Tema per ritiro Ministri straordinari di Comunione

IL SIGNIFICATO DEL DOLORE. LE MALATTIE, LA MORTE

«Ci siamo piú volte chieste: agli occhi di Dio sarà piú bello il bambino, che ci guarda con occhi innocenti tanto simili alla natura limpida e tanto vivi, o la giovinetta, che splende come la freschezza di un fiore appena aperto, o il vecchio canuto e avvizzito, ormai curvo, quasi inabile a tutto, in attesa soltanto forse della morte?

Il chicco di grano, cosí promettente quando, tenue piú di un filo d'erba, aggrappato ai chicchi fratelli, attornianti e componenti la spiga, attende di maturare e svincolarsi, solo e indipendente, nella mano dell'agricoltore, è bello e pieno di speranza! È bello però anche quando, ormai maturo, è scelto fra gli altri, perché migliore, onde, sotterrato, dar vita ad altre spighe, esso che la vita ormai contiene. È bello, è l'eletto per le future generazioni delle messi. Ma quando sotterrato, avvizzendosi, riduce il suo essere in ben poca cosa, piú concentrata, e lentamente muore, marcendo, per dar vita ad una pianticella da esso diversa, ma che di esso contiene la vita, forse è piú bello ancora.

Sono bellezze varie. Eppure una è piú bella dell'altra. È l'ultima, pensiamo, la piú bella. Noi crediamo che Dio veda cosí le cose.

Quelle rughe che solcano la fronte della vecchietta, quel camminare curvo e tremolante, quelle parole brevi, piene di esperienza e di sapienza, quello sguardo dolce di bambina e di donna insieme, ma piú buono dell'una e dell'altra, è una bellezza che spesso noi non conosciamo.

È il chicco di grano che, spegnendosi, sta per accendersi ad una nuova vita, diversa dalla prima, in cieli nuovi». (C. L. Attrattiva del tempo moderno, pag. 114)

Il corpo è importante per un cristiano. Se per Gesú Eucaristia si sono costruite in tutti i secoli meravigliose cattedrali, che hanno sfidato il tempo, per Dio, che vive nella nostra anima in grazia, dobbiamo curare il corpo come tempio suo. Il nostro fisico deve essere sano e robusto perché l'anima possa servire meglio il suo Creatore.

Ma Gesú in noi non sempre lavora, non sempre parla, non sempre prega; c'è un aspetto della nostra vita, della vita di Gesú in noi, che è molto frequente e tocca tutti: è la malattia e la morte.

La Chiesa ha previsto anche questo aspetto della vita di Gesú in noi. Essa ci dice che dobbiamo vedere nei malati Gesú sofferente e crocifisso. E questo è splendido: contiene tutto il mistero del dolore visto cristianamente.

Dio, facendosi uomo, quindi mortale, nacque su questa terra per morire. È questo il senso della vita: vivere come il chicco di grano, il cui destino è morire e marcire per la vita eterna e vera.

Con questi sentimenti dobbiamo camminare sulla terra, dove ogni giorno si invecchia, per raggiungere la morte, che dà inizio alla vera vita. Dobbiamo vedere le malattie che ci colgono, come gradini preparati dall'amore di Dio per scalare la vetta, prove per la «prova», e vedere noi come piccole ostie, non perfettamente consumate, per il "consummatum est" completo che attende tutti. Cosí mortali col mortale, per risorgere con Lui e iniziare una vita che non avrà termine,

Questo modo di vivere inizia già dalle prime malattie, cioè da quando noi accettiamo il patire sia fisico sia spirituale, perché abbiamo una visione soprannaturale della vita.

In una visione cristiana della vita, le malattie non riguardano soltanto il campo della medicina, ma sono purificazioni che Dio permette, quindi scalini verso l'unione con Dio.

Ora, vedere Gesú crocifisso in noi quando siamo malati e accettare con amore questo stato di cose, perché ci fa piú simili a Cristo, significa tramutare questo dolore in altrettanto amore. E ogni crescita nell'amore è crescita del Regno di Dio in noi.

Perciò nella malattia non siamo inattivi: cerchiamo il Regno di Dio, lo facciamo crescere in noi, proprio perché diminuisce in noi la salute fisica, e andiamo verso la vita piena.

Ma il vero valore del dolore nel cristianesimo ce lo dice la Messa.

Se soffriamo infatti e il soffrire è tale che ci impedisce ogni attività, dobbiamo ricordarci della Messa. Nella Messa Gesú, oggi come allora (sulla croce), non lavora, non predica: Gesú si sacrifica per amore. Nella vita si possono fare tante cose, dire tante parole, ma la voce del dolore, magari sorda e sconosciuta agli altri, del dolore offerto per amore, è la parola piú forte, quella che ferisce il Cielo.

Se soffriamo, è bene immergere il nostro dolore nel Suo e dire la nostra messa.
I nostri fratelli malati vanno considerati quali ostie viventi, che uniscono il loro patire a quello di Cristo, offrono continuamente la loro messa.

Quindi tutti noi dobbiamo avere un elevatissimo concetto della malattia e un grandissimo rispetto per i nostri fratelli malati.
Dobbiamo allora esercitare, per Gesú sofferente nei fratelli, tutte quelle opere di misericordia che si rendessero necessarie (per esempio, l'assistenza agli infermi). Si renderà così visibile la comunità cristiana anche con questa testimonianza di reciproca carità, di fronte alla quale la società di oggi può ripetere quanto i pagani dicevano dei primi cristiani: "Vedi come si amano a vicenda e sono pronti a morire l'uno per l'altro" (Tertulliano, Apologeticum, 29, 7).

NASCITA ALLA VITA VERA

(serie di pensieri senza pretese)

Tutti siamo investiti, nel battesimo, del sacerdozio regale di Cristo e lo viviamo offrendo noi stessi a Dio giorno per giorno: il momento della morte sarà quello dell'offerta ultima e definitiva.

La morte è l'ultima offerta di noi sacerdoti qui sulla terra, quindi il culmine della nostra vita. E, per chi ama e sa che significa amare, il momento desiderato.

Non c'è motivo di temere la morte:
Il cristiano dovrebbe poter affermare «No, non ho paura della morte, perché la morte è per me un incontro con Lui; e di Lui non ho paura. Se ho paura, questa è perché complico le cose semplici».
La morte significa l'incontro con Gesú, un magnifico, indescrivibile avvenimento.

In quell'ora Maria ci attenderà per condurci a Gesú: La vita non termina con la morte, ma «cambia»:
Occorre prepararsi all'imprevedibile ora della morte facendo la volontà di Dio negli imprevisti di ogni giorno: Si dovrebbe fare di tutta la vita una preparazione per l'ora del passaggio all'altra vita:
Dobbiamo imparare a "vivere nella verità" e la verità sta nel fatto che devo vivere questi giorni in terra per l'altra vita. Vale solo l'attimo presente nella prospettiva eterna.

Si, perché il Paradiso è una casa che si costruisce di qua e si abita di là.

Ma non è tanto il pensiero della morte che deve occupare l'anima quanto quello dell'altra vita; quante sorprese, quali ineffabili incontri con Gesú, Maria e i cristiani già arrivati, i santi che abbiamo amato e cercato di onorare.

Non sapere né il giorno né l'ora della nostra morte ci impegna ad amare ogni giorno come se fosse l'ultimo.
Gesú non ha voluto sapere l'ora della sua morte. E questa sua "ignoranza" - spiegano alcuni teologi - fa parte di quell'annientamento in cui ha voluto vivere ed essere per potersi abbandonare nelle braccia del Padre, quando il suo amore l'avrebbe chiamato. Cosí Gesú si è messo primo in lista, come Figlio dell'Uomo, fra gli uomini, che non sanno né il giorno né l'ora.
La mia vita ha un fine: Gesú. È Lui che incontrerò alla morte. Voglio vivere per incontrarLo nel migliore dei modi. Proprio cosí come si prepara una sposa alle nozze. Questa vita per noi è un lungo fidanzamento in cui ci si prepara. Ma le nozze piú vere sono li, in quel giorno.

Dovremmo poter ripetere, come s. Chiara d'Assisi morente: "Va' sicura, anima mia, perché un buon compagno tu hai nel tuo cammino. Va: ché Colui che ti ha creata ti ha santificata..."».