LA FAMIGLIA OGGI

 

1 - La famiglia sta morendo?

L’ONU ha dichiarato il passato 1994 "anno della famiglia". Perché questo interesse? Vuol forse significare che la famiglia è entrata in una fase di crisi acuta e forse irreversibile, tanto da scomodare i massimi organismi mondiali per tentare un suo ricupero?

In effetti per tanti anni si era pensato che la famiglia fosse al termine del suo viaggio secolare; e molti ne avevano proferito la fine imminente. Ma nonostante il moltiplicarsi dei pronostici infausti la famiglia ha continuato a vivere.

Oggi però le cose sembrano cambiare per davvero. La famiglia si sta disgregando. Le separazioni si moltiplicano, i divorzi sono in aumento, sta emergendo una nuova categoria di persone, i "singles", che rifiutano di sposarsi; e accanto ad essi nasce la cosiddetta "famiglia prolungata", cioè la famiglia dove i figli si sentono tranquilli e protetti e non si decidono ad andarsene. La famiglia continua a vivere, è vero: ma quella dei genitori, perché i figli sembrano che non se la sentano di lasciare il nido familiare per avventurarsi in una società senza futuro perché senza amore.

Tra le varie ragioni di questa crisi, se ne possono indicare almeno quattro:

- La MOBILITA’ della vita. I nostro nonni, in un regime pre-industriale, non si muovevano dal loro paese, di solito, neppure per lavorare. Tutta la vita si svolgeva lì. Le ragazze avevano una vita essenzialmente sedentaria, fissa, artigianale o quale che fosse l’attività. L’andare in città era un avvenimento... Per molti uomini l’unico periodo passato lontano, era quello della ferma militare... La "stabilità" della vita significava un’intensità di rapporti, diversi da quelli di oggi, che garantiva come fattore conseguente anche l’ovvia stabilità familiare (e coniugale). Ora invece sembra che la caratteristica principale della nostra vita sia appunto la "mobilità": i sociologi parlano di una società "pluricentrica" (dove cioè l’uomo si trova a vivere i vari momenti della sua vita - lo studio, il lavoro, il tempo libero, ecc. - in luoghi diversi e talvolta anche assai distanti, colla conseguenza che sempre meno uno di essi possa acquistare il significato di "luogo di residenza prevalente"!). La mobilità "geografica" è poi ulteriormente complicata dalla mobilità e differenziazione degli orari (se passerà il progetto di lavoro per moduli, non ci saranno più tempi comuni né per la famiglia né per la comunità!). Tutto ciò ovviamente complica di molto il mantenersi fedele ad un concetto di "focolare" stabile come quello di prima.

- L’EMANCIPAZIONE DELLA DONNA. Il fenomeno in sé è decisamente positivo. Il perseguire posti di responsabilità, di protagonismo, d’indipendenza economica da parte delle donne è stata una conquista che, alla lunga, non può certamente che arrecare (e lo sta già facendo) effetti molto positivi per l’intera umanità. Ma ciò ha contribuito a capovolgere un assetto di famiglia tradizionale, che dava certamente sicurezza e tranquillità. Tale processo rende più difficile l’equilibrio matrimoniale (a cominciare addirittura dal ristabile i "ruoli" e le identità maschili e femminili), creando ovviamente maggiore instabilità.

- La CRISI DELLE ISTITUZIONI. Tutto ciò che si presenta come stabile, come "struttura" che richiede adesione permanente, spaventa i giovani. Quando si tratta di qualcosa di fisso, di normato, di un impegno "per la vita", immediatamente c’è una reazione, un’allergia. E questo non capita solo per il matrimonio, ma per qualsiasi tipo di vocazione e di impegno...

- La SECOLARIZZAZIONE, o cioè: la "crisi del sacro". Molte delle leggi, delle istituzioni, degli stessi precetti morali e dei valori in genere, erano legati nel passato ad una visione "sacrale", religiosa della vita. Ora, e sempre di più, l’uomo (almeno occidentale) vuole riferirsi a valori "umani", cioè stabiliti dalla sola sua ragione, e pensa alle istituzioni della vita civile e alle leggi nell’ottica di un pluralismo di pensiero sempre maggiore. E’ ovvio dunque che ogni cosa sia messa in discussione e si accettino punti di vista e soluzioni anche molto differenziate (si pensi ad esempio l’attuale dibattito sull’opportunità di considerare come autentici matrimoni e famiglie quelli tra omosessuali...).

In questo contesto di sempre maggiore pluralismo, in un mondo che sta sempre più diventando un "villaggio globale" dove i popoli s’incontrano e tendono a mischiarsi, acquista anche un influsso sempre maggiore la presenza di diverse CULTURE. Ovviamente il termine "cultura" è assunto qui non nell’accezione libresca o scolastica, ma in quella "antropologica", cioè come l’insieme dei diversi fattori che definiscono una determinata civiltà, una popolazione: credenze, istituzioni, costumi di vita, mentalità...

L’ONU, che aggrega nazioni e culture che hanno della "famiglia" un concetto estremamente diversificato, si è trovato infatti in grosse difficoltà nel dare una definizione comune di essa che colga quegli elementi che sembrano essere presenti in tutti i modelli. Levy-Strauss ci ha tentato, definendola: "l’unione più o meno duratura, ma sempre socialmente approvata di un uomo e di una donna che decidono di vivere insieme, di mettere al mondo dei figli e di allevarli". Ma è subito chiaro che tale definizione è già sorpassata, se si pensa all’affermarsi delle unioni di fatto volutamente non fatte ratificare dalla comunità civile, alla poligamia, alle unioni che escludono a priori ogni tipo di fecondità, alle unioni omosessuali, al preteso diritto di adozione di singles e di coppie omo... Dietro il termine di famiglia possiamo trovare quella poligamica, quella omogamica, le libere convivenze, le "comuni" cinesi, i kibbuzim...

In modo particolare è venuto in evidenza in questi ultimi anni (anche attraverso il Sinodo africano) il problema della concezione della famiglia in tale continente, con le caratteristiche ancestrali di alleanza fra famiglie (al di là del rapporto affettivo fra i due contraenti), delle varie tappe attraverso rituali progressivi (difficilmente compatibili con la nostra idea di celebrazione sacramentale), del valore predominante della posterità e, soprattutto, della poligamia come realtà ben lontana da una consuetudine immorale di libertà sessuale, ma anzi vincolata da precise leggi etiche e fondamento di tali società.

Tutto ciò pone una nuova, potente sfida alla fede cristiana: quella dell’"inculturazione", definita dalla Civiltà Cattolica come "l’immissione del seme evangelico in una cultura, in modo che il germe della fede possa svilupparsi in essa ed esprimersi secondo le sue risorse e il suo genio", o ancora, come disse Giovanni Paolo II al Consiglio Internazionale della Catechesi, come l’aiutare le varie culture "a far sorgere, dalla loro propria viva tradizione, espressioni originali di vita, di celebrazione e di pensiero che siano cristiane", e cioè che recepiscano con fedeltà e pienezza il messaggio di Gesù che "trascende tutte le culture", ma, nello stesso tempo e proprio per questo, sappiano accettare e rispettare tutti quegli aspetti che non appartengono all’essenza del messaggio stesso. E ciò non è certo facile per una istituzione così delicata e importante come la famiglia, e costringe comunque ad un ripensamento profondo su quanto in essa sia di irrinunciabile e universale e quanto invece sia dovuto storicamente alla cultura occidentale.

 

2 - Il bisogno di famiglia

In contrapposizione a tutte queste difficoltà, si può però incominciare ad affermare che la gente si sta accorgendo che senza famiglia non si può vivere e che il declino della famiglia produce un declino anche della convivenza umana. Mentre prima della guerra non esisteva praticamente una letteratura sulla famiglia e sulla vita coniugale, dopo si è iniziato a scrivere sempre di più sull’argomento, a radunarsi per parlare dei problemi in comune, a fare dei convegni...

Il Rapporto dell’ONU sulla situazione sociale del mondo del 1993 afferma che le depressioni sono cresciute in modo sostanziale, specialmente tra i giovani, in proporzione all’erosione della famiglia e alla diminuzione delle credenze religiose. L’uomo ha bisogno di famiglia come ha bisogno di scuola, di assistenza, di economia, di pace, di cultura, di politica, di religione: anzi il bisogno di famiglia è ancor più forte di qualunque altro bisogno. Senza famiglia non si diventa persone umane, e non si impara a viver con gli altri. Non sta avvenendo anche per la famiglia quello che capita per le cose che si possiedono e non si sanno più apprezzare? Quando si è in salute sembra naturale che il corpo funzioni bene; e si dimentica che il buon funzionamento è il frutto di un complesso equilibrio di forze che ci sono.

Non è senza significato che nella mitica Svezia si stia riscoprendo la funzione essenziale degli affetti familiari, e i padri siano invitati a pensare meno alla carriera e a interessarsi di più dei figli! "Sul letto di morte - dicono alcuni manifesti fatti affiggere dal Ministro per gli affari sociali Bengt Westerberg - è difficile che vi rammarichiate di aver dedicato troppo poco tempo al lavoro; è più facile che siate presi dal rimorso di aver dedicato troppo poco tempo ai vostri figli!" E negli stessi giorni in cui compariva questa notizia, i giornali riportavano in una intervista il lamento di Daniel Bergman, figlio del grande regista Ingmar: "I miei genitori trionfavano in pubblico, ma io non ero fiero di loro. Cos’è veramente importante per una persona: avere successo, o dedicare tempo e amore alla propria famiglia?". E quando sono scoppiati quasi simultaneamente il caso degli stupratori adolescenti di Civitavecchia, della ragazza di 16 anni che a Torino partorisce e abbandona il neonato nell’androne di casa, dei tre ragazzi che uccidono un clochard nei sobborghi di Parigi, e dei ragazzini di Liverpool che ammazzano un bimbo di 2 anni, lo psichiatra Paolo Crepet in una intervista affermava: "I nostri ultimi studi dicono che un bambino su quattro in Italia soffre di forte disagio psicologico, con fenomeni che vanno dalla depressione all’anoressia, dall’autolesionismo all’aggressione... All’origine del malessere c’è la famiglia spezzata... Alla scomparsa del nucleo tradizionale dei fratelli, dei nonni si è sovrapposta la disgregazione del tessuto sociale".

E’ indubbio che, da un punto di vista politico, ci sia anche la riscoperta interessata dell’utilità che la famiglia offre allo Stato per la propria economia, una struttura funzionale alle carenze dello Stato stesso che si dispensa dall’essere sociale e trova comodo non offrire quell’assistenza e quelle previdenze che verrebbero invece sicuramente date attraverso la famiglia, alla quale tende ad accollare i casi più complessi e costosi. L’assegno di accompagnamento per gli anziani, per esempio, è su questa linea: valorizzare la famiglia è un affare per lo Stato, perché gli costa meno tale assegno che non mantenere l’anziano in casa di riposo. E così per i disabili, i bimbi abbandonati, ecc.

Dunque la sensibilizzazione dei governi ad una opportuna politica familiare, un invito a creare condizioni culturali favorevoli alla famiglia stessa (cfr. ad esempio il nuovo ministero italiano...), si sta rivelando come una necessità e un’urgenza, non solo per il risanamento della società, ma per l’economia medesima.

E’ vero che nella famiglia esiste la capacità di conoscersi e di scoprire le ricchezze di vita che possiede: ma esiste allo stadio iniziale, ed ha bisogno di essere esplicitata e chiarita. E soprattutto ha bisogno di trovare le condizioni favorevoli per mettersi in atto. Questo compito un tempo era affidato quasi completamente alla famiglia stessa, che riproduceva se stessa nella vita dei figli: ora la famiglia non basta più da sola. E’ necessario un aiuto anche da parte delle istituzioni civili e di altre agenzie educative (come la scuola e, noi possiamo sottolineare, soprattutto la Chiesa).

 

3 - Nella Chiesa: un passato di svalutazione della sessualità e della vocazione matrimoniale

a - Necessità di una riscoperta cristiana della sessualità

A questo punto è necessario fare alcune considerazioni sulla morale sessuale classica, certamente figlia di una visione parziale e storicamente condizionata di questa realtà. Non si può infatti nascondere che, almeno nel pensiero occidentale (e non solo cristiano) la sessualità è stata finora vissuta come un tabù.

Rileviamo intanto che l'origine remota di un tale processo di "penalizzazione" della sessualità è probabilmente collocata molto in su nella storia della nostra civiltà. Comunque la prima tappa chiaramente rilevabile risale già al pensiero greco.

In realtà, come evidenzia Foucault, in tale civiltà la prassi fu sempre molto più permissiva, a cominciare dal rapporto "praticato, accettato, valorizzato" fra uomini e ragazzi e dalla tranquilla concessione che "un uomo sposato potesse andare a cercare il suo piacere sessuale al di fuori del matrimonio". Inoltre, secondo le osservazioni dello stesso autore, "la preoccupazione principale era quella di definire l'uso dei piaceri - le sue condizioni favorevoli, la sua pratica più proficua e la necessaria rarefazione - in un funzione di un certo modo di occuparsi del proprio corpo. La preoccupazione era molto più 'dietetica' che 'terapeutica': questione di regime, volta a regolare un'attività riconosciuta importante per la salute".

Tuttavia quello che prevalse e restò, passando nel pensiero cristiano, furono - piuttosto che tale pratica permissiva - proprio le teorie più restrittive, ad iniziare dalla filosofia platonica, con la quale iniziò una sistematica svalutazione del corpo (come avremo ancora modo di verificare più avanti).

In questo senso, anche già nel pensiero pagano dei primi secoli della nostra era, avvenne un mutamento peggiorativo riguardo la visione dei piaceri fisici, soprattutto nella scia della morale stoica.

E, su questa radice, si forma il pensiero cristiano:

"Uno degli elementi caratteristici dell'esperienza cristiana della 'carne', quindi di quella della 'sessualità', sarà il fatto che il soggetto è sollecitato a sospettare continuamente e a riconoscere da lontano le manifestazioni di una forza sorda, duttile e temibile che tanto più è necessario individuare in quanto è capace di mascherarsi e assumere forme molto diverse".

Con tali presupposti, si svolgerà l'elaborazione della morale cristiana sulla sessualità, sempre più severa e sospettosa verso la realtà fisica, attraverso i secoli e anche in modo particolare nel Medio Evo (che peraltro risulta un periodo ancor molto tollerante nella pratica...). Tale processo raggiunge praticamente la sua definizione a partire dal Concilio di Trento, che "cerca di imporre regole meticolose d'esame di coscienza; ma soprattutto accorda sempre maggiore importanza nella penitenza - ed alle spese, forse, di altri peccati - a tutte le insinuazioni della carne: pensieri, desideri, immaginazioni voluttuose, piaceri, movimenti congiunti dell'anima e del corpo, tutto ciò ormai deve entrare, e nei particolari, nelle pratiche connesse della confessione e della direzione di coscienza".

Per cui, si può purtroppo concludere con Montagu:

"Forse sarebbe più esatto dire che i tabù intorno alla tattualità interpersonale scaturiscono da una paura strettamente legata alla tradizione cristiana nelle sue varie diramazioni, la paura del piacere fisico. Uno dei risultati più negativi conseguiti dal cristianesimo è stato quello di trasformare in peccato i piaceri tattili".

Siamo dunque vissuti per lunghi secoli in una specie di sessuofobia, che si sta forse solo ora, e con difficoltà, superando. Basti pensare che, durante i miei studi di teologia, il professore di morale affermava ancora che in campo sessuale "non datur parvitas materiae": vuol dire che qualunque atto anche minimo (o anche solo un pensiero...) in questo campo, che sia al di fuori delle regole morali annunciate, al di là della già allora riconosciuta possibilità di colpa soggettiva ridotta (meno male!), era in sé sempre grave, cosa che non veniva detta per altri campi ben più importanti (per esempio poteva ritenersi "moralmente veniale" il furto di poche lire o una piccola imprecazione verso Dio...). Dunque il sesso era più importante (ma solo in senso negativo!) dello stesso Creatore!

Bisogna però onestamente riconoscere, a parziale attenuante delle "colpe" del cristianesimo, che tale sessuofobia è sovente presente, almeno parzialmente, in quasi tutte le religioni.

Osserva giustamente Bastaire che nella maggior parte di esse (compresi l'induismo, il buddismo e il taoismo) "si avverte una spiccata preferenza" per la vocazione al celibato consacrato, "considerata atta a offrire una liberazione più rapida e completa. Gli esseri continenti appaiono persone più avanzate nel cammino, costituiscono una sorta di élite che si distingue dalla massa dei fedeli, votati ai piaceri gregari della riproduzione". E praticamente in tutte le religioni (anche nell'ebraismo e nell'islam, nonostante che essi riservino "poco spazio alla rinuncia sessuale") si sente la necessità di "legiferare in modo rigoroso sul comportamento nei rapporti tra l'uomo e la donna. Ovunque ci si giri, la sessualità è oggetto di un'attenta vigilanza: nell'uso come nell'astensione, è giudicata come una forza esplosiva di cui è capitale conservare il controllo". E' in quest'ottica che, sempre secondo tale autore, il cristianesimo ha commesso il grave errore di scegliere come modelli gli eremiti del deserto della Tebaide, "applicando ad altri stati di vita ciò che era valido solo per loro". A conferma che questa visione negativa della sessualità è radicata profondamente nella civiltà prima e al di là del cristianesimo, bisogna in verità riconoscere che tale atteggiamento persiste, almeno in qualche maniera come "sottofondo", anche laddove l'influsso della morale cristiana è diventato ormai pressoché nullo e viene permessa e propagandata una libertà sessuale esasperata (prova che il lassismo non è affatto una vera liberazione profonda e con significato autenticamente umano!). Penso al forte "perbenismo" che domina ancora sia nell'educazione sessuale dei bambini che in una certa qual forma di "salvare la faccia" per gli adulti (si faccia tutto quel che si vuole, ma è bene che non appaia troppo...) anche in molti nostri ambienti del tutto ormai scristianizzati. In particolare poi, ho avuto modo di riscontrare questo fenomeno in famiglie russe, educate per decenni in un totale ateismo. Viceversa, nei paesi più caldi (come nel sud del Mediterraneo), ma anche in altri ambienti (come ho notato ultimamente, ad esempio, d'estate in Romania), almeno nella classi inferiori, soprattutto se povere (in quelle borghesi pare invece che anche lì la cosa cambi poco...), dove, sia per il clima che per la scarsità di mezzi e la conseguente promiscuità, la situazione di vita non permette molte riservatezze; in genere i bambini fino ad una certa età sono lasciati molto spontanei e liberi nello stare svestiti e nell'esprimere la loro sessualità, anche laddove esiste una religiosità profonda e un riferimento ancora forte ad un serio modello familiare. In realtà in quegli stessi paesi tale libertà continua abbastanza a lungo per i maschi, mentre per le femmine (altrettanto libere da piccole), non appena sopraggiunge un inizio di sviluppo il discorso si fa di nuovo severo, per evidenti motivi di costume... Comunque la sessualità in genere sembra continuare ad essere considerata una faccenda normale e naturale.

Credo dunque che si possa concludere che il pensiero cristiano, più che causa di tale sessuofobia, ne sia stato anch'esso una vittima, anche se poi, da parte sua, ha ribadito e rinforzato tale visione.

Queste idee stanno in gran parte superandosi, ma c'è ancora molta difficoltà (e molto sospetto) nell'accettare davvero una revisione operativa (che giunga cioè fino a riconoscere le conseguenze concrete) di una nuova etica sessuale. Osserva Lacroix:

"Il dualismo, che non è dunque il fatto e, meno ancora, l'essenza della tradizione giudeo-cristiana, ha la pelle dura. Esso tende sempre a riapparire sotto forme nuove. E' così che l'incontestabile tensione esistenziale di cui san Paolo parla nei termini di 'combattimento della carne contro lo spirito' (Rom. 8, 6; Gal. 5, 17) si fissa a sua volta in nuove dualità, come le classiche opposizioni tra amore carnale e amore spirituale o, certamente, tra eros e agape".

E' perciò importante, e ancora urgente, affermare che in verità questa scelta sessuofobica del pensiero tradizionale della Chiesa non ha nulla a che vedere con la visione originale della corporeità e della sessualità che si può rilevare nella Bibbia, e men che meno quindi con i principi fondamentali della visione dell'uomo nella Rivelazione cristiana (come avremo modo di rilevare a fondo più avanti). Per questo è perfettamente lecito iniziare un serio ripensamento in questo campo, come efficacemente dicono ormai molti studiosi cristiani:

"Coprendo di vergogna i genitali (le 'pudenda', le 'parti vergognose'...), non si è riusciti a produrre, per lo più, che una fissazione morbosa. Le varie espressioni di puritanesimo repressivo, ai limiti della nevrosi, si sono molto spesso alleate con la mentalità cristiana. Eppure la gioia di vivere, che nasce da una piena accettazione del proprio corpo, anche nella sua specificazione sessuale, non è contraria al cristianesimo". "La riflessione teologica, muovendo da quel che reputa più utile o meno utile all'esser umano tende a rimuovere l'ansia che circonda la sessualità e quindi tende verso una sessualità liberatoria".

E' chiaro perciò che promuovere una revisione profonda della morale sessuale non coincide affatto con una liberazione selvaggia di essa, oggi così frequentemente sostenuta. Come dice infatti molto bene Giordano, "la liberazione sessuale, anziché dare leggerezza e felicità ai giovani e ai ragazzi, li ha resi infelici, chiusi, e, di conseguenza, stupidamente presuntuosi e aggressivi. Si crede di non obbedire a nessuno, ma si è schiavi dell'ideologia dei consumi. Si crede di fare liberamente ciò che il sistema obbliga a fare. D. Morris parlava della libertà di un animale in una comoda e tragica gabbia". E aggiunge Clément che "di fronte ad un cristianesimo più moralista che rudemente ascetico si è così instaurato il gioco della permissività. Il primo tende a comprimere la vita, con prescrizioni prive di eleganza e di bellezza che paradossalmente rendono la sessualità oggetto. La seconda, come gli antichi paganesimi, rende insensibili ai misteri della persona, a vantaggio della dea Vita, brillante e levigata come il mare nella pubblicità del Club-Méditerranée".

"Dopo secoli di sacralizzazione o di sospetto, la sessualità è oggi minacciata di insignificanza. Di certo i modelli culturali dominanti non accordano realmente del valore al corpo. Il cristianesimo che fu sovente complice del suo disprezzo, partecipa tuttavia in prima linea alla sua valorizzazione. La religione dell'incarnazione, dell'eucarestia e della resurrezione chiama al superamento di tutti i dualismi e osa affermare la vocazione del corpo alla gloria spirituale. Sotto questa luce possono essere riesaminati i fondamenti di un'etica cristiana della sessualità. L'affinità tra l'unione dei corpi e l'alleanza dei desideri ne è il centro. Il mistero cristiano ritrova così i significati a cui può condurre una fenomenologia dei gesti di tenerezza, l'attenzione al linguaggio del corpo prepara a comprendere la sessualità come luogo di dono reciproco. L'arte e la poesia sono a questo scopo di grande aiuto".

 

b -Mancanza di una spiritualità comunitaria

Un altro aspetto ha giocato poi in sfavore della centralità della vocazione matrimoniale nel Cristianesimo: secoli di spiritualità prevalentemente "individuali".

Per SPIRITUALITA' s’intende uno stile di vita cristiana, un modo di vivere il Vangelo. Si chiama "spiritualità" perché viene dallo Spirito Santo che apre poco per volta il Vangelo e lo fa gradualmente comprendere in modo "vitale" e sempre più profondo, facendo emergere alcune Parole di esso, dalle quali, di volta in volta, nasce appunto una spiritualità.

All'inizio non c'era UNA spiritualità ma LA spiritualità. Nella Pentecoste lo Spirito aveva donato TUTTA la Sua luce, partendo dal CUORE del Vangelo, l'Unità trinitaria (cfr Atti: un cuor solo e un’anima sola, tutto in comune). Certo anche allora c’erano difficoltà, incomprensioni, infedeltà..., ma lo stile era quello. Come per il "Big Bang": una massa incandescente di energia allo stato puro, che esplode dando origini a diversi pianeti, stelle, ecc. Così all'inizio il Vangelo era allo stato puro, condensato, e i cristiani vivevano come "incantati". In seguito il Vangelo "esplode" via via in molteplici realtà, manifestando tutte le sue ricchezze.

Nei PRIMI SECOLI la prima Parola che venne in evidenza fu "Ama Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze". La prima spiritualità che ne nacque fu l'ANACORESI = sempre più soli nel deserto. (Anche la Verginità e il Martirio furono fin dall’inizio tenuti in massima considerazione, ma essi, più che essere fonti di singole spiritualità, facevano parte del Big Bang iniziale, anche se poi furono tematizzati come elementi delle spiritualità successive).

Antonio Abate, ad esempio, fu colpito dalla frase degli Atti: ""Vendevano tutto e il ricavato lo davano ai poveri" e dall’invito di Gesù al giovane ricco per la vita eterna: "Vai, vendi quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi". Per Dio in modo radicale: allontanamento sempre più profondo nel deserto. Certo ci fu anche un condizionamento culturale. Le Parole aperte dallo Spirito Santo fanno sempre impatto con una data cultura, si "incarnano" come il Verbo. Qui Antonio, copto, era influenzato dalla cultura del dualismo: superiorità e grandezza dello spirituale, di Dio e perciò distacco da tutto il terreno.

Gregorio Nazianzieno sottolineò il far tacere i propri sensi, l’uscire dalla carne e dal mondo, il non occuparsi delle cose umane se non strettamente necessarie: ricerca di Dio in se stesso.

Spiritualità dunque essenzialmente INDIVIDUALE, anche se naturalmente era sempre vissuta in una dimensione ecclesiale (senza la quale non si è cristiani!): Ilario Pontico si diceva "separato da tutti, ma unito a tutti", attraverso la preghiera, l'ospitalità, il consiglio. Il CENTRO della vita però non è il fratello ma Dio solo. Perciò mortificazione, silenzio, digiuno, veglie di preghiera. Il fratello può essere addirittura un ostacolo. Un monaco del deserto affermava: "Dio sa quanto vi amo, ma non posso stare contemporaneamente con Lui e con voi, perciò vi lascio"...

Una seconda spiritualità, successiva, riscopre la parola "Ama il prossimo come tuo come te stesso". Ecco il CENOBIO (nel suo significato di "stare insieme"). Pacomio incontra cristiani che lo amano e sente di doverli concretamente riamare. Soprattutto Basilio, dopo aver pellegrinato presso tutti i monaci, ricorda gli amici che con lui hanno condiviso l'ansia di perfezione e riscopre che l'uomo è fatto strutturalmente per il rapporto, per la relazione, per l'amore. Perciò bisogna mettersi "insieme per vivere il Vangelo fino in fondo" (se no, come si potrebbero vivere i precetti del Signore che riguardano "l'ultimo posto", "il lavarsi i piedi a vicenda", "la pazienza e il perdono"...?). Nascono i MONASTERI. Però è una vita insieme ma ancora di "solitari": insieme per aiutarsi a raggiungere individualmente, da soli, Dio, nella propria cella. Ciò dura certamente fino all'inizio del secondo millennio, con la centralità delle pratiche di pietà e dell'ascesi personali. Ma questa tendenza ha resistito praticamente FINO AD OGGI: gli strumenti della santità sono stati finora la solitudine, il silenzio, la mortificazione, la fuga (almeno interiore) dal mondo, andando verso Dio in un rapporto personale INDIVIDUALE, dove il fratello non è il "centro" della vita, lo strumento principale di santità, ma al più un'occasione per santificarsi.

All’INIZIO del SECONDO MILLENNIO nascono i Movimenti pauperistici: Chiesa povera e semplice (Ordini Mendicanti).La Parola è il mandato missionario di Matteo e Luca: andare a due a due per annunciare, nello stile povero, affidati alla Provvidenza, sottolineando la fraternità (Francesco e Domenico fondano ordini non solo più per religiosi consacrati ma per tutta la Chiesa, anche per laici: terz’ordini). Contro la cultura del tempo (Comuni = autonomi, chiusi in lotta) ecco l’apertura alla fraternità, all'universalità: non più monaci, ma FRATI, fratelli. Contro la nascita della ricchezza, dell'economia, la povertà. Però l'itinerario profondo resta la ricerca della solitudine del rapporto personale con Dio (Francesco tende alla Verna, verso una povertà sempre più alta esteriore e interiore, fino alla totale solitudine).

All'epilogo del Medio Evo (Paesi Bassi, Germania, Inghilterra. Mistica Renana, Devotio Moderna con l’"Imitazione di Cristo", Maestro Eckart, Taulero...) si riscopre la presenza di Dio nel fondo dell'anima, in sé, anzi al di là di sé: la Trinità è in fondo all'animo, e perciò contemplazione, gradi mistici. Per questo è necessario concentrarsi per trovare Dio. Ma (Taulero): per fare entrare Dio bisogna fare spazio, poiché Dio crea dal nulla e deve trovare il nulla per creare in noi. Dunque bisogna creare il vuoto assoluto, anche del fratello. Nell’"Imitazione" si dice che i santi più grandi fuggivano per quanto più potevano la compagnia degli uomini (e in essa anche i sacramenti sono trattati esclusivamente come mezzo di santificazione personale).

DAL 1400 AL 1600, diversificandosi le varie culture, si diversificano le spiritualità e il secolo d'oro di una singola cultura corrisponde al secolo d'oro della sua spiritualità:

- spagnola: Teresa d'Avila, Giovanni della Croce, Ignazio

- italiana: A.M.Zaccaria, Gaetano da Thiene, Filippo Neri

- francese. Francesco di Sales

- russa, col culmine addirittura nel '900.

Inoltre nascono le spiritualità laicali, fuori da una struttura gerarchica, dalla Riforma.... Le spiritualità cattoliche risentono comunque del nuovo clima culturale. Nel M.Evo si affermava la centralità di Dio, di Cristo (cfr l’abside col Pantocrate). Con l'Umanesimo si sottolinea che Dio ha affidato il mondo all'uomo, ed ecco perciò la centralità dell'uomo (cfr. il "cerchio" di Leonardo da Vinci). Nasce l’attenzione all'umano, ai vari moti dell'animo, alle leggi del discernimento spirituale, alla psicologia spirituale, alla direzione spirituale.... (Ecco gli Esercizi spirituali, il Castello Interiore...). Ascolto di me e di Dio, rapporto con Lui integrale, anche affettivo (estasi). Centralità della preghiera come porta per entrare nel "castello", "rapporto amichevole da sola a solo con Colui dal quale mi sento amata" (Teresa). Dio nel mio nulla (NADA di Giovanni della Croce).

DAL 1600 AL 1800: Vengono in evidenza altre frasi che riguardano il servizio del fratello (Mt. 25: "tutto quello che avrete fatto al più piccolo..."). Spiritualità del servizio, del dono di sé all'altro: Vincenzo de' Paoli (poveri), Camillo de Lellis (ammalati), La Salle (bambini per l'educazione)...; anche i nostri Santi "sociali" piemontesi... Però lo stile di vita interiore rimane quello di prima: gli strumenti della vita spirituale sono ancora quelli individuali. Proiettati fuori nella carità, in casa si è certosini (silenzio, penitenza, digiuno...). Il servizio della carità è ancor solo un mezzo per santificare se stessi.

Nell'800, sempre in quest'ottica, nascono anche le spiritualità missionarie universali ("Andate in tutto il mondo...": servizio dell'evangelizzazione. Comboni, ecc...). Ma sempre nell'ottica di un cammino di perfezione personale.

Certamente tutti i santi hanno sperimentato particolari momenti di amore fraterno, di comunità (vedi, ad esempio, quello che dice Agostino all'inizio delle regola: "un cuor solo e un'anima sola per andare uniti insieme verso Dio... in fraternità gioiosa, anche per ridere insieme, nelle affettuosità, ecc..."; e vedi l’episodio del "Giovane" che appare "in mezzo" a Francesco e ai suoi compagni). Ma erano aspetti, momenti, episodi... La vita spirituale era centrata sempre ancora sul cammino individuale: la comunità era al più una delle componenti, uno dei mezzi e non dava il "la", il tono, lo stile di vita interiore... Così facendo i vari santi sono diventati gli esperti dei vari singoli aspetti della vita spirituale (preghiera, discernimento, umiltà, povertà, obbedienza...), senza però che questi vengano unificati da un centro comune.

 

4 - Nella Chiesa di oggi

Il NOSTRO SECOLO è caratterizzato dal bisogno dell'unità, della comunione.

- politicamente: ONU, illusione del marxismo...

- nelle comunicazioni, nei mass-media: villaggio globale, in tempo reale...

- nella Chiesa: ecumenismo, Chiesa=comunità per il Concilio (cfr. anche la visione dei sacramenti come momenti eminentemente comunitari, e il documento della C.E.I. "Evangelizzazione e Testimonianza della Carità", dove l’annuncio del Vangelo è "condizionato" alla frase di Mt. 18, 20 per lo Spirito operante colla presenza del Risorto...).

Ma, più si cerca l'unità, più si esperimentano divisioni, guerre, tensioni, lacerazioni, particolarismi...

Lo Spirito Santo sembra rispondere facendo riscoprire l'UNITA' TRINITARIA, che non cancella anzi ricupera tutte le diversità e le valorizza, ma le ricompone nella comunione (finalmente finisce il "monoteismo statico giudaico" e si scopre vitalmente la vita trinitaria... dice Bruno Forte). E' un ritorno al Big Bang iniziale: nuova sintesi unitaria. La Parola è l'"Ut omnes". E' una nuova Pentecoste, più bella perché raccoglie la STORIA con le sofferenze, le conquiste e tutte le opere di Dio, in una sintesi operosa. Non si rinnega niente del passato, ma si riassume tutto in un modo sublimato.

Questo però richiede una rivoluzione copernicana: non cerco più primariamente Dio in me (fuggendo il fratello o al più "usandolo" come strumento di ascesi), ma ritrovo Dio in me proprio ATTRAVERSO IL RAPPORTO COL FRATELLO, costruendo con lui il "castello esteriore" che è il Regno di Dio nel mondo. Tutti i particolari scoperti dalle varie spiritualità rimangono validi (specialmente il NADA in cui Dio opera, ma qui cercato per "far spazio al fratello"...), ed ognuno può anche seguire una di esse in modo particolare se corrisponde alla sua strada specifica. Ma PRIMA dei particolari bisogna puntare all'insieme, all'uno, entro cui (e solo entro cui) i particolari si compongono complementandosi e riacquistando il loro giusto valore e significato. Anche le esperienze mistiche più alte non sono più da ricercare e "conquistare" con una ascesi individuale, ma sono donate a tutti nell'esperienza della comunità, come ai discepoli di Emmaus: calore nel cuore e comprensione profonda delle Scritture.

Si apre dunque (come già preannunciava von Balthasar) l'era di una spiritualità "di Chiesa", cioè essenzialmente comunitaria, che da un lato è l'unica (perché del nostro tempo) a poter far raggiungere oggi la santità anche individuale, e dall'altro lato contemporaneamente è l'unica risposta adeguata per la trasformazione del mondo d'oggi secondo il progetto di Cristo.

Nella riscoperta vitale della "Famiglia" Trinitaria e del modello di Nazaret, la Chiesa stessa ritrova nella famiglia umana il suo "modello" ("famiglia, via della Chiesa", come ha affermato Giovanni Paolo II), da riprodurre, in qualche modo, nel presbiterio stesso dei sacerdoti, nelle comunità religiose, nel rapporto tra il Vescovo "padre" e i suoi fedeli (come vedremo nel capitolo 5).

E, sempre in questo contesto, sta avvenendo una revisione profonda dell’intera visione morale e in particolare della sessualità (come invece vedremo nei capitoli 2-4).

"Siamo alle soglie del terzo millennio. La famiglia, ogni famiglia può divenire un protagonista di questa èra. Consegnata da Dio come capolavoro dell’amore, la famiglia può ispirare delle linee per contribuire a cambiare il mondo di domani. Se noi infatti osserviamo la famiglia, se facciamo quasi una radiografia di essa, possiamo scoprirvi dei valori immensi e preziosissimi, che proiettati e applicati all’umanità possono trasformarla in una grande famiglia. La famiglia è fondata sull’amore, un legame che ha tutti i sapori: amore tra gli sposi, tra genitori e figli. tra nonni, zii e nipoti, tra fratelli. Un amore che cresce e si supera di continuo. Così l’amore degli sposi genera nuova vita e la fraternità diventa amicizia. Autorità e ruoli, perché espressione di amore, sono riconosciuti naturalmente. La famiglia dunque custodisce una risorsa fondamentale per l’umanità: la capacità naturale e spontanea di amare, che dà vita ad una struttura che ha il compito di mantenere e accrescere, di esprimere l’amore come legame fondamentale della stessa vita familiare, e di rivelarlo come legame fondamentale di ogni società umana".

Dunque possiamo concludere queste prime considerazioni, quasi a mo’ di programma per il nostro corso, col grido di Giovanni Paolo II: "Famiglia, diventa ciò che sei!", per il rinnovamento della Chiesa e dell’intero mondo.