LA VITA RELIGIOSA NEL MISTERO DELLA TRINITÀ

estratto da FABIO CIARDI, o.m.i.

La vita consacrata, fin dal suo nascere, ha colto l'intima natura del cristianesimo: l'unità degli uomini con Dio e tra loro, realizzata da Gesù nel suo mistero pasquale. Dopo che l'anacoresi aveva posto in luce il primato di Dio - che chiede di essere amato con tutto il cuore l'anima e le forze - e la radicalità della sequela di Cristo con le sue esigenze, il cenobitismo ha iniziato a mettere sempre più in risalto la dimensione della koinonia ( COMUNIONE-UNITÀ) cristiana. La comunità dei primi cristiani di Gerusalemme è stato il prototipo a cui hanno guardato le prime comunità monastiche. Successivamente sono venuti in evidenza ulteriori modelli di ispirazione, quali le comunità profetiche vetero-testamentarie e la famiglia di Nazaret.

Sarà soprattutto la comunità itinerante dei discepoli e degli apostoli che seguivano Gesù a rivelarsi, sempre più, come fonte di ispirazione per le successive comunità religiose.

Tuttavia questi diversi modelli rimandano ad una unità ancora più profonda che si manifesta nella comunità e che insieme la trascende: la koinonia trinitaria.

Al di là delle molteplici esperienze di comunità religiose, al di là stesso delle comunità esemplari e normative dei discepoli di Cristo e dei cristiani di Gerusalemme, occorre risalire all'archetipo (PRIMO MODELLO) trinitario, all'agape divina (L'AMORE CHE LEGA LE TRE DIVINE PERSONE), comunione ineffabile.

Ogni comunità religiosa appare come «sacramento (segno-manifestazione) dell'agape di Dio», luogo in cui si rispecchia, si partecipa e si vive la vita dell'Uni-Trinità. Tale è la sua natura più profonda e insieme la sua più intima vocazione.

GUARDANDO AL MODELLO TRINITARlO

Sant'Agostino è uno dei primi autori monastici che esplicitamente guarda alla Trinità come modello e origine della comunità religiosa. Partendo dall'opera compiuta dallo Spirito a Pentecoste, che «di tante anime e di tanti cuori (...) fece un'anima sola e un cuore solo», poteva risalire alla Trinità e lì contemplare il frutto di unità operato dal medesimo Spirito. Se lo Spirito, pax unitatis - così scriveva - ha fatto di molti uomini un cuore solo e un'anima sola, «crediamo che, a molto maggior ragione, nella pace di Dio la quale sorpassa ogni intelligenza, il Padre il Figlio e lo Spirito Santo non sono tre dei, ma un Dio solo; unità questa tanto superiore a quella formata da un'anima sola e da un cuor solo dei primi cristiani, quanto la pace che sorpassa ogni intelligenza [lo Spirito Santo] è superiore alla pace che possedevano tutti quei primi fedeli, che erano un'anima sola e un cuore solo protesi verso Dio». La comunità monastica agostiniana, in continuazione con l'esperienza di Gerusalemme, appariva icona della Trinità e si riconosceva proveniente da essa e partecipazione del suo mistero di unità. In un altro passo Agostino coglie una linea di continuità tra la preghiera di Gesù per l'unità, la comunità di Gerusalemme, la propria comunità monastica: «Il Signore, rivolto al Padre, dice dei suoi discepoli: "Siano una sola cosa, come anche noi siamo una sola cosa". Inoltre negli Atti degli Apostoli è detto: "La comunità dei credenti era un'anima sola e un cuore solo" (...) Poiché una sola cosa è necessaria, l'unità celeste mediante la quale il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono una sola cosa. (...) Ma non potremo giungere a questa unità se, pur essendo molti, non avremo un cuor solo».

Se i primi cristiani di Gerusalemme erano un cuor solo e un'anima sola è perché su di loro era sceso lo Spirito dell'unità. L'unità che fa delle tre Persone un unico Dio, è da Lui trasmessa alla comunità, essendo egli communio della Trinità, communitas del Padre e del Figlio. La comunità monastica, secondo Agostino, è chiamata a rivivere la dinamica della prima comunità cristiana e quindi ad avere lo stesso principio unitivo che animava quella prima comunità. Egli la vede direttamente inserita nel mistero trinitario, partecipe della vita di Dio Amore. La carità fraterna appare come l'immagine più espressiva e l'analogia più aderente della Trinità.

Il rimando alla Trinità come all'archetipo della comunità è tornato più volte lungo l'itinerario della vita religiosa, anche se non sempre tematizzato in maniera approfondita e con la dovuta centralità.

Così, ad esempio, si esprimeva Vincenzo de Paoli con le Figlie della Carità: «Vedete, figlie mie, allo stesso modo che Dio è uno solo in se stesso, e in lui vi sono tre Persone, senza che il Padre sia più grande del Figlio, né il Figlio dello Spirito Santo, ugualmente bisogna che le Figlie della Carità, che devono essere l'immagine della SS. Trinità, benché molte, siano tuttavia un cuor solo e un'anima sola. (...) Così farete di questa Compagnia una riproduzione della SS. Trinità. In tal modo che la vostra Compagnia rappresenterà l'unità della SS. Trinità».

Luisa de Marillac, che condivide l'esperienza di Vincenzo de Paoli, scrive a sua volta: «Le vere Figlie della Carità, per fare il bene che Dio loro comanda, devono essere una cosa sola fra di loro, e poiché la natura corrotta ci ha tolto questa perfezione del cuore separandoci dalla fonte della nostra unità che è Dio, dobbiamo tutte, per avvicinarci alla santissima Trinità, essere un cuor solo e operare in un medesimo spirito, come le tre divine Persone».

P. d'Alzon, fondatore delle Oblate dell'Assunzione, così scriveva alla fine dell'Ottocento, rivolgendosi alle sue suore: «Leggete attentamente il capitolo 17 del vangelo di Giovanni, l'ultimo dei suoi discorsi, e vedrete come il divin Salvatore unì gli apostoli tra di loro sul modello della SS. Trinità, e come cerca di rinsaldare costantemente questa unione con un legame divino, mettendo da parte ogni legame umano. (...) Egli deve formare i suoi apostoli su quella straordinaria unità di cui l'adorabile Trinità gli presenta il modello. "Prego... perché tutti siano uno, perché essi siano uno in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai inviato". Questo è stato detto innanzitutto per la Chiesa; poi per le comunità religiose. Che essi diventino uno in Cristo Gesù».

LA VITA RELIGIOSA NELL'ECCLESIA DE TRINITATE

(nella Chiesa che prende a modello la Trinità)

Oggi che la Chiesa è cresciuta nella comprensione della propria dimensione di mistero, in particolare come Ecclesia de Trinitate, possiamo capire meglio anche la dimensione mistica e trinitaria della comunità religiosa. Il vissuto cristiano aveva corso il rischio dell'appiattimento amorfo su un Dio senza volto. Non pochi anni fa si poteva ancora dire che «se si sopprimesse la dottrina della Trinità come falsa, la gran parte della letteratura religiosa potrebbe rimanere quasi inalterata».

L'oggi dell'esperienza e della coscienza ecclesiale è invece caratterizzato proprio dalla riscoperta della Trinità come orizzonte della vita cristiana e dello stesso pensare cristiano. La progressiva penetrazione del mistero della Chiesa (Ecclesia de Trinitate), dello Spirito Santo (comunione delle divine Persone e della comunità ecclesiale), e dell'evento pasquale (luogo di piena rivelazione e comunicazione del mistero trinitario), che hanno contrassegnato il cammino teologico e vitale di questo secolo, non potevano non condurre ad una riscoperta esistenziale del Dio di Gesù Cristo, il Dio Uni-Trinità.

Così il Concilio Vaticano II ha potuto fare nuovamente brillare il volto del Dio di Gesù Cristo ed ha avviato una ricca stagione di riflessione dottrinale sempre più attenta al mistero trinitario. L'ecclesiologia della Lumen gentium è un'ecclesiologia trinitaria. Già nel suo primo capitolo enuncia il tema Ecclesia de Trinitate, utilizzando la celebre espressione di Cipriano: «La Chiesa universale si presenta come un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (LG 4).

La comprensione del rapporto comunità religiosa - Trinità dovrà necessariamente essere mediata dalla comprensione del rapporto Chiesa - Trinità, in quanto la comunità religiosa è partecipazione ed espressione significativa e particolare della più ampia comunione ecclesiale.

I documenti conciliari enunciano più volte il rapporto Chiesa-Trinità come costitutivo dell'essere stesso della Chiesa. Trinitaria ne è l'origine, come leggiamo nella Gaudium et spes: la Chiesa «procedente dall'amore dell'eterno Padre, fondata nel tempo dal Cristo Signore, radunata nello Spirito Santo...» (n. 40). Trinitario ne è il modello e il principio, come afferma l'Unitatis redintegratio in un altro testo incisivo: «di questo mistero [della Chiesa] il modello supremo e il principio è l'unità nella Trinità delle persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo» (n. 2). Trinitario è l'esito del suo cammino nella storia: «la Chiesa prega insieme e lavora, affinché l'intera pienezza del cosmo si trasformi in Popolo di Dio, corpo del Signore e Tempio dello Spirito Santo, e in Cristo, Capo di tutte le cose, sia reso ogni onore e gloria al Creatore e Padre dell'universo» (LG 17).


CONSACRAZIONE E MISSIONE NEL MISTERO TRINITARIO

La pista di riflessione offerta dal Concilio a riguardo della vita religiosa si muove in questa direzione. L'intero cap. VI della Lumen gentium presenta la vocazione religiosa all'interno del mistero della Chiesa e come dimensione costitutiva di essa. Ritrovandosi parte viva della Ecclesia de Trinitate, la vita consacrata si riscopre a partire dal mistero stesso della Trinità.

Questa forma di vita, secondo l'insegnamento dei Padri conciliari, nasce dall'amore di Dio, quale «prezioso dono della grazia divina fatto dal Padre ad alcuni» (LG 42c); «continuamente rappresenta nella Chiesa la forma di vita che il Figlio di Dio abbracciò quando venne nel mondo» (LG 44c); vive nella docilità allo Spirito Santo, «per una più grande santità della Chiesa e per la maggior gloria della Trinità una e indivisa, la quale in Cristo e per mezzo di Cristo è la fonte e l'origine di ogni santità» (LG 47).

Seguendo le indicazioni del Concilio, in questi anni vi è stato il tentativo di una rilettura dell'intero progetto di vita religiosa a partire dal mistero trinitario. Si tratta di un cammino appena iniziato, che non ha portato ancora i frutti sperati, e che pure fa intravedere la fecondità di questa nuova pista di riflessione. La dimensione trinitaria, in effetti, avvolge la vita consacrata, in tutte le sue dimensioni di consacrazione, comunione, missione.

La consacrazione, in quanto radicalizzazione del battesimo, pone il religioso direttamente in rapporto con Dio Trinità.

Il Perfectae caritatis aveva già letto la consacrazione in chiave trinitaria quando additava il Padre come sorgente della chiamata, il Figlio come oggetto di sequela, lo Spirito Santo come colui che muove a vivere sempre più per Cristo e per la Chiesa (cf. 1).

La consacrazione, ha scritto Giovanni Paolo II approfondendo il dato conciliare, «crea un nuovo legame dell'uomo con Dio uno e trino, in Gesù Cristo» e produce nella persona consacrata «la gioia di appartenere esclusivamente a Dio, di essere un'eredità particolare della SS.ma Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo» (RH 6.7). Lo stesso Codice di Diritto canonico sintetizza l'orientamento trinitario della consacrazione con le seguenti parole: «La vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici è una forma di vita con la quale i fedeli, seguendo più da vicino Cristo sotto l'azione dello Spirito Santo, si dedicano totalmente a Dio sommamente amato» (can. 573,1).

La dimensione apostolica e di diakonia delle comunità religiose, pur così diversa a secondo dei differenti carismi, si colloca ugualmente nella linea dell'uscita della Trinità da se stessa, nella linea della sua estasi d'amore con la quale si dona e si pone a servizio dell'uomo. Come la Trinità, la comunità si apre e, continuando la missione affidata dal Padre al Figlio e compiuta nello Spirito, si dona nella propria tipica ministerialità, per portare tutto l'uomo e tutti gli uomini verso la realizzazione della loro vocazione, che è quella di vivere nella Trinità.

Ma è soprattutto attorno alla realtà della comunità nella sua dimensione di koinonia, che il riferimento alla Trinità si fa più urgente e fecondo di risultati.

«Esperti di comunione, leggiamo in un documento vaticano, i religiosi sono chiamati ad essere, nella Chiesa comunità ecclesiale e nel mondo, testimoni e artefici di quel progetto di comunione che sta al vertice della storia dell'uomo secondo Dio (...). Testimoniano infatti, in un mondo spesso così profondamente diviso e di fronte a tutti i loro fratelli nella fede, la capacità di comunione dei beni, dell'affetto fraterno, del progetto di vita e di attività, che loro proviene dall'aver accolto l'invito a seguire più liberamente e più da vicino Cristo Signore, inviato dal Padre affinché, primogenito tra molti fratelli, istituisse, col dono del suo Spirito, una nuova comunione fraterna» (Religiosi e promozione umana. 24).

Le Tre divine Persone ci introducono nella loro stessa vita. L'unità della Trinità fonda la nostra stessa unità. Attraverso l'iniziativa del Padre e l'opera del Figlio, prolungata dallo Spirito, e attuata nella predicazione degli apostoli e nella mediazione dei sacramenti siamo innestati in quell'unità, viviamo in e di quell'unità.

È Dio Trinità che si partecipa a noi e ci coinvolge nella sua stessa vita.



COINVOLTI NELLA DINAMICA TRINITARIA

Partecipare alla vita trinitaria vuol dire partecipare alla sua stessa dinamica d'amore. La missione del Figlio prolunga nella storia la generazione eterna, così come la missione dello Spirito prolunga e manifesta la sua eterna spirazione. Il Vaticano II ha voluto mostrare nella Chiesa il prolungamento delle processioni divine del Verbo e dello Spirito, quasi lo sviluppo storico del mistero trinitario. Le processioni divine ed eterne del Figlio e dello Spirito appaiono come le condizioni di possibilità, i modelli e le cause eterne della Chiesa, quale compimento dell'intera creazione, chiamata ad esservi eternamente integrata.

Ricevendo la propria unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito, la Chiesa è, per così dire, eternamente generata con il Figlio e spirata con lo Spirito che le sono inviati e che, in essa, procedono dal Padre. La Chiesa può diventare il sacramento di salvezza in quanto mistero che porta il mistero fondamentale, il mistero della Trinità redentrice. La partecipazione alla koinonia trinitaria a cui ogni credente è chiamato si risolve in tal modo, come afferma il Concilio, in una più profonda comunione ecclesiale: «Con quanta più stretta comunione saranno uniti col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo, con tanta più intima e felice azione [tutti i fedeli] potranno accrescere le mutue relazioni fraterne» (UR 7).

Proprio perché rende possibile la koinonia ecclesiale, la koinonia trinitaria ne è anche il modello per la sua attuazione. «Il Signore Gesù - leggiamo ancora nei testi conciliari - quando prega il Padre, perché "tutti siano uno, come anche noi siamo uno" (Gv 17, 21-22) mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità».

La Chiesa trova nella pericoresi trinitaria, ossia nella dinamica stessa dell'amore trinitario, la più alta analogia della propria vita di comunione e il modello dei rapporti tra i fedeli. Origine e fondamento della comunità, l'unità della Trinità ci appare, allo stesso tempo, come suo divino modello.

Occorrerà quindi guardare alla pericoresi delle divine Persone per capire quale deve essere la mutua conoscenza tra di noi, la reciprocità dell'accoglienza, dell'appartenenza, dell'amore.

«Cristo - scrive de Margerie - ci invita a credere alle relazioni di reciproca in-esistenza (o inabitazione) tra il Padre e lui, perché possiamo giungere, più tardi, a conoscerle nella visione, o, almeno, nella loro anticipazione mistica (cf. Gv 14, 11.20), cioè attraverso l'esercizio della mutua in-esistenza (inabitazione) della carità unitiva fra cristiani, come pure fra questi, da una parte, e il Padre e il Figlio, dall'altra (cf. Gv 17, 21). L'esercizio della imperfetta mutua in-esistenza (inabitazione) creata e della intersoggettività dell'amore costituisce dunque, per il Nuovo Testamento, la condizione del pieno svelamento, nella visione, della perfetta mutua in-esistenza (in-abitazione) e intersoggettività increata del Padre e del Figlio nello Spirito».

La pericoresi delle Persone come si vive nella Trinità (reciproca donazione e accoglienza l'una all'altra e l'una dell'altra), rimane l'archetipo della nostra unità.

Tuttavia noi, come persone umane, non possiamo penetrare l'uno nell'altro come le Persone divine. La partecipazione della vita divina fa però sì che Dio possa penetrarci e farci uno. La partecipazione del suo amore rende possibile la reciprocità dell'amore scambievole che ci fa essere misteriosamente l'uno nell'altro.

Ed è proprio l'amore scambievole la più perfetta attuazione della vita comune: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34; 15,12). Amarsi l'un l'altro in Cristo, con la sua stessa misura, è vivere l'amore trinitario sulla terra, innestati, ciascuno e insieme, nella vita d'amore di Dio stesso: l'amore reciproco è dunque la vita di pericoresi trinitaria partecipata agli uomini, la legge che regola gli stessi rapporti tra le Persone della Trinità.

Il comandamento nuovo può infatti essere considerato come la traduzione, in parole umane, della pericoresi e della koinonia intratrinitaria. Questa risulta così la legge di vita del popolo messianico della Chiesa, icona della Trinità (cf LG 9b).

«Gli uomini - ha scritto in proposito Piero Coda - sono abilitati, nella grazia, a vivere nei loro mutui rapporti un'esistenza che traduce nella storia la vita stessa della pericoresi trinitaria. "Come in cielo, così in terra".

L'uomo, redento e divinizzato, può ormai amare l'altro uomo come Cristo lo ha amato: perché in lui che ama vive Cristo, e perché nell'altro uomo che è da lui amato vive il medesimo Cristo. Il loro reciproco amore è divinizzato, è trinitario. E Cristo in me che ama Cristo in te - e questo reciproco amore è Amore del Cristo, è Spirito Santo. Tra i due che si amano così, con l'amore di Cristo, si stabilisce la presenza di un Terzo - analogamente a quanto avviene nella SS. Trinità, dove il Padre e il Figlio si amano nello Spirito Santo -, un Terzo che è il Cristo Risorto stesso, presente nella forza e nella luce del suo Spirito».

È quanto appare nella preghiera rivolta da Cristo al Padre: «Io in loro e tu in me». Egli, nell'evento pasquale - a cui siamo resi partecipi tramite la Parola e i Sacramenti - ci introduce nel suo stesso rapporto d'amore di Figlio con il Padre.

Questo rapporto con la Trinità ne permette un secondo, quello tra gli stessi cristiani: «siano anch'essi in noi una cosa sola».

«Come nel rapporto fra il Padre e il singolo cristiano è il Cristo a fare da centro e da mediazione, realizzando una sempre più piena comunione dell'uomo con Dio, così è ancora il Cristo a fare da centro e mediatore nei rapporti di amore fra due o più credenti che si amano nel suo stesso amore, perché, allora, è il medesimo Cristo, presente nell'uno e nell'altro cristiano per la grazia, il principio del loro amore».

La comunione trinitaria fonda, in modo radicale e costruttivo, la comunione tra i credenti e dà vita ad ogni comunità cristiana.

La vocazione cristiana diventa vocazione all'unità: «Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione: un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4, 4-6). «Siete stati chiamati in un solo corpo» (Col 3, 15).

La circolazione di grazia tra il Padre, il Cristo Risorto e lo Spirito di Pentecoste, che fa vivere la Chiesa come realtà divina e comunica ad ogni singolo la vita teologale, consente e provoca la comunione tra tutti i credenti, come fratelli di una medesima famiglia, testimoni della comunione escatologica, quando la comunità ecclesiale si realizzerà nella comunione perfetta con la comunione trinitaria, La Chiesa appare così come «un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (LG 1).

Nata dalla Trinità e partecipante la sua vita agapica, la Chiesa è in cammino verso di essa. Contemplare «chiaramente Dio uno e trino qual è» rappresenta il fine a cui tende la Chiesa, peregrina verso la Trinità (cf. LG 49).

La comunità religiosa vuol porsi all'avanguardia di questo cammino. Indirizzandosi proprio ai religiosi, la Lumen gentium invita ogni persona consacrata a porre «ogni cura nel perseverare e maggiormente eccellere nella vocazione a cui Dio l'ha chiamata, per una più grande santità della Chiesa e per la maggior gloria della Trinità una e indivisa, la quale in Cristo e per mezzo di Cristo è la fonte e l'origine di ogni santità» (LG 47).

Pur nella varietà delle sue forme, la vita fraterna in comune appare come una radicalizzazione dello spirito fraterno che unisce tutti i cristiani. La comunità religiosa è la visibilizzazione e insieme la profezia della comunione che tutta la Chiesa è chiamata a vivere e alla quale tende come alla sua meta finale. Sul modello della comunità dei Dodici e di quella dei primi cristiani di Gerusalemme, essa vive in una dimensione mistica: «Con l'amore di Dio diffuso nel cuore per mezzo dello Spirito Santo, la comunità come una famiglia unita nel nome del Signore gode della Sua presenza» (PC 15). Essa è inabitata dalla presenza del Signore e del suo Spirito che la guidano verso il Padre.

La Chiesa, e in essa la comunità religiosa, trova così la propria origine nella Trinità: è strutturata a sua immagine e va verso il compimento trinitario della storia. La Trinità ne informa la vita, ne articola le strutture, l'attende alla meta.