IL CRISTIANO ED IL LAVORO

 

Il Verbo di Dio, "luce che illumina ogni uomo che viene al mondo", come volle farsi uomo per la nostra salvezza e abitare fra noi per essere via, verità e vita, così ha voluto vivere nascosto per trent’anni nell’umile casetta di Nazareth allo scopo di preparare degnamente la sua missione apostolica nella preghiera, nella famiglia e nel lavoro, e dare a noi l’esempio di ogni virtù. Con il lavoro l’uomo si associa all’opera stessa di Cristo, il quale ha conferito al lavoro una elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth.

E con la parola "lavoro" viene indicata ogni opera compiuta dall’uomo, indipendentemente dalle sue caratteristiche e dalle circostanze, cioè ogni attività umana che si può e si deve riconoscere come lavoro in mezzo a tutta la ricchezza delle azioni, delle quali l’uomo è capace e alle quali è predisposto dalla stessa sua natura, in forza della sua umanità. Fatto a immagine e somiglianza di Dio stesso nell’universo visibile, e in esso costituito perché dominasse la terra, l’uomo è perciò sin dall’inizio chiamato al lavoro. Il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l’uomo dal resto delle creature, la cui attività, connessa col mantenimento della vita, non si può chiamare lavoro; solo l’uomo ne è capace e solo l’uomo lo compie, riempiendo al tempo stesso con il lavoro la sua esistenza sulla terra. Così il lavoro porta su di sé un particolare segno dell’uomo e dell’umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone; e questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura. (Laborem exercens)

Il lavoro può essere considerato una vera e propria "vocazione", singolare ed irrepetibile per ciascuno. Fatto a immagine e somiglianza di Dio stesso, reso capace di capire il senso del creato e costituito perché dominasse la terra, l’uomo è perciò sin dall’inizio chiamato al lavoro.

Ogni uomo risponde al Creatore che chiede di perfezionare la creazione incompiuta: mediante l’esercizio della propria attività esprime e realizza sé stesso come singolo e come parte dell’umanità intera. All’interno del proprio progetto di vita e dell’edificazione della propria persona il lavoro dovrà avere per ciascuno un ruolo ed un senso irrinunciabili. La dignità del lavoro trova la sua origine in Dio stesso che chiama l’uomo a collaborare con Lui all’opera della creazione.

Insieme al compito di soggiogare la terra nel nome del Creatore, le prime pagine della Bibbia rilevano l’aspetto arduo del lavoro: "Col sudore del tuo volto mangerai il pane". Queste parole si riferiscono alla fatica a volte pesante, che da allora accompagna il lavoro umano; però, non cambiano il fatto che esso è la via sulla quale l’uomo realizza il "dominio", che gli è proprio, sul mondo visibile "soggiogando" la terra. Questa fatica è un fatto universalmente conosciuto, perché universalmente sperimentato. Lo sanno gli uomini del lavoro manuale, svolto talora in condizioni eccezionalmente gravose. Lo sanno non solo gli agricoltori, ma anche i minatori nelle miniere o nelle cave di pietra, i siderurgici accanto ai loro altiforni, gli uomini che lavorano nei cantieri edili in frequente pericolo di vita o di invalidità. Lo sanno, al tempo stesso, gli uomini legati al banco del lavoro intellettuale, lo sanno gli scienziati, lo sanno gli uomini sui quali grava la grande responsabilità di decisioni destinate ad avere vasta rilevanza sociale. Lo sanno i medici e gli infermieri, che vigilano giorno e notte accanto ai malati. Lo sanno le donne, che, talora senza adeguato riconoscimento da parte della società e degli stessi familiari, portano ogni giorno la fatica e la responsabilità della casa e dell’educazione dei figli.

Con tutta questa fatica - e forse, in certo senso, a causa di essa - il lavoro è un bene dell’uomo e dell’umanità: è strada per la quale diventa più uomo. (Laborem exercens)

Il pericolo di trattare il lavoro come "merce" o strumento di produzione o come "forza" per raggiungere risultati egoistici (si parla addirittura di "forza-lavoro") esiste sempre La missione dei cristiani scaturita dagli insegnamenti, dalla testimonianza e dalla vita stessa di Gesù Cristo, implica l’impegno per due scelte ineludibili: una per l’uomo secondo il Vangelo e l’altra per l’immagine evangelica della società.. In questa prospettiva, i pilastri di ogni modello veramente umano, cioè conforme alla dignità della persona, sono la verità, la libertà, la giustizia, l’amore, la responsabilità, la solidarietà e la pace. La realizzazione di questi valori nelle strutture della società comporta il primato dell’uomo sulle cose, la priorità del lavoro sul capitale, il superamento del conflitto lavoro-capitale

Il lavoro è il fondamento su cui si forma la vita familiare, la quale è un diritto naturale ed una vocazione dell’uomo. Questi due cerchi di valori - uno congiunto al lavoro, l’altro conseguente al carattere familiare della vita umana - devono unirsi tra loro. Il lavoro è, in un certo modo, la condizione per rendere possibile la fondazione di una famiglia, poiché questa esige i mezzi di sussistenza, che in via normale l’uomo acquista mediante il lavoro. Lavoro e laboriosità condizionano anche tutto il processo di educazione nella famiglia, proprio per la ragione che ognuno "diventa uomo", fra l’altro, mediante il lavoro, e quel diventare uomo esprime appunto lo scopo principale di tutto il processo educativo. Evidentemente qui entrano in gioco, in un certo senso, due aspetti del lavoro: quello che consente la vita ed il mantenimento della famiglia, e quello mediante il quale si realizzano gli scopi della famiglia stessa, soprattutto l’educazione. (Laborem exercens).

Il lavoro è l’espressione consueta dello "spendersi" dell’uomo che dona le capacità, il tempo, le qualità della propria persona che mediante esso si comunica ad altri in modo pur sempre gratuito. Nessun salario o riconoscimento potrà mai ricompensare in modo pieno l’impiego di sé: il salario è dovuto anche per rendere possibile la vita, non per soddisfare il bisogno di dare senso e significato al proprio impegno. Insieme con l’umanità di Gesù il lavoro è l’insieme dei talenti spesi perché la vita dell’uomo sia realizzata, perché la vita dell’altro sia arricchita dall’opera del fratello, perché tra gli uomini si costituisca una comunione profonda che supera il cerchio stretto della città che si abita, perché si riconosca che Dio ha già "lavorato" e da sempre è all’opera con l’uomo e per lui in modo che possa trovare senso e pienezza dell’esistenza. (Fede cristiana e agire sociale, C. Ambrosiano, pg. 245) Giovanni Paolo II° chiama tutto questo il Vangelo del lavoro.

Ci sarebbe anche bisogno di un paziente sforzo di educazione per imparare o imparare di nuovo a gustare semplicemente le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul nostro cammino: gioia dell’esistenza e della vita; gioia dell’amore vero; gioia della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del sacrificio. Spesso Gesù ha annunciato il Regno partendo da questo.(Paolo VI)

Il mondo moderno si è così profondamente trasformato che ormai si trovano ovunque uomini e gruppi di persone che non credono ancora o che non credono più in Gesù Cristo. La presenza della chiesa è da loro appena avvertita oppure non lo è affatto.. Pertanto in ogni luogo, ed in particolare nell’ambiente di lavoro, ormai avviene l’incontro fra cristiani e non cristiani, benché in proporzioni e condizioni assai diverse. Di conseguenza tutti i cristiani, ovunque si trovino, sono coinvolti nell’attività "missionaria", che esige la partecipazione di tutti.

L’irradiazione del Vangelo può farsi quanto mai capillare, quando giunge a tanti luoghi e ambienti quanti sono quelli legati alla vita quotidiana e concreta dei laici. Si tratta di un’irradiazione costante, essendo legata alla continua coerenza della vita personale con la fede; come pure di un’irradiazione particolarmente incisiva, perché, nella piena condivisione delle condizioni di vita, del lavoro, delle difficoltà e speranze dei fratelli. I laici possono giungere al cuore dei loro vicini o amici o colleghi, aprendolo all’orizzonte totale, al senso pieno dell’esistenza: la comunione con Dio e tra gli uomini. (Christifideles laici).

Il lavoro - nel senso ampio detto all’inizio - si presenta come elemento integrante della fisionomia del laico cristiano. Ancor più, come elemento decisivo, perché la "professione" è fattore determinante della sua vita e del suo inserimento nel mondo. Si può affermare - in questa prospettiva - che la vita spirituale del laico basata, come ogni esistenza cristiana sulla grazia e sui sacramenti, si struttura e si sviluppa intorno al lavoro. Di conseguenza la sua esperienza spirituale si può sintetizzare con le parole di J. Escrivà: "Santificarsi nel lavoro, Santificare con il lavoro, Santificare il lavoro".

Santificarsi nel lavoro. I compiti umani non sono solo espressione della propria personalità, base per la crescita della famiglia, strumento per contribuire al progresso della società, manifestazione di solidarietà, di spirito creatore: ma concrete modalità di amore verso Dio di cui si continua l’opera, occasione per identificarsi all’umanità di Gesù che redime, disposizione d’anima verso il piano di Dio sul cammino degli uomini.

Santificare con il lavoro. I figli di Dio animano la vita del mondo permeando di spirito cristiano le strutture in ci sono inseriti, particolarmente l’ambito del lavoro in cui impegnano la maggior parte del tempo e della personalità. Testimoniano così l’intima connessione tra ciò che è cristiano e ciò che è umano.

Santificare il lavoro. L’amore, che ci fa simili a Dio, richiede di farsi strada attraverso la competenza tecnica, la serietà professionale, la dedizione, l’impegno. Anche l’opera, non solo la persona, è immagine di Dio.

 

Nel cap. 38 del Siracide (libro dell’Antico Testamento) c’è un elenco di arti e mestieri come erano allora conosciuti. La Bibbia dice di questi lavoratori che "confidano nelle loro mani e ciascuno è abile nel suo mestiere. Senza di loro la città non può essere costruita e nessuno potrebbe avere ciò che occorre alla vita".

Poi l’autore sacro aggiunge una espressione molto bella: "Queste persone assicurano il funzionamento del mondo e il loro lavoro intelligente è una vera preghiera".

Interprete della sapienza di Dio, che governa il creato e le creature, il lavoro dell’uomo - che Gesù ha liberato dalle sue ambiguità - può diventare mediazione di comunione con Dio e tra gli uomini.

 

 

 

IL CRISTIANO ED IL LAVORO

 

Il Verbo di Dio, "luce che illumina ogni uomo che viene al mondo", come volle farsi uomo per la nostra salvezza e abitare fra noi per essere via, verità e vita, così ha voluto vivere nascosto per trent’anni nell’umile casetta di Nazareth allo scopo di preparare degnamente la sua missione apostolica nella preghiera, nella famiglia e nel lavoro, e dare a noi l’esempio di ogni virtù.

Il magistero della chiesa ha più volte messo in evidenza l’importanza del mistero eucaristico nella vita dei fedeli e la sua efficacia a illuminare il significato del lavoro umano e di tutta la natura creata, poiché, in esso "elementi naturali, coltivati dall’uomo, vengono mutati nel corpo e nel sangue di Gesù": per la grazia dell’Eucarestia si può dire che è Gesù che continua a lavorare.

Il mondo moderno si è così profondamente trasformato che ormai si trovano ovunque uomini e gruppi di persone che non credono ancora o che non credono più in Gesù Cristo. La presenza della chiesa è da loro appena avvertita oppure non lo è affatto.. Pertanto in ogni luogo, ed in particolare nell’ambiente di lavoro, ormai avviene l’incontro fra cristiani e non cristiani, benché in proporzioni e condizioni assai diverse. Di conseguenza tutti i cristiani, soprattutto i laici, ovunque si trovino, sono coinvolti nell’attività "missionaria", che esige la partecipazione di tutti.

La chiesa lo ha riaffermato solennemente nell’ultimo concilio: "La persona umana è e deve essere il principio, il soggetto e il fine di tutte le istituzioni ". Ogni uomo ha diritto al lavoro, alla possibilità di sviluppare le proprie qualità e la propria personalità nell’esercizio della sua professione, ad un’equa rimunerazione che permetta "a lui e alla sua famiglia condurre una vita degna sul piano materiale, sociale, culturale e spirituale", all’assistenza in caso di bisogno per motivi di malattia o di età

L’attività economica, che è necessaria, può essere "sorgente di fraternità e segno della Provvidenza" se posta al servizio dell’uomo; essa è l’occasione di scambi concreti tra gli uomini, di diritti riconosciuti, di servizi resi, di dignità affermata nel lavoro.  

L’esperienza, purtroppo, dimostra che ancora oggi molti cristiani sono spesso ben lontani dal dare testimonianza di rispetto e di osservanza dei loro doveri nei riguardi degli inviolabili diritti dell’uomo, particolarmente nell’ambiente del lavoro, nella vita sociale, nel mondo dell’economia, nella politica e perfino nella scuola. Forse la forma di educazione che molti battezzati hanno ricevuto, invece di essere aperta ad una fraterna convivenza con gli altri al fine di garantire la vera unità e la vera pace sulla terra, ha fomentato in loro un gretto individualismo così tardo nel riconoscere i diritti degli altri. 

Ci sarebbe anche bisogno di un paziente sforzo di educazione per imparare o imparare di nuovo a gustare semplicemente le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul nostro cammino: gioia esaltante dell’esistenza e della vita; gioia dell’amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del sacrificio. Il cristiano potrà purificarle, completarle, sublimarle: non può disdegnarle. La gioia cristiana suppone un uomo capace di gioie naturali. Molto spesso partendo da queste, il Cristo ha annunciato il regno di Dio 

D’altra parte questa formazione riguarda allo stesso tempo l’aspetto spirituale e quello temporale della vita che essa non deve né separare né tanto meno contrapporre e il ruolo dei laici nella comunità ecclesiale e la loro presenza attiva, vera e propria diaspora, nel mondo. " I laici, che la loro vocazione specifica pone in mezzo al mondo e alla guida dei più svariati compiti temporali ", hanno come " campo proprio della loro attività evangelizzatrice il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione, quali l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza " (EV 70). La formazione dei laici deve dunque riattualizzare la loro "vocazione specifica" e moltiplicare il numero e la qualità degli evangelizzatori: " Più ci saranno laici penetrati di spirito evangelico, responsabili di queste realtà ed esplicitamente impegnati in esse, competenti nel promuoverle e consapevoli di dover sviluppare tutta la loro capacità cristiana, tanto più queste realtà, senza nulla perdere né sacrificare del loro coefficiente umano, ma manifestando una dimensione trascendente spesso sconosciuta, si troveranno al servizio dell’edificazione del regno di Dio, e quindi della salvezza in Gesù Cristo " (EN 70). 

Ma è con la loro vita di tutti i giorni (famiglia, studio, lavoro, rapporti di vicinato e di amicizia, svaghi, ecc.) che essi sono chiamati a santificarsi e a santificare il mondo. Nel complesso, accanto alla testimonianza cristiana quotidiana, restano loro poche possibilità per partecipare alle attività di organizzazioni o di movimenti ecclesiali, o per assumere altre responsabilità sociali o ecclesiali, esigenti e assorbenti. I responsabili laici devono dar prova di disponibilità e di spirito di sacrificio per dedicare una parte del proprio tempo, già ridotto, all’esercizio dei vari ministeri non ordinati, alle funzioni di animatori di comunità cristiane, di militanti o dirigenti di movimenti, di catechisti, di " formatori " di altri laici, di dirigenti cristiani ai vari livelli della vita della chiesa e del mondo.

Il lavoro appare come una grande realtà, che esercita un fondamentale influsso sulla formazione in senso umano del mondo affidato all’uomo dal Creatore, ed è una realtà strettamente legata all’uomo, come al proprio soggetto, ed al suo razionale operare. Questa realtà, nel corso normale delle cose, riempie la vita umana e incide fortemente sul suo valore e sul suo senso. Anche se unito con la fatica e con lo sforzo, il lavoro non cessa di essere un bene, sicché l’uomo si sviluppa mediante l’amore per il lavoro. Questo carattere del lavoro umano, del tutto positivo e creativo, educativo e meritorio, deve costituire il fondamento delle valutazioni e delle decisioni, che oggi si prendono nei suoi riguardi, anche in riferimento ai diritti soggettivi (Laborem exercens

L’uomo d’oggi sembra essere sempre minacciato da ciò che produce, cioè dal risultato del lavoro delle sue mani e, ancor più, del lavoro del suo intelletto, delle tendenze della sua volontà. I frutti di questa multiforme attività dell’uomo, troppo presto e in modo spesso imprevedibile, sono non soltanto e non tanto oggetto di "alienazione", nel senso che vengono semplicemente tolti a colui che li ha prodotti; quanto, almeno parzialmente, in una cerchia conseguente e indiretta dei loro effetti, questi frutti si rivolgono contro l’uomo stesso. Essi sono, infatti, diretti, o possono essere diretti contro di lui. In questo sembra consistere l’atto principale del dramma dell’esistenza umana contemporanea, nella sua più larga ed universale dimensione.

L’uomo, mediante il lavoro, deve procurarsi il pane quotidiano e contribuire al continuo progresso delle scienze e della tecnica, e soprattutto all’incessante elevazione culturale e morale della società, in cui vive in comunità con i propri fratelli. E con la parola "lavoro" viene indicata ogni opera compiuta dall’uomo, indipendentemente dalle sue caratteristiche e dalle circostanze, cioè ogni attività umana che si può e si deve riconoscere come lavoro in mezzo a tutta la ricchezza delle azioni, delle quali l’uomo è capace e alle quali è predisposto dalla stessa sua natura, in forza della sua umanità. Fatto a immagine e somiglianza di Dio stesso nell’universo visibile, e in esso costituito perché dominasse la terra, l’uomo è perciò sin dall’inizio chiamato al lavoro. Il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l’uomo dal resto delle creature, la cui attività, connessa col mantenimento della vita, non si può chiamare lavoro; solo l’uomo ne è capace e solo l’uomo lo compie, riempiendo al tempo stesso con il lavoro la sua esistenza sulla terra. Così il lavoro porta su di sé un particolare segno dell’uomo e dell’umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone; e questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura. (Laborem exercens)

Se, infatti, come mi sono espresso nell’enciclica Redemptor hominis, pubblicata all’inizio del mio servizio nella sede romana di san Pietro, l’uomo "è la prima e fondamentale via della chiesa", e ciò proprio in base all’inscrutabile mistero della redenzione in Cristo, allora occorre ritornare incessantemente su questa via e proseguirla sempre di nuovo secondo i vari aspetti, nei quali essa ci svela tutta la ricchezza e al tempo stesso tutta la fatica dell’esistenza umana sulla terra.

Il lavoro è uno di questi aspetti, perenne e fondamentale, sempre attuale e tale da esigere costantemente una rinnovata attenzione e una decisa testimonianza. Perché sorgono sempre nuovi interrogativi e problemi, nascono sempre nuove speranze, ma anche timori e minacce connesse con questa fondamentale dimensione dell’umano esistere, con la quale la vita dell’uomo è costruita ogni giorno, dalla quale essa attinge la propria specifica dignità, ma nella quale è contemporaneamente contenuta la costante misura dell’umana fatica, della sofferenza e anche del danno e dell’ingiustizia che penetrano profondamente la vita sociale, all’interno delle singole nazioni e sul piano internazionale. Se è vero che l’uomo si nutre col pane del lavoro delle sue mani, e cioè non solo di quel pane quotidiano col quale si mantiene vivo il suo corpo, ma anche del pane della scienza e del progresso, della civiltà e della cultura, allora è pure una verità perenne che egli si nutre di questo pane col sudore del volto, cioè non solo con lo sforzo e la fatica personali, ma anche in mezzo a tante tensioni, conflitti e crisi che, in rapporto con la realtà del lavoro, sconvolgono la vita delle singole società e anche di tutta l’umanità. (Laborem exercens)

Il pericolo di trattare il lavoro come una "merce sui generis", o come una anonima "forza" necessaria alla produzione (si parla addirittura di "forza-lavoro"), esiste sempre, e specialmente qualora tutta la visuale della problematica economica sia caratterizzata dalle premesse dell’economismo materialistico.

Per realizzare la giustizia sociale nelle varie parti del mondo, nei vari paesi e nei rapporti tra di loro, sono necessari sempre nuovi movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà con gli uomini del lavoro. (Laborem exercens)

La fondamentale e primordiale intenzione di Dio nei riguardi dell’uomo, che egli "creò... a sua somiglianza, a sua immagine", non è stata ritrattata né cancellata neppure quando l’uomo, dopo aver infranto l’originaria alleanza con Dio, udì le parole: "Col sudore del tuo volto mangerai il pane". Queste parole si riferiscono alla fatica a volte pesante, che da allora accompagna il lavoro umano; però, non cambiano il fatto che esso è la via sulla quale l’uomo realizza il "dominio", che gli è proprio, sul mondo visibile "soggiogando" la terra. Questa fatica è un fatto universalmente conosciuto, perché universalmente sperimentato. Lo sanno gli uomini del lavoro manuale, svolto talora in condizioni eccezionalmente gravose. Lo sanno non solo gli agricoltori, che consumano lunghe giornate nel coltivare la terra, la quale a volte "produce pruni e spine", ma anche i minatori nelle miniere o nelle cave di pietra, i siderurgici accanto ai loro altiforni, gli uomini che lavorano nei cantieri edili e nel settore delle costruzioni in frequente pericolo di vita o di invalidità. Lo sanno, al tempo stesso, gli uomini legati al banco del lavoro intellettuale, lo sanno gli scienziati, lo sanno gli uomini sui quali grava la grande responsabilità di decisioni destinate ad avere vasta rilevanza sociale. Lo sanno i medici e gli infermieri, che vigilano giorno e notte accanto ai malati. Lo sanno le donne, che, talora senza adeguato riconoscimento da parte della società e degli stessi familiari, portano ogni giorno la fatica e la responsabilità della casa e dell’educazione dei figli. Lo sanno tutti gli uomini del lavoro e, poiché è vero che il lavoro è una vocazione universale, lo sanno tutti gli uomini.

Eppure, con tutta questa fatica - e forse, in un certo senso, a causa di essa - il lavoro è un bene dell’uomo. Se questo bene comporta il segno di un "bonum arduum", secondo la terminologia di san Tommaso, ciò non toglie che, come tale, esso sia un bene dell’uomo. Ed è non solo un bene "utile" o "da fruire", ma un bene "degno", cioè corrispondente alla dignità dell’uomo, un bene che esprime questa dignità e la accresce. Volendo meglio precisare il significato etico del lavoro, si deve avere davanti agli occhi prima di tutto questa verità. Il lavoro è un bene dell’uomo - è un bene della sua umanità -, perché mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, "diventa più uomo".(Laborem exercens). 

Confermata in questo modo la dimensione personale del lavoro umano, si deve poi arrivare al secondo cerchio di valori, che è ad esso necessariamente unito. Il lavoro è il fondamento su cui si forma la vita familiare, la quale è un diritto naturale ed una vocazione dell’uomo. Questi due cerchi di valori - uno congiunto al lavoro, l’altro conseguente al carattere familiare della vita umana - devono unirsi tra sé correttamente, e correttamente permearsi. Il lavoro è, in un certo modo, la condizione per rendere possibile la fondazione di una famiglia, poiché questa esige i mezzi di sussistenza, che in via normale l’uomo acquista mediante il lavoro. Lavoro e laboriosità condizionano anche tutto il processo di educazione nella famiglia, proprio per la ragione che ognuno "diventa uomo", fra l’altro, mediante il lavoro, e quel diventare uomo esprime appunto lo scopo principale di tutto il processo educativo. Evidentemente qui entrano in gioco, in un certo senso, due aspetti del lavoro: quello che consente la vita ed il mantenimento della famiglia, e quello mediante il quale si realizzano gli scopi della famiglia stessa, soprattutto l’educazione. (Laborem exercens). 

La società - anche quando non ha ancora assunto la forma matura di una nazione - è non soltanto la grande "educatrice" di ogni uomo, benché indiretta (perché ognuno assume nella famiglia i contenuti e valori che compongono, nel suo insieme, la cultura di una data nazione), ma è anche una grande incarnazione storica e sociale del lavoro di tutte le generazioni. Tutto questo fa sì che l’uomo unisca la sua più profonda identità umana con l’appartenenza alla nazione, ed intenda il suo lavoro anche come incremento del bene comune elaborato insieme con i suoi compatrioti, rendendosi così conto che per questa via il lavoro serve a moltiplicare il patrimonio di tutta la famiglia umana, di tutti gli uomini viventi nel mondo. (Laborem exercens

Nell’apostolato personale ci sono grandi ricchezze che chiedono di essere scoperte per un’intensificazione del dinamismo missionario di ciascun fedele laico. Con tale forma di apostolato, l’irradiazione del Vangelo può farsi quanto mai capillare, giungendo a tanti luoghi e ambienti quanti sono quelli legati alla vita quotidiana e concreta dei laici. Si tratta, inoltre, di un’irradiazione costante, essendo legata alla continua coerenza della vita personale con la fede; come pure di un’irradiazione particolarmente incisiva, perché, nella piena condivisione delle condizioni di vita, del lavoro, delle difficoltà e speranze dei fratelli, i fedeli laici possono giungere al cuore dei loro vicini o amici o colleghi, aprendolo all’orizzonte totale, al senso pieno dell’esistenza: la comunione con Dio e tra gli uomini. (Christifideles laici). 

A tal fine i fedeli laici devono compiere il loro lavoro con competenza professionale, con onestà umana, con spirito cristiano, come via della propria santificazione, secondo l’esplicito invito del concilio: "Con il lavoro, l’uomo ordinariamente provvede alla vita propria e dei suoi familiari, comunica con gli altri e rende servizio agli uomini suoi fratelli, può praticare una vera carità e collaborare con la propria attività al completarsi della divina creazione. Ancor più: sappiamo che, offrendo a Dio il proprio lavoro, l’uomo si associa all’opera stessa redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro una elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth". (Christifideles laici

Nello scoprire e nel vivere la propria vocazione e missione, i fedeli laici devono essere formati a quell’unità di cui è segnato il loro stesso essere di membri della chiesa e di cittadini della società umana.

Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta "spirituale", con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall’altra, la vita cosiddetta "secolare", ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura. Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell’attività e dell’esistenza. Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come il "luogo storico" del rivelarsi e del realizzarsi della carità di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto - come, ad esempio, la competenza e la solidarietà nel lavoro, l’amore e la dedizione nella famiglia e nell’educazione dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta della verità nell’ambito della cultura - sono occasioni provvidenziali per un "continuo esercizio della fede, della speranza e della carità" (Christifideles laici)