiva si propone obbiettivi ambiziosi e di largo respiro, animata com’è dalla precisa intenzione di regolamentare la futura legislazione degli Stati membri in tema di commercio elettronico e, più in generale, relativa a tutti i servizi prestati, anche a titolo gratuito, con supporti telematici, ad esclusione di quelli elencati in premessa.

Nell’articolo 1, intitolato “Obbiettivi e campo di applicazione” viene ribadita l’importanza della libera circolazione dei “servizi delle società dell’informazione” tra gli Stati membri e la correlativa, strumentale necessità di disciplinare armonicamente con le varie normative nazionali i profili giuridici riguardanti lo stabilimento dei prestatori, le comunicazioni commerciali, i contratti per via elettronica, la responsabilità degli intermediari, i codici di condotta e la composizione stragiudiziale delle controversie. Il tutto facendo salvo il livello di tutela già garantito dalla precedente legislazione, comunitaria e nazionale, particolarmente in tema di sanità pubblica e di diritti dei consumatori.

La Direttiva, infatti, non intende né innovare in qualche modo il diritto internazionale privato, né interferire con normative relative al settore tributario (leggasi IVA. E’ atteso, in tal senso, un ulteriore strumento normativo in grado di disciplinare i profili fiscali del commercio elettronico), né con le questioni relative ad accordi o pratiche disciplinate da intese internazionali. Il regime delle deroghe prevede, inoltre:

a)    la tutela della privacy (direttive 95/46/Ce e 97/66/Ce);

b)   determinate attività professionali quali quelle dei notai od altre attività aventi implicazioni con pubblici poteri;

c)    la rappresentanza e la difesa processuale;

d)   i giochi di azzardo, lotterie e scommesse comprese.

         

Il successivo articolo 2 si occupa della “Definizioni”; l’articolo 3 del “Mercato interno”. Le disposizioni saranno analizzate congiuntamente.

Della definizione di “servizi della società dell’informazione” abbiamo già trattato in premessa.

Il successivo concetto si incentra sulla differenza tra “prestatore” e “prestatore stabilito”, ovvero colui il quale che esercita la sua attività tramite “un’installazione stabile”, non meglio definita nella lettera della Direttiva.

 Naturalmente la società di servizi dell’informazione può ben essere costituita a tempo determinato.

          Maggiormente gravida di implicazione è la distinzione tra il “destinatario del servizio” ed il “consumatore”. Mentre quest’ultimo è necessariamente una persona fisica che agisce al di fuori della propria attività commerciale, imprenditoriale o professionale, il destinatario del servizio è colui il quale, sia esso persona fisica o giuridica, utilizza un servizio per ricercare o rendere accessibili delle informazioni, a scopi professionali e non.

          L’art. 2, inoltre, definisce comunicazioni commerciali “tutte le forme di comunicazione destinate, in modo diretto od indiretto, a promuovere beni, servizi o l’immagine di un’impresa, di un’organizzazione o di una persona che esercita un’attività commerciale, industriale, artigianale o una libera professione”.

L’ambito regolamentato, definito sempre nel medesimo articolo, viene inteso come l’insieme delle prescrizioni degli ordinamenti dei singoli Stati Membri in quanto riguardanti ed applicabili ai prestatori dei servizi della società dell’informazione od ai servizi stessi, indipendentemente dal fatto che tali norme siano di carattere generale od a loro specificamente destinate.

Tale concetto viene utilizzato per introdurre tre principi di ordine generale, ovvero:

 

1.  Il principio del reciproco riconoscimento, ovvero il dovere da parte del singolo Stato membro di far rispettare ai prestatori stabiliti nel proprio territorio, anche stranieri, le norme comprese nell’ambito regolamentato. Tale principio introduce quale legge applicabile ai servizi della società dell’informazione quello del paese di stabilimento, ovvero lo Stato membro in cui risiede il fornitore. Pertanto la Direttiva assoggetta i servizi della società dell’informazione al diritto nazionale dello Stato membro in cui lo stesso prestatore è stabilito. Infatti la Direttiva impone a tutti gli Stati membri di non restringere in alcun modo la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione, applicando il principio del “reciproco riconoscimento” delle regolamentazioni nazionali nel “settore coordinato”.

Pertanto la logica che informa l’adozione del principio del paese di stabilimento e, correlativamente, del principio del mutuo riconoscimento è legata alla difficoltà e, nel contempo, all’esigenza di armonizzare le numerose differenze di normativa intercorrenti tra i paesi membri relativamente alle prassi in tema di comunicazioni commerciali e di marketing, contemperando le esigenze di regolamentazione a quelle di libertà per tutto il settore del commercio elettronico. In tal modo i servizi della società dell’informazione potranno essere forniti e ricevuti in tutta l’unione Europa senza alcuna limitazione di carattere territoriale;

 

2. Il principio della libertà di circolazione. Secondo la Direttiva il principio del paese di stabilimento può mai confliggere con la libertà della circolazione dei servizi della società dell’informazione originati da uno qualunque degli Stati comunitari. Infatti ai suddetti servizi non potranno essere applicate o, comunque, opposte limitazioni alla libertà di circolazione che siano dovute a motivi rientranti nell’ambito regolamentato. La regola, tuttavia, come abbiamo già detto, soffre di eccezioni relative ad ipotesi che prevedano la necessità di limitazioni dovute ad esigenze di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di igiene pubblica e di tutela del consumatore o dell’investitore, di protezione dei dati personali, sempre che le deroghe appaiano adeguate alle necessità reali.

Tuttavia le eccezioni opponibili ad entrambi i principi elencati, e contenute nell’allegato alla Direttiva, riguardano:

a)    La disciplina del diritto di autore, quelli affini e legati alla tutela giuridica delle topografie di prodotti a semiconduttore e la tutela giuridica di banche dati;

b)   I diritti di proprietà industriale;

c)    L’emissione di moneta elettronica;

d)   Le obbligazioni contrattuali riguardanti i contratti conclusi dai consumatori;

e)    L’assicurazione diretta sulla vita e quella diversa dall’assicurazione sulla vita;

f)    La validità formale dei contratti che istituiscono o trasferiscono diritti reali su immobili;

g)   La comunicazione commerciale non richiesta per posta elettronica o mediante una comunicazione individuale equivalente.

 

3. Il principio del “diritto al sito”. Si tratta di un principio generale attinente al concetto dell’ambito regolamentato e previsto dall’articolo 4,  intitolato Principio dell’assenza di autorizzazione preventiva”. Tale disposizione vieta espressamente di subordinare l’attività di un prestatore di un servizio della società dell’informazione ad autorizzazione preventiva o ad altri requisiti di effetto equivalente, eccettuati i servizi di telecomunicazione.

Notevole la portata della disposizione in esame. Viene infatti sancito il diritto al sito, inteso come diritto soggettivo – facoltà di utilizzare la rete Internet allo scopo di fornire i servizi della società dell’informazione senza che ciò possa essere ostacolato da qualsivoglia autorizzazione o requisito equipollente, fatte salve l’eventuale applicazioni di normative che richiedano specifici requisiti per le attività professionali.

Rilevante il successivo articolo 5 laddove viene previsto l’obbligo di rendere accessibile al destinatario del servizio (e, ovviamente, per analogia, anche al consumatore), in modo diretto e permanente, le generalità del prestatore, la sua allocazione geografica ed i relativi indirizzi, anche di posta elettronica, nonché gli estremi di tutte le licenze ed autorizzazioni che il medesimo sia tenuto ad avere, oltre agli estremi della eventuale, competente autorità di controllo. Inoltre viene richiesto il numero di identificazione per quelle attività soggette ad IVA.

E’ significativo che tali informazioni minime (già previste nella direttiva 7/97/Ce sulla protezione dei consumatori nelle vendite a distanza) debbano essere fornite anche quando non vi sia da concludere alcun contratto e non si abbia come controparte necessariamente un consumatore.

Più significative le informazioni richieste agli esercenti professioni regolamentate, i quali debbono rendere noto l’ordine professionale (od  altro organismo assimilabile) di appartenenza, il titolo professionale e lo Stato membro ove lo stesso è stato rilasciato e, infine, il riferimento e le modalità di accesso per la consultazione delle norme professionali dello Stato membro nel quale il professionista è stabilito.

Infine, allo scopo di assicurare la maggiore chiarezza possibile nei confronti degli utenti, viene prescritto che i prezzi siano indicati in modi inequivoco,  segnalando chiaramente se gli stessi comprendano le imposte ed i costi di consegna.

 

 

Comunicazioni commerciali.

 

Rilevante, altresì, la parte della Direttiva dedicata alle comunicazioni commerciali (artt. 6, 7 e 8), riguardante anche le professioni regolate, profilo che si presenta quale elemento di novità e sicuro rilievo nell’ordinamento Italiano.

L’articolo 6 prescrive che gli Stati membri provvedano a legiferare nel senso di imporre l’immediata identificabilità della comunicazione commerciale e dell’operatore (persona fisica o giuridica) che la effettua (o per conto del quale viene effettuata). Debbono parimenti essere presentate in modo chiaro ed inequivocabile le condizioni per beneficiare di eventuali offerte promozionali come ribassi, premi ed omaggi o per partecipare a concorsi o giochi promozionali.

L’articolo 7 regolamenta la comunicazione commerciale non sollecitata, obbligando gli Stati membri ad imporre ai messaggi pubblicitari una comunicazione riconoscibile ed identificabile immediatamente.

Al fine di vietare il cosiddetto “spamming” e di introdurre un regime controllato di comunicazione pubblicitaria non sollecitata, il legislatore comunitario ha previsto l’utilizzo di registri negativi (“opt out”) nei quali possono iscriversi le persone fisiche che non desiderano ricevere le comunicazioni commerciali non sollecitate e che i prestatori hanno l’obbligo di consultare preventivamente. E’ appena il caso di accennare che il rispetto della procedura di “opt out” non impedisce il mantenimento di meccanismi di “opt in” che generalmente consistono  in liste di indirizzi di posta elettronica di persone che abbiano richiesto esplicitamente di ricevere determinate informazioni commerciali e pubblicitarie.

 

Comunicazioni per gli esercenti professioni regolamentate.

 

Previste nell’articolo 8, le comunicazioni per gli esercenti professioni regolamentate sono soggette a minori restrizioni di quelle commerciali. Deve però essere garantito da parte degli Stati membri il rispetto delle regole professionali, con particolare riferimento all’indipendenza, alla dignità, all’onore ed al decoro della professione, al segreto professionale ed alla lealtà verso colleghi e clienti, demandando, nel contempo, agli stessi Stati membri ed alla Commissione  l’elaborazione  di codici di condotta che, nel rispetto dell’autonomia delle associazioni professionali e di concerto con queste, precisino quali sono le informazioni che possono essere effettivamente fornite a fini commerciali.

 

 

Contratti conclusi per via elettronica

 

La sezione 3 del capo secondo è dedicata alla disciplina dei contratti stipulati per via elettronica.

          L’articolo 9 esprime una chiara posizione  di principio affermando che gli Stati membri debbono provvedere affinché il loro ordinamento  giuridico renda possibili i contratti per via elettronica, raccomandando, in particolare, che proprio la formazione del consenso per via elettronica non osti all’uso di tali tipi di contratti.

          Che si tratti di una posizione di estremo interesse è evidente; è infatti la compiuta esplicazione del principio che di obbligatorietà per gli Stati membri di accettare la stipula del contratto per via telematica tra prestatori e destinatari in generale (e quindi anche consumatori).

          Tuttavia, considerata la vastità e delicatezza degli interessi in gioco, viene consentita agli Stati membri la facoltà di introdurre delle deroghe al principio generale anzidetto, escludendo particolari tipologie di contratti quali:

a)    i contratti che istituiscono o trasferiscono diritti relativi a beni immobili, con esclusione dei contratti di locazione;

b)   i contratti che richiedono per legge l’intervento di organi giurisdizionali, pubblici poteri o professioni esercitanti pubblici poteri ;

c)    i contratti di fidejussione o di garanzia prestate da persone che agiscono a fini che esulano dalle loro attività commerciali, imprenditoriali e professionali;

d)   I contratti disciplinati dal diritto di famiglia e le successioni.

          Ovviamente il singolo Stato membro può esercitare la propria facoltà diminuendo od aumentando le tipologie contrattuali oggetto della deroga alla disciplina prevista nell’articolo 9; all’uopo dovranno comunicare alla Commissione quali categorie rimarranno escluse. In merito ai contratti di cui al punto b), viene previsto l’obbligo da parte degli Stati membri di presentare ogni cinque anni una relazione nella quale si aggiorni e si dia contezza dei motivi per i quali non viene applicata la disciplina sul contratto per via elettronica.

          Coerentemente con quanto previsto proprio dall’articolo 9 in merito all’obbligo per i destinatari della Direttiva di accettare i contratti per via elettronica, il legislatore europeo ha ritenuto necessario che le parti, data la particolare modalità della formazione del contratto, siano messe in condizione di ricevere tutte le informazioni essenziale ad una piena e consapevole formazione del consenso, particolarmente quando una delle parti sia un consumatore. Pertanto, salvo diverso accordo tra soggetti che non siano consumatori e fatta salva la normativa comunitaria in tema di obblighi di informazione, il prestatore del servizio della società dell’informazione sarà tenuto a fornire in modo chiaro, comprensibili, inequivocabile, anteriormente all’invio dell’eventuale ordine da parte del destinatario, le seguenti informazioni:

a)    le varie fasi tecniche previste per la conclusione del contratto;

b)   se il contratto sarà archiviato a cura del prestatore e se, in caso affermativo, come potrà accedervi;

c)    i mezzi tecnici e le procedure per individuare e correggere gli errori di inserimento dei dati prima di inoltrare l’ordine. Ciò in quanto il destinatario dovrà essere messo adeguatamente in grado di individuare e correggere gli eventuali errori commessi nell’inserimento dei dati prima dell’inoltro dell’ordine. Tale disciplina non si applica qualora il contratto sia concluso con scambio di messaggi di posta elettronica od a mezzo di altre comunicazioni individuali equivalenti.

d)   le lingue a disposizione per concludere il contratto.

Inoltre, fatto salvo diverso accordo tra parti diverse dai consumatori, anche gli eventuali codici di condotta cui aderisce il prestatore e, eventualmente, le modalità per accedervi. E’ chiaro, in questo caso, il riferimento alle categorie esercitanti professioni regolamentate.

Tutte le disposizioni sopra riportate non sono necessarie qualora il contratto sia concluso esclusivamente mediante lo scambio di messaggi di posta elettronica o di comunicazioni individuali equivalenti.

          Inoltre le condizioni e le clausole generali del contratto proposte al destinatario dovranno inoltre essere messe a disposizione del destinatario in modalità tale che gli sia consentito di memorizzarle e di riprodurle.

          La fase della conclusione del contratto è disciplinata dall’articolo 11 (inoltro dell’ordine), il quale stabilisce che, salvo deroghe possibili tra parti diverse da consumatori, relativamente all’eventuale invio di un ordine da parte del destinatario con mezzi tecnologici (e, pertanto, non solo telematici), il prestatore del servizio deve confermare per via elettronica, senza ritardo, la ricezione dell’ordine. Di tale sorta di “ricevuta di ritorno” si fa peraltro espressa menzione nella premessa (considerando 34, ove si dice che essa potrà costituire un servizio remunerato da parte di un prestatore, presumibilmente terzo rispetto alle parti). Tale disciplina, ai sensi dell’ultimo comma, non è applicabile laddove il contratto sia concluso con scambio di messaggi di posta elettronica od a mezzo di altre comunicazioni individuali equivalenti.

Il medesimo articolo introduce, in via generale ed in analogia a quanto previsto dall’art 1435 del Codice civile, la presunzione di ricezione dell’ordine e della relativa ricevuta quando le parti cui sono indirizzati hanno la possibilità di accedervi e che, pertanto, dovrebbe operare quando la comunicazione sia giunta all’indirizzo di posta elettronica delle parti.

 

Regime delle responsabilità del prestatore intermedio

 

Gli articoli dal 12 al 15 compreso trattano il delicato tema delle responsabilità del cosiddetto prestatore intermedio, ovvero di quel soggetto esercente attività imprenditoriale di prestatore dei servizi della società dell’informazione il quale offre servizi di connettività, trasmissione ed immagazzinamento di dati e/o ospiti il sito sulle proprie apparecchiature e che viene, normalmente, identificato come “provider”.

Senza entrare nel merito di un argomento che, per la sua vastità ed importanza, meriterebbe una trattazione separata, va premesso che la questione della responsabilità degli intermediari sulla rete Internet è ampiamente dibattuta, con esiti spesso clamorosamente eterogenei nell’ambito di uno stesso ordinamento giuridico. Basti pensare alle tante divergenze riscontrabili non solo tra giurisprudenza e dottrina, ma anche tra decisioni emesse da magistrati di un medesimo Stato membro.

Proprio l’estrema disomogeneità di indirizzi ha indotto il legislatore europeo ad operare una scelta che rendesse chiari i confini della responsabilità del “provider” e, nel contempo, introducesse una normativa comune in tema di responsabilità generale in capo ai prestatori intermedi.

La Direttiva ha risolto il problema nel senso di introdurre un regime di sostanziale irresponsabilità dei prestatori circa la trasmissione e/o la memorizzazione dei dati. Discorso analogo, anche se con alcune differenze, deve essere fatto per l’attività di “hosting”.

Anzitutto è necessario comprendere la portata delle tre attività prese in considerazione dalla Direttiva, ovvero il “semplice trasporto” (mere conduit), la “memorizzazione temporanea” (caching)  e la “memorizzazione stabile” (hosting).

 

a)   Semplice trasporto (mere conduit).

 

Avviene quando il prestatore intermedio si limiti a trasmettere su una rete di comunicazioni informazioni fornite da un destinatario del servizio o si limiti a fornire accesso alla rete di comunicazione stessa. Il secondo comma dell’articolo 12 specifica che le attività di trasmissione e di fornitura di accesso includono anche quelle fasi di memorizzazione automatica, intermedia e transitoria, sempre che tale attività sia esclusivamente funzionale alla trasmissione dei dati sulla rete e la cui durata  non ecceda il tempo ragionevolmente necessario a tale scopo. Ebbene, in tali casi vi è una sostanziale irresponsabilità del prestatore, a condizione che a) lo stesso non dia origine alla trasmissione; b) non selezioni il destinatario della trasmissione e c) non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse.

 

b)   Memorizzazione temporanea (“caching”)

 

Nella seconda fattispecie si considera l’attività del prestatore di un servizio che trasmette su di una rete di comunicazioni informazioni fornite da un destinatario del servizio e nella quale il prestatore provvede alla memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni  al solo scopo di renderne più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari che ne facciano richiesta. Anche in questo caso è sancito il principio della sostanziale irresponsabilità del prestatore del servizio per il contenuto delle informazioni trasmesse, a condizioni che egli:

a)    non modifichi le informazioni;

b)   si conformi alle condizioni di accesso delle informazioni;

c)    si conformi alle norme di aggiornamento delle informazioni, indicate in un modo ampiamente riconosciuto ed utilizzato dalle imprese del settore;

d)   non interferisca con l’uso lecito di tecnologia ampiamente riconosciuta ed utilizzata nel settore per ottenere dati sull’impiego delle informazioni;

e)    agisca prontamente per rimuovere le informazioni che lo stesso ha memorizzato, o per disabilitare l’accesso non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo ove si trovavano inizialmente sulla rete o che l’accesso alle medesime è stato disabilitato o che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione dell’accesso

A parte l’evidente genericità nell’individuazione di alcune condotte, che rimandano alla prassi ed agli standard operativi adottati delle imprese del settore, la Direttiva indica in maniera sufficientemente precisa e completa gli ambiti nei quali è da considerarsi operante la scriminante sulla responsabilità del provider per la trasmissione dei dati nell’attività di “caching”.

 

c)    “Hosting”

 

L’attività di “hosting” consiste nel fornire un servizio finalizzato alla memorizzazione, da parte di un prestatore (provider), di informazioni fornite a richiesta di un destinatario del servizio. Anche qui, come nelle precedenti ipotesi esaminate, l’articolo 14 stabilisce che il provider non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio a condizione che lo stesso:

a)    non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività svolta o l’informazione fornita è illecita. Inoltre, in relazione alla propria legittimazione passiva ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o circostanze che rendano manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione;

b)   agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso non appena al corrente della situazioni di illegalità;

          Ovviamente l’esenzione dalla responsabilità viene meno quando il destinatario del servizio agisce sotto l’autorità od il controllo del prestatore stesso.

          Vale, in ogni caso, il principio per cui un organo giurisdizionale od una autorità amministrativa di ogni Stato membro, in conformità con il relativo ordinamento giuridico, possa ordinare al prestatore intermedio di impedire o porre fine ad una violazione, oltre alla possibilità per ogni singolo Stato membro di definire procedure per la rimozione delle informazione o per la disabilitazione dell’accesso alle informazioni medesime.

 

          Quale corollario del principio di irresponsabilità, per tutte le ipotesi sopra considerate, si applica il principio dell’assenza di un obbligo generale di sorveglianza da parte del prestatore intermedio sulle informazioni trasmesse e memorizzate. Tantomeno si pone a carico degli stessi un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.

          Lo stesso secondo comma dell’articolo 15 consente, in maniera del tutto ragionevole, che gli Stati membri possano porre a carico dei singoli prestatori un preciso obbligo giuridico consistente nell’informare tempestivamente la competente autorità di presunte attività od informazioni illecite dei destinatari dei servizi. Parimenti viene prevista e consentita la possibilità che i prestatori siano tenuti a fornire su richiesta delle competenti autorità le informazioni necessarie a consentire l’identificazione dei destinatari dei loro servizi cui abbiano concesso la memorizzazione dei dati.

          In conclusione, il legislatore parrebbe aver introdotto un chiaro regime di sostanziale irresponsabilità dei prestatori intermedi, intervenendo in maniera anche più incisiva rispetto alle dichiarazioni programmatiche contenute nella premessa della Direttiva, laddove (considerando 42 e 46) si parla di “deroghe alla responsabilità” o di “limitazione della responsabilità”, salvo poi richiedere ai prestatori intermedi il ragionevole livello di diligenza che è ragionevole aspettarsi anche in relazione all’individuazione ed alla prevenzione di attività illecite in tale ambito (considerando 48), tenuto anche conto della natura professionale ed imprenditoriale degli esercenti l’attività di “providing”.

 

 

Composizione stragiudiziale delle controversie e tutela giurisdizionale.

 

          Nello spirito di favorire la più ampia diffusione del commercio elettronico e di limitare l’insorgere del contenzioso tra prestatori e destinatari dei servizi (consumatori inclusi), il legislatore comunitario ha inteso stimolare il sistematico ricorso agli strumenti di composizione stragiudiziale delle controversie, così come già previsti negli ordinamenti dei singoli Stati membri.

La Direttiva, inoltre, sottolinea la necessità di incentivare l’utilizzo di tali strumenti anche in via telematica ed elettronica, naturalmente previa elaborazione di adeguate procedure comuni in grado di garantire uno standard omogeneo in tema di garanzie, di trasparenza e di legalità, cercando di rendere realmente ed effettivamente possibili, di fatto e di diritto, il funzionamento di tali strumenti anche in situazioni transfrontaliere (considerando 51).

La “ratio” della norma è chiara: evitare che i sistema giurisdizionali degli Stati membri vengano intasati da una miriade di potenziali controversie, anche di piccola e piccolissima entità e, soprattutto, garantire alle parti (e, in particolare, al consumatore) l’accesso a strumenti di tutela rapidi, efficaci e poco costosi.

Questo è (e sarà) un aspetto di capitale importanza per la diffusione del commercio elettronico poiché, come è facile prevedere, proprio l’esistenza di efficienti meccanismi di tutela a livello comunitario dovrebbe contribuire ad innalzare il livello di fiducia dei consumatori nei confronti di questa nuovi strumenti.

          Ovviamente i soli meccanismi di composizione stragiudiziale od i cosiddetti “arbitrati virtuali” non possono considerarsi sufficienti ed adeguati qualora vi siano materie e diritti sottratti alla libera disponibilità delle parti o sussista la necessità di garantire provvedimenti urgenti od a carattere cautelare. All’uopo l’articolo 18 auspica che gli Stati membri provvedano ad adeguare alle nuove esigenze dell’e-commerce anche i riscorsi giurisdizionali, di modo che possano essere rapidamente presi provvedimenti, anche di carattere cautelare od interinale, atti a porre fine alle violazioni e ad impedire ulteriori danni agli interessi in causa, elaborando sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, anche se non necessariamente di natura penale (considerando 54).

         

Codici di condotta e cooperazione

 

          La Direttiva, nell’ottica di una prospettiva che tenda ad evitare una eccessiva burocratizzazione della normativa sul commercio elettronico, incoraggia un regime di liberalizzazione e di autoregolamentazione teso all’elaborazione da parte di associazioni od organizzazioni imprenditoriali, professionali e di consumatori di codici di condotta a livello comunitario volti a contribuire all’efficace applicazione della disciplina contenuta nel provvedimento normativo. Detto contributo allo sviluppo ed alla elaborazione della normativa da parte di tali soggetti dovrà essere accompagnato da una costante comunicazione agli Stati membri ed alla Commissione in merito alla valutazione dell’applicazione dei codici di condotta ed al loro impatto pratico con le tecniche del commercio elettronico, senza trascurare, nel contempo, la necessità di elaborare codici di condotta riguardanti la protezione della dignità umana, la tutela dei minori e delle categorie che rappresentano soggetti svantaggiati.

 

          Conclusioni

 

Il “considerando” 60, testualmente, recita: “Per assicurare uno sviluppo senza ostacoli del commercio elettronico, il quadro giuridico deve essere chiaro e semplice, prevedibile e coerente con le regole vigenti a livello internazionale, in modo da non pregiudicare la competitività dell’industria europea e da non ostacolare l’innovazione nel settore”. E’ una importante dichiarazione di principi, in merito alla cui portata si è già discusso in premessa e che, tra l’altro, informa anche le disposizioni conclusive della Direttiva, le quali prevedono una reciproca, continua cooperazione e lo scambio di informazioni e tra i vari Stati membri e tra questi e la Commissione, oltre ad un periodico riesame della Direttiva qualora si ravvisi la necessità di adeguarla alle nuove necessità che dovessero emergere “in itinere”.

L’obbiettivo è ambizioso: creare un mercato evoluto, che utilizzi una sola moneta. e nel quale viga il rispetto delle medesime regole e degli stessi principi.

Il legislatore comunitario ha dunque fatto la sua parte: adesso spetta ai legislatori nazionali il difficile compito di armonizzare i principi della direttiva con gli ordinamenti giuridici dei singoli Stati  membri.

 


 

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