VANGELO E CULTURA

 

1. La presenza di Gesù fra noi ha valenza sapienziale e culturale. In un mondo dove si smarriscono i valori, Lui è punto di riferimento basilare e sicuro.

Il rapporto del Vangelo e della Chiesa con le culture è un tema centrale e decisivo del cristianesimo e della vita umana.
Gesù, Verbo fatto Uomo, è venuto per unirsi in certo modo ad ogni figlio di Dio ed abita in mezzo a noi per fare di ciascuno e di tutta l’umanità una creatura nuova. Ha portato sulla terra la civiltà della sapienza infinita ed eterna e per trasmettere gli ideali, le strade e le condizioni (in tutti i suoi aspetti) della perfezione umana, della felicità e della gioia.
La sua vita e la sua parola sono annuncio di luce, di beatitudine, di pienezza di vita. "Io sono la luce del mondo: chi segue Me avrà la luce della vita" (Gv., 8,12) e "Vi ho detto queste cose perchè la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Gv. !5,11) perchè "Chi trova Me, trova la vita" (Gv. 14,6). Con le parole "luce, gioia, vita" Gesù vuol dire tutto ciò che l’uomo vuole e desidera essere; intende proporsi come artefice di nuova umanità nel senso integrale.
Da allora l’uomo che vuole realizzarsi ha un aiuto efficace ed inimmaginabile, come solo un Dio "competente" in umanità (in tutte le sue espressioni) è in grado di dargli. Gesù "si ricorda" dell’identità di colui che era stato creato e identificandosi con "la carne" riporta la creatura a splendore e dignità altissimi. Nessuno aveva mai amato concretamente così.
Perchè si deve pensare che il Vangelo sia soltanto una cosa spirituale? Perchè pensiamo che Gesù ci dica qualcosa che serva soltanto dai tetti in sù e che dai tetti in giù il mondo sia lasciato in balìa di chi non è in grado trovare orientamenti sicuri e armonia di esistenza? Il Vangelo è la cosa più concreta che c’è, perchè Gesù è il Dio fatto bambino, che si tocca; è il Dio che è cresciuto e diventato adulto, uomo, con una mente, con un’intelligenza, che aveva dentro tutto. Appare come l’Uomo Perfetto che ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nessun maestro più grande di Lui; nessun sociologo più grande di Cristo; nessun psicologo più competente di Lui; nessun artista più grande. È la Verità che contiene e supera le parziali verità.

 

2. Che cosa è cultura. Un tentativo di descrizione.
La cultura è ciò che determina la "fisionomia" di un individuo e di un popolo, è ciò che caratterizza la personalità collettiva che acquista un determinato ambito sociale quando i suoi membri concretizzano il loro rapporto con la natura, con gli altri uomini, con Dio. È lo stile di vita comune che caratterizza i diversi popoli o le varie aggregazioni: perciò si parla di pluralità di culture.
La cultura abbraccia la totalità della vita di un popolo: il complesso dei valori che lo animano e dei disvalori che lo debilitano e che essendo condivisi da tutti i membri li riunisce in base ad una stessa "coscienza collettiva". La cultura abbraccia pure le forme attraverso cui quei valori o disvalori si esprimono o si configurano, cioè i costumi, la lingua, le istituzioni, e le strutture della convivenza sociale.
In altre parole per conoscere la cultura di un determinato ambito ci si fa delle domande. Come concepisce quella determinata gente la la vita familiare (come si dà il rapporto uomo-donna, padri-figli, sessualità-responsabilità, amore-impegno corrispondente..); come vive i rapporti di amicizia, di parentela, la sofferenza, il lavoro, l’impegno educativo, il divertimento, lo sport, la salute e la malattia, l’amore alla propria terra, la morte, il rapporto con gli antenati; quale senso prevalente dà alla vita (pragmatico, contemplativo, consumista, edonista, fatalista...); come esprime socialmente i rapporti economici; quali immagini si fa di Dio e quali rapporti ha con Lui... Tutto questo produce delle mentalità, delle usanze, degli stili di condotta, di criteri di valutazione, delle maniere di convivere, delle forme di reagire, di relazionarsi con altre realtà vicine o lontane. Ciò che costituisce "la personalità" di una popolazione, il suo stile di vita, la "coscienza collettiva" che lo regola ha un termine globalizzante che si chiama "cultura".
La cultura è l’espressione dell’uomo, è la conferma dell’umanità. L’uomo la crea e, mediante essa, l’uomo crea sè stesso. Egli crea sè stesso con lo sforzo interiore dello spirito, del pensiero, della volontà, del cuore. E al medesimo tempo crea la cultura in comunione con gli altri. La cultura è l’espressione del comunicare, del pensare insieme e del collaborare insieme degli uomini: diventa bene in cui le comunità umane si riconoscono. Mediante la cultura l’uomo accede sempre più profondamente all’intera misura della sua umanità.
Gesù allora non può essere presente pienamente oggi nell’uomo e tra gli uomini senza la cultura. Essenziale diventa il rapporto tra la fede e la cultura. La fede crea il bisogno di una cultura.
Fare cultura "piena" è dare all’uomo, a ogni uomo e alla comunità degli uomini una dimensione umana e divina, è offrire e comunicare all’uomo quella umanità e quella divinità che sgorgano dall’uomo perfetto che è il Cristo.

 

3. I rischi dell’uomo d’oggi
È necessario, oggi più che mai, che l’uomo sappia guardarsi "dal rischio che c’è nell’affidarsi passivamente alle "ricette pronte", fornite dalle ideologie che lo attraggono, per impegnarsi nella riflessione personale sui problemi fondamentali, per poter maturare scelte responsabili e costruttive. Bisogna portare l’intelligenza al vero, perchè non soccomba alla malattia mortale del relativismo; portare la volontà al bene sottraendola alle suggestioni di un libertarismo vuoto e inconcludente; condurre l’uomo intero alla oggettività dei valori, contro ogni forma di soggettivismo che, nonostante le apparenze, è tutt’altro che affermazione della dignità dell’uomo.
Una attenta lettura del mondo in cui siamo raccolti interpella profondamente il pensare del credente in un processo continuo di conoscenza e di amore che faccia cadere ciò che non ha valore e rimanere in piedi solo la verità. Non sono infatti alienanti alcuni spaccati della vita d’oggi ed alcuni usi indiscriminati della scienza non certamente a favore dell’uomo? È proprio tutto "progresso" ciò che viene presentato come conquista? La ricerca affannosa dell’"avere" non risulta talvolta a scapito del "saper esistere"? Le situazioni di assurdo e di angoscia derivanti dalla perdita del "senso" dell’esistenza non richiedono nuova luce e nuova speranza? L’interesse egoistico e di parte non spegne tante volte la necessaria solidarietà? Non sentiamo forse il bisogno di riconsiderare la "sorte divina" del disegno dell’uomo che faccia trovare sentieri nuovi in mezzo ai tanti enigmi, alle incognite, alle tortuosità, alle confusioni di pensiero e di valutazioni? Non ci rendiamo conto oggi del mondo giovanile, più degli altri, sottoposto a correnti edonistiche che esasperano i suoi istinti e lo affascinano con le illusioni di un consumo d’ogni tipo senza discriminazioni? L’opinione pubblica non si trova come impotente perchè manipolata da suggestioni ingannevoli di una potente pubblicità che ha bisogno invece di essere valutata da valori critici e vigilanti?
È per questo che il rapporto fede-ragione è determinante, perchè è nella fede che è dato all’uomo l’arricchimento ed il fascino del pensiero di Cristo (Io sono la verità) e il profilo autentico della propria identità: ed è la cultura che ha il compito di accoglierlo ed "incarnarlo".
C’è un bisogno di fede da parte della cultura ed un’esigenza di cultura da parte della fede. Proprio perchè nascano stili di vita, criteri di valutazione, obiettivi da raggiungere degni dell’uomo "inculturati" in un’arte nuova di pensare e di decidere.

 

4. La sfida dell’intelligenza. L’esperienza di S. Agostino.
La fede esige di essere pensata dall’intelligenza dell’uomo. Non giustapponendosi a quanto l’intelligenza può conoscere con la sua luce naturale, ma permeando dal di dentro questa stessa conoscenza: così la fede diventa cultura. D’altronde senza la fede non si può dare autentica cultura. È la fede infatti che consente all’uomo di trascendere il rpoprio limite e la propria finitezza (da solo l’uomo non è in grado di scoprire che verità parziali) per raggiungere il "Luogo" dove abita sicura la verità tutta intera.
Se manca l’incontro di fede e cultura, nè la fede genererà cultura, nè la cultura sarà pienamente umanizzata e potrà realizzare ciò per cui l’uomo è nato. Viene a mancare la Sapienza di Chi l’ha fatto e di Chi si è unito a lui donandosi interamente e non si potrà camminare verso una civiltà della Sapienza e dell’Amore.
Una pagina di di acume particolare è dovuta a Paolo VI° in un discorso tenuto a Pavia nel maggio 1960 parlando di S. Agostino. "In lui (s. Agostino) una santità logica, una santità pensante. Ci immaginiamo noi spesso che la santità sia una evasione dalla ragione umana: o perchè prevale l’impero amoroso della volontà; o perchè permeata di fede, il mistero, non la chiarezza razionale la conduce; o perchè, fenomeno mistico, l’imponderabile intervento della divina virtù la travolge; o perchè, documentata da fenomeni sovrumani e straordinari, ammirare piuttosto si deve, che comprendere ed imitare. Agostino non spegne mai il lume sempre vegliante, sempre penetrante della sua intelligenza. Sale pensando. Prega pensando. Scrive, parla, agisce pensando. Il problema della verità, diventato per lui certezza della verità, domina tutto il suo sitema dottrinale, tutta la sua azione pastorale: "mi pare - scrive ad Ermogeniano - che gli uomini sono da ricondurre alla speranza di trovare la verità" (Ep. I,1). poi la corrispondenza, poi la predicazione, poi la riflessione su se stesso svolta a colloquio con Dio, poi la grande meditazione sul senso della storia spingono il suo pensiero a scoperte uniche".
Comprendiamo perchè Agostino - e con lui i grandi pensatori dei primi secoli e tutta la cristianità - affacciandosi sul mondo pagano, non offra dei riti che sostituiscano altri riti, ma presenta una nuova coscienza della vita e del mondo elaborata ed attuata dalle certezze evangeliche. Il cristianesimo ha fatto cultura, ha costruito civiltà.
Ciò che il Papa chiama "la pastorale dell’intelligenza" porta al ricupero dei "vuoti" dell’impegno cristiano oggi e a riproporre nuovi cammini di civiltà.
La scrittrice Marléne Tuininga nella lettera a Suor Emanuelle, di cui ha scritto un libro-intervista, afferma: "Sei una donna tra gli uomini che "trasuda" speranza. Tracciare il segno della tua vita che diventa idee, fissare nella parola scritta il tuo carisma così singolare e, quindi, per condividere la tua speranza : accettare queste sfide per me è stata una gioia".Oggi occorrono molti cristiani insieme per essere "vita che diventa idee".

 

5. Condizioni per l’impatto fruttuoso ed autentico fra fede e cultura
È importante notare che una fede che cerca l’intelligenza, che vuol farsi cultura, non può essere una fede qualsiasi. Per il cristiano la fede non è un’astrazione, ma una Persona: Gesù in noi. Gesù così vicino e così umile per cui la gloria della divinità riesce a penetarre l’indigenza dell’umanità senza farle violenza, senza alienarla, dandole il tutto di Sè senza portarle via nulla di quanto le è proprio. Per questo la fede non è essa stessa una cultura, ma domanda di diventare cultura, entrando dal di dentro nelle culture dell’uomo per lievitarle, spingendole alla Vita Sapienziale.
D’altra parte, non una cultura qualsiasi può accogliere la fede. Occorre una cultura che sia "esperta" della propria indigenza, che senta il proprio limite, che sappia non chiudersi sul già trovato, ma continuamente protendersi al non ancora raggiunto, avendo come orizzonte l’Infinito.
Di qui il lavoro del cristiano all’interno delle culture, iniziando dal mostrare nella trasparenza di una vita sapienziale che se la fede non è accolta, è sempre e solo l’uomo ad essere sacrificato.

6. Le affermazioni e le esigenze che vengono da chi si definisce senza fede
Sono interessanti le affermazioni e le osservazioni che vengono dal mondo laico, talvolta anti-ecclesiale. Scrive Benedetto Croce: "La polemica antiecclesiastica più violenta che percorre i secoli dell’età moderna si è sempre arrestata ed ha taciuto riverente al ricordo della persona di Gesù, sentendo che l’offesa a lui sarebbe stata offesa a se medesima, alle ragioni del suo ideale, al cuore del suo cuore".
È un fatto che, per quanto severamente critici verso la chiesa, "creduli o increduli - osserva Oriani - nessuno sa sottrarsi all’incanto della figura di Gesù, nessun dolore ha rinunciato sinceramente al fascino della sua promessa".
Il Gesù del mondo laico è sganciato dalla mediazione ecclesiale e insieme dalla visione teologica: "So con certezza - sostiene Lombardo-Radice - che, anche il giorno in cui nessun uomo credesse più esplicitamente ai misteri del cristianesimo, la dottrina di Gesù, Figlio dell’uomo, la sua vita e la sua morte conserverebbero tutta la loro importanza per l’umanità intera".
Rimane Gesù nella sua umanità, con le sue scelte e i suoi valori, ma riletto da un’ottica secolare: "Tutti gli eventi fondamentali della vita di Cristo, che sono diventati simboli basilari della fede cristiana, - continua Lombardo-Radice - sono traducibili in un linguaggio puramente umano e laicizzato". L’esclamazione di R. Garaudy: "Uomini di Chiesa, restituiteci Gesù Cristo!" indica il desiderio di un recupero del Gesù autentico, liberato dalla polvere dei secoli e dalle incrostazioni superflue e tale da poter dare un significato all’esistenza: "la sua vita e la sua morte - è ancora Garaudy che parla - appartengono anche a noi, a tutti coloro per cui esse hanno un senso".
Un poeta come Ungaretti si è elevato liricamente fino all’invocazione di fede:

"Cristo, pensoso palpito,
Astro incarnato nell’umane tenebre,
Fratello che t’immoli
Perennemente per riedificare
Umanamente l’uomo,
Santo, santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli..."

Che dire poi della testimonianza di Gandhi: "Gesù occupa nel mio cuore il posto di un grande maestro dell’umanità che ha notevolmente influito nella mia vita". Non sarà anche Gesù ad averne fatto un testimone della non-violenza, la corrente di pensiero che ha trasformato l’India?

 

7. Uno sguardo alla storia.
Significativo - tra i tanti esempi storici - il rapporto tra cristianesimo e schiavitù. Con un’opera paziente, costante, proporzionata alla consistenza delle proprie forze il cristianesimo agì insegnando ed attuando i principi dell’uguaglianza, della fratellanza, dell’amore fra tutti gli uomini. Commovente la lettera di s. Paolo a Filemone in favore di Onesimo, suo schiavo fuggitivo, accolto, convertito e rimandato al suo padrone: "ricevilo non più come schiavo, ma come un fratello diletto".
Il papa Callisto era stato schiavo; molte schiave contribuirono alla propagazione del Vangelo, parecchie furono diaconesse; rilevante il numero di schiavi e schiave martiri della fede. Nei sec. IV-VI era cosa molto comune vedere padroni liberare i propri schiavi o nell’atto di abbracciare una vita più perfettamente cristiana o al momento di ricevere il battesimo o in punto di morte come rimedio ad un passato da ricuperare.
A poco a poco l’uguaglianza evangelica divenne "cultura" e "costume" fino ad avere nella legislazione di Giustiniano il riconoscimento giuridico. Il Vangelo si era fatto "mentalità" e "diritto".
Anche oggi il corpo dei cristiani compaginati fra loro è chiamato ad esprimere una esperienza di vita, guidata dalla fede, che crei le premesse per affrancare il mondo dalle numerose "servitù" di oggi e tracci il sentiero di una nuova umanità.

 

8. Il dramma della nostra epoca
Paolo VI° ha avuto il coraggio di affermare che "la rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca come lo fu anche di altre".
Non è difficile constatare poi che in questa rottura si va elaborando un modo di pensare e di orientarsi, che si definisce "laico", il quale, pur avendo al suo interno varietà di posizioni, si trova pressochè unanime nel proporre sempre più decisamente (talvolta aggressivamente) un umanesimo senza riferimenti a un qualsiasi Assoluto.
L’uomo moderno si percepisce come soggetto autocosciente e libero; afferma giustamente la propria originalità e centralità nell’ambiente naturale e sociale. È tentato però di mettere da parte il rapporto vitale con la verità oggettiva, con gli altri e con Dio. A volte spinge la propria autonomia fino a considerarsi "sorgente dei valori" e a decidere "i criteri del bene e del male". Allora rimane prigioniero della propria libertà; decade a individuo chiuso in sè stesso e solo. I valori e le norme morali, i criteri e la mentalità con cui realizzare la vita diventano punti di vista soggettivi: tutto si fa relativo. L’esistenza si frantuma in una successione di esperienze effimere senza disegno, come un andare a vuoto senza direzione e senza meta. Tali tendenze culturali trovano il loro ambiente propizio nella veloce mobilità e nella complessità della vita moderna, groviglio spesso di relazioni parcellizzate senza un punto sicuro di riferimento. Sono alimentate e amplificate dai media che diffondono troppo spesso la cultura dell’individuo, dell’effimero, del frammento e dell’apparenza.
Inoltre - nell’ambito cristiano - è venuta meno una adesione alla fede cristiana basata principalmente sulla tradizione ed il consenso sociale.

"Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità e, con il suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa: "Ecco, Io faccio nuove tutte le cose" (Ap, 21,5; cfr. "Cor. 5,17; Gal. 6,15).... Per la Chiesa non si tratta solo di predicare il vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinati, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità....occorre evangelizzare - non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici - la cultura e le culture dell’uomo" (Evangelii nuntiandi 18-20). 

"L’inculturazione costituisce il cuore, il mezzo, il fine della Nuova Evangelizzazione" 

Questi testi, così riusciti, sono i più citati nella letteratura specializzata sul tema. Ci si domanda però fin dove sono stati veramente capiti; e soprattutto si ha l’impressione che si sia ai primisimi passi nel saperli applicare.
Come ha detto l’episcopato cattolico latino americano nella sua III Conferenza generale, per trasformare una cultura con il Vangelo è necessario muoversi a tre livelli: "la penetrazione, mediante il vangelo, dei valori e dei criteri che la ispirano, la conversione degli uomini che vivono secondo questi valori, e il cambiamento delle strutture nelle quali essi vivono" (Documento finale di Puebla, n. 395, 388, 438).
In genere la chiesa ha sviluppato maggiormente dei metodi di evangelizzazione che si dirigono piuttosto alla coscienza individuale, o si muovono a livello sacramentale e di culto, o nell’ambito di gruppi e di microesperienze. Mentre si ha molto meno il senso e la dimestichezza per ciò che si riferisce ai segni dei tempi, a rilevare e assecondare l’azione dello Spirito in tutta la storia degli uomini, a evangelizzare la scala dei valori, la mentalità, i criteri di vita per cui si muovono le masse, a trovare quelle idee (perchè sanno cogliere il momento maturo nell’animo di un popolo) che muovono la storia, a promuovere la trasformazione delle strutture sociali in cui si cristallizzano valori e rapporti interpersonali. A questi livelli, evidentemente, c’è ancora tanta strada da fare.
Curiosamente, quelle mediazioni che più influenza hanno nella evangelizzazione della cultura di un popolo (mezzi di comunicazione di massa, pastorale universitaria ed educativa in genere, formazione di "leaders", dimensione sociale della pastorale), sono spesso quei luoghi dove la presenza dei cristiani e della chiesa è più debole.
Giovanni Paolo II° vede nel dialogo tra Chiesa e culture della nostra epoca una sfida vitale: "Si tratta di un campo vitale, sul quale si gioca il destino della chiesa e del mondo in questo scorcio finale del nostro secolo"
Tra cristianesimo e cultura esiste un legame organico ed essenziale: si richiamano reciprocamente; anzi la fede deve diventare cultura per essere realmente viva. Afferma ancora Giovanni Paolo II°: "La sintesi tra cultura e fede non è solo una esigenza della cultura, ma anche della fede...una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata e fedelmente vissuta"
In un discorso alla FUCI il Papa invitava ad "operare per coniugare vangelo e cultura ... poichè a voi è affidato l’impegno di riflettere sulla verità di Dio rivelata in Gesù Cristo e di coniugare tutto ciò secondo il linguaggio e le aspettative della cultura contemporanea. Vi chiedo, per così dire, di far "reagire" nei "laboratori" dei vostri gruppi gli elementi evangelici con gli elementi della cultura contemporanea, per sperimentare nuove vie di evangelizzazione, fedeli a Cristo, che è sempre lo stesso ieri, oggi e sempre (cfr. Eb. 13,8) e fedeli all’uomo, che vive la propria precarietà nel divenire della storia". E, nel medesimo testo, citava una espressione di Piergiogio Frassati in una lettera a Isidoro Bonini: "Ogni giorno comprendo di più la grazia di essere cristiano. Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità non è vivere, ma vivacchiare".

 

9. Sacro e profano?
Oggi la distinzione fra sacro e profano è accettata e corrente, anche a livello di contenuto, e coinvolge, con densità e spessori diversi , luoghi - tempi - cose e persone. nei primi secoli non fu così.
Infatti nelle comunità neotestamentarie non vi è distinzione fra sacro e profano. Basta pensare alla concezione della comunità intesa come "corpo di Cristo", "tempio dello Spirito santo", alle intestazioni delle lettere degli apostoli.
Non esiste non solo un tempio o edificio sacro, ma nemmeno uno spazio profano delimitato o designato quale luogo consacrato o sacro. I cristiani si radunano nelle case come gruppi familiari e questa profanità del luogo di riunione non è legata alla povertà dei cristiani o alla loro impossibilità di edificare un tempio più di quanto non derivi dalla convinzione della inutilità di un edificio per il culto. Essi al riguardo avevano ben chiara una idea molto importante: "Non sapete che siete il tempio di Dio e che in voi abita lo Spirito? ... il tempio di Dio è santo e tali siete voi".
I primi gruppi credenti - pur riconoscendosi minoranza nell’ambito pagano - sentivano di essere da una parte il mondo trasportato nel cuore di Dio e dall’altra, se così si può dire, Dio trasportato nel cuore del mondo. Per loro il Vangelo è stato quel lievito che ha fermentato tutto il loro mondo, senza che la configurazione esterna della loro vita si distinguesse da quella del mondo. Il distintivo cristiano si realizzava non tanto per un luogo di culto, per un rito celebrato, per una particolare divisa, ma per un tipo di civiltà che prima non era stata vista.
Fin dall’inizio la comunità cristiana ha avuto, tra i suoi fratelli più forti, i martiri: personalità fortissime che hanno sottoscritto con il sangue il profilo di vita, gli ideali, il progetto di esistenza che avevano in Gesù il proprio punto di riferimento e nel quotidiano il campo di attuazione. Il loro è stato un vissuto che, oltre ciò che veniva mostrato di un nuovo umanesimo, ha saputo interpretare la morte.

 

10. Una linea che ha secoli di cammino.
Il cammino bimillenario della cultura cristiana è la storia della continua penetrazione dell’Evangelo nelle culture che ha raggiunte per prime: semitica, greca, latina, germanica, celtica, slava... Proprio per il fermento che veniva dal Dio fatto Uomo, le varie culture sono state condotte ad espressioni nuove come nuovo era il messaggio che le raggiungeva.
Tanto che si può dire di una cultura cristiana che sussiste nelle culture cristiane: come di una forma che è penetrata nel cuore di civiltà diverse suscitando elementi capaci di farle riconoscere di matrice evangelica.
Ma ogni espressione culturale cristiana non poteva essere conclusiva. Il cammino storico dell’uomo si modifica con lentezza, subisce interferenze, fa i conti con resistenze egoistiche, ha difficoltà di comprensione, ha bisogno del tempo favorevole dettato dalle circostanze.
La cultura cristiana, le culture cristiane con le espressioni molteplici che le caratterizzano, si espandono dal cuore dell’uomo e chiedono sempre nuovi compimenti

 

11. I compiti dei credenti.
La comunità cristiana sta prendendo più chiara coscienza che il nostro non è il tempo della semplice conservazione dell’esistente, ma della chiamata ad essere creatrice di nuove personalità e di nuove civiltà che abbiano l’impronta della sintesi divino-umana che è avvenuta in Gesù, Dio e Uomo insieme.
È evidente che non ci si può limitare alla celebrazioni rituali e devozionali e all’ordinaria amministrazione: bisogna assumersi il compito di plasmare una mentalità che in passato era affidato alla tradizione familiare e sociale. La povertà culturale oggi, di campo cristiano, è figlia di una adesione di fede basata principalmente sulla tradizione, sul consenso sociale, su una appartenenza ecclesiale spesso fondata principalmente sulla partecipazione liturgica.
Per tendere a questo obiettivo, si dovrà andare oltre i luoghi e i tempi dedicati al "sacro" e raggiungere i luoghi e i tempi della vita ordinaria: famiglia, scuola, comunicazione sociale, economia e lavoro, arte e spettacolo, sport e turismo, salute e malattia, educazione e progresso, emarginazione sociale..... Ma, ancora una volta, non tanto perchè in questi ambiti venga "ospitato" un momento sacro o liturgico..., ma per scoprire e valorizzare "l’idea", "il profilo", "il cammino di realizzazione" più vicino al significato della vita dell’uomo.
"Inculturare" il Vangelo in questi ambiti e nel significato che contengono confrontandoli con Colui che è "luce del mondo" è di grande vantaggio per l’esperienza, la crescita, la felicità, la riuscita di ciò che forma il contenuto abituale della vita quotidiana ed è condizione della realizzazione della persona e della società.
Incarnare e declinare nella storia l’interpretazione cristiana dell’uomo e rendere socialmente rilevante il messaggio evangelico, nelle sue dimensioni culturali e negli ambiti di vita che lo accolgono, è processo quanto mai affascinante, contributo al futuro, impegno sempre aperto e mai compiuto, ricerca che ha bisogno di un discernimento collettivo ed ampio il più possibile.
L’interdipendenza tra efficacia del vangelo e accoglienza culturale mette in evidenza la necessità che dalla ricerca contemporanea e dal confronto quotidiano si esprimano personalità capaci di una presenza significativa e credibile nei luoghi dove si elabora e si trasmette criticamente la cultura: scuola, università, centri culturali, laboratori artistici, media, editoria.

 

12. La libertà, il valore dell’uomo, la ricerca di Dio.
"Possiamo chiederci: quale visione della vita e dell’uomo sta dietro a tante parole, immagini, spettacoli, messaggi pubblicitari, fenomeni di costume?
Oggi in Italia, come quasi dappertutto nel mondo, gli sviluppi della cultura sono caratterizzati da una intensa e globale ricerca della libertà. L’uomo moderno si percepisce come soggetto autocosciente e libero; afferma giustamente la propria originalità e centralità nell’ambiente naturale e sociale. È tentato però di mettere da parte il rapporto con la verità oggettiva, con gli altri e con Dio. A volte spinge la propria autonomia fino a considerarsi "sorgente dei valori" e a "decidere i criteri del bene e del male". Allora rimane prigioniero della propria libertà; decade a individuo chiuso in sé stesso e solo. I valori e le norme morali diventano punti di vista soggettivi. L’esistenza si frantuma in una successione di esperienze effimere, senza disegno, come un andare a vuoto, senza direzione e senza méta. La società, malgrado l’interdipendenza sempre più fitta e ampia, si riduce a una folla di individui, indifferenti, conflittuali e nella migliore delle ipotesi reciprocamente tolleranti.
Tali tendenze culturali trovano il loro ambiente propizio nella veloce mobilità e nella complessità della vita moderna, groviglio di relazioni parcellizzate senza un centro. Sono alimentate e amplificate dai media, che diffondono troppo spesso la cultura dell’individuo, dell’effimero, del frammento e dell’immediato, dell’apparenza".
La "sfida" più importante posta oggi ai cristiani è eminentemente culturale, perché chiamati a mostrare (non solo a parole, ma essendolo) la novità dell’antropologia che nasce dal confronto con l’umanità che nasce dalla presenza dell’Uomo nuovo venuto con Gesù sulla terra. Come dice un proverbio, bisogna partire dalla Sorgente per comprendere il flusso delle acque. È in certo modo l’Incarnazione che continua il compito dei credenti oggi. Ricordando, come già detto, che La cultura emerge faticosamente dal cuore della terra, l’Evangelo sgorga e cala irruento dal cuore di Dio. 

 

13.Il dialogo come stile, ricerca, laboratorio del nuovo umanesimo
Tutta la chiesa è invitata oggi a mettersi in ascolto dell’uomo moderno, per comprenderlo e per inventare un nuovo tipo di dialogo che permetta di portare l’originalità del messaggio evangelico al cuore delle mentalità contemporanee.
È necessario ritrovare la creatività e la capacità propositiva dei primi discepoli che si sono affacciati in minoranza numerica sul mondo pagano e sulla ideologia greco-romana e con dinamica di vita e di mentalità che affascinava: le idee-forza che scaturivano dal loro essere hanno generato nuova civiltà. Tanto che i pagani asserivano che con loro era giunta una nuova stirpe (Christiani tertium genus).
Oggi il dialogo tra cristianesimo e cultura assume una importanza vitale per l’avvenire della chiesa e del mondo: tanto che senza questo rapporto l’evangelizzazione resterebbe lettera morta: ciò che Gesù ha portato come risposta alle legittime aspirazioni dell’uomo, alle sue speranze, ai suoi interrogativi, alla sua richiesta di felicità rimarrebbe senza frutto.
Bisogna sottolineare che i cristiani hanno molto da ricevere da questa relazione dinamica tra comunità cristiana e mondo contemporaneo. Occorre essere attenti a tutte le vestigia di verità e di amore presenti nel cammino delle persone e delle varie esperienze umane, è da tenere presente ogni scintilla di luce, è necessario valorizzare ogni germe di buona volontà, è importante avere a cuore ogni traccia di pensiero che conduca alla scoperta o all’approfondimento del vero: nell’antichità cristiana venivano definiti "semi del Verbo" tutti gli elementi che positivamente costruivano mondo nuovo.
Il dialogo richiede la mentalità del compagno di viaggio. Esso è un atteggiamento, uno spirito, uno stile di vita, cioè una forma di essere-per e di essere-con l’altro, un cui al limite non si distingue più il dare ed il ricevere perché si è ormai venuta affermando la partecipazione sempre più piena nella ricerca e nella comunione. È certamente una méta che richiede tappe successive, maturazione di relazioni interpersonali, fatica di attesa, libertà da pregiudizi. Trova base di successo nella trasparenza senza maschere, nell’empatia che genera circolazione di idee e di vita, nell’accettazione incondizionata dell’altro.
Lo Spirito del bene è misteriosamente all’opera in tanti contemporanei anche in quelli che non si riconoscono in nessuna religione.
Il dialogo è la voce del più profondo farsi uno reciproco per deporre con rispetto i semi della vita sull’albero dell’altro perché fioriscano ed accogliere come dono quanto si sente necessario alla propria crescita ed al proprio sviluppo.
Attraverso questo sentiero il Vangelo stesso diventa fermento di cultura nella misura in cui raggiunge l’uomo nei suoi modi di pensare, di comportarsi, di lavorare, di ricrearsi, cioè nella sua specificità culturale, in ciò che lo rende uomo.
La ricerca del nuovo umanesimo (dell’umanesimo integrale, direbbe Maritain) non può che essere opera collettiva, veduta di insieme, collaborazione instancabile.

Costituire un laboratorio

La ragione una lettera a DiognetoPaolo VI° alla chiusura del Concilio (cfr. Dizionario CN)

(Centesimus Annus 51)

Tutta l'attività umana ha luogo all'interno di una cultura e interagisce con essa. Per un'adeguata formazione di tale cultura si richiede il coinvolgimento di tutto l'uomo, il quale vi esplica la sua creatività, la sua intelligenza, la sua conoscenza del mondo e degli uomini. Egli, inoltre, vi investe la sua capacità di autodominio, di sacrificio personale, di solidarietà e di disponibilità per promuovere il bene comune. Per questo, il primo e più importante lavoro si compie nel cuore dell'uomo, ed il modo in cui questi si impegna a costruire il proprio futuro dipende dalla concezione che ha di se stesso e del suo destino. E' a questo livello che si colloca il contributo specifico e decisivo della Chiesa in favore della vera cultura. Essa promuove le qualità dei comportamenti umani, che favoriscono la cultura della pace contro modelli che confondono l'uomo nella massa, disconoscono il ruolo della sua iniziativa e libertà e pongono la sua grandezza nelle arti del conflitto e della guerra. La Chiesa rende un tale servizio predicando la verità intorno alla creazione del mondo, che Dio ha posto nelle mani degli uomini perché lo rendano fecondo e più perfetto col loro lavoro, e predicando la verità intorno alla redenzione, per cui il Figlio di Dio ha salvato tutti gli uomini e, al tempo stesso, li ha uniti gli uni agli altri, rendendoli responsabili gli uni degli altri. La Sacra Scrittura ci parla continuamente di attivo impegno per il fratello e ci presenta l'esigenza di una corresponsabilità che deve abbracciare tutti gli uomini.
Questa esigenza non si ferma ai confini della propria famiglia, e neppure della Nazione o dello Stato, ma investe ordinatamente tutta l'umanità, sicché nessun uomo deve considerarsi estraneo o indifferente alla sorte di un altro membro della famiglia umana. Nessun uomo può affermare di non essere responsabile della sorte del proprio fratello (cf Gn 4,9; Lc 10,29-37; Mt 25,31-46)! L'attenta e premurosa sollecitudine verso il prossimo, nel momento stesso del bisogno, oggi facilitata anche dai nuovi mezzi di comunicazione che hanno reso gli uomini più vicini tra loro, è particolarmente importante in relazione alla ricerca degli strumenti di soluzione dei conflitti internazionali alternativi alla guerra. Non è difficile affermare che la potenza terrificante dei mezzi di distruzione, accessibili perfino alle medie e piccole potenze, e la sempre più stretta connessione, esistente tra i popoli di tutta la terra, rendono assai arduo o praticamente impossibile limitare le conseguenze di un conflitto.

 

(Populorum Progressio 40)

[40] Oltre le organizzazioni professionali sono altresi all'opera le istituzioni culturali, il cui ruolo non è di minor conto per la riuscita dello sviluppo. "L'avvenire del mondo sarebbe in pericolo, afferma gravemente il Concilio, se la nostra epoca non sapesse far emergere dal suo seno degli uomini dotati di sapienza". E aggiunge: "numerosi paesi economicamente poveri, ma ricchi di sapienza, potranno dare un potente aiuto agli altri su questo punto" (Ibid., n. 15 s 3). Ricco o povero, ogni paese possiede una sua civiltà ricevuta dalle generazioni passate: istituzioni richieste per lo svolgimento della vita terrena e manifestazioni superiori - artistiche, intellettuali e religiose - della vita dello spirito. Quando queste contengono dei veri valori umani, sarebbe grave errore sacrificarle a quelle. Un popolo che consentisse a tanto perderebbe con ciò stesso il meglio di sé, sacrificherebbe, per vivere, le sue ragioni di vita. L'ammonimento del Cristo vale anche per i popoli: "Cosa servirebbe all'uomo guadagnare l'universo, se poi perde l'anima?" (Mt 16,26).

Tentazione materialista
[41] I popoli poveri non staranno mai troppo in guardia contro questa tentazione che viene loro dai popoli ricchi, i quali offrono troppo spesso, assieme all'esempio del loro successo nel campo della cultura e della civiltà tecnica, un modello di attività tesa prevalentemente alla conquista della prosperità materiale. Non che quest'ultima costituisca per se stessa un ostacolo all'attività dello Spirito, il quale anzi, reso cosi "meno schiavo delle cose, può facilmente elevarsi all'adorazione e alla contemplazione del Creatore" (Gaudium et spes, n. 57, s 4). Tuttavia "la civiltà moderna, non certo per la sua natura intrinseca, ma perché si trova soverchiamente irretita nelle realtà terrestri, può rendere spesso più difficile l'accesso a Dio" (Ibid., n. 19, s 2). In quanto viene loro proposto, i popoli in via di sviluppo devono dunque saper fare una scelta: criticare ed eliminare i falsi beni che porterebbero con sé un abbassamento dell'ideale umano, accettare i valori sani e benefici per svilupparli, congiuntamente ai loro, secondo il proprio genio particolare.

Verso un umanesimo plenario

Conclusione
[42] E' un umanesimo plenario che occorre promuovere (Cf per es., J. Maritain, L'humanisme).Che vuol dire ciò, se non lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini? Un umanesimo chiuso, insensibile ai valori dello spirito e a Dio che ne è la fonte, potrebbe apparentemente avere maggiori possibilità di trionfare. Senza dubbio l'uomo può organizzare la terra senza Dio, ma "senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l'uomo. L'umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano" (H. de Lubac, S.J., Le drame de l'humanisme). Non vi è dunque umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto, nel riconoscimento d'una vocazione, che offre l'idea vera della vita umana. Lungi dall'essere la norma ultima dei valori, l'uomo non realizza se stesso che trascendendosi. Secondo l'espressione cosi indovinata di Pascal: "l'uomo supera infinitamente l'uomo" (Pensées, ed. Brunschwig, n. 434).