Dalla Salvifici doloris

(Giovanni Paolo II - 11 febbraio 1984)

Se un uomo diventa partecipe delle sofferenze di Cristo, ciò avviene perché Cristo ha aperto la sua sofferenza all'uomo, perché egli stesso nella sua sofferenza redentiva è divenuto, in un certo senso, partecipe di tutte le sofferenze umane. L'uomo, scoprendo mediante la fede la sofferenza redentrice di Cristo, insieme scopre in essa le proprie sofferenze, le ritrova, mediante la fede, arricchite di un nuovo contenuto e di un nuovo significato.

I testimoni della passione di Cristo sono contemporaneamente testimoni della sua risurrezione. Scrive Paolo: "Perché io possa conoscere lui (Cristo), la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti".

Paolo scrive ai Romani: "Siamo ...coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura, che dovrà essere rivelata in noi". Nella seconda lettera ai Corinzi leggiamo: "Infatti, il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili".

San Paolo scrive: "Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa". Ed egli in un'altra lettera interroga i suoi destinatari: "Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?".

Infatti, al tempo stesso, questa redenzione, anche se compiuta in tutta la pienezza con la sofferenza di Cristo, vive e si sviluppa a suo modo nella storia dell'uomo. Vive e si sviluppa come corpo di Cristo, che è la Chiesa, ed in questa dimensione ogni umana sofferenza, in forza dell'unione nell'amore con Cristo, completa la sofferenza di Cristo. La completa così come la Chiesa completa l'opera redentrice di Cristo. Il mistero della Chiesa - di quel corpo che completa in sé anche il corpo crocifisso e risorto di Cristo - indica contemporaneamente quello spazio, nel quale le sofferenze umane completano le sofferenze di Cristo. Solo in questo raggio e in questa dimensione della Chiesa-corpo di Cristo, che continuamente si sviluppa nello spazio e nel tempo, si può pensare e parlare di "ciò che manca" ai patimenti di Cristo. L'Apostolo, del resto, lo mette chiaramente in rilievo, quando scrive del completamento di "quello che manca ai patimenti di Cristo in favore del suo corpo, che è la Chiesa".




Diversa è la disposizione, che l'uomo porta nella sua sofferenza. Si può, tuttavia, premettere che quasi sempre ciascuno entra nella sofferenza con una protesta tipicamente umana e con la domanda del suo "perché". Ciascuno si chiede il senso della sofferenza e cerca una risposta a questa domanda al suo livello umano. Certamente pone più volte questa domanda anche a Dio, come la pone a Cristo. Inoltre, egli non può non notare che colui, al quale pone la sua domanda, soffre lui stesso e vuole rispondergli dalla croce, dal centro della sua propria sofferenza. Tuttavia, a volte c'è bisogno di tempo, persino di un lungo tempo, perché questa risposta cominci ad essere internamente percepibile. Cristo, infatti, non risponde direttamente e non risponde in astratto a questo interrogativo umano circa il senso della sofferenza. L'uomo ode la sua risposta salvifica man mano che egli stesso diventa partecipe delle sofferenze di Cristo.

La risposta che giunge mediante tale partecipazione, lungo la strada dell'incontro interiore col Maestro, è a sua volta qualcosa di più della sola risposta astratta all'interrogativo sul senso della sofferenza. Questa è, infatti, soprattutto una chiamata. E' una vocazione. Cristo non spiega in astratto le ragioni della sofferenza, ma prima di tutto dice: "Seguimi!". Vieni! Prendi parte con la tua sofferenza a quest'opera di salvezza del mondo, che si compie per mezzo della mia sofferenza! Per mezzo della mia croce. Man mano che l'uomo prende la sua croce, unendosi spiritualmente alla croce di Cristo, si rivela davanti a lui il senso salvifico della sofferenza.

L'uomo non scopre questo senso al suo livello umano, ma al livello della sofferenza di Cristo. Al tempo stesso, però, da questo livello di Cristo, quel senso salvifico della sofferenza scende a livello dell'uomo e diventa, in qualche modo, la sua risposta personale. E allora l'uomo trova nella sua sofferenza la pace interiore e perfino la gioia spirituale.

Di tale gioia parla l'Apostolo nella lettera ai Colossesi: "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi". Fonte di gioia diventa il superamento del senso d'inutilità della sofferenza, sensazione che a volte è radicata molto fortemente nell'umana sofferenza.

Questa non solo consuma l'uomo dentro se stesso, ma sembra renderlo un peso per gli altri. L'uomo si sente condannato a ricevere aiuto e assistenza dagli altri e, in pari tempo, sembra a se stesso inutile.

La scoperta del senso salvifico della sofferenza in unione con Cristo trasforma questa sensazione deprimente. La fede nella partecipazione alle sofferenze di Cristo porta in sé la certezza interiore che l'uomo sofferente "completa quello che manca ai patimenti di Cristo"; che nella dimensione spirituale dell'opera della redenzione serve, come Cristo, alla salvezza dei suoi fratelli e sorelle. Non solo quindi è utile agli altri, ma per di più adempie un servizio insostituibile. Nel corpo di Cristo, che incessantemente cresce dalla croce del Redentore, proprio la sofferenza, permeata dallo spirito del sacrificio di Cristo, è l'insostituibile mediatrice e autrice dei beni, indispensabili per la salvezza del mondo. E' essa, più di ogni altra cosa, a fare strada alla grazia che trasforma le anime umane. Essa, più di ogni altra cosa, rende presenti nella storia dell'umanità le forze della redenzione.