INTRODUZIONE

 

Mostraci il Padre

"Credo in Dio Padre", nel Padre che dall’eternità è all'origine dei Figlio e dello Spirito Santo. Ma lo conosco veramente? Gesù è venuto nel mondo per rivelare il Padre, ma io cosa so dire di lui? Il Padre si presenta come la persona divina più misteriosa, ma proprio per questo sono stimolato a conoscerlo meglio, come vuole Gesù.

La strada per una conoscenza più ricca del Padre non è sempre facile e non sembra molto praticata, Tuttavia essa porta al cuore della vita trinitaria, perché il Padre è la sorgente della divinità.

La vita stessa di Cristo si presenta come "uscita" dal Padre e "ritorno" a lui, e ciò vale anche per la vita dell'uomo e dell'universo.

Queste schede sono un invito pressante a percorrere insieme questa strada misteriosa, a meditare sulla pienezza della vita dei Padre e a sperimentare più profondamente la gioia della sua presenza.

Per me personalmente cosa mi ha aiutato di più a scoprire, conoscere e amare il Padre sono state le parabole. Allora ho pensato di aprire anche a voi questa bella avventura, qualche volta rischiosa, ma certo esaltante. il traguardo è una grande familiarità col Padre, alla maniera di Gesù, è una fiducia più piena al suoi disegni.

Prevedo, come negli anni scorsi, che queste schede saranno troppo lunghe. Ritengo, comunque, che è sempre meglio offrire un osso rivestito di troppa polpa - libero ognuno di buttarlo quando è sazio e magari stufo - che porgere a chi a fame un osso nudo, perfettamente ripulito, da raschiare.

E poi le parabole non costituiscono solo un invito a prendere una decisione, ma rappresentano una sollecitazione a far funzionare, da parte nostra, quella facoltà. sovente inutilizzata, quando si tratta di Parola di Dio, che si chiama fantasia.

 

Al di là dell'ovvio

Gesù ha raccontato parabole non soltanto perché voleva che il suo messaggio fosse chiaro e accessibile, ma perché a proposito di Dio e del suo mistero non è possibile diversamente. Dio è al di sopra dei nostri pensieri e delle nostre parole: per parlare di Lui dobbiamo utilizzare le esperienze che abbiamo a disposizione.

Le parabole non sono alla periferia dei Vangelo, ma al centro. Esse riescono a metterci in contatto con Gesù: la sua personalità, la concezione che aveva di Dio Padre, di se stesso e dell'uomo, le situazioni in cui si , trovato coinvolto… Inoltre riescono - tra le righe - a farei intravedere i problemi e l'ambiente delle prime comunità cristiane: il loro modo di ricordare le parole di Gesù e di attualizzarle, i loro interrogativi…

Ma il fascino delle parabole sta nel fatto che, quantunque legate al contesto in cui furono dette, è come se, non fossero datate: intatta è infatti la loro forza di stupire e di interrogare. Sono pagine sempre aperte che nessuna esegesi riesce a chiudere una volta per tutte.

Tre proprietà che caratterizzano il linguaggio parabolico:

Da qui deriva l’ambivalenza delle parabole: esse sono luminose, e oscure, svelano e nascondono. Lasciano trasparire il mistero di Dio a chi ha occhi penetranti e cuore pronto, rimangono oscure per chi e distratto e ha cuore appesantito. Una evidenza che acceca non coinvolge. Per capire una parabola occorre, sempre un'intuizione globale, più vicina alla percezione artistica che alla deduzione scientifica. "Chi ha orecchi per intendere, intenda!":

Si possono affermare molte cose su una parabola, tutte esatte, senza tuttavia coglierne il senso.

Gesù ricorre alle parabole per condurre i suoi ascoltatori da un modo di vedere ad un altro, dalla loro mentalità alla sua. La forza della parabola sta nel mostrare l'ovvietà di un comportamento antitetico a quello abituale. Per operare questo cambiamento si deve fare leva su qualcosa. In molte parabole questa forza è l'esperienza comune, quel valori o atteggiamenti che si impongono a tutti. Nella parabola l'esperienza umana ( p. e. l'amore paterno ) diventa uno spiraglio che permette di intravedere il mistero di Dio e quindi di aprirsi alla novità evangelica.

La parabola è una forma di dialogo, ma per far capire, non per polemizzare o difendersi: il suo scopo è di "rivelare".

La parabola fa esplodere le incoerenze nascoste di un certo modo di essere religiosi.

Non è solo dialogo o rivelazione, ma anche una forma particolare di annuncio: rimuovere pregiudizi e ostacoli per poter intuire che la novità evangelica, così sconcertante, ha una sua logica interna, una propria coerenza, persino una sua "ovvietà".

Accostarsi a una parabola del Vangelo a motivo dei fascino che essa esercita però non basta, Occorre confrontarsi con la parabola, specchiarsi in essa, perché il suo scopo è di risvegliare la nostra coscienza. La regola fondamentale è di lasciarsi ancora "sorprendere". Solo così si può capire la parabola.

 

IL BUON PASTORE
CHE VA ALLA RICERCA DELLA PECORA PERDUTA.

Leggere Luca 15,4-7

COMMENTO

Premessa (15,1-3). La situazione vitale in cui leggere questa parabola (e le altre due successive) è che Gesù accoglie i peccatori e mangia con loro: ciò suscita critiche e mormorazioni.

La legge della purità legale vietava la comunanza di mensa con i pagani e i peccatori. Si pensava di onorare Dio separandosi dal peccatori, Gesù invece fa il contrario., mostrando in tal modo una diversa concezione di Dio, Gli scribi e i farisei non negavano l’accoglienza a chi avesse dimostrato di pentirsi. Ma Gesù amava i peccatori già prima del loro ravvedimento. Di fronte al peccatore il primo sentimento di Gesù noti è il giudizio, ma la cordialità. Sospende il giudizio e si preoccupa anzitutto della sorte del peccatore.

Per esprimere poi il senso profondo della sua missione Gesù afferma di essere venuto a "chiamare i peccatori"(5,32). Chiamare è, più della semplice accoglienza di chi attende che l'altro si avvicini. Esprime solidarietà attiva, l'iniziativa e la ricerca, come appunto sottolineano le tre parabole della misericordia. Inoltre, chiamare è anche un invito a partecipare attivamente alla missione, Dunque Gesù non solo accoglie i peccatori, li cerca e li perdona: li invita anche a condividere la sua responsabilità nell'annuncio del Regno, L'accoglienza di Gesù e totale,

Osserviamo ancora che anche i peccatori hanno simpatia per Gesù: "si facevano vicini" (15,1). Si instaura cosi un duplice movimento: Gesù cerca i peccatori e i peccatori cercano lui.

Domanda: è cosi anche per me?

L'immagine dei pastore era familiare nella vita palestinese ed era pure un tema classico delle Scritture. Ogni israelita più volte sentiva leggere e commentare nella sinagoga il capitolo 34 del profeta Ezechiele: Dio, il vero pastore si preoccupa delle pecore più deboli, fascia quelle ferite e riunisce le disperse. L’abilità di Gesù sta nel mostrare che la sua accoglienza dei peccatori è conforme alla Scrittura, Allora lo scandalo di scribi e farisei contraddice proprio quelle Scritture che essi dicono di venerare e in nome delle quali pretendono di giudicarlo.

Ciò che viene sottolineato nella parabola è l'attaccamento del pastore alle proprie pecore. Il rapporto non è, generico (nel senso di "Dio ama il suo popolo", "Dio ama l'umanità"), ma si manifesta nei confronti di ciascuna in particolare. Appare evidente che con ciascuna di esse si sarebbe comportato alla stessa maniera. Il pastore (figura trasparente di Dio) non sta a far calcoli di sorta: una o novantanove. Dal momento che una è dispersa, questa concentra tutta la sua preoccupazione. Le altre hanno il vantaggio di stare insieme, sia pure nei deserto. Quella invece difficilmente da sola riuscirà a trovare il padrone.

"Va dietro a quella perduta..." La pecora dunque più che smarrita è perduta, perciò praticamente "irrecuperabile". Scribi e farisei di tutti i tempi sono portati a considerarla "spacciata" e quindi abbandonarla alla propria sorte. D'altra parte se l'è voluta essa stessa, con la propria sconsideratezza. Per Dio, invece, non ci sono individui "spacciati", Per Zaccheo, come per tutti i peccatori "spacciati", c'è la sorpresa di essere ancora amati e ricercati.

"Finché non la ritrova ...." Le ricerche non hanno un limite prefissato, si prolungano anche se sopravviene la notte e il pastore è stremato. L'amore di Dio è ostinato, tenace, perseverante, non cessa mai di inseguire la propria "preda".

"Ritrovatola La parabola non si sofferma a documentare le ricerche, l'angoscia, la fatica, i dubbi. La gioia del ritrovamento assorbe e cancella tutto ciò che è avvenuto prima. (La donna quando partorisce .... Gv. 10,21 ). Per il pastore ciò che conta è aver recuperato la pecora, non importa il prezzo pagato in termini di sofferenze e disagi, Molti altri, al suo posto, non si sarebbero nemmeno mossi e avrebbero addotto diversi motivi " ragionevoli". Ma l'amore non ragiona e la speranza non ha il calcolo delle probabilità. Non è la pecora che ritrova il pastore, essa viene ritrovata. Essa è capace di allontanarsi, fuggire, ma il ritrovamento non è opera sua.

" Se la mette in spalle tutto contento... " Un pastore normale l'avrebbe fatta camminare davanti a sé, magari sollecitandola con qualche leggero tocco di bastone. Questo strano pastore, invece, risparmia alla pecora la fatica del viaggio di ritorno. "Tutto contento" non esprime un sentimento momentaneo di euforia. È lecito immaginare il pastore che percorre la strada del ritorno canticchiando e fischiettando e così comunica la propria gioia alla pecora ancora stordita dopo la brutta avventura.

"Va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: rallegratevi con me…" Il pastore sente l'esigenza di partecipare e comunicare la gioia al vicini. Abbiamo così una convocazione per la festa: si celebra un amore che ha avuto ragione di tutte le previsioni pessimistiche, un amore che non si è arreso. Ma la gioia si trasferisce anche in cielo: "Così vi sarà più gioia in cielo ....... "

"Così" toglie ogni dubbio al fatto che la vicenda dei pastore non ha altro scopo che quello di illustrare il comportamento di Dio nei confronti dei peccatori. Il cuore, della parabola è la gioia dei pastore che ritrova la sua pecora. Nella realtà è la gioia che Gesù prova vedendo che i peccatori lo ascoltano, dunque un sentimento che egli vorrebbe condividere cori tutti e che invece suscita mormorazioni: in Gesù si fa visibile la gioia di Dio Padre per i peccatori che si convertono.

Da sottolineare "un peccatore". L'accento viene posto sul singolo: un peccatore solo. Ogni persona agli occhi di Dio equivale a un tutto, ossia acquista un valore unico, assoluto,

Viene messa in evidenza non la preziosità del gregge, ma di un'unica pecora. Se avessimo letto che un pastore perse il suo gregge e subìto ritornò sui suoi passi per cercarlo .... avremo detto che Dio è come un pastore che cerca il suo popolo, ma non sarebbe stata posta in risalto la singolarità di ogni uomo, quanto è preziosa ogni persona davanti a Dio.

E la parabola avrebbe semplicemente ripetuto ciò che già si sapeva e cioè che Dio ama il suo popolo, senza apportare alcuna novità.

Avremo potuto continuare a immaginare Dio come sempre abbiamo fatto, ritenendo che novantanove giusti valgono più di un peccatore che si converte.

La parabola svolge dunque il tema della conversione? In un certo senso, sì, ma da un punto di vista dei tutto insolito. La conversione non è vista dalla parte del peccatore, ma da quella di Dio. Infatti l'attenzione è tutta concentrata su Dio - su ciò che egli fa per cercare il peccatore smarrito e su ciò che prova quando lo ritrova -, non su che cosa debba fare il peccatore per essere raccolto da Dio. Persino trattando un tema squisitamente morale, come appunto la conversione, Gesù trascende gli schemi puramente morali. Anche in questo caso la domanda su Dio (chi è? come ragiona?) precede la domanda morale (che cosa devo fare perché mi perdoni?). È uno strano modo di parlare di conversione! Tuttavia, Gesù può farlo, perché conosce Dio ed è quindi capace di svelarci il volto nascosto della realtà: come Dio la vede, non come noi la vediamo. Il Vangelo non è un discorso che ripete ciò che è già noto.

 

PROVOCAZIONI

A TUTTO VANTAGGI0 DELLE 99 RIMANENTI

C'è immancabilmente chi si mette dalla parte delle 99 rimaste nell'ovile. Perché vengono trascurate? Perché il pastore abbandona i fedeli, i vicini per inseguire coloro che si sotto allontanati e pare non abbiano alcuna intenzione di fare ritorno all'ovile?

Questo significa non comprendere il significato della parabola. In realtà va tutto a vantaggio delle 99 che il pastore le pianti in asso. Se il padrone rimane indifferente per la sorte della pecora sbandata, tutte le altre dovrebbero sentirsi in pericolo: se non gli sia a cuore la sorte di una sola pecora, vuol dire che non gli importa di nessuna pecora. Le pecore devono arrivare a comprendere che ciò che il pastore fa per la loro compagna perduta, è disposto a farlo per ognuna di loro.

EDUCARE AL RISCHI0

Se la tentazione dei gregge fedele può essere quella del mugugno perché si sente trascurato, la tentazione del pastore può essere quella di limitarsi a custodire, catechizzare, ammonire le pecore fedeli portando come esempio negativo l'avventura spericolata di quella elle se ne è andata. Non si tratta di rafforzare le difese, sprangare le porte, potenziare la disciplina, invocare castighi, rendere più rigidi gli orari e i regolamenti dell'ovile, ma di uscire. La salvezza non sta nel custodire, ma nel rischiare.

CERTI CONVERTITI....

Valli a capire certi convertiti, si portano addosso il complesso del convertito. Sono polemici, aggressivi, intransigenti., incapaci di un vero dialogo all'interno come all'esterno, non uomini d'incontro, ma di scontro.

Non riescono a capire come aver trovato implichi il cercare ancora e soprattutto Il mettersi continuamente In discussione.

Perché queste distorsioni? Per un motivo semplicissimo: si sono convertiti, ma non sono stati convertiti. Hanno fatto ritorno loro all'ovile, senza essere portati da lui, e quindi non hanno provato la tenerezza dei l'amore. Ed eccoli arcigni, duri, minacciosi... non hanno scoperto la realtà più importante: la misericordia. Non sono stati convertiti e quindi non sono stati liberati (prima di tutto da se stessi).

IL PASTORE TENTATO DI RIMANERE

La parabola tradotta in chiave di attualità tocca da vicino anche la figura e lo stile dei pastore. Pure il pastore, infatti, potrebbe risultare in pericolo.

Soprattutto quando fa dell'ovile (o di una parte dell'ovile) una tana confortevole e rimane lì al calduccio, coccolato, riverito, protetto e riverito da un piccolo gregge. E così il pastore che sì è specializzato nel custodire i suoi e viene da loro custodito, non ha molta voglia né capacità di affrontare il deserto dell'indifferenza, rischiare piste nuove. In questo caso è il pastore ad essere "perduto".

L'unica speranza, per lui, consiste nel farsi portare fuori dall'ovile da qualche pecora smarrita che lo riporti sulle tracce della vita reale.

IL PASTORE TENTATO DI PROTAGONISMO

Può essere in pericolo anche il pastore che esce "spavaldamente", lui dice, alla ricerca della pecora smarrita, ma in realtà alla ricerca dì una facile e gratificante popolarità. E quando ritorna con la pecora sulle spalle (più che una pecora sembra una preda ) invece di convocare amici e vicini a far festa per il ritrovamento convoca microfoni e taccuini giornalistici per far sapere che lui è bravo, coraggioso, non è come gli altri, lui è trasgressivo, gli piace la provocazione.

Insomma malato di protagonismo e presenzialismo. La ricerca non viene condotta nel deserto, ma nel posto sbagliato: la ribalta.

 

LA DONNA CHE HA PERSO UNA DRACMA.

Leggere Luca 15,8-10

 

COMMENTO

La nuova parabola ricalca praticamente lo schema di quella precedente, con alcune varianti.

I farisei "erano attaccati al denaro". Gesù li tocca sul vivo: voi trovate normale che una donna si faccia in quattro per ritrovare 2000 lire o poco più, e perché non riuscite ad ammettere che Dio si comporta alla stesa maniera quando si tratta degli uomini?

Il valore vero della dracma non è quello stabilito al listino dei cambi, ma quello che ha agli occhi della povera donna. L'unico valore dell'uomo è che Dio "ci tiene". Non è il suo valore a peso d'oro e d'argento che fa il valore dell'uomo, ma l'amore che Dio gli porta.

Dio è uno che mi cerca e non si rassegna al fatto che mi perda. Davanti a Dio ciascuno ha un prezzo infinito: quello di suo Figlio.

 

PROVOCAZIONI

"In casa" ci può essere chi non è ancora perso,, ma rischia di perdersi: c'è qualcuno in difficoltà, in crisi. In tal caso invece di trovare fratelli che si fanno vicini avverte che si sta facendo il vuoto attorno a sé: si crea un clima freddo fatto di pettegolezzi, insinuazioni, allusioni maligne, sospetti E allora non c'è da stupire che quello si perda, meglio: venga perduto. Con l'aggravante che, mentre prima non ci si è minimamente preoccupati di sostenerlo, dopo nessuno si sente in dovere di recuperarlo. ... ... colpa sua .......

Le monete rimaste al sicuro negli scrigno non hanno creato nessun'ansia alla donna, quella smarrita ha messo in movimento tutte le sue capacità e risorse, ha tenuto deste le sue preoccupazioni finché non l'ha trovata. La pastorale comunitaria verso i peccatori è invitata a trovare vie più pacifiche o più caute senza ricorsi a minacce o ad anatemi, al contrario cercando di far propria la fiducia della donna che ha perduto la dracma, che ritrae quella stessa di Dio, il quale non desiste mai dall'attendere il momento della conversione del peccatore.

Il disappunto dei farisei e dei dottori della legge è frutto di arroganza, orgoglio. presunzione e non di zelo. La vera cura pastorale è fatta di pazienza e anche di tolleranza, capace di ottenere alla fine il successo desiderato e forse inaspettato, Se la donna, invece di cercare, avesse "spazzato" e buttato le "immondizie" fuori casa, non avrebbe più trovato la moneta, se la comunità non ha la pazienza di verificare ed attendere la crescita e la piena maturazione (conversione) dei suoi membri, ma li espelle per indegnità o impenitenza, non avverrà mai che possa festeggiare la foro conversione, il loro ritorno o ingresso nel Regno.

L accento è, posto soprattutto nell'atto del cercare. Ciononostante al centro rimane il senso della gioia. Auguro a tutti i gruppi di Vangelo di sperimentare, non solo di credere, la gioia e la tenerezza del Padre. Lasciamoci cercare e immedesimiamoci con la gioia di Dio nel ritrovarci.

 

LE NOSTRE PAROLE: CONDIVISIONE DI PENSIERI ED ESPERIENZE

(ascoltandoci intravediamo degli elementi di novità nella trama spesso ripetitiva della nostra esperienza quotidiana e la comunicazione di esperienze di Parola vissuta trasforma sempre qualcosa in noi e attorno a noi)

Interroghiamoci:

 

PAROLA CIIE SI FA VITA E VITA CHE SI FA PAROLA

(Scrivere il Vangelo con la vita)

Un ragazzo era rimasto fuori casa quattro mesi" si bucava, era assai mal ridotto in salute. Alla proposta di tornare, reagì assai duramente: "Preferisco morire". Si convinse poi che era meglio ritornare. Lo accompagnai, perché non fosse solo ad affrontare il padre. Era molto agitato vicino a casa, e mi disse ancora "Ti assicuro che preferirei morire, io so come è lui, si mette a gridare e io non lo sopporto". E aveva ragione.

Infatti le prime parole furono veramente dure: "Ah, sei tu, puoi fare a meno di entrare", ma lasciò la porta aperta. "Basta, togliti dal piedi, non voglio nemmeno guardarti in faccia", continuò sempre più agitato. Il ragazzo tremava e pure io, lo confesso. Di tanto in tanto cercavamo di interromperlo, ma era difficile. Intanto aveva acceso il gas e messo del latte a scaldare e preparò pure il caffè in due tazze. Poiché non smetteva di ripetere le stesse cose, Il mio antico si girò verso la porta e disse: "Va bene, me ne vado di nuovo". "Adesso siediti, stupido, cosa vai fuori a quest'ora", reagì il padre. Prese poi una scatola di macedonia. Aprì anche quella. Fece sedere il figlio e me, mia sempre continuando le sue minacce: " Per me è come se non esistessi, me l'hai fatta troppo grossa", e intanto gli metteva la sedia per la cena (l'aveva preparata dicendo che lui non avrebbe mai più dato un pezzo di pane a uni figlio così, nemmeno se lo avesse visto morire di fame). Accese intanto la sigaretta sedendosi anche lui. Tirò fuori dal portafoglio la fotografia della moglie morta, gliela mise davanti: "Tu noti ti ricordi di nessuno! Certo... sei diventato come una pietra ". Silenzio. "E da dove venite Adesso?" Così mi fu possibile parlare con una certa distensione. Anch'io mio resi conto che il padre non era cattivo: il mio amico intanto sciacquava le tazze. Il padre tirò fuori un gioco di carte e si continuò con la partita. Non ricordo neppure se ho vinto o ho perso, so soltanto che era così bello giocare: mi sembrava una scena da romanzo, non mi sembrava vero. Essere mandato via di casa era esattamente ciò che meritava quel mio amico, ma essere accolto era, la conseguenza della logica dell'amore.

 

PAROLE DEI, CUORE:

"L'amore è l'unica forza capace di trasformare un nemico in un amico"

(Martin Luther King).

 

TESTIMONIANZA

JEAN VANIER: LA COMUNITA COME LUOGO DELLA FESTA

Jean Vanier nasce nel 1928-, intraprende la carriera militare nella marina canadese fino al 1950 quando la lascia per studiare filosofia e vivere in una comunità cristiana nella zona di Parigi. Nel 1964 fonda la Comunità dell'Arca, scegliendo di accogliere 2 adulti handicappati mentali in una casa a Trosily-Brevil. Cosi racconta: "Ho iniziato l'Arca nel 1964 con il desiderio di vivere il Vangelo e di seguire meglio Gesù Cristo".

Un lungo cammino di vita alla scoperta della ricchezza e della caratteristica di ogni vita Cristiana: essere uomini e donne di comunione. Proprio la scelta di abbracciare questo stile, questo lungo e appassionato cammino alla scoperta dell'inestimabile tesoro della vita comunitaria, ha portato Jean Vanier ad offrire, negli anni, piste di riflessione su questa realtà. Questi pensieri nascono proprio dalla sua esperienza di tutti i giorni fatta di gioie, dolori, errori, cadute, riprese e raccontano di come l'unità e la comunione siano innanzi tutto dono da chiedere e per il quale vale la pena di impegnare la vita, perché il cristiano non diventa santo da solo ma insieme con gli altri.

"La comunità è un luogo di comunione dove ci si ama gli uni gli altri e dove si diventa vulnerabili gli uni nel confronti degli altri: in comunità si lasciano cadere le barriere […] ma questo non è facile […] una comunità inizia quando non ci si nasconde più, quando non si cerca più di provare Il proprio valore reale o presunto". In una comunità si collabora "perché ci si ama e ci si sente chiamati a comunicare, verso gli stessi scopi. La comunione è il riconoscere che siamo un solo corpo, un solo popolo chiamato da Dio ad essere Fonte di amore e pace è un dono dello Spirito Santo".

Per questo, "non bisogna cercare la comunità ideale, Si tratta di amare quelli che Dio ci ha messo accanto oggi. Queste persone sono segno della presenza di Dio per noi scegliamo i nostri, amici, ma non scegliamo i nostri fratelli e sorelle, ci sono dati".

Allora una comunità è un po' come "una casa di pietre d'ogni sorta, messe insieme. Quello che tiene insieme è il cemento e il cemento è fatto di sabbia e calce, che sono materiali così fragili, nello stesso modo nella comunità quello che ci unisce, il nostro cemento è fatto da ciò che è più fragile e povero in noi".

Le citazioni sono tratte da: J. Vanier. La comunità luogo del perdono e della festa. Jaca Book, Milano 1991