LA VERA "NATURA" DELL’UOMO:
LA VOCAZIONE ALL’AMORE

 

1 - La Vera NATURA dell'uomo è la vocazione all'Amore, e quindi la sessualità è rapporto, relazionalità, dono

Nell’ottica del discorso fatto precedentemente, risulta una grave restrizione quella fatta dalla morale tradizionale che vedeva come fine specifico della sessualità soprattutto (e in pratica quasi esclusivamente) la procreazione. Certo questa rientra a pieno titolo nel senso profondo della sessualità (cfr. il terzo stadio, quello dell'oblatività e della fecondità). Ma il fine più generale della sessualità si deve invece riconoscere proprio nel servire alla relazionalità, cioè come mezzo di comunicazione tanto più profondo quanto più globale e coinvolgente tutta la persona (in tutte le sue componenti, quella fisica compresa) in ogni rapporto (sia pure con modalità e gradi diversi e adeguati allo specifico tipo di rapporto stesso), e non solo quindi nel rapporto di coppia adulta eterosessuale.

Ed è bello rilevare come anche nel pensiero del papa Giovanni Paolo II tutto è centrato sulla "relazionalità":

"Il CORPO [è] segno e luogo della relazione con gli altri, con Dio e con il mondo... Conseguentemente anche la SESSUALITA' è... segno, luogo e linguaggio dell'amore, ossia del dono di sé e dell'accoglienza dell'altro secondo l'intera ricchezza della persona Nella prospettiva materialistica, le relazioni personali conoscono un grave impoverimento. I primi a subirne i danni sono la donna, il bambino, il malato o sofferente, l'anziano. Il criterio proprio della dignità personale - quello cioè del rispetto, della gratuità e del servizio - viene sostituito dal criterio dell'efficienza, della funzionalità e dell'utilità: l'altro è apprezzato non per quello che 'è', ma per quello che 'ha, fa e rende'. E' la supremazia del più forte sul più debole".

A questo punto possiamo allora rivedere con decisione il concetto di "natura" applicato all'uomo. Accettiamo dunque ancora e in pienezza l'idea che sta alla base della visione etica: che bisogna cioè guardare all'essenza della natura umana per stabilire le regole etiche. Ma è il concetto di natura umana che deve essere decisamente ampliato. E' strano (potrebbe quasi dirsi scandoloso...) che finora la maggior parte dei moralisti abbia definito la natura umana partendo praticamente solo da un punto di vista bio-fisologico, come per quella degli animali! Sottolinea Lacroix:

"Se si fa uso del concetto di 'natura', questo termine, applicato a 'persona' e 'atti', non significa 'dato biologico', ma, piuttosto, verità, orientamento fondamentale... In materia di sessualità, troviamo l'esigenza di definire delle norme che siano in accordo non solo con il meglio per l'organismo, ma anche con le leggi dello sviluppo e della crescita di tutta la persona. Sarà contrario alla morale dichiararsi giudice del bene al di sopra del prendere in considerazione le strutture antropologiche fondamentali. E' così che tra le leggi della crescita psico-affettiva e quelle dell'etica, ci devono essere dei passaggi".

Purtroppo è ben motivata per la morale cristiana tradizionale la critica di "naturalismo", quella cioè di fare riferimento alla natura dell'uomo, senza tener conto del posto costitutivo della cultura e della storia, e senza ricordarsi che, secondo la Bibbia, l'uomo è signore della natura e non viceversa. Questa critica esige che, parlando di natura umana, non si tengano nella separatezza i vari elementi presenti nella persona e non si separi artificialmente la dimensione della natura da quella della cultura. E' di nuovo il problema di una profonda visione unitaria: "E' immorale tutto ciò che prende l'unità, la rompe, la spezza, la frammenta... Allora è morale ciò che rispetta la ricchezza del volto dell'uomo, ciò che rispetta l'insieme degli elementi... E' morale ciò che permette l'armonia di tutti gli aspetti. In altri termini la morale coincide con la bellezza, perché la bellezza è la sinfonia di tutti gli aspetti".

Naturalmente una revisione del concetto di natura umana porta con sé, o se si vuole deriva da una revisione del concetto di legge naturale, che è sempre stato la base assoluta del pensiero etico tradizionale nel Cristianesimo. In effetti, in tale concetto, vi sono tre punti critici, come acutamente osserva Lanfranconi:

"Il primo riguarda il carattere biologico della legge naturale. Sembra cioè che il concetto di legge naturale faccia riferimento, in modo prevalente, se non proprio esclusivo, alla natura biologica dell'uomo. Ora è certo che la struttura fisica rappresenta una componente della natura umana; ma non è quella principale, né propriamente quella qualificante... In secondo luogo si critica il concetto di legge naturale in quanto sarebbe troppo legato ad una visione metafisica della natura umana. Alla legge naturale, che si formula partendo dall'essenza dell'uomo, vengono riconosciuti i caratteri di universalità e immutabilità che sono propri dell'essenza. Ma all'affermazione che la legge naturale è universale e immutabile si oppongono alcune facili osservazioni. Anzitutto quella più evidente che la legge naturale varia secondo i tempi e secondo i luoghi. L'etnologia ha messo in evidenza che quanto è ritenuto naturale presso una popolazione non lo è presso un'altra. E la storia, dal canto suo, dimostra ampiamente che situazioni e costumi ritenuti naturali in una determinata epoca, in seguito non furono più considerati tali. In realtà la formulazione concettuale della legge naturale - e quindi i suoi contenuti - dipendono dalle singole culture. Ma poi, a questa prima osservazione, se ne aggiunge un'altra, ed è che una visione metafisica della legge naturale si presenta inadeguata perché coglie solo un aspetto dell'uomo - quello metafisico, appunto, e pertanto non può costituire un criterio sufficiente per regolarne l'agire.... Il comportamento dell'uomo nasce da tante altre componenti che restano assenti da una visione metafisica... in quanto escluderebbe una componente costitutiva della realtà umana che è la storicità... Ogni realtà umana è perciò stesso contingente, e quindi particolare e mutevole. Infine un'ultima perplessità a riguardo della legge naturale concerne il suo significato e il suo valore nell'economia salvifica. Se effettivamente ogni uomo è ordinato alla salvezza soprannaturale, poiché il fine unico per tutti gli uomini è la comunione di vita con Dio, che senso ha parlare di una legge naturale che suppone per l'uomo un fine naturale?... L'uomo si presenta ad ogni riflessione come una realtà composita: egli infatti partecipa simultaneamente di una dimensione corporea e di una dimensione spirituale. L'unità di queste due dimensioni permette all'uomo di porsi di fronte alla realtà materiale con una propria caratteristica individuante. Quella di essere persona. Dire persona significa che l'uomo è centro che unifica le molteplici esperienze con intelligenza, è principio libero d'azione, è capace di decisione e di responsabilità perché sa misurare il suo rapporto con le altre realtà e sa orientarlo in un modo piuttosto che in un altro. La sua natura pertanto è definita da un elemento che non è statico, non è classificabile una volta per sempre... La persona si accorge che il suo giudizio di coscienza non adegua la realtà [se non] attraverso il confronto con altre persone, con altre opinioni. Ciò induce a riconoscere che la legge naturale umana è un fatto che ha attinenza con il sociale. Né potrebbe essere diversamente, dal momento che la persona è aperta non solo a Dio, ma anche agli altri. Affermare che l'uomo è per natura socievole non significa solo riconoscere che la natura stessa inclina l'uomo al rapporto sociale, ma significa anche che all'interno di esso scopre la propria identità e le esigenze native del proprio essere, cioè la legge naturale".

Se la sessualità animale è finalizzata esclusivamente (ma lo è poi proprio?...) alla procreazione, l'uomo non può invece essere ridotto ad un insieme organico che, per quanto riguarda la sessualità, ha come unico scopo quello della procreazione. Già il papa Paolo VI, nella sua enciclica "Humanae Vitae", ammetteva nel matrimonio il fine della mutua realizzazione dei coniugi come "ugualmente" primario a quello della procreazione. Ma ci pare ancora poco. Infatti, da una parte, come abbiamo già peraltro rilevato (dallo stesso schema di Fromm), è essenziale affermare che la fecondità non può mai essere esclusa dal rapporto di coppia, pena lo sterilimento dello stesso, che tenderebbe a diventare una chiusura di "egoismo a due": il comando della Genesi (1, 28) del "crescete e moltiplicatevi" fa parte essenziale della vocazione umana e "nella paternità e maternità umane Dio stesso è presente in modo diverso da come avviene in ogni altra generazione 'sulla terra'" (Giovanni Paolo II). Ma, d'altra parte, è intanto diventato ormai chiaro che "paternità responsabile" non vuol dire un procreare fine a se stesso, e richiede di metter al mondo tutti, ma anche solo quei figli che si è in grado anche di mantenere e di far crescere in un'autentica condizione umana. Inoltre la fecondità - come abbiamo accennato - non può risolversi e limitarsi a quella puramente fisica, ma deve anzi allargarsi fino a far diventare i coniugi in qualche modo "padri e madri del mondo" (con tutte le conseguenze che questo può comportare, anche nella stessa fecondità fisica).

In ogni caso ci pare che la sessualità umana, per quella sua complessità, che abbiamo ampiamente sottolineato, non possa esaurirsi appunto in una funzione biologica e che anche la stessa fecondità acquisti il suo giusto senso proprio e solamente nell'ottica della relazionalità. E' questa quindi da prendere come base di tutto. Osservano al riguardo alcuni autori:

"Se ci riferiamo poi specificamente alla sfera della vita sessuale, l'impossibilità di ridurre la corporeità dell'uomo all'animalità semplice e, per conseguenza, di seguire l'interpretazione naturalistica della sessualità, risulta ancor più evidente. Naturalmente si è tentato di dimostrare che, non essendovi apprezzabili differenze di ordine fisiologico e dinamico a livello del dimorfismo sessuale animale e umano, e potendosi rinvenire fra alcuni animali esempi di un esercizio sessuale non direttamente funzionalizzato alla riproduzione o anche di inversioni del ruolo sessuale, l'attività sessuale umana non è essenzialmente diversa da quella animale e che, quindi, la 'naturalità' del comportamento sessuale animale deve essere predicata anche del comportamento umano (cfr. C.S. Ford - F.A. Beech, 'Patterns of Sexual Behavior', New York, 1951). In verità, questo tentativo risulta pretestuoso e fallimentare solo che si rifletta sulle differenze qualitative (vorrei dire, INTENZIONALI) dell'attività sessuale e, più profondamente, della stessa sessualità umana rispetto ai fenomeni analoghi del mondo animale. Senza voler negare l'evidente analogia fra i processi generativi dell'uomo e di alcune specie animali, occorre però rilevare che la pulsione sessuale umana non è periodica, come nell'animale, bensì continua e può essere percepita e vissuta come fine a se stessa. Ciò non significa, naturalmente, che non esista una ciclicità fisiologica propria della sessualità umana; tuttavia, essa non è ultimamente determinante per l'attività sessuale che, può, dunque, realizzarsi anche a prescindere dai ritmi fisiologici. Del resto, anche un'attenta analisi dei dinamismi che determinano l'insorgenza del desiderio sessuale nell'uomo e nella donna ne evidenzia il 'carattere essenzialmente psicogenico', così da poter concludere che il desiderio sessuale stesso 'è un fenomeno psichico' (G. Piana, 'Orientamenti di etica sessuale', in T. Goffi - G. Piana, 'Corso di Morale', Brescia 1983, vol. 2, pp. 274-275). Da ciò si può comprendere come mai l'uomo, a differenza dell'animale, possa dilatare l'orizzonte della propria sessualità fino ad includervi anche aspetti dell'esistenza che non sono propriamente sessuati, così come può, all'opposto, limitare le forme e i modi nei quali la sua sessualità si esprime. Se ne può concludere, allora, che la pulsione sessuale umana non si riduce a mera necessità fisiologica, capace di predeterminare e preordinare il comportamento in maniera univoca. La plasticità di questa pulsione, mentre sottolinea il proprio limite naturale e richiede l'intervento normativo della ragione, già testimonia che il compimento dello stesso richiamo pulsionale va cercato 'al-di-là' di esso; e che, dunque, il senso della sessualità umana va indagato sulla linea di questo rinvio della corporeità oltre se medesima". "La differenziazione sessuale eccede in ogni senso la funzione genitale: non siamo uomini e donne per copulare. I rapporti genitali sono la conseguenza e non la causa della differenziazione sessuale. Non solo ci sarebbero potuti essere altri modi per riprodursi, ma il maschile e il femminile si orientano verso un'unione ontologica che si manifesta a diversi livelli e di cui l'unione genesica è solo la figura". "Studiando la tradizione della Chiesa, non è difficile trovare un buon numero di testi, nei quali il comportamento sessuale animale viene presentato come modello e norma del comportamento sessuale umano... Secondo S. Agostino la sessualità umana è ferita e adulterata dal peccato originale, mentre negli animali vige il comportamento sessuale 'naturale', conforme ai disegni di Dio... Secondo S. Tommaso, i peccati sessuali contra naturam sono più gravi di quelli secundum naturam, sebbene questi si oppongano gravemente all'ordine della carità come, per esempio, l'adulterio, la seduzione, la violenza carnale... Sono peccati contro natura tutti quelli in cui la 'seminatio' avviene in modo contrario all'istituzione naturale, cioè ostacolando la procreazione... Il tomista B.H. Merkelbach definisce peccati CONTRA NATURAM quelli che ripugnano 'all'ordine e al modo stabiliti dalla natura nell'atto sessuale orientato alla procreazione, alla quale è unicamente destinato per natura'... L'influsso neoplatonico si manifesta in modo più evidente nella valutazione del PIACERE SESSUALE come un male giustificabile solo in vista della procreazione... Utilizzando l'idea di 'natura' nella valutazione del comportamento sessuale, la nozione di sessualità viene ridotta a quella di 'genitalità'. Il concetto di sessualità come genitalità porta ad una 'morale biologistica', avulsa dalla totalità della persona... [Ora invece si incomincia a sottolineare che] la sessualità non è una dimensione umana unicamente finalizzata alla riproduzione e alla conservazione della specie, ma pervade tutta la personalità umana e costituisce un dinamismo di apertura e di incontro con un tu (cfr. le udienze del mercoledì di Papa Giovanni Paolo II a partire dall'ottobre 1979)... Per Oraison il criterio etico dei comportamenti sessuali sta nel grado di 'umanizzazione' di cui si rivestono".

Vale infatti anche per la sessualità (e direi anzi con ben maggiore forza) il discorso che si deve fare per altri aspetti "biologici" della vita umana. Il nutrirsi, per l'uomo, ha acquistato un significato che trascende ampiamente quello solo biologico (anche se naturalmente lo comprende e deve con esso armonizzarsi, senza diventare un assoluto: "mangiare per vivere e non vivere per mangiare", come ricorderemo ancora dopo...). Per cui è nata la gastronomia e, ancor più, proprio sul versante della relazionalità, la gioia della mensa comune. Così per l'esercizio fisico (che è diventato sport) e per il tempo libero e il riposo (che è diventato gioco, tempo di "ricreazione" per tutta la persona e periodo da trascorrere liberamente insieme).

In modo particolare oggi, ci sembra che cresca sempre più la necessità di passare da una morale che detta norme, che potremmo chiamare (in modo un po' sarcasticamente riduttivo): di sanità e "sopravvivenza" individuale; ad una morale che - riscoprendo proprio l'essenziale relazionalità dell'uomo e l'ineludibile situazione per cui egli è legato, sia per la sua crescita che per la sua stessa sopravvivenza, alla storia di tutta l'umanità - sottolinei come responsabilità basilare quella di partecipare positivamente alla costruzione della società e della storia, mettendo in primo piano i peccati (di atti o di omissioni) "contro l'altro", sia come individuo che come società. Gli stessi doveri (e quindi i contrapposti "peccati") verso la propria persona (o riguardo il rapporto con Dio) acquistano nuova forza e significato proprio come esigenza e presupposto del proprio "servizio" agli altri.

In sintesi, possiamo allora dire con Brunner che la persona è "'relazione sostanziale' o ancora sostanza relazionata". L'uomo è creato per essere relazione (lo stesso termine "persona", originariamente indicante le maschere dei personaggi teatrali indossate dagli attori greci e latini e che avevano anche una funzione tipo megafono, viene - secondo un’etimologia, forse inesatta, ma certo molto antica -dal "per-sonare", superlativo cioè di COMUNICARE col suono della voce). L'uomo, fatto ad immagine di Dio (che nella Trinità è essenzialmente relazione), è, esiste e si realizza in quanto è "relazione con":

- prima di tutto se stesso: conoscendosi, accettandosi, amandosi;

- l'altro, ogni altro: uscendo da sé, dal proprio egocentrismo (che diventa eticamente negati-vo, cioè egoismo, se rimane come scelta di vita), conoscendo e accettando l'altro, e infine donandosi a lui;

- Dio, che è il termine ultimo della nostra "apertura" e del nostro dono, e quindi della nostra realizzazione.

Per questo i vari aspetti della vita affettivo-sessuale possono essere espressi tramite vocaboli "relazionali": relazione carnale, legame d'amore, alleanza coniugale; e l'imperativo fondamentale dell'etica, come dice Lacroix può riassumersi nella frase "Tu diventerai un IO nella relazione con un TU". E' la relazione "dialettica" (o se vogliamo: "dialogica", che è in questo caso sinonimo) con l'altro uomo e, anche proprio attraverso di lui, con Dio, che "costruisce" l'esistenza umana.

"La parola 'DIALOGO' è 'dia-logos'. Il termine 'dia' indica sempre distinzione, separazione. Perché ci sia dialogo bisogna che ci sia distinzione tra me e voi, tra l'uomo e la donna, tra il ragazzo e la ragazza, tra il marito e la moglie, tra genitori e figli. Ci va un 'dia', ci va uno spazio. Però se lasciamo solo lo spazio, solo la distinzione, solo la separazione, che succede? Succede che ciascuno va per conto suo o addirittura quello spazio diventa il deserto. E il deserto può essere il luogo dell'accadimento della violenza. Invece in quel 'dia', se il 'dia' diventa dialogo, in quel 'dia' succede il 'logos'. Cos'è il 'logos'? Il logos è una vera novità che succede in questo spazio che c'è fra i due.... Come possiamo tradurre quel 'logos'? Immediatamente possiamo dire 'il discorso'. Tra di noi succede il discorso, succede 'la parola'... ma il logos in ultima analisi è Dio stesso in quanto si è donato all'uomo, è Dio come Figlio, è il Figlio. E' il Figlio che noi celebriamo in questi giorni come il Risorto, è il terzo che accade in mezzo a noi. Quando succede questo è l'unità... Il Risorto ha questa caratteristica: di noi due dice tutta la distinzione, dice tutte le nostre personalità, dice la nostra libertà. Non c'è rapporto senza libertà. Ma d'altra parte dice che siamo una cosa sola". "Ed il Cristo Pasquale in modo culminante ci ha rivelato che l'affetto umano ha questa logica, perché Dio stesso vive così. Dio non è né un solitario isolato, né un universale impersonale e vuoto di rapporti, né è costituito da dei distinti separati fra loro, ma è la comunione trinitaria, massima unità e massima distinzione insieme. In questo modo possiamo intuire come l'uomo si realizzi e sia felice quando ama, perché l'amore è la dimensione più densa di umanità".

E la relazione d'amore diventa piena e pienamente realizzante quando raggiunge la dimensione del dono gratuito all'altro, suscitando - infine - e realizzando la reciprocità:

"L'amore è liberazione nella duplice accezione del termine: si libera una grazia non trattenendola per sé e ci si libera spezzando delle catene. L'uomo che imprigiona il dono imprigiona se stesso. Questa è la legge misteriosa che fa del peccato lo strumento del castigo e del peccatore la vittima della propria colpa. Una strana giustizia impoverisce colui che rifiuta di essere povero: più accaparra, più l'accaparratore si trova carente. Al contrario, l'energia trasmessa si moltiplica: chi apre le mani vede affluire in sé forze insospettate. Più si spossessa, più la sua ricchezza aumenta". "L'etica cristiana riceve la sua originalità dalla Rivelazione di un dono totale come sorgente di vita. 'Non c'è amore più grande di chi dà la vita per colui che ama' (Giov. 15, 13). Questo movimento è così radicale che implica non solamente la coscienza, il volere e l'agire, ma l'essere intimo del soggetto, trasformando la sua relazione col suo corpo, fino alla sua stessa esistenza e al suo avvenire. 'Spirituale' il corpo diventa non per qualche smaterializzazione o supplemento di sostanza, ma per il suo entrare in questo dinamismo. E' in questo passaggio a l''altro che essere', in questa correlazione fra l'essere e il dono che noi riconosciamo il punto finale dell'antropologia come dell'etica cristiana. Nella sua carne, nella sua anima e nel suo spirito, l'uomo sperimenta la verità della frase francescana: 'e' donando che si riceve'. La vita spirituale risiede in questa inversione del senso della relazione, e non in una seconda vita che verrebbe ad aggiungersi alla prima. Essendo la vita dono, il ricevere e il donare sono un tutt'uno. 'Chi vuol salvare la sua vita la perderà, ma colui che perde la sua vita a causa di me, la ritroverà' (Lc. 9, 24)". "La persona è dunque un essere di relazione o, meglio, un essere di comunione che non può 'ritrovarsi pienamente se non attraverso un sincero dono di sé' (Concilio Ecum. Vaticano II, 'Gaudium et Spes', n. 24). Mounier ha ben chiarito la dinamica di questa comunione: 'Il rapporto dell'io con il tu è l'amore, col quale la mia persona si decentra in qualche modo e vive nell'altro, pur possedendosi e possedendo il suo amore... L'amore non si aggiunge alla persona come un lusso e senza di esso la persona non esiste. Bisogna procedere oltre: senza l'amore, le persone non riescono a diventare se stesse. Più gli altri mi sono estranei, più sono estraneo a me stesso' (E. Mounier, 'Rivoluzione personalista e comunitaria', Ecumenica, Bari 1984, p. 96)... Dunque, la vita d'amore dell'uomo, intimamente connessa alla sua sessualità, 'nasce dal mistero dell'individualità, esplode nella socialità, si consuma tra un io e un tu per divenire un noi' (C. Casoli, 'Sessualità e matrimonio cristiano', in 'Ekklesia', 5/1971, pp. 56-57)... La persona, secondo quanto abbiamo visto, attua se stessa solo 'esistendo CON QUALCUNO - e ancor più profondamente e più completamente: esistendo PER QUALCUNO. Questa norma dell'esistere come persona... [aiuta a comprendere] quanto fondamentale e costitutiva sia per l'uomo la relazione e la comunione delle persone. Comunione delle persone significa esistere in un reciproco per, in una relazione di reciproco dono' (Giovanni Paolo II, 'Il corpo: testimone del dono e dell'Amore', disc. all'udienza gen. del 9/5/1980)... Da ciò risulta che 'il mistero dei Tre che sono Uno è la forma dell'umanesimo cristiano. Il quale, dunque non può essere che trinitario' (G.M. Zanghì, 'Dio che è amore. Trinità e vita in Cristo', Città Nuova, Roma 1991, p. 21)... [E'] quello che è stato teologicamente definito PERSONALISMO TRINITARIO... All'economia del nostro discorso antropologico può bastare aver individuato nell'amore la vocazione ontologica dell'uomo e della donna ad attuarsi integralmente come persone. In questa vocazione 'mediante l'amore vicendevole, l'uno deve donarsi all'altro, l'uno deve dovere se stesso all'altro, e così predisporre lo spazio in cui Dio stesso abita non soltanto nel singolo ma nella comunità' (K. Hemmerle, 'Matrimonio e famiglia in una antropologia trinitaria', in 'Nuova Umanità', 31/1984, p. 24). Di questo amore si è poi individuato l'ultimo DINAMISMO TRIADICO, riconoscendo che un amore diadico che voglia polarizzarsi nei due partners in senso esclusivo, senza invece aprirli oltre loro stessi sugli altri e su Dio, 'non è quell'amore che si abbandona del tutto compiendosi proprio così in sé come amore' (ibidem, pp. 27-28)".

La Trinità è una COMUNIONE piena (tanto da realizzarsi in un’unica Natura) di TRE PERSONE DISTINTE E DIFFERENTI, proprio perché ognuna di esse vive PER l’altro: 1+1+1 farebbe 3, ma 1x1x1 fa UNO!

E l'amore, in questa sua dimensione etica più profonda, genera il concetto di "responsabilità", nel suo significato etimologico più pieno: di re-spondere, dover rispondere di sé all'altro e dover rispondere "dell'altro", e in ultima analisi essere responsabile del mondo e doverne rispondere a Dio. "Responsabilità significa qui capacità di intendere, accogliere l'appello, rispondendovi, possibilità di reciproco riconoscimento fra la parola che chiama e quella che risponde".

In quest'ottica acquistano significato nuovo anche determinate dimensioni della relazione amorosa, come ad esempio il desiderio, il far silenzio, l'ascolto, l'accoglienza:

"Il desiderio è, in effetti, movimento verso l'altro. Più che bisogno, esso domanda, interpella, grida. Orientato non solo verso un oggetto ma verso un soggetto, si indirizza ad una persona... Il desiderio non sarà autenticamente desiderio se non quando il soggetto sarà capace di assumere l'irriducibile solitudine dell'esistenza". "Il discorso sul silenzio come 'spazio' per accogliere l'altro, come condizione per esplorare il proprio mondo interiore e poterlo quindi condividere con le altre persone... Ritroviamo le principali problematiche di un cammino di crescita nella relazione affettiva: dal riconoscimento dei pregiudizi e delle pretese, che ostacolano l'ascolto e l'accoglienza, al valore del silenzio e dell'interiorità, dall'esperienza dell'incontro autentico nel rispetto dell'altro alla capacità di amare come capacità di dare la vita".

Infine, è ancora in questa dimensione che si trova la vera accezione di termini come purezza e castità, ben lontana da una visione asessuata e spiritualistica:

"La purezza è 'la coltivazione del desiderio di amare". "L'autentico desiderio di purezza sarà desiderio di chiarezza, d'unificazione, di libertà e non desiderio d'integrità o di disincarnazione". "L'autentica libertà diventa qui CASTITÀ, cioè integrazione in una relazione vera di tutta l'immensità della vita, altrimenti caotica o idolatrica. Il che non può avvenire senza un'ascesi per rispettare l'altro nel suo corpo". "Lungi dall'essere asessuato (eros interviene sempre nell'apprezzamento della beltà), lo sguardo casto sopporta la distanza e rispetta l'alterità (che non si riduce solo alla differenza). Esso percepisce il corpo come personale ed espressivo prima di percepirlo come oggetto di desiderio. Casto è lo sguardo che percepisce il corpo a partire dal suo viso. La castità è libertà o, più precisamente, libertà vis-à-vis del desiderio. La difficoltà che abbiamo a posare uno sguardo innocente su un corpo nudo è certamente segno del manifestarsi del pudore, cioè del senso dell'intimità, ma anche dei limiti dell'unificazione in noi del desiderio e della libertà. La nozione di purezza dello sguardo sarà da riscoprire, legata con quella della purezza del cuore". "La castita' è una virtù di equilibrio: essa è il frutto della grazia di Dio e dello sforzo continuo dell'uomo alle prese con la sua debolezza e fragilità. E' una virtù progressiva - non si nasce casti, lo si diventa, non meno che non si nasce caritatevoli o giusti".

E di conseguenza, ancora una volta, "impuro il carnale lo è [solo] in tanto in quanto ibrido, ambiguo", poiché "vivere di frammenti è essere poveri di umanità: è l'immoralità".

Dunque, in sintesi, è secondo la natura dell'uomo, cioè moralmente positivo, tutto ciò che lo aiuta a stabilire relazioni sempre più ampie, "aperte", autentiche e cioè integrali, e costruttivamente positive, cioè sempre più tendenzialmente oblative.

E' in questo senso che bisogna ripensare tutta la morale sessuale. Ogni comportamento ed ogni atteggiamento in questo campo non deve perciò essere valutato solo secondo una funzionalità bio-fisiologica, ma invece secondo la sua utilità nel far crescere la capacità di rapporto.

Perciò (anche tenendo conto degli ormai famosi "stadi intermedi" dello sviluppo) può considerarsi positivamente morale ogni azione che aiuti a crescere nel:

- rapporto con sé: comprese quindi le necessarie pratiche infantili di autoconoscenza, esplorazione, auto-erotismo (nel senso più ampio di "amore per sé");

- rapporto con agli altri, a partire dalla ricerca dell'altro per me, passando per la reciprocità, per arrivare al dono oblativo verso "ogni prossimo";

- rapporto con Dio, nella ricerca di un dono sempre più totale, come ricambio al dono che Dio ha fatto di sé a noi.

"Tutto il problema dell'etica sessuale è di sapere come un essere umano può imparare ad 'amare' non solo con lo spirito, ma anche con il corpo. La sessualità deve essere messa al servizio dell'amore. Bisognerà quindi considerare come buoni quei comportamenti che concordano con la legge d'amore e attraverso i quali l'essere umano impara ad amare. Saranno cattivi quei comportamenti che lo allontaneranno da questo scopo. La morale sessuale non è dunque una questione di tabù imposti all'uomo dall'esterno; meno ancora è il comandamento di un Dio che vorrebbe limitare la felicità dell'uomo. E' l'accettazione di quello che è l'essere umano con tutte le sue esigenze; la difficoltà risiede evidentemente nell'individuare che cosa significa 'crescere in amore’ ".

E' chiaro che "quanto abbiamo detto implica l'opportunità di un'educazione sessuale precoce. Il bambino deve prendere coscienza della sua sessualità, della sua importanza positiva ed evitare di farne un tabù. Deve al contrario riconoscerla come una forza che più tardi lo aiuterà a crescere nell'amore".

In particolare, dunque, più che reprimere nel bambino degli atteggiamenti formalmente scorretti, ma ancora semplicemente dettati dalla sua immaturità, bisogna con delicatezza e serenità aiutarlo ad evitare gli eccessi dovuti alla "gola" o alla "violenza", e cioè ad evitare tutti quegli atteggiamenti che, essendo contrari all'instaurarsi di una vera relazionalità, sono - questi sì - profondamente immorali. Infatti il vero peccato è l'EGOISMO, cioè la chiusura in se stessi, il non accettare la dimensione del dono e, di conseguenza, il non percorrere la strada della vera realizzazione di sé, per accontentarsi di una soddisfazione immediata. E' chiaro che la GOLA, cioè il piacere fine a se stesso, è la chiusura di ogni autentico rapporto verso l'altro, e anche in ultima analisi la distruzione di sé. Ancor più ovvia è la negatività di ogni forma di VIOLENZA, cioè dello sfruttamento egoistico dell'altro. Bisogna cioè aiutare il bambino, da quando muove i primi passi fino all'età adulta, a scoprire prima di tutto il rapporto personale di amore con Dio e a pensare alla propria vita come ad una VOCAZIONE, cioè una chiamata di Dio appunto al Suo Amore, a cui rispondere con totalità. Ed è in questa dimensione che dovrà continuare la "crescita" per tutta la vita.

Esiste un unico vero AMORE, che si manifesta sotto diverse forme e a diversi livelli:

- la CARITA' come fratellanza e aiuto verso tutti gli uomini ("ogni prossimo");

- la comunione nell'AMORE RECIPROCO che si attua nella comunità cristiana (cfr. gli Atti degli Apostoli);

- l'AMICIZIA, come rapporto intenso e profondo che si vive con qualcuno in particolare (anche Gesù aveva degli amici...);

- e poi, come vocazione specifica:

l'AMORE CONIUGALE come unione totale fra due persone ("come Cristo con la Chiesa"), dove si dà TUTTO (donde l'unicità e la fedeltà) e PER SEMPRE (donde l'indissolubilità) ed il conseguente amore genitori/figli;

oppure la CONSACRAZIONE CELIBATARIA, dove si sceglie il rapporto con Dio come unico "tutto" per il servizio di tutti i fratelli: l'amore umano in quest'ottica si "sublima" (e non solo si "compensa" semplicemente!...).

"Sono due vocazioni che sono identiche in quanto ambedue sono due modi di vivere l'amore. Quando si parla di verginità sembra che i coniugi vivano l'amore mentre i vergini vivano qualcos'altro...! Ma se l'amore è Dio sono due modi di vivere Dio... Il vergine ha una vocazione per essere colui che dice a tutti: 'Cristo vale di più! Ricordiamoci che Dio è uno'. Il vergine può vivere 'uno', può già vivere 'da solo'... Il matrimonio è la stessa vocazione perché è un modo di vivere l'amore di Dio. Ma di Dio più che l'unità il matrimonio dice la Trinità... Il matrimonio è realizzare su questa terra tra due persone, idealmente, un rapporto che è lo stesso rapporto tra il Padre e il Figlio, senza traccia di egoismo, dove c'è il dono totale".

Tutte queste diverse dimensioni dell'Amore realizzano insieme, complementandosi, la vita.

Il giovane educato cristianamente dovrebbe aver raggiunto la convinzione che la sua vita ha un senso solo se è dono totale a Dio, e per Lui al prossimo, qualunque sia la strada particolare che deve percorrere (matrimonio e mestiere "laico", o consacrazione religiosa).

Il rapporto personale con Dio (nella preghiera ad esempio) e la capacità di relazioni con gli altri che diventano sempre più di "dono", tutto ciò si trasmette ovviamente, molto prima che con le parole, con l'esempio dell'amore che i genitori hanno fra di loro, verso i figli e verso "gli altri". Solo se si sperimenta concretamente che cos'è l'Amore e ci si sente amati, si diventa capaci di amare e di donare.

"Ogni amore umano è una riposta... Chi non è stato amato non può amare. Ma d'altra parte colui che accetta la realtà di un amore anteriore alla sua risposta prende nei confronti della vita un atteggiamento di accettazione e di ricettività; si apre all'amore... Colui che si sa amato scopre la libertà. La gioia, la pace e l'amore trionfano sulla paura. In questa prospettiva amare non è anzitutto compiere un'azione, né voler possedere l'altro, ma accettare di essere amati. La persona si apre a qualcosa che si è prima ricevuto. Accettare così di ricevere è 'decentrarsi' per scoprire che abbiamo un valore agli occhi di qualcuno... Il cristianesimo non consiste dunque, come a volte si sostiene, nell'amore degli altri ma nel fatto che il cristiano accetta anzitutto di essere amato, per amare di rimando. Non si tratta dunque anzitutto di andare verso il prossimo, ma di lasciare che l'Altro e gli altri spezzino l'isolamento nel quale rischiavamo di chiuderci per accettare di vivere dei rapporti reali intimi. Dio appare come Colui che per primo ci invita a lasciarci amare da Lui. L'amore fraterno è segno che si è in Lui, che si risponde al Suo amore".

2 - No ad una sessualità solo "genitalizzata"

Riprendiamo e risottolineiamo, quasi a mo' di corollario, alcuni aspetti. Innanzitutto dunque possiamo dire che la restrizione del fine della sessualità alla procreazione ha invero operato proprio quella "parcellizzazione" che sopra abbiamo individuato come così lontana dall'ideale di persona cristiana. Come abbiamo già precedentemente rilevato, da tempi immemorabili (molto prima dell'avvento del cristianesimo) nelle civiltà occidentali si è genitalizzato in modo praticamente esclusivo il discorso della sessualità. Gli antropologi riconoscono in questo fatto l'effetto del passaggio, in epoche remote, dalle civiltà del "cesto" (più agricole e quindi più centrate sulla vita casalinga, dove la donna aveva un'importanza centrale) a quelle dell'"arco" (le società guerriere, con una netta preponderanza maschile). Insomma, si è progressivamente attuata una specie di repressione sessuale (restringendo questa realtà alla funzione biologica, procreativa), perché limitandosi nel "fare l'amore", si fosse più efficienti nel "fare la guerra". Tale scelta ha prodotto indubbiamente una grande capacità di efficienza, anche in campo intellettivo e tecnico, ed è stata probabilmente questa la causa del sorpasso effettuato in tal senso dalle civiltà occidentali sulle altre. Ma a quale prezzo? C’è in fondo qualcosa di vero (con tutte le ovvie riserve sulla sua visione morale...) nello slogan di Marcuse che, per cambiare la società, dice di "fare l'amore e non fare la guerra"...

In ogni caso questa genitalizzazione della sessualità, indirizzata solo in senso procreativo, ha portato alla morale del "tutto o niente". Ciò vuol dire che o si è in grado di gestire un rapporto completo (naturalmente solo eterosessuale) con tutte le conseguenze familiari e sociali, o non è permesso ancora nulla.

E, in ultima analisi, questa sottolineatura eccessiva del rapporto genitale finisce di impoverire di senso anche il medesimo, banalizzandolo... Ciò risulta molto chiaro nella mentalità corrente, chiramente espressa dai mass-media, come sottolinea Lacroix.

"Al cinema e alla televisione le 'scene d'amore' ritornano con una frequenza impressionante, facendo pressoché l'ufficio di passaggio obbligato al termine di ogni qualche relazione un po' intima fra un uomo e una donna. Questo induce i due significati contraddittori seguenti: da una parte questo atto, vista la sua reiterazione in circostanze che non hanno niente di eccezionale, diviene se non banale almeno corrente, cioè ordinario; ma d'altra parte questa reiterazione, in ragione della sua stessa costanza, pone l'unione come momento privilegiato dell'incontro, come riferimento incontrovertibile, accordandogli così un carattere quasi normativo, emblematico e insuperabile. Tutto avviene come se l'unione carnale fosse allo stesso tempo relativizzata e assolutizzata. Da una parte essa è desacralizzata, dedrammatizzata, 'assimilata', dall'altra essa sta 'a parte', come un'esperienza singolare, estrema, ultima. Piuttosto che di 'banalizzazione', si tratta di ossessione, o idolatria se l'idolatria consiste nel ricercare l'assoluto nel relativo. Ci troviamo così di fronte a un duplice paradosso: l'assoluto (quello che è in gioco nell'unione) diventa relativo, e il relativo (il godimento) diventa l'assoluto".

Questo ha impoverito terribilmente le possibilità del rapporto "sessuato" nel nostro occidente, negando (di principio, se non sempre di fatto) le infinite gradualità del contatto fisico. Pensiamo per esempio alle manifestazioni più generali e indifferenziate (ma pur sempre, anche se talvolta inconsapevolmente, "sessuate") del rapporto corporeo (che così sovente spaventa l'uomo occidentale, chiuso nella diffidenza e nell'insofferenza verso l'altro). Possiamo citare come esempio particolare l'odore corporeo, da noi così ferocemente rimosso con le pratiche più igienistiche, mentre invece il bimbo dice sovente di "godere" nel riconoscere l'odore tipico della mamma. E su su, possiamo giungere fino alle forme più diverse di "sensualità" (nel significato più ampio - e positivo - di sensibilità fisica). In realtà invece il termine stesso di sensualità è percepito subito da noi solo come negativo... In questo modo si sono precluse le infinite e fantasiose forme di semplice "tenerezza" (se non motivate solo come preparazione per arrivare all'atto completo), di cui invece molta cultura di tipo orientale si mostra ancora gran maestra: intendiamo parlare dei baci, degli abbracci, delle mille possibili carezze...

Ci pare comunque utile sottolineare anche noi subito che:

"Il gesto di tenerezza è di per se stesso un atto. Non è solamente un mezzo per giungere ad un fine. Il suo carattere di gratuità lo apparenta con la poesia... Il soggetto accarezzante è nella sua carezza, nella sua mano, nella sua pelle. Ciascuno dei partners è lì presente 'a fior di pelle'... L'abbraccio... dice la dolcezza dell'accoglienza reciproca dove ciascuno apre il suo spazio a quello dell'altro... Il baciare... significherà 'che uno è pronto a nutrire l'altro'".

In verità si può allora dire che il RAPPORTO FISICO (nel senso più generale di espressione fisica di un rapporto) fra due persone sia buono nella misura in cui ESPRIME esattamente (né più ma neanche meno) il grado autentico del rapporto profondo fra le due persone. Se lo esprime meno, ci si priva (e soprattutto si priva l'altro) di un aspetto importante, operando nuovamente una parcellizzazione. Se esprime di più della realtà esistente, si è "bugiardi" (per egoismo o per superficialità), anche se la cosa è compiuta nel consenso reciproco. Perciò se è giusto far capire che il rapporto completo ha vero significato solo se avviene tra persone già sufficientemente mature ed è quindi espressione di autentica e piena donazione reciproca, non è però motivato impedire qualsiasi tipo di manifestazione affettuosa (e anche proprio fisica) più ridotta, più... "soft"; anche se avvertiamo che, ad esempio, in tale ricerca di rapporto fisico i bambini (e anche gli adolescenti) manifestano una dimensione ancora molto "egoistica" (però proporzionata naturalmente all'età). In ogni caso tali manifestazioni sono profondamente utili alla progressiva scoperta dei rapporti (e quindi moralmente lecite) anche in tutti i casi diversi da quello della coppia matura e almeno tendenzialmente definitiva, e lo sono per tutte le età e per tutte le situazioni, naturalmente con un adeguamento al tipo e alla profondità di rapporto instaurato, secondo il principio sopra enunciato.

In altre parole, intendiamo dire che, se ogni rapporto autentico fra due persone - per essere pienamente umano - deve anche esprimersi attraverso gesti corporei, esso non solo permette, ma esige che le persone coinvolte (in qualsiasi situazione di sesso, età e tipo/profondità di relazione) abbiamo manifestazioni fisiche di affetto, proporzionate appunto al tipo e al grado di rapporto reale esistente. Perciò, ad esempio, due adolescenti, che abbiamo una relazione seria, anche se naturalmente ancora relativa alla capacità della loro età, hanno il diritto/dovere di trovare le forme adeguate per manifestarsi fisicamente tale rapporto, pur cercando di non superare mai il limite di significato dettato appunto dal rapporto stesso (limite che d'altronde si amplierà progressivamente, con l'approfondirsi nel tempo del tipo di relazione). Che cosa voglia dire in concreto ciò, penso sia difficile da stabilire a priori, non solo perché lo stesso gesto può avere significati differenti in coppie diverse, o - al limite - nella stessa coppia in momenti diversi; ma soprattutto perché, proprio per il fatto che finora si è attuato il principio del "tutto o niente", ci troviamo un po' spiazzati a giudicare in questo campo, che tutto sommato risulta abbastanza nuovo e quindi da esplorare per tentativi, sia pure prudenti e continuamente revisionati.

"Dal momento che i gesti di tenerezza sono un linguaggio e che ogni linguaggio è fatto di differenze, alla differenza dei significati fra i gesti corrisponderà una differenza di coinvolgimento dei corpi e dei soggetti.... Tra la stretta di mano e il coito, mille intermediari, modulazioni, tappe successive. La loro scoperta e il loro apprendimento avranno luogo attraverso il tempo, nelle pazienza e nel rispetto".

La riscoperta di questa sessualità "soft", cioè della possibilità e ricchezza di contatti fisici, di affettuosità anche intense, ma limitate ad un livello proporzionato al tipo di rapporto, permette di arricchire di un significato corporeo, e quindi autenticamente umano in pienezza, anche tutte le infinite relazioni che non si identificano con quella di coppia eterosessuale definitiva: non solo quindi i flirt giovanili e le coppie di fidanzati, ma anche tutte le possibili forme di amicizia autentica. Il problema naturalmente si sposta sulla sanità di tale amicizia, cioè sulla sua autenticità non solo affettiva, ma "progettuale": voglio dire che nessuna di queste amicizie può e deve avere per esempio il carattere di esclusività e assolutezza tipiche di quella coniugale, e deve quindi rimanere al suo posto giusto, non tentando di surrogare quest'ultima, ma anzi - se sta al proprio livello - potendo esistere eventualmente in contemporanea con questa stessa senza toglierle nulla. Per tutte queste forme di relazione affettiva, se in se stesse sono giuste, può corrispondere dunque una dimensione di affettuosità corporea che ne sia la giusta espressione, senza invadere il campo dell'unione fisica che - ne siamo convinti - resta espressione autentica solo della coppia coniugale. Come abbiamo già detto, tutto ciò non è facile da applicare nella concretezza, vista la novità pressoché assoluta di tale discorso per noi occidentali. Ma ciò non toglie che possa essere una via praticabile e sperimentabile. Inoltre, quando si superi così il suddetto discorso del "tutto o niente" e si permettano tutti questi livelli progressivi di manifestazioni fisiche, sarà molto più facile e convincente richiedere appunto l'astensione dal rapporto completo laddove non è giustificato.

Può ancora sorgere l'obiezione che comunque certe affettuosità più "spinte" procurano un'eccitazione fisica, che solitamente tende a sfociare in una conclusione di tipo genitale, quantomeno susseguente e solitaria. Questo è vero, in realtà, nella maggior parte dei casi. Ma credo si possa dire che sia dovuto proprio alla nostra "perversione" genitale occidentale, visto che ci sono ampie testimonianze che in culture diverse (come le già citate dei paesi orientali) sembra invece perfettamente possibile spingersi ad affettuosità molto avanzate senza dover per forza arrivare alla suddetta conclusione, e quindi fermandosi prima, e senza peraltro sforzi fisici e psicologici eccezionali (che certamente, alla lunga, non sarebbero positivi né da un punto di vista psichico né da quello nervoso...). Si tratta dunque di iniziare ad attuare una diversa educazione (ed auto-educazione) nell'uso sereno, ma consapevole e controllato, della propria sensibilità fisica. Cosa questa nuovamente per noi certo non facile, ma sicuramente possibile, almeno gradualmente.

Concludiamo questo paragrafo elencando, a mo’ di sintesi del pensiero esposto, i vari livelli di COMUNICAZIONE che possono esprimere i gradi di maturazione di un rapporto di coppia:

- livello genitale

- corporeo generale

- sentimentale

- progettuale/spirituale/ideologico

- dell'agape (cioè della misericordia e del perdono)

- della preghiera

- del discernimento

 

3 - Il valore del piacere

Ancora qualche parola su altre questioni specifiche, in conseguenza di quanto abbiamo affermato.

Analizziamo innanzitutto, all'interno della visione che abbiamo esposto, il significato del piacere. Il discorso vale per ogni piacere, anche quello più intellettuale e spirituale, ma noi lo faremo ovviamente in modo specifico per quello fisico, corporeo.

Non si può certo nascondere che, nella svalutazione della realtà corporea attuata dal pensiero tradizionale, il piacere in modo particolare abbia avuto la peggio, a favore dell'imperativo categorico del "dovere":

"Il Cristianesimo, nella sua lotta contro l'assolutizzazione della sessualità, ha investito lo stesso piacere sessuale, per il sospetto del fascino che esso produceva nel mondo pagano". "Di solito i padri dicono 'Figlio mio, prima il dovere e poi il piacere'. E noi invece tendenzialmente mettiamo prima il piacere e poi il dovere. Stiamo contrapponendo piacere e dovere quasi fossero due realtà contrarie. Il dovere sarebbe la morale, la legge, ecc. Se io vedo la morale contrapposta al piacere..., se essa non esistesse, sarebbe molto meglio! Io ho voglia di vivere il piacere".

In realtà la svalutazione del piacere fa parte di un processo molto più ampio, che ha visto mettere in sospetto (quando non si è arrivati addirittura a ritenerlo comunque negativo) ogni aspetto piacevole, distensivo, divertente della vita umana. Nel sottolineare che la nostra esistenza terrena era solo "una valle di lacrime" e che ogni felicità è riservata alla vita eterna, ovviamente tutto ciò che in qualche modo dava quaggiù soddisfazione era visto appunto come un pericolo, quantomeno come una distrazione, dal dovere di tendere solo all'altra vita. Il periodo terreno era fatto per la sofferenza (e beato chi più ne aveva...), poiché questa e solo questa era in grado di meritarci la felicità eterna. In tale dimensione vennero svalutate tutte le realtà terrene (togliendo significato allo stesso lavoro, all'economia, alla politica, alla scienza, all'arte, come mezzi per costruire la storia umana). In particolare il riposo, la festa, la gioia e, appunto, ogni piacere furono allontanati con disprezzo, in un'ascetica sempre più spiritualizzata. Per fortuna oggi questa visione è stata totalmente superata (in teoria, anche se, purtroppo, non ancora sempre del tutto nella prassi..). Uno per tutti, il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ridato piena dignità alla dimensione terrena, riscoprendo il significato più profondo dell'"INCARNAZIONE": il periodo da trascorrere nella storia, qui in terra, non è una parentesi, un'attesa (più o meno tragica) prima della vera vita celeste; è anzi il primo atto di un'unica vita, atto in cui si costruisce la stessa vita eterna, sia come esistenza singola che come genere umano. Tutto perciò ha valore eterno quaggiù, certamente anche in modo particolare la fatica e il sacrificio (espressioni del donarsi agli altri, fino a "dar la vita per"). Ma in quest'ottica si riscopre anche il significato "divino" della gioia in tutte le sue forme, sperimentata già quaggiù come anticipo ed inizio di quella eterna, quando "saranno asciugate tutte le lacrime".

Il piacere dunque, ogni piacere, è un dono di Dio ed è lecito desiderarlo, cercarlo, goderlo. Purché esso non ci rinchiuda nuovamente in noi stessi, nel nostro egoismo, ma anzi ci aiuti ad aprirci sempre più agli altri, fino a diventare, il piacere stesso, il dono più bello che possiamo fare a loro. Questo ovviamente richiede tutta un'ascetica del piacere, che non pretende però di negarlo, o anche solo limitarlo a priori, quanto piuttosto di "incanalarlo" nella direzione, ancora una volta, della relazionalità e del dono.

E' sorprendente come, in questa visione rinnovata e - ci pare di poter dire - nuovamente in linea con l'autentica rivelazione cristiana, la prospettiva sia esattamente ribaltata. Non si nega all'uomo il diritto alla felicità, alla gioia e quindi al piacere, anche qui sulla terra. Ma proprio IN NOME DI QUESTO DIRITTO, cioè per poter raggiungere la gioia e il piacere più pieni, lo si mette sull'avviso della necessità di regolare il piacere stesso, per non essere portati a fermarsi ai piccoli piaceri, cioè agli... "antipasti".

"Il piacere è un aspetto spontaneo, immediato dell'uomo, che appartiene all'uomo e in quanto appartiene all'uomo è voluto da Dio... Il dovere cos'è? E' un richiamo al fatto che in noi ci sono altri piaceri, altri desideri che non sono così immediati... In me c'è un altro livello di piacere. In fondo io desidero qualcos'altro... Io posso prendere un piacere, isolarlo e mi distrugge. Invece se tu lo inserisci nell'armonia, nella bellezza, nell'unità, tutto è al suo posto, tutto ha la sua vocazione.... Allora mettiamo insieme piacere e dovere e non accontentiamoci dei piaceri fuggenti, ma cerchiamo la gioia. La vita secondo il piacere sarebbe una vita solo secondo istanti estatici... La gioia sarebbe invece il segreto di stare sull'altipiano e rimanerci".

Un'ulteriore categoria in cui si può inserire questa nuova visione del piacere, e in particolar modo, di quello corporeo, sessuale, è quella del "gioco", del "gratuito". La dimensione del gioco è essenziale per il bambino, ma, d'altra parte, dovrebbe rimanere un aspetto fondamentale per tutta la vita, anche adulta, proprio perché non ci si riduca ad un efficientismo, ad un produttivismo, che certamente sono ben lontani dal far scoprire la dimensione spirituale dell'uomo. E quindi, anche proprio la "ludicità", in questa rinnovata visione delle realtà terrene "piacevoli", può sorprendentemente manifestare tutta la sua ricchezza spirituale, divina, "eterna" (si potrebbe in fondo definire la vita eterna come un'infinita, altissima festa, un eterno "giocare" con Dio...).

Dunque anche il gioco corporeo, col suo piacere fisico, provato e donato, può avere tale valenza:

"E' giocando che noi scopriamo la realtà, il linguaggio e il nostro rapporto col mondo... Nell'erotismo, noi ci offriamo il lusso di ritornare bambini... 'La ludicità è l'indice più netto della voglia di vivere'... Una incapacità di giocare sarà il segno di una carenza umana, cioè spirituale... Nel gioco amoroso, gli amanti imparano questo 'sì' alla vita. Rompendo con i doveri quotidiani e il lavoro 'utile', si spendono ' per niente', perdono del tempo insieme... Qui si profila una possibile interpretazione etica del piacere, il piacere carnale in particolare. Esso non è solo appagamento o consumazione di un corpo nell'altro, e' anche e proprio principalmente apertura a lui.... Il godimento è una forma di riconoscenza... Il piacere 'accompagna' o 'perfeziona' l'atto e il bene che vi è annesso... 'E' donando del piacere che uno lo riceve': [così] le regole della sessuologia ricalcano quella della vita spirituale. Tutto capita come se, nell'interazione tra desiderio e piacere, gli amanti siano trascinati in direzione del dono e dell'abbandono".

Possiamo poi affermare, come conseguenza delle cose dette, che, se il PIACERE, per la persona adulta, (come abbiamo detto) deve restare nel suo significato originario di mezzo per il fine (l'Amore, appunto), e non viceversa ("mangiare per vivere, non vivere per mangiare"!...): essere cioè frutto, premio del dono di sé compiuto, nella ricerca del bene (e quindi del piacere) dell'altro e non egoisticamente di se stesso; si debba però ritenere ancora normale che il bambino lo veda e lo cerchi ancora per la sua soddisfazione.

Il piacere dunque, come ogni aspetto istintuale, deve essere educato, non semplicemente represso. La battaglia (come abbiamo già accennato) deve essere contro la "GOLA", cioè l'uso smodato, eccessivo di esso (soprattutto se diventa "ossessivo"), attraverso una graduale educazione al dominio di sé, motivato dal fatto che così si diventa più "liberi" di fare e, via via, anche di donare.

Bisognerà dunque certamente educare sempre più intensamente il bambino, il ragazzo e il giovane ad una crescente capacità di autodominio, per diventare ogni giorno di più padroni di se stessi e non dominati e "sballottati" dal sentimento e dalle pulsioni. Ricordiamo, senza ripeterci, ciò che si è precedentemente detto sulla necessità dell’autocontrollo, basandoci su un prezioso brano di Spinsanti (cfr. cap. 2, pagg. 19-20).

Ma tutto ciò deve avvenire in un contesto "positivo", senza cioè svalorizzare ingiustamente la realtà del piacere, fenomeno assolutamente naturale e non solo positivo, ma addirittura provvidenziale, voluto dal Creatore come "molla" iniziale e "ricompensa" finale del compimento di un'azione richiesta dalla stessa natura. Se il piacere rimane al suo posto giusto (come mezzo, strumento, sostegno, ricompensa, dono fatto e ricevuto...), ben venga la gioia di una buona leccornia, tanto più se gustata in compagnia di amici. E lo stesso dovrebbe dirsi con serenità di ogni piacere fisico, compreso quello dato dalla sensualità e dalla sessualità.

L'altro vero "demone" da combattere nei rapporti è la VIOLENZA (anche solo psicologica), cioè lo sfruttamento forzato dell'altro per sé, senza tener conto dei suoi desideri e delle sue esigenze, ma anzi imponendogli le nostre. E la violenza può essere presente, anche se spesso inconsapevolmente, in qualsiasi età, comprese le più giovani, e particolarmente proprio nella sfera sessuale.

"Vi è stretta connessione tra sesso e violenza. Credo che si possa ben dire che nel sesso si scarica anche l'aggressività. In questo senso, violenza non è soltanto violentare una donna, è anche volerla, possederla con violenza, anche soltanto psicologica". "Il desiderio sessuale... seduce o fa paura. La sua improvvisa rivelazione per un essere che lo sospettava appena, si verifica nello stupore o nel terrore... Questo... ci rivela bene l'ambiguità del desiderio sessuale: esso è insieme aggressività, tendenza verso l'altro, fascino e desiderio di piacere... Diversa è la sessualità che, attraverso il corpo, considera e rispetta l'altra persona. In questo caso la sessualità non è più aggressione, non suscita più timore ma diventa tenerezza reciproca... Il vero amore tenterà di evitare l'aggressività anche nella sua espressione fisica, per essere solo fiducia e tenerezza".

E ribadisce ancora Bernardi:

"I problemi non scaturiscono dalla sessualità, cioè dall'amore, ma dalla sua negazione, cioè dall'odio... La sessualità ci fa sempre più paura, anche se apparentemente, e ingannevolmente, l'abbiamo 'liberalizzata'. Ci fa una tale paura da costringerci a inventare un metodo di difesa contro di essa. E temo che questa paura della sessualità non sia che paura dell'amore, paura di amare e di essere amati. Se fossimo davvero capaci di amare e non, come dice Fromm, soltanto di farci amare, il nostro mondo crollerebbe, dato che è costruito su tutto tranne che l'amore".

Perciò, in conclusione, bisogna educare noi stessi ed educare subito il bambino, fin dalla più tenera età, a comprendere che non si può e non si deve mai "rubare" a forza un piacere da un'altra persona e, a nostra volta, si deve saper reagire prontamente quando qualcuno vuol fare altrettanto su di noi.

 

4 - Il vero senso del "pudore"

Un discorso particolare merita poi il PUDORE. Esso in quanto vera virtù non è di per sé legato alla quantità di vestito che si ha addosso, ma è il profondo rispetto, nel cuore e nei gesti, del proprio corpo e di quello degli altri (il bimbo piccolo infatti, che è ancora naturalmente "pulito", non ha problemi e non ne crea...).

"Le analisi di Max Scheler permettono di distinguere il sentimento del pudore dalle diverse forme in cui esso si traduce attraverso la storia. Il fatto, per esempio, di non provare vergogna di essere nudi non è necessariamente segno di impudicizia. Scheler cita il caso di quella 'negra' che non nascondeva per nulla il suo sesso, ma che dimostrò di provare 'tutti i segni dell'espressione naturale del pudore', quando un missionario la invitò a coprirsi: ella si rifiutò vivamente di farlo e, dopo aver obbedito a malincuore, corse a nascondersi per la vergogna. 'Il fatto è che essa sente la sua pelle come il suo vestito e i peli del suo pube come il suo perizoma, e non può considerare il perizoma o il vestito che le vien dato che come qualcosa che serve in realtà ad attirare l'attenzione degli altri sulle sue parti vergognose' (M. Scheler, 'La Pudeur', Aubier, 1952, p. 26)".

Il pudore-virtù è il risultato di due forme di tensione morale: verso il basso, come presa di coscienza di un turbamento; e verso l'alto, come aspirazione e tensione ai valori dello spirito. In altre parole esso si manifesta proprio nella ricerca di "aprirsi" agli altri, in un incontrarsi che vuol essere totale, da persona a persona, e che rifiuta quindi la forma esclusiva della corporeità. Il pudore vero è allora il rifiuto di apparire ed essere per gli altri "solo corpo", offerta totale e senza veli e misteri, ad uno sguardo che non sia stato reso lucido e comprensivo dell'amore. Esso richiede di mantenere (e di far rispettare dagli altri) un necessario spazio di riservatezza e di intimità.

"In un suo studio sull'argomento, l'allora cardinale Wojtyla scriveva che 'il pudore si manifesta nel momento in cui quello che dovrebbe restare interiore, a motivo della sua essenza o della sua finalità, lascia l'interiorità della persona per manifestarsi all'esterno o in un modo o nell'altro' (K: Wojtyla, 'Amore e responsabilità', Torino 1978, p. 161). Il pudore è, dunque, il sentimento di una violazione minacciata e cede il passo alla vergogna quando la violazione viene consumata... Non in ogni situazione, infatti, l'esporsi del corpo suscita la reazione del pudore. La reazione, insorge invece, quando il soggetto si accorge che 'altri' potrebbe, col semplice sguardo, fissare l'esporsi del corpo in se stesso, ridurlo a puro oggetto e desiderarlo come tale... Il pudore si leva, dunque, a garanzia dell'integrità dell'essere umano e delle relazioni inter-umane... Perciò il pudore rivela la VOCAZIONE DELL'UOMO ALL'UNITÀ: unità INTRA-SOGGETTIVA cioè unità con sé ed in sé (coscienza-corporeità), ed unità INTER-SOGGETTIVA, cioè unità con altri (comunione piena fra i soggetti e non solo commercio di corpi)".. "Lungi dall'essere apparentato col disgusto, il pudore al contrario salva la percezione del corpo del soggetto... La carne è preservata da una oggettivizzazione svalorizzante... L'intimità non si riduce al segreto... Essa non è un valore negativo, ma positivo. 'Intimità' è un superlativo: intimus, superlativo di interior. L'intimità è dunque condivisione del massimamente interiore, comunicazione al di là delle parole, comunione". "Questo pudore sembra rivelarsi come una salvaguardia della propria intimità. C'è una zona inviolabile di sé - non necessariamente né primariamente fisica - che non sopporta di essere resa pubblica e si difende dalle intrusioni estranee: una zona che non tollera di essere conosciuta se non da sé e da chi ci sia così intimo da farsi come interno a noi stessi. E non tollera di esser resa pubblica forse perché non tollera di poter essere fraintesa o manomessa: resa oggetto, o cosa, o merce saccheggiabile... Il pudore è, perciò, la virtù del peccato che scomparirà col peccato, quando il rispetto e la comunione saranno totali e nessuno potrà sentirsi violato da un 'altro' sentito ormai come se stesso (e, in questo senso, la particolare intimità che può stabilirsi tra due e che porta alla scomparsa del pudore, inteso come difesa, è segno e profezia dei tempi ultimi). E' lontana da noi l'intenzione di una lettura letterale del primo capitolo del Genesi; ma ci pare che anche - e soprattutto a livello di simbolo - l'insorgere del pudore fisico sia significativo di una disarmonia venutasi a instaurare nell'uomo e nella coppia: una situazione precaria, di sospetto, di cupidigia, diciamo pure, con un termine vecchio e inflazionato, di concupiscenza, che mette l'uno contro l'altro, in atteggiamento di difesa, di cui l'abito è espressione. Ed è anche significativa - e in linea con la corrente patristica che vedeva l'escaton come il ritorno all'armonia edenica - una frase che un vangelo apocrifo mette in bocca a Gesù. Interrogato sul come conoscere quando sarebbe giunto l'ultimo giorno, egli indicò questo segno: 'quando sarete nudi e non ve ne vergognerete'".

In questo senso dunque il pudore non ha nulla a che vedere con una certa "sensazione di disagio", se non addirittura di vergogna e paura, frutto molte volte di paure e tabù verso la propria corporeità e, in particolare, verso la sessualità.

"E' significativo che i genitali venissero indicati ai bambini col nome di 'vergogne'. 'Copri le vergogne!', si diceva, sottintendendo, con ciò, che il sesso fosse vergognoso e che il pudore comportasse il nascondere, così come la nudità comportasse necessariamente impudicizia: davvero troppi equivoci per una sola parola. E' giusto che il sesso - in quanto realtà intima e bella - sia oggetto di pudore: non è giusto che invece sia oggetto di vergogna. Il fatto che il nostro pudore sessuale sia, in realtà, vergogna, tradisce tutta una serie di equivoci".

Il pudore, come sensazione psicologica, sembra nascere (e particolarmente intorno ai 5 anni) dalla maggior consapevolezza della propria sessualità legata alla paura di essa, frutto a sua volta della repressione educativa e quindi del timore di essere guardati con disapprovazione dagli adulti. Come nel testo biblico (già citato dalla Zarri) per la prima coppia dopo la rottura dell'armonia primordiale della natura avvenuta con la ribellione a Dio, i bambini, che si sentono colpevolizzati riguardo alla loro sessualità e percepiscono l'ostilità su questo versante da parte del mondo adulto, "si accorgono di essere nudi, ne hanno paura e si nascondono" (cfr. Gen 3, 7-10). Dunque, molto prima che di morale, è una questione di "immagine", o meglio di armonia fra l'immagine di sé che il bimbo ha dentro‚ e quella che riceve dagli altri. Infatti, quando si riesce a ricreare un ambiente sanamente spontaneo e, per quanto possibile, libero da tabù, ma soprattutto dove il bambino non si sente "guardato con giudizio", certi pudori svaniscono ed egli riscopre sovente la gioia di rimanere a corpo libero anche in compagnia.

"Il senso del pudore [inteso in senso psicologico, come vergogna, e non quindi come virtù... - n.d.r.] nasce dalla presa di coscienza di essere portatore di un'immagine, che non è stata positivamente mediata dall'altro. In altre parole, esso nasce in relazione a quelle parti del proprio corpo che, riflesse nello sguardo dei genitori, hanno suscitato un'immagine emotiva di non accettazione... Ora una 'buona' madre è colei che è in grado di accettare il proprio bambino 'evolutivamente' nudo, il che presuppone l'accettazione della PROPRIA crescita e della PROPRIA nudità". "La vergogna è la deviante impressione di sapersi esposti agli sguardi riprovatori degli altri. Ci si vorrebbe sotterrare, nascondere, sparire sotto terra. Questa vulnerabilità è sfruttata da alcune culture: esse colpevolizzano e provocano la vergogna".

Ci pare saggia l'analisi di Bernardi:

"Il pudore è curiosamente legato al senso della vista. Come se i caratteri sessuali fossero una ignominiosa deformità di cui siamo colpevoli e che pertanto va nascosta con ogni cura. E come se l'attività sessuale fosse una lurida nefandezza. In definitiva il pudore, secondo l'accezione comune del termine, è il non mostrare ciò che si è e ciò che si fa nell'ambito della sessualità... Per giustificare questa singolare stranezza si afferma, come accennato più sopra, che il pudore è istintivo. Affermazione che implica una notevole trascuratezza nei confronti della storia del costume umano. [Qui l'autore si dilunga nel dimostrare come, nel costume delle varie epoche, il cosiddetto "comune senso del pudore" sia variato in continuazione, e come solo nel Sei e Settecento inizi a prevalere una mentalità sempre più rigorista al riguardo, mentalità a sua volta sempre più contraddetta dalle usanze attuali]... Che questo pudore, così mutevole, così incerto, così macroscopicamente legato a certi momenti storici e a certe usanze, così esasperato in certi periodi e sostanzialmente inesistente in altri, che questo pudore sia una qualità innata dell'uomo, 'naturale' e istintiva, sembra davvero poco probabile. Alcuni ritengono di poter difendere questa ipotesi partendo dal fatto che persino i bambini, e ancor più gli adolescenti, rifiutano generalmente l'esibizione del proprio corpo... Ma... il bambino piccolo gode palesemente della propria nudità, e comincia a negarla quando si rende conto che il suo corpo può essere aggredito dall'adulto... In definitiva si può supporre con buona approssimazione che il pudore, per il bambino come per l'adolescente o per la donna, sia solamente il figlio della paura. Paura inconscia di una aggressione da un lato, e paura della disapprovazione sociale dall'altro. Abbastanza poco plausibile sembra anche l'ipotesi che il pudore sia un prodotto della civiltà... Parecchie popolazioni del globo ignorano l'uso degli indumenti e non hanno il problema della nudità... Sembra in verità piuttosto azzardato far coincidere il livello evolutivo di una collettività umana col tipo di vestiario.... Una cosa comunque è sicura: che il pudore, così come viene inculcato nei bambini e nei ragazzi, è un ottimo strumento di diseducazione sessuale. In sostanza si insegna all'individuo che il suo corpo è qualcosa di sporco e di degradante e che la sessualità è una faccenda vergognosa, oscena, sudicia e rivoltante". "Primo punto: essere orgogliosi del proprio corpo. Ecco che torna in ballo il pudore. Come si fa, dico io, a essere orgogliosi e contenti del proprio corpo se ci si deve vergognare di averne uno? Se ci si deve nascondere, se si deve temere lo sguardo altrui, se si impara che la nudità è indecente, riprovevole e immorale? Mi pare che in realtà il pudore sia il principale ostacolo, o uno dei più importanti, all'accettazione del proprio sesso".

E' dunque una restrizione grave e pericolosa ridurre il pudore, nel suo significato più profondo, alla sensazione psicologica di vergogna, o, d'altra parte, alle forme concrete (o peggio ancora: alle leggi) che lo hanno interpretato nei diversi ambienti attraverso il tempo e lo spazio. Infatti, "mentre il pudore, inteso nel suo profondo senso di custodia dell'intimità della persona, è un dato costante in quanto connesso alla sua situazione ontica ed esistenziale, le sue espressioni sono quanto mai storiche e relative. La sua connessione con il rispetto dovuto all'uomo ne fa un grande tema etico, mentre la pretesa di codificarlo - come spesso è stato fatto - in una rete di norme obiettivate lo abbassa ad un meschino precettismo moralistico". Ulteriore grave riduzione del concetto di pudore è quella che lo restringe alla dimensione corporea, e in particolar modo sessuale, togliendogli il significato molto più profondo di difesa della propria intimità tout-court, anche nelle dimensioni intellettuali e spirituali.

"Il più delle volte la discrezione è una qualità poco apprezzata dai conversatori e dagli ascoltatori, dagli attori e dagli spettatori della vita quotidiana. I comportamenti più immodesti sono perfettamente tollerati, e talvolta incoraggiati, in tutte le sfere dell'attività umana, comprese quelle meno confessabili. Fatta eccezione per la sfera sessuale" "Se anche oggi si cominciano a considerare altre zone private (vedi, ad esempio, le norme per la tutela dell'immagine) non c'è dubbio che il massimo rigore è riservato alla pornografia, mentre del tutto indenni restano teleobiettivi e telecamere puntate golosamente su reazione e lacrime che dovrebbero restare inviolate, e la cui pubblica ostensione costituisce una grave mancanza di pudore, anche se in zone extrasessuali... [In questa accezione più vasta del pudore, mentre si può accettare che] lo specifico femminile abbia, col pudore del sesso, una connaturalità tutta particolare; altre zone di riserbo interiore sembrano trovare maggiore sensibilità nell'uomo".

Il problema comunque non è banale come potrebbe sembrare. L'esposizione nuda del corpo (anche assolutamente al di là di fenomeni patologici di esibizionismo o di voyeurismo) presenta molti aspetti su cui riflettere.

Per intanto, osserva Montagu: "Quando sono vestiti, i bambini risultano meno attivi di quando sono svestiti... Gli abiti bloccano in gran parte l'esperienza di sensazioni cutanee piacevoli, per cui il disfarsi degli abiti, letteralmente o simbolicamente, può rappresentare un tentativo di procurarsi esperienze non godute nell'infanzia. La stimolazione naturale della pelle, l'azione dell'aria, del sole e del vento sul corpo può essere molto piacevole... L'espansione del nudismo rispecchia quasi certamente il desiderio di una maggiore libertà di comunicazione attraverso la pelle... Tutti i nudisti concordano nell'affermare che ciò riduce notevolmente la tensione sessuale e ha un'efficacia terapeutica... Il rapporto tra nudità e sesso è, naturalmente, così stretto che certe parti del corpo che si possono toccare da vestite diventano tabù quando sono nude". Ma continua Bernardi: "Se fosse vero che l'esposizione abituale del nudo cancella nel bambino l'interesse sessuale per il corpo umano, sarebbe davvero un bel guaio. Per fortuna non è così. Il corpo umano, per quanto venga esposto alla curiosità del bambino, non cessa mai di essere qualcosa di estremamente affascinante ed eccitante". E concludono Bastaire e Giordano: "la guarigione autentica non consiste nello sfogare il represso, bensì nell'effettuare uno spostamento d'accento per ottenere la reintegrazione in un insieme"; "lo svelamento è denso di significato perché appare come l'ultima tappa della ricerca della verità: il nudo è presentato come capace di alludere ad un mistero che il corpo custodisce, suscita un profondo desiderio...; il nudo rimanda ad un mistero, ma il mistero non c'è". Ed infine osserva Spinsanti, con una visione più ampia di tipo spirituale: "I tentativi di banalizzare il nudo sono destinati all'insuccesso: il nudo non è né indifferente né innocente. Non che la nudità debba essere necessariamente correlata con l'erotismo. Il nudo in sé non è erotico, ma è la proiezione erotica che genera il suo potere di attrazione sessuale; se questa proiezione non avviene più, quel corpo cessa di attrarre. La nudità comunque, rimane legata - almeno nella nostra cultura - con la disponibilità e l'offerta sessuali. Per questo motivo la morale cristiana ha preso, in genere, una posizione di rifiuto nei confronti del nudismo. In senso positivo, le riserve dell'etica cristiana verso l'esibizione del corpo nudo dipendono dalla concezione che vede nel corpo l'espressione della persona. La nudità è perciò riservata ai momenti di particolare intensità, in cui la persona si lascia 'conoscere' nell'abbandono amoroso".

Come sintesi di quanto abbiamo esposto sulla nudità, riportiamo un esauriente brano della Zarri:

"E' abbastanza scontato ed oramai accettato il fatto che il nudo sia un fatto privo, in sé, di connotazioni morali: uno di quei fatti indifferenti che possono venir gravati di implicazioni positive o negative, a seconda dei valori o disvalori di cui li si renda tramiti. La pornografia, per esempio, è deplorevole non perché metta in circolazione del nudo (dovrebbero allora essere censurati tutti i libri d'arte figurativa), ma perché mette in circolazione un nudo mercificato, in cui si fruga l'intimità della persona, spiando in essa tutte le possibilità di rapina... Al di sotto del livello etico, il nudo è semplicemente un fatto che può suscitare reazioni diverse. Una di queste reazioni, nella nostra latitudine e nella nostra cultura, è l'eccitazione sessuale: risultato tutt'altro che disprezzabile ma che il nostro puritanesimo ha disprezzato. Da cui tutta una serie di norme, per disinnescare l''incendio dei sensi', che hanno la precarietà della geografia e la caducità delle stagioni... Il pudore ci insegna a tener conto di queste variabili della sensibilità, pur rimanendo consapevoli che nessuna di esse riveste un valore assoluto ed a nessuna quindi è ragionevole legarsi perennemente, come a norma definitiva ed immutabile... E' evidente che il dialogo con l'altro è anche dialogo con la sua corporeità; e, in questo dialogo, la veste costituisce un certo diaframma. In una cultura che esprima, con l'abito, il riserbo, esso è normale che rimanga perché normalmente il rapporto non è così profondo da eliminare ogni distanza. Però è anche normale che scompaia quando questa profondità d'intesa sia raggiunta e l'unione sia tale che non esista più l'altro, visto e sentito come 'altro', ma il 'tu' ci stia dinanzi ormai interno a noi stessi; e il riservare qualcosa per noi soli (per appunto il riservo o il pudore) assumerebbe il senso di un diniego che negherebbe la stessa cosa anche a noi stessi (e non per nulla, quando si colgano queste realtà, insorge il pudore del nostro proprio corpo)... C'è chi ipotizza ed auspica una maggiore diffusione del nudo sul piano amicale e familiare come segno di semplice e affettuosa comunione; così come, sul piano naturista, esso può esprimere fiducia e approfondito contatto con le cose. A questi interrogativi è solo la storia che risponde: è il costume dei popoli e l'evolversi delle sensibilità; ed è ozioso inventare morali inutili pretendendo di ancorarle a norme immutabili e perenni. Siamo qui, infatti, in una zona psicologica e pre-etica che, come tale, rifiuta ogni assolutizzazione. La sola norma perenne e determinante sembra essere il rispetto... Non è quindi questione di stabilire solo situazioni giuridiche né di determinare dei 'limiti di pelle', ma di stabilire delle armonie interiori... Tuttavia la fondamentale innocenza della nudità non significa la fondamentale innocenza dell'uomo che, del nudo come di altre situazioni, può usare con ingorda sfrenatezza, senza quel rispetto dell'altro e della sua più gelosa intimità in cui consiste, appunto, il pudore".

Come conclusione, che ci pare ulteriormente chiarificante del significato generale del pudore, possiamo affermare che, secondo noi, l'ideale educativo - che concretizza questa visione serena ma non banalizzata della nudità - non consiste perciò nel reprimere il bambino tutte le volte che assume atteggiamenti troppo "liberi", ma invece nell'abituarlo a godere di una sana spontaneità senza paure in tutti gli ambienti che la permettono (casa e simili) e con tutte le persone che hanno un rapporto positivo con lui, facendogli anche capire che il coprirsi nelle altre occasioni è semplicemente una forma di rispetto per sé e per gli altri.