Giudizio finale

Penso sia bene che leggiamo una volta insieme per intero la più tremenda maestosa esperienza che ognuno di noi dovrà fare un giorno.

«Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.

«Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.

«Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere?

«Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?

«Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. Poi dirà a quelli posti alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.

«Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».

Gesù nel bisognoso nei testi dei Padri

Ecco l'importanza dell'uomo, ecco l'importanza del prossimo in necessita. Siamo noi ad aver bisogno di lui per possedere la vita eterna e, qualora non ce ne prendessimo cura, non possiamo sfuggire all'inferno. Giovanni Crisostomo cerca di aprire gli occhi su questa realtà, che fa tremare ed esultare ad un tempo, ai cristiani della sua epoca che, come quelli di oggi, tanto spesso se ne dimenticavano.

«...Noi ...nemmeno quando (il povero) ha fame gli diamo da mangiare... Eppure, se vedeste Cristo in persona, ognuno di voi (gli) darebbe ogni sua ricchezza. Ma anche ora è lui che si presenta; e proprio lui che dichiara: Sono io. Perché allora tu non dai tutto? In realtà, anche oggi lo senti ripetere: Lo fai a me... Se in realtà non fosse lui a ricevere ciò che tu dai, egli non ti concederebbe il regno. Se tu non respingessi proprio lui, quando lo disprezzi in qualsiasi uomo, non ti manderebbe alla Geenna; ma, poiché tu disprezzi lui stesso, appunto per questo è grave la colpa ».

Considerando bene quanto sopra, sembra che di tutto ciò che Dio ci ha comandato una sola cosa abbia valore: l'amore al bisognoso, al sofferente, «come se quelli di destra non avessero altre virtù e quelli di sinistra altri peccati ». Così Leone Magno.

Nei Padri della Chiesa ho trovato parole roventi che sottolineano questa verità. Di essa, Giovanni Crisostomo si erge a maestro sublime, illuminato e forte.

Leggendo un passo del suo commento a Matteo, il nostro cuore ha sussultato di gioia. Si, perché mi sembra che questa sia sempre stata la linea che il Signore ci ha dato: guardare anzitutto all'uomo, che si vede, per amare concretamente Dio, che non si vede, come dice Giovanni. Poi, anche tutto il resto acquista valore: anche la liturgia, anche ogni forma di culto. «Se... tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia li il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello... ». Prima di tutto la mutua continua carità.

Ecco dunque l'arringa di Giovanni Crisostomo: «Quale vantaggio può avere Cristo se la sua mensa (= altare) è coperta di vasi d'oro, mentre egli stesso muore di fame nella persona dei poveri? Cominciate a saziare lui che ha fame e in seguito, se vi resta ancora del denaro, ornate anche il suo altare. Gli offri un calice d'oro e non gli dai un bicchiere d'acqua fresca? Che beneficio ne ritrae? Tu procuri per l'altare veli intessuti d'oro e a lui non offri il vestito necessario... Dimmi: se tu vedessi un uomo privo del cibo necessario, lo lasceresti forse consumarsi di fame e ti dedicheresti invece a coprire d'argento la tavola? Credi che quel povero ti ringrazierebbe, o piuttosto non si indignerebbe contro di te? E se, vedendolo coperto di stracci..., tu trascurassi di dargli un vestito per innalzare invece colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore? Non credi che egli considererebbe ciò una derisione da parte tua e come un supremo insulto? Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto... Dico questo non per vietarvi di onorarlo con tali doni, ma per esortarvi a offrir aiuto ai poveri insieme a quei doni o, meglio, a far precedere ai doni simbolici l'aiuto concreto. Dio non ha mai condannato nessuno perché non ha donato ai suoi templi ricchi ornamenti: ma minaccia anche l'inferno..., se si trascura di aiutare i poveri. Perciò, mentre adorni la casa, non disprezzare il fratello che è nell'afflizione: egli infatti è un tempio assai più prezioso dell'altro. I re infedeli, i tiranni, i ladri potranno saccheggiare i tesori che sono nelle chiese, mentre quanto avrai fatto per il fratello affamato, errante e nudo, neppure il diavolo potrà togliertelo, perché giacerà in un luogo sicuro».

E di questo pensiero era anche Cipriano. «Con il tuo patrimonio... da' da mangiare a Cristo... Riponi i tuoi tesori la, dove nessun ladro può scavare e dove nessun rapinatore può insidiosamente penetrare. Procura di possedere, però in cielo, dove i tuoi frutti saranno conservati in eterno, immuni da ogni contatto con l'ingiustizia del mondo, senza pericolo di essere consumati dalla ruggine, distrutti dalla grandine, bruciati dal sole o rovinati dalla pioggia. Certamente pecchi contro Dio stesso, se pensi che lui ti abbia dato le ricchezze perché tu le usassi non in modo salutare...».

L'amore ai poveri diventa fonte di grande pace e di speranza quando si pensa che, poiché Gesù ritiene fatto a se quanto è compiuto per i bisognosi, Egli diventa nostro debitore e noi suoi creditori.

Lo afferma bene Ambrogio: «Prestate al Signore il vostro denaro attraverso le mani del povero. È lui che riceve e conserva e scrive tutto quello che il povero ha ricevuto. Il suo vangelo è la garanzia. ...Perché esiti a dare?... Per voi, il povero è il Signore del cielo e il Creatore di questo mondo. E ancora ripensate: quale garante più ricco trovare?».

«I doni dati ai poveri obbligano Dio, perché è scritto: "Chi fa la carità al povero fa un prestito al Signore" (Prov. 19, 17)».

E la ricompensa che Gesù darà sarà grande: «Ascolta quale possesso - dice Agostino - ti da Colui al quale hai prestato ad usura: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete"... Questo desiderate, questo procuratevi, per questo scopo date in prestito».

Gesù nel bisognoso secondo i santi

Il Curato d'Ars in una sua frase mostra come per lui sia quasi connaturale la visione soprannaturale delle cose, quindi la vera.

«Spesso crediamo di alleviare un povero e in realtà succede che è Nostro Signore ».

Ed è lui che chiarisce un dubbio che può venire a tutti quando si tratta d'aiutare uno sconosciuto: «Ci sono quelli che dicono: "Oh! ne fa cattivo uso". Ne faccia l'uso che vuole, il povero sarà giudicato su quest'uso che avrà fatto della vostra elemosina, e voi sarete giudicati sull'elemosina stessa che avreste potuto fare e che non avete fatto».

Il fatto è che i santi sono dei grandi esperti nell'amore dei sofferenti, giganti nell'edificare opere d'ogni specie in loro favore, soprattutto uomini dal cuore di carne: «pareva portare in sé un cuore di madre», si legge di san Francesco. Sono persone che hanno sentito nelle loro carni le sofferenze dei poveri e dei bisognosi e hanno amato Cristo in loro a tal punto che Lui non ha atteso l'altra vita per mostrarsi a loro.

Si legge di Caterina da Siena: «Una volta un povero le domandò per amore di Dio di aiutarlo nei suoi bisogni. Non avendo nulla da dargli, gli disse di aspettare fino a che non fosse ritornata a casa. Ma il povero insisté: "Se tu hai qualcosa da darmi, te lo chiedo qui, perché non posso davvero aspettare".

«Non volendolo mandar via sconsolato, strappo una piccola croce d'argento e gliela regalo. Il povero, avutala, senza chiedere ad altri l'elemosina, se ne andò via subito contento.

«La notte seguente, mentre la vergine del Signore stava pregando, le apparve il Salvatore del mondo con in mano quella crocetta tempestata di preziosissime gemme e le disse: "Figliuola, la riconosci questa croce?". E lei: "La riconosco benissimo, ma, quando era mia, non era tanto bella". E il Signore: "Nel giorno del giudizio te la presenterò come è ora alla presenza degli Angeli e degli uomini"».

«Un altro giorno le apparve il Signore nelle sembianze di un giovane mezzo nudo. Caterina gli disse: "Aspettami un pochino qui, o carissimo, finché ritorni da quella cappella e subito ti darò il vestito". Ritornata nella cappella, si tolse con prudenza e modestia la tunica senza maniche che portava sotto la tonaca esterna e la diede al povero. Ricevutala, quel povero chiese ancora: "O Signora, giacché mi avete provveduto di un vestito di lana, vogliatemi provvedere ancora delle vesti di lino". Lei disse: "Seguimi". Entrata nella casa paterna, si reca nella stanza dove erano riposti i panni di lino del padre e dei fratelli e, presa una camicia e un paio di mutande, le offre con lieto viso al povero. Ma costui: "Signora, che me ne fo di questa tunica senza maniche?". Allora, niente annoiata, Caterina andò a cercare. Per caso vide pendere da una pertica il vestito della serva di casa, gli scucì lesta lesta le maniche e le diede al povero.

«E quello ripete: " Ecco, o Signora: voi mi avete rivestito, ma io ho un amico che, anche lui, ha molto bisogno di vestito". Però Caterina si ricordò che tutti quelli di casa sua, eccetto il padre, erano allarmati dal continuo dare che faceva. Non le restava che di guardarsi addosso: e si domando se l'unica veste che le era rimasta dovesse darla o no a quel povero. La carità le suggeriva di si, mentre l'onestà verginale le diceva di no.

«Perciò disse al povero: "Se mi fosse lecito di restare senza tonaca, ti darei questa molto volentieri, ma non mi è permesso". L'altro rispose: "Lo so bene che mi daresti molto volentieri tutto quello che potresti. Addio".

«La notte seguente, mentre Caterina pregava, le apparve il Salvatore del mondo sotto le sembianze di quel povero, che teneva in mano la tunica che gli aveva dato, ora però trapunta di perle e di gemme, e le disse: "Conosci, o dilettissima figlia, questa tunica?". Avendo lei risposto di si, ma che non gliel'aveva data preziosa a quel modo, soggiunse il Signore: "Tu ieri rivestisti me; ora ti darò dal mio sacro corpo una veste certamente invisibile agli uomini, ma a te anche sensibile, per mezzo della quale l'anima tua e il tuo corpo saranno protetti da ogni freddo pericoloso, finché a suo tempo non siano vestiti di gloria e di onore davanti ai santi e agli Angeli". E subito dalla ferita del costato tiro fuori con le sue santissime mani una veste di colore sanguigno e, mettendogliela addosso, disse: Io ti do questa veste con tutte le. sue virtù, mentre tu sei in terra, per segno e caparra del vestito di gloria col quale a suo tempo sarai vestita nel cielo". Così la visione disparve.

«La santa vergine, da allora in poi, mai, durante l'inverno, si copriva più che in estate».

San Vincenzo de' Paoli, il cui carisma della carità verso i poveri e verso tutti i bisognosi brilla nei secoli, spiegando la Regola alle prime «Figlie della Carità», arriva a dire: «Sappiate, figlie mie, che, quando tralascerete la preghiera e la santa messa per il servizio dei poveri, voi non perderete nulla, poiché servire i poveri significa andare a trovare Dio e voi dovete vedere Dio nelle loro persone».

Ma sentiamo qualcosa di un altro grande santo dei poveri, fattosi Povertà lui stesso per amore di Cristo. Lo conosciamo: Francesco d'Assisi. Egli aveva il senso profondo della fraternità universale (non per nulla è il santo, a quanto dicono, che più assomiglia a Cristo), perciò non concepiva un mondo con dislivelli sociali: chi ha più e chi ha meno.

«Un giorno, mentre andava a cavallo per la pianura che si estende ai piedi di Assisi, si imbatte in un lebbroso. Quell'incontro inaspettato lo riempì di orrore. Ma, ripensando al proposito... di diventare "cavaliere di Cristo"..., corse ad abbracciare il lebbroso e, mentre questi stendeva la mano come per ricevere l'elemosina, gli porse del denaro e lo baciò.

«Subito risalì a cavallo; ma, per quanto si volgesse a guardare da ogni parte e sebbene la campagna si stendesse libera tutt'intorno, non vide più in alcun modo quel lebbroso.

«Perciò, colmo di meraviglia e di gioia, incominciò a cantare le lodi del Signore...».

Francesco, «quando incontrava i poveri, dava loro generosamente tutto quanto avevano donato a lui, fosse pure il necessario per vivere; anzi, era convinto che doveva restituirlo a loro, come se fosse loro proprietà.

«Una volta... incontrò un povero. Si dava il caso che Francesco, a causa della malattia, avesse indosso sopra l'abito un mantello. Mirando con occhi misericordiosi la miseria di quell'uomo, disse al compagno: " Bisogna che restituiamo il mantello a questo povero: perché è suo. Difatti, noi l'abbiamo ricevuto in prestito, fino a quando ci sarebbe capitato di trovare qualcuno più povero di noi".

«Il compagno però, considerando lo stato in cui il padre pietoso si trovava, oppose un netto rifiuto: egli non aveva il diritto di dimenticare se stesso, per provvedere all'altro. Ma il Santo: "Ritengo che il Grande Elemosiniere mi accuserà di furto, se non darò quel che porto indosso a chi è più bisognoso"».

E a qualunque cosa gli dessero per alleviare le necessità del corpo, chiedeva sempre ai donatori il permesso di poterla dar via lecitamente, se incontrava uno più bisognoso di lui. Insomma, non la perdonava proprio a nulla: mantelli, tonache, libri e perfino i paramenti dell'altare, tutto elargiva agli indigenti, appena lo poteva... ».

Gesù in chi soffre secondo Paolo VI

Ma come considerava i sofferenti il papa Paolo VI? Che vedeva Gesù in loro egli lo ha detto in maniera sublime quando, nel 1965, è andato a visitare i carcerati di Roma: «Vi voglio bene, non per sentimento romantico, non per moto di compassione umanitaria: ma vi amo davvero perché scopro tuttora in voi l'immagine di Dio, la somiglianza di Cristo...

«...E adesso vi dico... un paradosso... Una verità che non sembra vera... Il Signore Gesù... ci ha insegnato che proprio la vostra sventura, la vostra ferita, questa vostra umanità lacerata e manchevole costituisce il titolo perché io venga tra voi, ad amarvi, ad assistervi, a consolarvi e a dirvi che voi siete l'immagine di Cristo, che voi riproducete davanti a me questo Crocifisso... Per questo io sono venuto;... per cadere in ginocchio dinanzi a voi...».

E, parlando di educatrici dedicate alle cure di piccoli sofferenti, Paolo VI ha detto: «...Esse sono destinate ad una specie di adorazione perpetua, che non è quella del Signore sotto le specie eucaristiche, nella sua presenza reale, ma quella che Bossuet chiamava la presenza umana di Cristo Gesù nei sofferenti».

Questa presenza di Gesù nel fratello povero e sofferente è così spiegata da Paolo VI: «Bisogna ricordare che Gesù è il Figlio dell'Uomo: si è chiamato e definito Egli stesso così... Vale a dire che ogni uomo, ogni vita, ha un nesso con Lui. Gesù è in relazione con ogni creatura, e quindi Gesù è in rapporto con chiunque soffre... Gesù polarizza verso di se ogni dolore umano; e non solo perché è Colui che ha sofferto in maggior grado e per maggior ingiustizia, ma anche perché... ha immensa simpatia... per quelli che patiscono».

Ecco qualche tocco su Gesù in coloro che soffrono. Che mai e poi mai dimentichiamo che apparteniamo alla Chiesa dei poveri, che quindi il Movimento deve essere il Movimento dei poveri, tanto più che questo non è che cristianesimo. Alla fine della vita - l'abbiamo visto - l'esame finale sarà su questo argomento: in pratica sulle cosiddette opere di misericordia.

Dice papa Giovanni Paolo I: «Il catechismo traduce queste (le parole del giudizio finale) ed altre parole della Bibbia nel doppio elenco delle sette opere di misericordia corporali e sette spirituali».

Trasformiamo allora, rettificando l'intenzione, ogni atto d'amore che rivolgiamo ad ogni prossimo nel bisogno, in casa, in ufficio, a scuola, per strada, dappertutto, in una delle opere di misericordia e spalanchiamo il cuore a tutti i miserabili, peccatori, abbandonati, ammalati, rifiuti della società, calpestati nei diritti umani, emarginati, disprezzati di cui veniamo giorno per giorno a conoscenza nelle nostre città o paesi e nelle nazioni lontane.

I poveri e il Movimento

Come attorno a Gesù appena nato vediamo poveri, come la cura dei poveri è stata una delle principali preoccupazioni della primitiva comunità cristiana, come molto spesso i santi hanno cominciato la loro ascesa a Dio andando ai poveri, così attorno ai primi palpiti di vita del nostro Movimento troviamo i poveri.

Ero ancora a casa, in via Gocciadoro, e con le prime focolarine cominciavamo la nuova avventura.

Non so, non so esattamente chi ci abbia spinte a lanciarci con tanto zelo verso i poveri della città di Trento, lo stesso zelo che continuò poi nel primo focolare. Penso sia stata la parola di Gesù: «Qualunque cosa hai fatto al minimo l'hai fatta a me».

Ricordo il corridoio abbastanza lungo di casa mia pieno di ogni cosa che poteva essere utile ai poveri: cassette di marmellata, barattoli di latte in polvere, sacchi di farina, vestiario, medicine, legna.

Ricordo che, avendo poco tempo, poiché tutte si lavorava e si studiava, il pomeriggio, appena si era finito di mangiare, si partiva ognuna con due valigione piene e pesanti per visitare i tre rioni più poveri della città: le Laste, la Portella, le Androne. Era una corsa sempre. Era salire su scale oscure rosicchiate dal tempo o dai topi, vecchie e pericolose, in una oscurità quasi completa, in una desolazione che faceva male ai nostri giovani cuori. E poi, arrampicateci al primo piano, ecco una stanza oscura ed un povero a letto, in genere privo di tutto. Era Gesù. Si dava quanto si poteva. Si consolava, si prometteva in nome di Dio onnipotente, si lavava. Una volta una focolarina, amando con passione in una povera donna Gesù, stette a lungo in quella casa, pulendo ogni cosa e cantando alla fine una canzone alla mamma. Si buscò in seguito un'infezione alla faccia che le divenne tutta una piaga. Ma sin d'allora esultava per essere un po' simile a Gesù abbandonato.

Quando un povero veniva a casa nostra, sceglievamo la tovaglia migliore, i piatti e le posate migliori, ed il suo pasto era spesso formato di quanto ci si era private a pranzo, a cena, mettendo pane e formaggio od altro in grembo, mentre i genitori non ci guardavano, e trascinando in questo gioco d'amore le sorelline.

Per la strada ognuna aveva un notes ed era un sussulto al cuore quando s'incontrava un povero. Si avvicinava con sommo amore, gli si chiedeva il nome e l'indirizzo per amarlo «fino alla fine».

Sì, perché per noi, se il problema era senz'altro aiutare i singoli poveri, il tutto era partito anche con un programma ben preciso: volevamo risolvere il problema sociale della città di Trento. E Dio non ci faceva vedere altro, quasi che, fatto questo, tutto fosse fatto al mondo. Di qui il puntare sulle zone diseredate della città per sollevarle, ora con le cure e col pane e col fuoco, domani con posti di lavoro.

Non di rado succedevano episodi in cui era evidente la mano di Dio che incoraggiava. E alcuni sono ricordati tuttora.

A piazza Cappuccini il lavoro continuò fervente. In un grande marmittone si cucinava ogni giorno una minestra che era poi portata ai poveri del rione San Martino; oppure, i poveri sentivano il focolare casa loro e sedevano a mensa con noi: un povero e una focolarina, un povero e una focolarina.

Poi la guerra finì ed anche i poveri stettero meglio e noi si sciamò piano piano per tutta Italia a dar l'annuncio del Vangelo riscoperto.

Ma sempre - quando l'Opera si è diffusa nel mondo, dovunque vi fosse necessità, come nel Camerun e nel Brasile o come in Asia, o quando i Gen, in altro contesto simile e diverso, dovevano rifare l'esperienza della prima generazione -, sempre i poveri sono stati con noi.

Oggi, inoltre, tutto il Movimento nel suo insieme vive una primavera di rilancio nella sua veste di Umanità Nuova che, timidamente ancora ma decisamente, s'è messa al servizio della società e in modo particolare dei poveri d'oggi: i drogati, gli emarginati, i disoccupati, i peccatori, gli amorali, i non credenti.

E «morire per la propria gente», è il motto di tale operazione che riecheggia e rivive cio che Gesù ha fatto.

Così facendo attendiamo il giorno in cui Gesù possa dire anche a noi tutti: Ero emarginato e m'hai introdotto nella tua comunità; ero drogato e m'hai ridato una autentica felicità; ero disoccupato e mi hai trovato un posto. Ero senza morale e m'hai insegnato la legge di Dio. Ero senza di Lui e me l'hai fatto riscoprire Amore, gettandomi nella vostra stessa divina avventura.